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Full text of "Due trattati, uno dell' oreficeria, l'altro della scultura"

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* 

Uó /fy. 



TAYLOR INSTITUTION. 



BEQUEATHED 



TO THE UNIVERSITY 



BY 



ROBERT FINCH, M. A. 



OF BALLJOL COLLEGE. 



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r 



OPERE 

DI 

BENVENUTO GELLINI 



■ ■■Il I <f— — fc. 



roLVUR in. 



DUE TRATTATI 

DI 

BENVENUTO GELLINI 

SCULTORE FIOREUTINO 
uno 

DELL' OREFICERIA 



l' A L T VO 



DELLA SCULTURA 

COLt.^ AGGIUMTÀ DI ALCITHB Qf ft&STTE 
DUt MIU)|8IMQ 




MILANO 

Dalla Società Tipografica de' Clàssici Itaizk^i 
contrada del Cappuccio., 

ANNO l8ll. 



ì 



/ 



T 



AVVISO 



dell' BOITOR MILANKSB. 



XV questo volume m trovano per là 
prima volta raccolte e con diligenza ristam*- 
pate tutte le opere del Cdlini^ che, oltre 
la f^ta di esso 9 si sono già dia altri pub- 
blicate colle stampe., 

I Due Trattati f stati finora impressi 
tre volte, cioè da Panizzi e Peri in Fi- 
renze nel i568, da Tortini e Franchi in 
detta città nel 178 1, ed in Torino verso il 
1795, colla falsa data della edizion prece- 
dente (i), vengono ora da noi riprodotti 



(i) Questa edizione contraffatta si distingae fra le 
altre cose, dall'avere io fronte alia Pre/flzione un or- 
nato meramente tipografico, in luogo dell'arme gen- 
tilìzia dei Cellinif che vedui nella vera edizione dì 
Tarimi e Fnmdii. 



Vi ATVISO 

fedelmente sulla seconda edizione; perchè 
meritamente quel testo fu dagli Accademici 
della Crusca dichiarato più emendaio e cor- 
retto di quello, che fu dato dall'autore 
stesso nel i568, e perchè ragioncTolmente 
non potevasi da noi sperare di vie più 
emendarlo od arricchirlo. 

A questo testo medezsimo, in parte per 
la stessa sua correzione ed in parte per 
motivo della materia, non abbiamo neppu- 
re creduto di dover soggìugnere annotazio- 
ni, come da noi si è fatto nella F'ita; 
giacché , tolto il bisogno delle emendazioni 
del testo e delle illustrazioni di storia, non 
vi sarebbe stata altra opportunità di comen- 
ti, fuorché relativamente ai precetti ed ai 
metodi delle Arti, che qui si insegnano; la 
qiial impresa sarebbe stata per noi troppo 
ardua, e per là maggior parte dei lettori 
poco utile e poco dilettevole. 

Il solo mighoràmeuto adunque, che noi 
a*bbiamo giudicato di procurare ai predetti 
Ihie Trattati j si fu qpello di cambiarvi il 
sistema dei punti e delle virgole; giacché 
in questa parte estrinseca air opera, non 
abbiam temuto di por mano, vedendo di 
poter facilitare F intelligenza dell' opera stés* 
sa col mezzo della odierna ortografia assai 
più ragionata e severa di quella , che fu in 
uso per lo passato, non toccandovi altronde 
parola o siUaba, fuorché in qualche mani- 
festo errore di stampa. 

Così , non avendo noi tralasciato né la 
bella Prefazione di quella seconda edizio* 
ne, alla quale anzi abbiamo apposta qual> 



DELt^ BDITOK MILAKBSR. m 

che nota non ioopportuast "i^ i^ f^am-^ 
mento del, Gellini auir/Z/te ^l Disegno ^ 
che io essa edizione fil per. la prima volta 
divulgato y ;nè V Indice della stessa, che da 
noi fu rifuso, oegli indici nostri copiosissimi^ 
possiaoio. assicurare il lettore di avere tra- 
sportato in questo volume ogni merito in- 
trìnseco della sopra lodata edizione mede- 
sima: e j)erchè in quella furono ommesse 
le Poesie in lode del Cellìni^ che ritrovansi 
nella prima , e che da molti curiosi possono 
essere desiderate, abbiamo aggiunto alla 
nostra ristampa anche questo, qualunque 
siasi y compimento; e ciò tanto più volen- 
tieri abbiam fatto da che si rara è divenuta 
la predetta edizion principe* 

Finalmente le altre prose e poesie , che 
qui da noi si raccolgono, vennero tratte dai 
libri a suo luogo indicati; ed, essendo alcu- 
ne di esse state già stampate con errori grar 
vissimi^ furono da noi ridotte a quella più 
fedele e corretta lezione, che per noi si è 
potuto colla scorta del buon senso e coUa 
pratica dello stile Celliniano da noi acqui- 
stata. 

* 

Potevamo agevolmente ritrovare e far 
pubbliche altre scritture inedite del Gellini^ 
che si conservano nelle Librerie di Firenze, 
e che qi furono gentilmente esibite; ma 
siccome queste non sono che memorie pri- 
vatissime ^ e di famiglia più che di Arti, 
giustamente abbiam temuto^ che il Pubblico 
non fosse per accogliere poco favorevolmen- 
te tali minuzie di niun frutto , e che a 
ragione non fossimo perciò tacciati di pe* 



"^11 . Avyiso 

danterìa} la qua! taccia noi ci siamo con- 
tinuamente studiati di evitare ih questa no« 
atro scabrosissimo lavoro^ procurando, per 
quanto era in noi^ di moderar sempre con 
retto giudizio le nostre indagini ed illustra- 
zioni. 



IX 



PREFAZIONE 

DELLA EDIZIONE 

FATTA INFIRENZE NEL I^Sl 

COllM STJM'PB 

m TARTINI E FRANCHI 



\/VANTUNXfU£ di grandissima lode sia da 
reputar degno chiunque V antiche memorie 
e scritture con industre utilissima ùccura-- 
tezza s^ ingegna di consers^are e mettere 
in luce e dalle ingorde fauci del tempo 
divoratore a giusta sua possa y sottrarre ;i 
nondimeno j per nostro avs^iso y non poco 
Umdevole^ giudicar si dee F opera e ^l di- 
nsamento di coloro ^ che anche le meno 
antiche ed tC nostri secoli più vicine {pur- 



che elle il cagliano ) cercano di racco^ien 
« per universale utiUtà al Pubblico comuni'^ 
Care. Imperciocché il confronto di queste 
con quelle maravigliosamente gioita non 
solo a metter in chiaro la verità delle cose 
di tempo in tempo accadute^ ma ancora 
a farci . comprendere le cagioni della . di^ 
tersità delle pariantissime umane costu^ 
manze, i motivi della diminuzione o del 
progresso delle scienze ^ del miglioramento 
o deterioramento delle arti, e di tanti altri 
sì diversi .accidenti e cangiamenti delle 
umane cose, le quali con perpetua vicenda 
in processo di tempo insensibilmente veg" 
giamo alterarsi, e ora dal primiero esser 
loro dipartirsi y ora a quello ritornare, E 
di vero il pregio e la giusta esumazione 
di quelle non dalla antichità principalmen- 
te^ ma dalla importanza e dalla eccéU 
lenza ed utilità loro misurare . e argo- 
mentare si dee; è ne^ secoli avvenire tem* 
pò forse verrà, che dagli eruditi investiga^ 
tori delle trapassate memorie le opere è 
gli avvenimenti de* moderni tempi saranno 
ricercati avidamente ^ e di non minore im- 
portanza di quelli da primi secoli ruotati. 
Un esen^io di ciò ravvisar si puote. nelle 
antiche monete , che meda^ie > da noi co--, 
munemente per una certa rispettosa vene- 
razione y che all'antichità portiamo, sono 
appellate; traile quali hawene di quelle 
battute nel reg^mento della Repubblica di 
Roma . e de' primi Cesari, le quaU per 
la bellezza del, conio ^ per f eleganza de' mot-» 
ti e per la importanza, delh notizie indi- 



Bttl^ EÙiTÓR FlOKENTlìiO. XI 

cote dà' rovesci y meritamente ricercate e 
molto care tenute , né presenti tempi assai 
minor rarità portano seco di alcune di 
queUe coniate sotto gT Imperadori de più 
hassi tempi; imperocché la ricerca e la 
raccolta di auestfi essendo stata alquanto 
più trascurata, perchè per asfs^entura alle 
più antiche sembravano inferiori nel conio, 
né di così eleganti legende {con/orme di- 
cono ) adornate erano , sono perciò diue^ 
nute assai più difficili a trovarsi; dal che 
poi quella oscurità è derivata j che in mol- 
ti particolari avvenimenti e in varie circo- 
stanze della storia de tempi più bassi rav^ 
visiamo. Per questa medesima cagione si 
sono fino d nostri tempi conservati molti 
libri di vàrj buoni ed antichi scrittori gre- 
ci e latini j e per lo contrariò perdute si 
sona molte scritture de tempi a noi men 
lontani con non piccolo dispiacere delle 
persone etudite; le quali di queste perdite 
a ragione si dolgono, estimando merita- 
mente, che r importanza e V utilità delle 
notizie in queste contenute per la rozzezza 
di que* barbari tempi dovesse in qualche 
parte compensare V eleganza e la dottri- 
na , che nelle opere de più antichi scrit- 
tori si ritrova. Nella stessa guiìsa parimente 
addiviene , che molte utilissime opere di 
alcuni nostri toscani scrittori, fioriti ne' se^ 
coli a noi più vicini y tenute in minor conte j 
perchè non portavano seco il pregio del- 
l'' antichità ^ sono divenute più rare e più dif- 
ficili u trovarsi di moltissime altre da autori 
assai più' antichi date alla luc^^ quantun- 



XII FltEFAZJOVM 

que r importanza loro e V utilità^ che ila 
esse ricascar si puote y in qualche parte 
sembri farse poter pareggiare il merito della 
martore antichità ^ di cui t altre sono cor- 
redate. 

Poco pia di due secoli sono trapas* 
satiy da che sotto questo cielo fiorì e lo 
splendore e la fama di sue virtudi per 
una gran parte dell' Europa diffuse Bea- 
venuto di Giovanni d^ Andrea Celiini , c&- 
tadino fiorentino , ore/ice e òcultore ec^ 
celiente, uomo certamente d animo eorag^ 
gioso e feroce , ma altresì di uno straor" 
dinario e maravigUoso talento dotato 9 per 
cenone del qucUe a molti gran Prituupi 
e ad altri illustri persona^ fa caro oU 
tremodoj i quali dell'opera sua utHissima" 
mente si sfalserò e, generosamente a' loro 
stipendj intertenendolo , occasione di aita" 
mente segnalarsi co' suoi las^ori e di di" 
svenire nel mondo ^ mediante le opere sue, 
famoso, gli somministrarono. Fra essi an* 
noifcrar si possono i due Romani pontefici 
Clemente VIL e ' Paolo UI. , il magnani^- 
mo Re di Francia Francesco, primo di 
questo nome, i Duchi di Firenze Alessan- 
dro e Cosimo I.^ da' quali in dispersi tem^ 
pi potentemente e generosamente , come 
meriias^ano le s>irtù sue^ protetto, assistito 
e stipendiato , non solo molti nobilissimi 
lavori di oreficeria e varie celebratissime 
statue d^ Argento y di bronzo e di marmo 
condusse a fine , ma ancora utilissime ope^^ 
re scritte lasciò , le quali per comun senti" 
mento in molta stima tenute , per ogrii dove 



DElf EMTi^lL FIORENTINO, XJII 

hanno diffusa ed ampliata la fama del 
mo raro ingegno e de' suoi singolarissimi 
taltnii. La stabilità e dures^olezza de bron^^ 
zi e de marmi bene hanno consentati i 
las^ori delle sue mani e de* suoi scarpelli; 
ma gli scritti suoi (parte per non essere 
stati da esso condotti a perfezione y parte 
per trascuratezza di chi doveva averne cu-' 
ra, e parte perchè o non mai o una sola 
volta , e ciò moki anni fa , sono stati dati 
alla luce) o intéramente si sono smarriti 
o divtnuti sono così rari e difficili ad 
aversi^ che in vano da molti intendenti 
sono stati lungamente ricercati ^ e manife'^ 
^io pericolo corrono di perdersi del tutto 
con danno gravissimo delle buone artij se 
ciò addivenisse y o di andare affatto in di* 
menticanza. 

Principali sono tra essi la Vita sua^ 
che egli incominciò a scrivere da sé me* 
desimo intorno aW anno i558. ; che fu 
il cinquantottesimo dell* età sua, prose-' 
guendola fin pressò agli ultimi anni del 
suo corso mortale (i)^ che egli terminò 
nell'anno 1670 (i), e a/c£/ni Trattati sopra 
r Oreficerìa^ sopra la Scultura e sopra il 
gettare in bronzo. 



(i) Fino al Novembre del i562. 

{j) Intendi nell'anno 1570. dell'antica era fioren* 
lina ab incarnatione ^ poiché il Cellini morì alli i3 o^ 
secondo altrì^alli i5 Febbrajo del iS^i. ginsta l'era 
nostra volgare a natwitate. 



Xir ^UEF AZIONE 

La Vita sua. y oltremodo curiosa e 
bizzarra e di amene ed importantissime 
notizie e particqlarità arricchita , e ^n 
grosso volume fino a questi tempi scritto 
a penna , e raro non meno per la ca- 
fhezza degli accidenti in essa con molto 
ìrio e vivacità narrati, che per Ut scar-* 
sezza de buoni e corretti esemplari y che 
se ne ritrovano. Uno di questi si tro", 
vava già nella Librerìa di Lorenzo Caval- 
canti 5 che y per quanto dice il compilatore^ 
della prima parte delle Notizie Istorìche 
degli uomini illustri dell'Accademia Fiorea- 
tina, era V originale stesso di Benvenuto;, 
ma il suddetto Cavalcanti poscia il donò 
al celebre Dottor Francesco Redi , Medico 
di quella insigne letteratura y che a tutto 
il mondo è nota y il quale non solo il ten- 
ne carissimo y ma da esso ancora cavò 
molti esempli di voci toscane, appartenenti 
alle arti delV Oreficeria, Scultura e Pittura ^ 
da aggiungersi alla quarta edizione del 
Vocabolario degli Accademici della Cru- 
sca, siccome da alcune postille di sua 
mano scritte nel margine del suo, Voca- 
bolariQ della terza edizione y cioè del i6g2x 
si ricava; nelle quali egli dice, che Ben- 
venuto scrisse una gran parte del mento- 
voto volume di suo proprio pugno y ma che 
poscia straccatosi ed essendo in età assai 
avanzata, incominciò a dettarlo (i). Un altro 



mr 



(i) Malgrado Faiitorìtà delle Notizie Isioriche del* 
PAccad. Fior., à è da noi già avvertito a pag. XK 



DELL* EDITOR FIORENTINO. XV 

antico ed emendato manoscritto della me* 

desima Vita dicono conservarsi nella dovi* 

Irosissima Librerìa del Real Palazzo del Se^ 

renissùno Granduca {i); ed un altro abbiamo 

notizia j che ne fu modernamente ritrovato 

fra i libri di Alessandro Cavalcanti, non 

ha guari defunto ^ ultimo di questa illustre 

famiglia) dal qual testo, per altro non 

gran fatto corretto^ sono slati tratti tutti 

qué pochi esemplari, che gli amatori di sì 

fatte cose si han fatto per proprio comodo 

trascrivere (a). Noi abbiamo avuto campo 



del primo volume^ che molti passi di questo mano- 
scritto dì Ijorenso Maria Cavalcanti e poi del Redi, 
citati Qella Crusca j si mosti ano ritocchi, mutilati e 
meno originali io confronto della prima edizione; ed 
alti onde non è improbahile,che il primitivo autografo 
della Vita del Celimi siasi presto consumato e disperso, 
giaccliè per testimonianza del CelUni medesimo^ egli 
era in parte compoifto ài carie rappiccaie, « vaniva da 
esso custodito e trasportato in. una bisaccia* Vedi il 
voi. primo a pag. xx., xiv. é zxvqi. 

(i) Dalla Biblioteca Medicea Palatina passò questo 
codice alla Laurenziana^, e fu quindi registrato e de- 
scrìtto dal chiarìss. Bandini nella Bibliotheca LkopoìdU 
na Laurentiana a pag. 4^5 nel voi. 5 ove dicesi: coit- 
cordat cum edttione fiortruinù ^ auae curante Antonio 
Cocchio^ ut mihi videtur^ ex noe descripta codice^ 
prodiUcum hoc titolo: Vita di Benvenuto e/c. Cotù^ 
nia etc. L'edizione del Cocchi però non fu eseguita 
in Firenze^ ma in I^apoh nel 1728» come constai 
dai Discorsi del Cocchi voi. i p. iiivni. 

M 11 Baldinuccf pubblicò akunì passi della Vita 

> del Celimi , ricavati da un manoscritto di Andrea Ca* 

I valcanti^ i quali non concordano coi passi identici 

I citati nella Crusca. Àbbtam perciò detto nel volume 3 

a pag. 85 f che il predetto codice non poteva esser 

quello che poi passò al Redi , ma piuttosto quello cbei 

qiai dicesi di àlesiandro Cavalcanti. 



di assennare qual buon giudicio facesse di 
jjuest' opera il celebre Letterato M. Bene* 
detto varchi > essendoci imbattuti in una 
lettera responsha di Benvenuto a/, mede- 
simo Varchi, che si trova a car. 160. del 
Codice 481, in foglio, della famosa Libreria 
Strozziana; dalla quale si comprende ^ che 
Benvenuto gli avea mandata la soprad- 
detta sua Vita per udirne il suo sentitnento 
e perchè si compiacesse, dove occorreva^ 
ammendarla 'j ma svedesi, che il Varchi 
riscrisse a Benvenuto^ ,che ella non avea 
in veruna guisa di ciò bisogno ^ anzi che 
gli parea molto acconcia ad esprimere la 
verità delle cose narrate la naturalez^^ e 
semplice vivacità dello stile, con cui da 
Benvenuto era stata dettata (i). 

I Trattati sopra Y Oreficeria e la i^cul- 
tura dal medesimo Benvenuto ^roru> com^ 
posti, per quanto crediamo, molto dopo il 
suo ritorno di Francia , e da essso medesi^ 



(r) Questa lettera del Gelliaì fu da noi posta alla 
pag. XXV. del nostro primo volume; ed il manoscritto^ 
da cui fu tratta 3 insieme con tutti gli altri relativi al 
Cellini^ che dagli Strazzi si possedevano, deve essere 
passato alla MagUabechiana di Firenze; poiché essendo 
finita nel 1784 colla morte di Alessandro Carlo Strozzi, 
figlio di Tomaso , la discendenza maschile del Senatore 
Carlo Strozzi, che verso la metà del secolo J^VU, aveva 
unita una ricchissima quantità di codici, per ordine 
del Gran Duca* Pietro Leopoldo furon divisi i mede" 
simi fra la Mai^ljabechiana e la Laurenziana, ed iti^ 
tronde tra i manoscritti Strozziani portati in questa 
ultima Biblioteca non se ne trova alcuno, che con** 
tenga nulla di CelUniano. Vedi il Bandini .^r^iiòr. 
Zeopold. Laur, voL pag. XV e voi 2. pag^ 265. 



DEll! EDITOR FIORENTINO, XVlI: 

mo furono fatti pubblicare ^ per mezzo delle 
stampe, in Firenze nel i568. per Valente 
Panizzi e Marco Peri , a persuasione di Mes^ 
ser Gherardo Spini^ segretario del Cardinal 
Fernafado de' Medici, i? cui furono dal Cellini 
in quella impressione dedicati. La guai cosa^ 
parte dal contesto medesimo di queir opera 
si può congetturare, e parte ancora dalla se^ 
guente memoria o ricordo , scritto di mano 
propria di Benvenuto, da noi osservato 
fra un gran numero di suoi sonetti mano-* 
scritti j cortesemente a noi mostrati dal Ca^ 
nonico Salvino Salvini, de\quali più sotto 
si favellerà =: Io ho sempre ringrazialo Iddio^ 
che già 50no passati ventidue anni, che io 
ho consumati nella mia dolce patria (i), e 
fra i miei gran travagli il maggiore si è stato 
l'aver fatte così poche opere, E per esserna 
più volte doluto di cotale accidente, e mo- 
strando con molte vive ragioni , come tal 
cosa non veniva per mia causa , e' mi fu 
risposto da un gran gentiluomo di Corte, 
il quale non mi disse altro se non, che io 
era un terribile uomo} e replicandomi più 
volte questo nome di terribile, io gli risposi, 
che i terribili si erano quegli strumenti, che 
si empievano d'incenso, sol per onorare Id- 
dio E' sono molti mesi passati, 

ch'io donai questo mio libro, scritto in pen- 
na, allo Illustrissimo ed Eccellentissimo no- 
stro, infino nel 1567.5 eisebbene alcune volte 



(l) Dopo ritornato dalla Francia nell'Agosto i54S. 

Cellini Bem. Fol III. b 



SrVIII PREFAZIONE 

dissi di darlo alla stampa^ ei mVra passato 
cotal capriccio ; il qoaie me V lian fatto ri- 
tornare alcuni virtuosi Giovani, i auali lian^ 
no mostro alcuni loro virtuosi stuaj ^ facen- 
done parte a quelli^ che aranno voglia di 
queste belle vi rtudi delle nostre arti, e per 
cotal cagione io ancora mi son contento di 
giovare alP Universale , e siccome ho mostro 
con le opere, così ancora ho voluto mostrar 
colle parole (i); con tutto che l'opere sono i 
veri fatti e si debbono mostrare sempre pri- 
ma delle parole. 

Giovanni Cinèlli ne' sux)i supplementi 
alle Bellezze di Firenze, scritte da Messer 
Francesco Bocchi e ristampate in Firenze 
per Giovanni Gugliantini nel 1667/ (2) , 
prende sbaglio j allorché a car. 5']3. asse^ 
risce y che questi Trattati di Benvenuto 
Gellini furono stampati nel 1 668. / anzi 
ne pure e vero ciò ^ che ^gli. in qualche 
modo sopra di ciò correggendosi ^ affermò 
nella ' sua Storia manoscritta degli Scrit- 
, tori Fiorentini (3), noè, che Ig. prima 
volta furono stampati nel i568. e poi ri-- 
stampati ^ccnto anni dopo , cioè nel 1 668 ,• 



(i) Ecco un'altra volta 11 verbo mostrare senza 
accusativo e nel significato neutro di far vedere, 
nel voi. 2. a pag. 253. e 3 19. 

(2) Quest' opera del Cinelìi, impressa dal Guglian- 
tini^ porta la data del 1677. 

(5) 11 Padre Giulio JVegri dice di aver inutiU 
mente cercata quest'opera manoscritta del Cinelli* 
Vedi Istoria degli Scrittori Fiorentini p, 238. 



f ^ 



dèli! EDITOR FiOREIfTlNO. XIX 

poiché è indubitato^ che quest'opera una 
sola ^olta y cioè dal Panizzi /' anno 1 568. , 
vigente Benvenuto medesimo , e stata stam-. 
pota. V abbaglio del Cinelli fu però cieca^ 
mente al suo solito seguitato dal Padre 
JVegri nella sua Storia degli Scrittori Fio- 
rentini, il quale colày dosfe di Benvenuto 
Cellini ragiona , un più madornale sfar- 
fallone si lasciò uscir dalla penna , allor^ 
che scrisse y che egli morì nel 1970. Per 
inerita si può far grazia a questo buon 
Padre di crederlo error di stampa , . ma 
troppi ve ne sono in quel suo libro 9 e di 
tal fatta, che a difetto dello stampatore 
impossibile è sempre attribuirgli 

Or questi Trattati^ per non essere stati 
giammai ristampati , erano divenuti così 
rari a trovarsi , ed in così alto prezzo sa* 
liti, che anche con molto costo, presso che 
impossibile riusciva il trovarne un esem- 
plare a coloro^ che di queste nobilissime 
arti si dilettano e che ben comprendono 
l importanza delle buone regole e degli ot^ 
tifni ammaestramenti lasciati da quel valen^ 
tuomo , la trascurjxggine de' quali ha perav-* 
ventura cagionato j che i lavori d£ moderni 
artefici non con Iqnella finezza e perfezione 
H conducano j che n^ tempi di Benvenuto si 
praticava , ne' quali perciò V universale ap-- 
plauso e V ammirazione d ognuno esigeva- 
no. Per la qual cosa noi per comune van- 
ta^io y e di coloro massimamente y che di 
queste nobilissime arti fanno professione y 
e che la nostra gentil favella tengono in 
pregio , da erudite ed intendentissime per*' 



XX PREFJZIOJSTE 

sone confortati^ abbiamo intrapresa la rì^ 
stampa de' suddetti Trattati^ ih una forse 
non i^ana speranza ajfidati , che questa 
nostra fatica ^ per le accennate ragioni y sia 
per riportare V applauso e V a^radimenio 
uni\>ersale non tanto de dilettanti di queste 
professioni quanto degli amatori della Un- 
gua toscana ; conciossiachè i segreti e 
gV insegnamenti , in essi esposti ^ sieno det^ 
tati in uno stile così naturale^ semplice e 
s^ago e di così bella proprietà ed espres^ 
, sione adorno y che non è maraviglia^ se il 
mentovato Redi , finissimo conoscitore delle 
bellezze di nostra lingua j giudicasse degno 
d esser citato dagli Accademici della Cru- 
sca nel loro gran Vocabolario questo scrit" 
tore. 

In ciò fare noi abbiamo anche usata 
quella' accuratezza e diligenza, che per 
noi si è potuta maggiore; conciossiachè 
primieramente avendo osservato , che il 
soprammentovato Giovanni Cinelli nella 
sua citata opera degli Scrittori Fiorentini, 
ed anche l'autore delle Notizie Letterarie 
ed Istoriche degli Uomini Illustri dell' Ac- 
cademia Fiorentina , stampate in Firenze 
nel 1 700. , asserivano , che il mqnoscritto 
originale dfe/r Oreficeria del Cellini si con-- 
servava nella insigne Libreria del famosis- 
Simo Antonio Magliabechi , Bibliotec. del 
Serenissimo Gran- Duca Cosimo IIL, e «o- 
mo d infinito serpere y e degno veramente 
di quella gran faina y che nel mondo tutto 
si acquistò y e che parimente aggàignevano , 
che questo manoscritto era alquanto più 



DSIL EDITOR FIORENTINO. XXI 

copioso e corretto dell* esemplare stampa^ 
tòy abbiamo procurato di mettere :4n ope^ 
ra ogni possibile diligenza per ritrovarlo 
e collazionarlo , affinchè coli* ajuto di esso 
ci venisse fatto^ di mi^iorare notabilmente 
(jucita nostra pia diligente e premurosa ri' 
cerca y non essendo stato possibile V ottene- 
re di poter avere in mano V accennato 
manoscritto di quella Libreria (i). Laonde 



(i) Che Antonio Magliabechi^ il quale morì nel 

171 4) possedesse verameote il manoscritto dei Trattati 
Celliniani ben si vede anche da un saggio delle memo" 
He inedite di quell'uomo dottissimo, il quale conser- 
vasi manoscritto in Milano , nel Regio Archivio Ge- 
nerale , in un volumetto intitolato Magllahechiana^ ov' 
vero osservazioni letterarie di Antonio Magliaheghi, Bi" 
hHotecario dei Gran Duchi di Toscana j il qual saggio 
dicesi compilato dall'autore della Vita del B. Ambrogio 
Trai^ersario Generale dei Camaldolesi (cioè dall' Ab. 
Lorenzo Mehus, dopo il 1759.) sugli scritti ed in no- 
me del Magliabechi medesimo. L'articolo risguardante 
il Celli ni è il seguente. 

Il libro intolato I Due Trattati^ uno intorno ^Ue 
otto principsrli arti dell* Oreficeria , l' altro in materia 
dell'arte della Scultura ec, comoosti da Messer Ben- 
venuto Gellini ec, in Firenze i5d8.^ nel suo genere è 
ottimo^ e perchè è rarissimo, non si trovando più ^ 
quando ultimamente fu qua con Monsignor f^escovo di 
Marsiglia il dottissimo Ah, Jacopo Cafferelli , io gli 
donai il mio esemplare^ perchè mi disse di volerlo 
far ristampare con alcune sue addizioni e annotazioni. 

Io ho alcune poesie manoscritte del detto Ben'- 
venuto Cellini. Ho anco alcune medaglie fatte da esso^e 
tra le altre quella del Card. Pietro Bembo, Ho erdan* 
dio i Trattati deW Oreficeria manoscritti, con diverse 
cose^ che non si trot^r^'io nel libro stampato. 

Non volendo fece una volta Benvenuto Cellini 
grandissima paura a Monsignor della Casa, Aveva 
il detto Cellini accomodato un arc^ibuso alla porta ^ 



XXII PREFAZIONE 

non si potendo da noi altro fare , è sta^ 
io forza il contentarsi di emendare nel 
meglior modo, che è stato possibile j que^ 
gli errori^ che nella edizione dtl Panizzi 
erano trascorsi ^ e di accrescere e ridurre 
in miglior forma e più comoda Vindice 
delle cose più importanti in quest' opera 
contenute. ' 

Fra alcuni processi di cause y libri 
di conti ed altre scritture attenenti al 



carico, ma senza palla ^ che si scaricava quando la 
porta era picchiata, per far paura ad alcuni^ che lo bur- 
lavano : venne Monsignor della Casa, che il Cellini non 
V aspettava i e Varchibuso si scaricò, Cod. VI. pag. i3. 
Per illustrazione di questo documento inedito fa 
d*uopo sapere. 

I. Che il Cafferelli qui nominato si è il celebre 
Giacomo GafFarel, nato a Maiines in Provenza, il 
quale anche dal Gassendo è chiamato Jacobus Caffa^^ 
reUus, e che fu Dottor di Teologia, Priore di S. Eie* 
gio e veramente dottissimo , particolarmente nelle cose 
Orientali e nelle lingue. Egli stampò , fra le altre, 
un'opera piena di erudizione, ma non priva di strava* 
ganze, col titolo Curiositates inauditae de figuris Persa» 
rum Talismanicìs^ la quale è oggi rarissima; viaggiò in 
Italia come Bibliotecario' del Carainale Richelieu, ricer- 
cando ovunque manoscritti o libri rari , e morì di 8o. 
anni nel 1681., senza però aver mai pubblicato nulla 
intorno al Cellini, come avea promesso al Maglia - 
bechi per ottenerne il nominato volume. , 

II. Che il codice manoscritto dei Trattati Celliìiia- 
ni, qui accennato come in possesso del Magliabechi^ 
e che non fu trovato nel 1781., era forse lo stesso o 
una copia di quello della Naniana, che ora sta nella 
Marciana di Venezia; poiché anche questo, al dire del 
chiarissimo Cav. Morelli, contiene molte cose di piti 
della ediz. del i568, ed in oltre appartenne al Cellini. 

III. Finalmente, che la burla toccsfta a Monsig« 
della Casa vien narrata anche nelle Notizie Isteriche 
deW Accademia Fioreniina, 



DELL* EDITOR FIORENTINO. XXIII 

nostro Benvenuto , che insieme col suo 
testamento e con due suoi codicilli sono 
state a noi cortesemente fatte vedere da 
Cario Tommaso Strozzi^ gentiluomo^ che 
al pregio della chiarezza del sangue unisce 
quello viepiù stiìuabile di favorire e prò-- 
muovere tutte le buone arti^ noi abbiamo 
trovato uno sbozzo di una lettera y scritta 
di mano di Benvenuto e diretta al Prin-- 
cipe Don Francesco de' Medici, dalla qua- 
le si ricava, che egli scrìsse questi Trat- 
tati in congiuntura di una certa sua in- 
disposizione, che gV impedì il potere ope- 
rare y unitamente cogli altri professori , nelle 
feste ordinata per solennizzare le nozze di 
questo Principe, che seguirono V anno i565, 
coW Arciduchessa Giovanna d' Austria 5 an- 
ù da questa stessa lettera sembra ^ che si 
possa dedurre y che il Cellini avesse in 
animo di dedicargli a questo medesimo 
Principe y lo che poi, qualunque se ne 
fosse la cagione, non effettuò; ma bensì 
al Cardinale Ernando o sia Ferdinando y 
suo fratello y gì' intitolò. Ma perchè questa 
lettera e breve y ed in essa di questi suoi 
Trattati si ragiona y non isgradirà perav- 
ventura il lettore di vederla in questo luo- 
go registrata. 



rXir PREFAZIONE 

ALL' ILLUSTRISS. SIG. PRINCIPE 



GOYERNANTE DI FiRGNZE E DI SlENA. 



Uapfoichè la fortuna^ glorioso e felicis- 
simo Signore, per qualche mia indisposizio- 
ne mMmpedi il potere operare nella ma-- 
raviglìosa festa per le nozze di V. E. I. e 
di S. A., standomi alquanto mal contento, 
subito mi sentii svegliare da un nuovo ca« 

J)riccio e, in cambio di operar di terra o 
egnOy presi la penna e^ di mano in mano 
che la memoria mi porgeva, scrìvevo tutte 
le mie estreme fatiche , fatte nella mia gio- 
vanezza, quali sono in molte arti, diverse 
Puna dall'altra 3 e in ciascheduna io cito 
alcune notabili opere, fatte a diversi e 
grandissimi Prìncipi , di mia mano. E per 
non essere mai per altrì -«scritta cotal cosa, 
credo, che a molti per i bei segreti, che 
in esse arti si contengono, sarà utile, e 
ad altri fuorì di tali professioni piacevolis- 
sima, qual penso doverà essere a Y. E. L, 
perchè più d^ogni altro gran Principe ella 
se ne diletta , e V ama. £11^ adunque si 
degni di accettar questa mia buona volon* 
tà , quale ho avuto sempre , di piacerle , 
pregando Iddio, che quella felicissima lun- 
gamente conservi. 

Il fedelissimo servitore di V. E. Dlustriss. 
Benvenuto di M. Giovanni Gellini, 
ciUidino fiorentino. 



DELL EDITOR FIORENTINO. ^ XXV 

Non disconvenevole sarebbe il dare 
in questo luogo distinta notizia di Ben- 
venuto 9 de^ costumi j del naturale j delle 
sue singolari qualità, delle molte opere 
sue e de tanti strai^agantissimi accidenti y 
che in varj tempi e ne varj luoghi y ove 
dimorò , gli occorsero ; ma perchè sareb-^ 
be questa una troppo lunga inchiesta e 
da non ne venir a capo così di le^eriy 
e perchè in questi medesimi Trattati la 
maggior parte delle opere sue egli va de- 
scrivendo , ed anche perchè nella soprad- 
detta sua Vita, pur novellamente stam- 
pata, tutte le accentiate cose sono oltre 
ogni credere curiosamente ed esattamen- 
te descritte, abbiamo giudicato di dover- 
cene rimanere , contentandoci solo di ri- 
ferire alcune delle tante testimonianze , 
che presso un gran numero di scrittori si 
trovano , dell' eccellenza del suo ingegno , 
e delle sue singolarissime dotiy e premen- 
do ad accennare il restante degli scritti 
suoi , de^ quali è a noi pervenuta alcuna 
notizia, 

Giorgio Vasari nella Vita di Bac- 
cio Bandinelli /a di Benvenuto nostro ono- 
ratissima menzione y ma più distintamente 
ne ragiona nella terza parte delle sue 
Vite de' Pittori, Scultori ed Architetti^ a 
car. 873. (i), colà dove degli Accademici 



(i) Si cita qui T edizione de' Giunti del i568., eoa 
Qualche infedeltà però^ che da noi fu tolta, riscontraa- 
Qo il seguente passo nella detta edizione Giuntina. 



XXVI PREF^AZIONR 

del Disegno ragiona ; riè pensiamo , che 
sia per esser discaro a* lettori ^ che noi 
ponghiamo qui le sue stesse parole = Dico, 
che Benvenuto Cellini, cittadino fiorentino 
(per cominciarmi da i più vecchi e più 
onorati) oggi scultore, quando attese alFo- 
refice in sua giovanezza, non ebbe pari, né 
aveva (i) forse in molti anni, in quella pro- 
fe.ssione e in fare bellissime figure di ton- 
do e basso rilievo, e tutte altre opere di 
quel mestiero. Legò gioie "^ e adornò di ca- 
stoni maravigliosi , con figurine tanto ben &t« 
te e alcuna volta tanto bizzarre e capric- 
ciose, che non si può né più né meglio 
immaginare. Le medaglie ancora, che in 
sua gioventù fece d' oro e d' argento , fu- 
rono condotte con incredibile diligenza , né 
si possono tanto lodare , che basti. Fece in 
Boma a Papa Clemente VIL un bottone 
di piviale, bellissimo, accomodandovi otti- 
mamente una punta di diamante, intorniata 
da alcuni putti £sitti di piastra d^oro, e un 
Dio Padre mirabilmente lavorato^ onde ol- 
tre il pagamento ebbe in dono da quel 
Papa Tufizio d'una mazza. Essendogli poi 
dai medesimo Pontefice dato a fare un ca- 
lice d' oro , la coppa del quale dovea esser 
retta da figure rappresentanti le Virtù Teo- 
logiche, lo condusse assai vicino al fine 



(i) Malgrado l'autorità di tutte le ediuoni del Va- 
sari, io credo, che qui si debba leggere né averà^ 
come legge ancbe il Tiraboschi^ citando questo passo 
nella Stor. della Letter. Itai 



BElj! EDITOR FIOREINO. XXVII 

eon artifizio maravìgliosissiai^e^ medesimi 
tempi non fu chi facesse mio ^ fra molti 
che si provarono, le medaglUi quel Papa,, 
di lui, come ben sanno eoo, che le vi- 
dero e n^ hanno. E perchè be, per que- 
ste cagioni, cura di fare iij della zecca 
di Roma, non sono mai 9 vedute più 
belle monete di quelle, callora furono 
stampate in Roma. E perciopo la morte 
di Clemente, tornato Benvto a Firenze, 
fece similmente i conj , e la testa del 
Duca Alessandro^ per le rate per la zec- 
ca di Firenze, cosi belli on tanta diH- 
genza ^ che alcune di esse serbano oggi 
come bellissime medagUe che, e merita- 
mente , perciocché in questinse sé stesso. 
Datosi finalmente Benven alla Scultura 
e al fare di getto, fece in Fra molte cose di 
bronzo ) d^^rgento e d'oroentre stette al 
servizio del Re Francesco iel Regno. Tor-' 
nato poi alla patria e mestai servìzio del 
Duca Cosimo, fu prima aerato in alcu- 
ne cose da orefice, e iitimo datogli a 
fare alcune cose di Scultconde condusse 
di metallo la statua dehseo, che ha 
tagliata là testa a Medusa quale è in 
Piazza /lei Duca, vicino porta del pa- 
lazzo del Duca, sopra u|asa di marmo 
con alcune figure di bronbellissime , al- 
te circa un braccio e , terzo V una y 
la quale tutta opera fu jotta veramen- 
te con quanto studio digenza si può 
maggiore , a perfezione [)osta in detto 
luogo degnamente , a p^ne della Judit 
di mano di Donato, costoso e celebra* 



y 



• I 

t \ 



XXVIII ^ PREFAZIONTÉ 

to scultore. E certo fu maraviglia^ che es- 
sendosi Benvimto esercitato tanti anni in 
far figure piccde^ ei condusse (i) poi con tan- 
ta eccellenza ma statua così grande. Il me- 
desimo ha fatto un Crocifisso di marmo » 
tutto tondo e grande quanto il vivo , che 
per sigile è b più rara e bella scultura ^ 
che si possa Mdere. Onde lo tiene il Signor 
Duca 5 come osa a sé carissima, nel palaz- 
zo de' Pitti per collocarlo alla cappella 
ovvero chiesetta , che fa in detto luogo ; 
la qual chiesti non poteva a questi tempi 
avere altra cosi più di sé degna e di si gran 
Principe; ed insòtnma non si può' quest'o- 
pera tanto lodare 9 che basti. Ora sebbene 
potrei molto pia allargarmi nel!' opere di Ben- 
venuto, il quale é stato in tutte le sue co- 
se animoso, fiero ^ vivace^ prontissimo e 
terribiUssimo , e persona , che ha saputo 
. pur troppo dire il fatto suo con i Principi, 
non meno che le mani e P ingegno ado- 
perare nelle cose deirarti, non ne dirò 
qui altro, atteso che egli stesso ha scrìtto 
la Vita e T opere sue, e un Trattato del- 
l' Oreficeria , e del fondere e gettar di 
metallo^ con altre cose attenenti a tali arti, 
e della Scultura, con molto più eloquenza 
e ordine, che io qui peravventura non sa- 
prei fare (i). E però, quanto a lui, basti questo 

(i) Nella ediz. del Vasari fatta in Siena nel 1794. 
si legge qui conducesse in luogo di condusse, e par mi 
opportunamente. 

(a) Ben si vede^ che il Vasari conosceva solo per 
fama la F'ita dèi Cellioi e non sapeva quanto egli 
fosse stato in essa maltrattato. 



dell' EDITOR FIORENNO. ÌXIX 

breve sommario delle sue p rare opere 
principali. 

Intorno a queste cose scritte dal 
Vasari, si dee osservare j e il mento^ 
i^ato Crocifisso di marmo ^ }to da Ben- 
venuto , fu poi collocato ìlla cappella 
sotterranea della chiesa di ìan Lorenzo 
ài questa città; onde non oppiamo con 
qual fondamento Paolo Minine/ suo Di- 
scorso sopra la nobiltà di frcnze, stam^ 
paio in Firenze nel iSgZ. fr Domenico 
Manzani^ a car. 109. asserica, cìie egli 
fosse* portato in /spagna : Bovenuto Cel- 
iifli , di cui vede oggi la Spa;na uno stu- 
pendissimo Crocifisso di maruD^ e Firenze 
un bellissimo Perseo di bronb. Ne in di- 
fesa del Mini si può dire , eie Benvenuto 
avesse fatto altri Crocifissi dì marmo , 
oltre al mentos^ato; imperoccJè ne in que- 
sti Trattati, ne nella sua Viti, dove con- 
te per minuto tutte le principali opere 
sue, dice d" as^er fatti altri Crocifissi di 
marmo fuori di questo , // qwh egli avea 
destinato di porre in una cappella della 
chiesa di Santa Maria Nos^ella di questa 
città y nella qual cappella i PaM di quel 
Convento gli avevano conceduta di col^ 
locarlo; ma perchè gli negarom il con-- 
senso di potervi similmente costruire la 
sua sepoltura, aontato di ciò il Cellini 
non volle altrimenti situarcelo ^ e lo de- 
stinò per la chiesa della Nunziata. Ma es- 
sendo poscia andati a veder quest'opera 
il Duca Cosimo colla Duchessa Leonora , 



XXX : PREFAZIONE 

sua moglie^ jenvenuto ne volle far loro 
generosamentk un dono. Non vollero que- 
sti Principi (dettare il Crocifisso in itonoj 
' ma ordinarci a Benvenuto , che ne do- 
mandasse il fezzo convenevole; onde e^i, 
che non poc era bizzarro ed iracondo , 
ne chiese un goroso prezzo di scudi 2000, 
come da dufficordi j di sua mano scritti 
né* suddetti Itriy si può vedere, i quali ^ per 
più distinta informazione del lettore so- 
pra questo fdfo j qui ci piace di trascrivere. 
Il primo è àesto = Ricordo qtieslo di 3. 
Febbrajo i56? come per insino del mese 
d^ Agosto proMnio passato si mandò a S. E. 
il nostro Crolifisso di marmo bianco fine, in 
sulla croce |i marmo nero fine, di gran- 
dezza, la Sg^a, di braccia tre, cioè di sta- 
tura d^un u)mo vivo di bella grandezza; 
il quale Crocifisso è di mano di M. Ben- 
venuto Celliii nostro: e conciossiacosaché 
pel passata loa sene sia mai più fatti di 
marmo, per essere opera quasi che impos- 
sibile, il ietto M. Benvenuto lo fece a tut- 
te sue spese, le quali furono grandissime; 
ed essenco domandato più tempo fa dalla 
Illustrissiaa Signora Duchessa dir quello , 
e quanto il detto M. Benvenuto lo stimava 
o Tavevi! caro, il detto rispose, che l'ave- 
va fatto pel suo sepolcro e con grandis- 
simo studio per zelo d^ arte , di manierachè 
se r avesse avuto a svendere , lo stimava 
megHo che scudi 2000. d'oro in oro. Que- 
sto ragionamento fu al Poggio a Caiano, al- 
la presenza dello Illustrissimo ed Eccellén- 
tissiiijo Sig. nostro, il G. Duca Cosimo de' Me- 



DELL EDITOR riORENTINO. XXXI 

dici^ al quale venne volontà di vederlo, il 
sopraddetto mese d^ Agosto i565. E cosi il 
detto M. Benvenuto gnene fece condurre^ 
a spese di S. E. I.^ per insino a' Pitti ^ dove 
oggi sì posa in una sua camera. E perchè 
il detto Messer Benvenuto si reputa a favo- 
re^ che S. E. gradisca le cose sue^ si con- 
tenta, cheU pagamento sia di scudi i5oo. 
d' oro in oro ( non ostante che di sopra 
si dica scudi 2000) e quel più o meno^ 
che S. E. I. vorrà 3 e tutto con sua buona 
grazia. E in un altro suo Libro di Debi- 
tori, e Creditori scritta dalla propria ma^ 
no di Benvenuto la seguente nota si le^e^ 
Quando io facevo il modello del Nettu- 
no in Piazza della Loggia, dissi a M. Bar- 
tolommeo Concini, segretario di S. E. I, che 
da mia parte offerisse in dono il sopraddet*» 
to Crocifisso alla Illustrissima Signora Du« 
chessa^ il quale mi rispose dipoi due gior- 
ni, come S. E. non lo voleva in dono, ma 
voleva pagarlo tutto quel, eh' e' vale; di- 
modoché io fui disobbligato del dono, é 
per questo egli è lecito, eh' e' mi sìa paga- 
to il dovere. // Duca fece poi riporre 
questo Crocifisso in una stanza della sua 
guardaroba , con disegno di collocarlo in 
una magnifica caputila^ che^ voleva fabbri^ 
care nel suo palazzo) ma poi, qualuu'^ 
que se ne fosse la cagione, fu posto né sot^ 
terranei della , Granducale celebratissima 
cappella , contigua alla chiesa di San Lo^ 
renzo , dove anche al presente si conser^ 
va. Anzi il Mini medesimo^ quando la so^ 
pr addetta cosa scrisse , non dovette per^ 



XXXII PREFj4Z10f9E 

avs^entura ricordarsi y che egli medesimo 
avea pure questa fnedesima cosa , contra- 
ria alla precedente , scritta a cor. 212. del- 
la sua Difesa di Firenze, da esso medesi" 
mo molti anni prima fatta stampare in 
Lione j cioè nel i^j'j, per Filippo Tingh, 
ove si legge : Da Benvenuto Cellini , di 
cui fu il Perseo di bi*onzo, che è sotto un 
arco della Loggia de^ Signori , e il Crocifisso 
di tnarmo^ che è nella guardaroba de^ Gran- 
duchi di Toscana ; opera singolarissima (i). 

' (i) Non errò punto il Mini, dicendo in diversi 
tempi, che il Crocifisso del Cellini trovavasi in luoghi 
diversi ; poiché il medesimo dalla guardaroba dei Gran- 
duchi passò appunto in Ispagna nel iS^n, essendovi 
stato spedito dal G. Duca Francesco I. neU' occasione 
che questo Principe mandò a FiUppo li. il suo Mini- 
stro Antonio Serguidi per trattarvi affari di grandissima 
importanza, come narrasi dal Galluzzi nella sua Istoria 
del G. Ducato di Toscana nel libro IV., alPanno sud- 
detto: Tutto ciò dovea risolversi in quésta spedizione; 
la quale però dal G. Duca era slata prevenuta con un 
magnifico dono a Sua Maestà, Consisteva esso in un 
Crocifisso di marmo , grande al naturale ^ di mano 
di Benvenuto CelL'àiy e reputato in Italia per l'opera 
la più perfetta di questo insigne scultore. Tanto si 
compiacque il Re di questo bel dono, che lo collocò 
subito nella chiesa deW Escuriale e ne dimostrò al 
G. Duca un singolare gradimento. Con queste dispO" 
sizionifu bene accolta la commissione del Serguìdi ec. 
Ed in fatti anche nell'opera spagnuola intitolata Las 
F'idas de los Pintores etc- por Don Antonio Palo" 
mino FelascOj Pìntor de Camara de Su Magestad 
Felipe quinto^ Londres 1^4^ > descrivendovisi le opere 
di Pompeo Leoni , che trovansi nella chiesa dell'Escu- 
riale, e fra le altre un lodatissimo Crocifisso di bron- 
zo , si soggiunge : el de marmol de el traschoro es de 
mano de Benvenuto Cellini , que se le presentò à el 
Rcjel Gran Duquede Toscana. D\xn(\nQ nel i-^Si. noa 
poteva trovarsi ne' sotterranei della cappella Giandu- 



MEIL* EDITOR FIOJtENTirfO. XXXIU 

Ma ritornando al proposito nostro, al 
sopraddetto elogio fatto al nostro Benvenuto 
da Giorgio Vasari noi potremmo aggiugnere 
quelli del Commendatore Annibal Caro 
nelle sue Lettere (i), del Lasca in una delle 
sue piacevolissime Madrigalesse (a), di Nic- 
colò Martelli nelle ^ue Lettere (3), £ Bene- 
detto Varchi in parie sue opere e poesie (4)i 



cale di Firenze che qualche modello o copia della detta 
opera lodatissima; e ben dee far maraviglia, che l'au- 
tore di questa prefazione, trovandosi in Firenze, non 
si accertasse della cosa, prima di menar tanto rumore 
contro il Mini. Per altro anche Monsignor Bottari nelle 
sne note al Vasari ha ripetuto Terrore, dicendo, che 
il Crocifisso del Gellini. al presente è collocato nella 
Chiesa sotterranea di S. Lorenzo, sopra Saltare di 
mezzo; e non fu corretto dal P. della Valle. 

(i) Il Caro parla del Cellini tre volte, cioè in 
due sue lettere a Luca Martini, T una dei 23 Novem- 
bre i53q. e l'altra dei 19 Gennajo del i545, e la 
terza volta in una lettera al Varchi in data dei 3. 
Dicembre i53g. Vedi le Qpere del Caro da noi ri^ 
stampate, voi. i. pag. 3a. ^9. e 257. . 

(2> Vedi pili sotto a pag. a65. 

(3) Vedi il volume antecedente a pag. 98. 

(4) Benedetto Varchi parla del Gellini nei sonetti, 
che si vedranno a pag. 270, 7*]L e 385. del presenta 
volume, non meno che in quello diretto ad Antonio 
Ubertini, detto il Bachiaceha, da noi citato a pag. 2 19. 
del voi. 2«, i) quale finisce: 

/ bronzi ai gran CeUùtj deono i marmi 
Al Buonarroto, al Bachiacca i ricami. 
Le pietre al Tasso ^ al Bronzino il permeilo» 

Nelle prose poi parla il Varchi di Benvenuto nel libro 
XI. della Storia y e in due sue lettere al Bembo, Tuna 
dei IO. Novembre i5S5,r altra dei 3. Luglio i5S6, 
come da noi si è accennato nel voi. i. a pag. 307* 
e 541. 

CeUini Ben. Voi III. . e 



XXXIV TRE^AZiÙNK 



\ 



del gran Cordmal Bembo parimente (i) nelle 

sue Lettere {al qual porporato una cele^ 

hre stimatissima medaglia fii fatta da BeD« 

venuto ^ che , come cosa singolare e nel 

suo genere rarissima, si mostra ancora 

da' dilettanti conservatori di queste me^ 

morie ^ y e di molti altri chiarissimi, e 

autorevolissimi scrittori; ma per non gra^ 

vare in questo luogo di soiferchio il letr 

tore, lo rimettiamo a quanto ne dice il 

sopraccitato autore delle Notìzie Storìcbi? 

degP Illustri Accademici Fiorentini ^ ot^e 

da car. iSa. fno a car. 190. si possono 

h^re distintamente tutti gli accennati 

elogj registrati Unicamente ci piace di 

riportarne in questo luogo uno onoratisi 

simoj fattoci dal duca Cosimo^ del qua^ 

le elo^o piùy che di qualsivoglia altro j 

si dee far conto, partendosi da un savis-^ 

Simo Principe e del merito delle virtuo^ 

se persone giusto stimatore e conoscitore. 

Egli in sì fatta guisa ragionò del Cellini 

ih un suo Motuproprio spedito in Pietra^ 

Santa sotto il cu 5. Ma^'o del i56iy in 

congiuntila di ilonargU la c^sa di sua 

abitazione f posta in Firenze nel quart&f 

Santa Croce , nella contrada o via chia-^ 

maio del Rosajo ^ U qual Motuproprio 



(i) Il Card. Bembo scrùie al Celimi stesso una 
lettera, come si è detto Del Voi. i. a pag. 44^ ® ^^^^ 
di lui m'ensione molto onorevole in altre due lettere al 
Varchi 9 scritte nel i5S5 Vedi le Opere del Bembo da' 
noi ristampate^ a pag« J^oS, /^q5. e 4^7* dèi voi. ^U 






DRLJ^ ÉDiTOR FtOKBNTlUO. XXXV 

ubbiàmo osservato traile scritture di Ben- 
venuto mostrateci dal mentovato Canonico 
Salvini = Riconosciamo per il tenore delle 
presenti lettere^ e fiicciamo noto a ciascn* 
no^ che^ convenendo al Principe abbracciare 
beDÌgnamente gli nomini celebri e molto 
più prestantì che gli altri ^ noi con singo- 
lare affetto amiamo Benvenuto di Giovanni 
Cellioi y . nostro cittadino fiorentino , artefice 
di getto e scultore dMncomparaoil gloria 
chiaro , e il suo ingegno e maravigliosa 
arte dMntagliare, o fiibbricare il marmo , 
ammiriamo. Cosi noi^ acciò la sua gloria 
e virtù con onori e benefizi accreschia» 
mo, per queste e altre ragioni» ohe muo- 
vono r animo nostro incitati^ al medesimo 
Benvenuto . . • . diamo, concediamo e libe^ 
ramente doniamo la casa posta ec. 

Resta solo da fare succintamente men- 
zÌQne di alcuni altri Trattati e opere scritte 
dal, nostro Benvenuto^ che cereamente saréb*^ 
he de^siderahìle ^ che in parte non fossero 
perdute 9 come vi è forse motivo di so*- 
spettare, o per lo meno che fosse a nostra 
cognizione pervenivo, dove tuttora si con^ 
servine. Ma da che^ non ostante le diligen- 
ze fatte , non è stato a noi possibile venir'* 
ne a capo y è forza il contentarsi di dar-^ 



(i) Questa lettera del Duca Costino fu da noi 
pubblicata interamente tra ì Ricordi Celliniani, giu- 
sta la copia» che se ne conserva nella MagUàbechiana^ 
la qual copia perla ancbt la data dei 3 Maggio^ e 
non dei 5. 



XXXVI >REFj4ZlONE 

ne al lettore quella più semplice contezza ^ 
che possiamo. 

Il Padre Negri di sopra mentovato ci 
fa sapere^ che sono perduti i Trattati di 
Benvenuto sopra la Scultura; ma concios^ 
siachè da niun ^ altro scrittore delle cose 
nostre, meglio del Negri informato j non 
venga ciò asserito j ne egli ci dia altro 
discarico , onde traesse cotal sua notizia , 
evvi forte motiva dì dubitare y che questo 
buon Religioso o non abbia veduta giam^ 
mai V impressione di questi Trattati^ o pur 
non abbia in essa osservato , che il Se- 
condo Trattato è tutto attenente alla Scul- 
tura ^ ragionandovisi distesamente non tofi* 
to del gettar le statue di bronzo y quanto 
micora dello scolpirle in marmo. 

Scambiò il Negri perawentura dd 
Trattati sopra 1* Architettura e Prospettiva, 
i quali avere Benvenuto composti o per lo 
meno avuto in animo di comporre y si ri* 
cava parte dello sbozzo della sua lettera al 
Principe Francesco sopra registrata ( in mar* 
gine dalla quale sono pur di sua mano notati 
gli argumenti delle materie spiegate in que^ 
sti Trattati , e in fine di essi e notato : 
Discorso sopra TArcfaitettura)^ e parte da ciò, 
che egli medesimo lasciò scritto verso la 
fine del Trattato medesimo della Scultura 
in questa guisa: Ma perch'io mi riserbo 
altra volta a parlare di ciò^ e particolare 
mente della Prospettiva, dove io farò paleso 
oltre a quello y che io intendo di trattare j 
infinite osservazioni di Liouardo da Vinci 
intorno a detta Prospettiva, le quali trassi^ 



dell' EDITOR FIORENTINO. XXXVII 

<)a un suo bellissimo Discorso , che poi mi 
fu tolto insieme con altri miei scrìtti j per- 
ciò non sarò più lungo ec. (i). 

Traile mentovate scritture conmnica'^ 
teci da Carlo Tommaso Strozzi abbiamo 
troifato un frammento , pur di mano del 
Gellini, sopra il metodo (T imparare Parte 
del Disegno, il quale comecché sia inwer* 
/etto e con alcune lagune, e forse dalP au* 
tare non conyyiuto né esattamente esami^ 
nato , non pertanto per la noifità del pen^ 
siero e perchè fa vedere quanto fondata^ 
mente il Cellini divisar sapesse le cose d 

?uesta materia appartenenti , ne è piaciuto 
a^iidgnerlo in fine di questi Trattati , 
sembrandoci ancora^ che per tal conve- 
rtente se ne assicurasse la conservazione 
meglio di quel , che peravventura fosse 
potuto accadere , se ad un solo mezzo la^ 
cero e consumato esemplare dovesse rima^ 
nere affidato (a). 

OUre agli studj appartenenti alla sua 
professione il Cellini si dilettò anche di 
comporre in poesia toscana., imperocché 
oltre a un sonetto , che egli pose in fronte 
della sua Vita, 'ed un Capitolo diretto a 
Luca Martini in lode della prigione, fatto 
in congiuntura, che era stato fiserrato in^ 
Castel San£ Angelo ad istanza di Pier 
Luigi Farnese j ed un sonetto indirizzato 



(e) Il principio del delto Trattato suOa Archi • 
iettura e sulla Prospettiva vien da noi rùtainpato a 
pag. 245. 

(2) Vedi a pag. 2^9, di fptesio volume. 



;tXXVIll PMFAÉtONR 

lai Capitano di quella fortezza y i quali 
pariménte nella sua Vita riporta (i), dal 
mentovato scrittore delle Notizie appar<> 
tenenti ad* Illustri Accademici Fiorentini 
si hay che si tros^ano akre sue poesie 
manoscritte nella Libreria di un Accade^ 
mico , che per moke conietture crediamo 
esser quella del famosissimo Antonio Ma-» 
gHabecm^ benché per le ragioni di sopra 
addotte non sia stato in nostro potere il 
chiarircene pienamente. Un altro sonetto 
di Benvenuto si trova stampato tra ìe ri-* 
me di Madonna Laura Baltiferra (2). Mold 
altri suoi sonetti e poesie , scritte di pro^- 
pria mano di Benvenuto, conserva presso^ 
di sé il Canonico Salvini , la ma^'or 
parte piacevoli e burlesche , come sono 
molti sonetti fatti in congiuntura detta 
sua prigionia, oleum sopra la Filosofìa 
dcL esso detta Boschereccia j alcuni sopra 
il pagamento del suo Perseo trattenutogli 
da Ministri del Duca Cosimo^ alcuni con^ 
tro il Càvalier Bandinello e contro un 
certa Vanni ^ con cui piativa , alcuni' 
cóntro al Lasca e contro Gìovan Maria 
Tarsia ; in congiuntura della pontroversia 
occorsa nelV essequie del gran Michelagno** 
!ò Bonarruoti^ di che più sotto si tagio^* 
nera. Ve ne sono parimente alcuni de' serj 
e gravi in lode della_ Scultura , di Miche*- 



(1) Vedi la FUa voi. i. pag. xxvii^ 4^6. 4^9 ^ 
e voi. 2. pag. I. 

(2) Vedilo a pag. a68. di questo voi. 



^; 



Dèli* EMTÙK FtOHiNTriffi. XXXXK 

lagnolOf i/e/r AtniuaiinaLo e di àf adori'- 
na Laura Battiferra sua moglie y del Var?. 
chL^ del Duca Cosimo j e sopra il Nettuno 
no, the sperava doi>er fare in Piazza ^ 
quantunque fosse poi conceduto all' km-^ 
mannato. Hawene ancora de* morali e 
spirituali in morte del nostro Salvatore^ 
iti lode di San Gios^an Batista; e questi 
furono forse fatti da Benvenuto in con'*, 
molitura^ che Vanno i558. ^i 9enne ta-^, 
lento . di darsi alla irita spirituale j onde 
desinò di prendere gli ordini sacri, e in 
fatti pf^ese la Tonsura^ di che quantun^ 

tie non faccia egli menzione nella sua. 

ila 9 pure noi ne abbiamo tros^ato un Ri" 
cordo scritto di sua pròpria mano ne' so^ 
prammentos^ati suoi libri di conti, di questo 
tenore: Ricordo, come al nome di Dìo 

Sesto di 2. Giugno i558. io Benvenuto. 
Uini ho presa la prima Tonsura^ cioè i 
primi Ordini a prete dal Reverendiss. Mon* 
signor de^ Serristori^ in casa sua nel Borgo 
di Santa Croce ^ con tutte le solennità e 
iMrimoniè^ che in tali casi si costuma, e 
tutto ho £itto con licenza del ReverencUss. 
Monsignor Vicario deir Arcivescovado di 
Firenze j rogato Ser Filippo Franzini notaio 
pubblico in Vescovado. Nel i56o. avendo 
volontà d^aver figliuoli legittimi, ma segre- 
ti, mi feci liberare di tale obbligo^ e se- 
guii la mia volontà (i). 



(i) Vedi questo stesso Ricordo con qualche va- 
riante nel volume precedente. 






Xii PRBFAZiONE 

Non solamente si dilettò Benvenuto di 
comporre in Poesia y ma ancora si com" 
piacque assai della . lettura de' nostri pia 
famosi poeti y come da un luogo della sua 
Vita chiaramente si comprende; imperoc- 
ché a proposito di un motto franz^se da 
esso udito in Parigi egjli dà una spiega-^ 
zione molto verisimile a quel verso del 
Canto Settimo delt Inferno di Dante: 

Pape Satan Pape Satan aleppe. 

Ija quale spiegazione, perchè a questo luo-- 
go si confà , e perchè è alquanto curiosa, 
ci piace colle sue parole medesime qui 
referire;^ Gonaparvi alla gran sala ec. (i) ma 
sognate. Infatti non aveva torto Benvenuto 
a così pensare ; perocché in quel verso 
di Dante ì cementatori volendo dare qual^ 
che intelligenza a quelle da loro male in- 
tese parole , fiirono forzati a ricorrere 
alla lingua greca e alla lingua ebrea j 
figurandosi di ravvisarci due particelle di 
quelle lingue contenenti due diverse espres* 
sioni in un medesimo tempo ^ una di ant'^ 
wirasioney V altra di dolore, come si può 
vedere nel comento di Francesco da Buti^ 
in quello del Boccaccio j ed anche ne* più 
' moderni y come sono il Landino e 7 Velr 
lutello. 



(i) Si ommette il passo della Viia , di cui qui 
parlasi f perchè da noi fu già inserito letteralmente 
nel voi. a. pag. io5. 



\ 



HEIL EDITOR FIORENTIUfO. XLI 

Ma ritornando a' componimenti di 
Benvenuto^ tra i mentovati suoi sonetti 
abbiamo ossers^ato due prose in istiìe as*- 
m faceto e bizzarro dettate , una conte-- 
nenie un ragionamento sopra la Filosofia 
Boscherectia , P altra un sogno o visione 
in commendazione del Duca Cosimo y e 
queste sono di sua mano medesima, pari" 
mente scritte. Oltre a tutte le predette co*^ 
se scrisse anco il Cellini un picciol Discor- 
so sopra V eccellenza della Scultura ^ in oc- 
casione della controversia nata tra i pit- 
tori e scultori sopra il luogo destro as'- 
segnato alla Pittura nelV essequie di Mi- 
chelagnol Buonarroti, il aual Discorso si 
trova stampato in fine della Orazione fet- 
ta da Giovan Maria Tarsìa in lode del 
gran Michelagnolo suddetto nelle mento- 
vate essequie j ed impressa in Firenze pres- 
so il Sermartelli nel i564. Ed in questa 
congiuntura fu ^ che avendo il Lasca scrit- 
to un sonetto contro V opinione del Ce\- 
ìaà, cioè della pr^erenza della Scultura 
aUa Pittura, il qual sonetto è stampato 
in fine della detta Orazione, e parte di 
esso ancora nelle Notizie degli Accade^ 
miei Fiorentini; il Cellini a quello rispose 
con un altro sonetto per le rime (i); ne pa- 
rendogli d'essersi pienamente sfogato, ne 
volle scrivere un altro ^ pure in burla diret- 



•«•i 



(i) Vedi a pag. 256. il Discorso predetto e quindi 
t sonetti del Laisca e del Cellini. 



1 



tamente òontro al medesimo Lasca* La 
professione ài scuUore^ e V amore ^ che H 
Celi ini portava a questa nobilissima arU^ 
lo incitala ad innalzarla sopra la Pitturai 
onde su questo stesso argomento scrisse 
anco una Intera a Messer Benedetto Var* 
chì^ che in cotal quistìone del suo pa^- 
rere lo ricercò; la qual lettera fii vtam* 
paia (\) con alcune altre di AI icheiagnolo » 
del Tribolo ; del Tasso, di Francesco da 
San Gallo , e del Pontormo dopo le du» 
Lesioni del Varchi Jatte sopra questa ma* 
feria j lette da esso nM Accad&nia Fìo^ 
ventina Vanno i546. in occasione di spor^ 
re il sonetto di Michelagnol Bonarruotiy 
che comincia: 

Non ha r ottimo artista alcun concetto: 
le quali Lezioni furono prima impresse in 
Firenze da Lorenzo Torrentino nel i549. 
e poi ristaìhpate con tutte V altre dopo 
la morie del Varchi nel ìSqo. presso i 
Giunti (a). 

TroK'onsi alcune altre lettere origi^ 
naU del Cellinì scritte a varie persone 
in occasione delle commissioni de sum la^ 
voriy alcune delle quali y che in memo ci 
sono capitate^ speriamo di comunicare al 
pùbblico nella Terza parte della nostra 
Raccolta di Prose Fiorentine ^ 2iiogo cre^ 



(i) Vedila a pag. 256. 

(2) in questa ristampa per altro furono ommesse 
le citate lettere di Miehelagnolo» dei Tribolo ec 



/ 



J^SLìf EDiTÒR riÙBÉIfriNO. XLIlf 

dato da noi più confacei^ole per esse ; che 
non sono i presenti Trattali (i)« 

Ma da che si è fatta menzione di tutti 
i componimenti di Benvenuto Cellini y e da 
che in questi Trattati mohissìme delle sue 
opere ìK Oreficeria e Scultura sono mento- 
\fate, per rendere più compiuta , che per noi 
si pub j la memoria delle sue fatìché^ abbia- 
mo giu€Ìicato bene di annoverare ancora y in 
questo luogo, alcuni altri suoi pia minuti 
mori intomo a queste artìj da noi osser- 
vati nelV inventariò dette cose rimaste neU 
la sua bottega e casa, fatto fare da* suoi 
eredi dopo la sua morte y il quale inven- 
tario y traile sopraddette scritture e libri 
di conti y in mano al mentovato Canonico 
Salvini si conserva; e tanto più volentieri 
ne facciamo menzione y quantochh sospet'^ 
tiamo , che ora verisimilmente quasi tutte 
k sopraddette sue opere o siano andate in 
ntalora o smarrite, o almeno in varj 
luoghi e presso varie persone disperse, 
senza aversi pia notizia del loro ecùdlen-^ 
te artefice. Sono dunque i seguenti: 

Il modello y di legno y della base del Perseo. 

Un modello^ di gesso del Perseo y in 
gìUmdcs 

Una storia di un Adamo, ed Eva, in 
bassorilievo di cera y in un quadro 
di pietra morta. 

Un modellino idi Cleopatra, in cera. 



*M<ki 



(i) Nelle Ptose Fiorentine non fu poi stampata 
akttRft kttera del Cellini. 



XLIV PREFAZIONE 

Un modello non finito di NeUunno, di cera. 
Due o tre modellini del pergamo di 

Santa Maria del Fiore di cartone* 

f^oha il Dufia Gosìrao, che Beo- 
• venuto facesse il pergamo di questa ' 

chiesa j di basso riUes^o di bronzo j 

e perciò egli ne fece i modelli; ma 

qualunque sene fusse la cagione, 

quest'opera non ebbe effètto. 
Un modello di un Crocifisso^ di terra^ 
Altro modello di un Crocifisso, nonfim^ 

to, di cera bianca. 
Un modello della Fonte di Piazza ^ cioè 

del /\ettunno, in cera. 
Un modello d una Qiunohe , di cena 

gialla, non finito. 
Un modello d 4ndrs>meda y di cera , in 

bassoriliesH>. 
Un modelle tto d Andromeda, di cera^ in 

bassoriliesfo. 
Un modello di gesso ^ in grande, d un 

Crocifisso^ non finito* 
Due ritratti di marmo, uno del Duca 

Cosimo^ non terminato y F altro dd* 

la Duchessa Leonora. 
Una testa di una Medusa y di bronzo. ' 
Un modello di Nostradonna^ in cera. 
Un Narciso di cera. 
Un Iacinto di terra cotta. 
Un modello pel sepolcro del Papa, in 

cera, con più figure. 
Una Minerva di terra cotta. 
Dna figura d una femmina , di cera. 
Un modello duna Carità. 



VEt^ EDITOn FIORENTINO. XLV 

Dt/ie scatolmi di ritrattini del Principe 
Don Francesco^ abbozzati. 

Una statua di marmo , d ima Carità y 
abbozzata. 

Due Cristi in croce non finiti 9 uno di 
terra y V altro di cera. 

Una testa del Duca Cosimo^ di cera. 

Un tondo cT una Luna , di terra. 
Finalmente non ihgliamo mancare di op» 
vertire il lettore y che in questa nostra edi" 
zione de^ presenti Trattati di Benvenuto 
Geliini abbiamo giudicato di dos^er trala^ 
sciare alcuni sonetti, che in fine della 
antica edizione del Panizzi si lecevano y 
non solo perchè non ci è paruto luogo gran 
fatto adattato per inserircegli y quanto an^ 
cara y perchè traile sopra mentovate poe- 
sie di Benvenuto noi abbiamo osservato un 
numero molto maniere di componimtnti 
poetici latini y e toscani in lode di Benve- 
nuto e delle principali opere sue , onde 
abbiamo creduto di esser per ingrossare 
di soverchio questo volume y se tutte ci si 
fossero, come conveniva, inserite ( i ). Solo pa^ 
teseremo i nomi di coloro, che le mento^ 



(i) Noi le abbiamo invece ristampale a pag. 274. 
del presente volume» riduceiidole a quella miglior le* 
zione cbe si è potuto | giacché particolarmente le la» 
tioe furono alla prima 'pubblicate con moltissimi errori 
tipografici, e vi si trova tuttavia qualche verso fallato. 
La mediocrità poi di queste poesie ci ha dissuasi dal- 
l' accrescerne il numero 5 presentando al Pubblico le 
loro sorelle « che giacciono nascoste nelle Librerie di 
Firenze e nella Marciana di Venezia nel codice ?ia« 
niano, di ciìi si parlerà a pag. 245. 2j5, 



XLVI PKEÉjìZJÓNB 

ifate poesie a Benvenuto mandatono, qf- 
finche sempre pia si manifesti in che , sti- 
ma fu sempremai questo illustre nostro c죫 
tadino degli uomini giudiziosi ed onorati 
tenuto. Essi sono dunque i seguenti: An- 
drea Augulo 9 Cesare da Bagno j Giulio 
deUa Stufa j Andrea Martelli , Pagano 
Pagani , Messer Benedetto Varchi y Ber- 
nardo Vecchietti , Messere Lelio Boqsi ^ 
Alessandro Allori detto il Bronzino^ Ser 
Angiol Favilla^ Miniato Basini^ Paolo Mini, 
Antonio Allegretti j Michelagnol Vivaldi j . 
Pietro Angelio da Barga j Messer Domeni- 
co Poggiai j Messer Lodovico Domenichi , 
Aritonfrancesco Grazini detto il Lasca ,. 
Matteo Ghirelli , Niccolò Mochi , Vincenzo 
scultore da Perugia e Zanobi Lastricati. 

Di un altra cosa ci piace per 
ultimo as^ertire . il lettore y ed è che 
avendo traile mentovate scritture y da 
Carlo Tommaso Strozù mostrateci, trovata 
V arme di Benvenuto Cellini, da esso me- 
desimo, in una carta, parte con matita 
e parte con inchiostro disegnata y conte-- 
nente un leone doro rampante in campo 
azzurro, e sopra del medesimo tre gigli 
rossi in campo d argento , tramezzati Aa 
un rastrello rosso, abbiamo giudicato oppor^ 
tuno il farla intortare e inserire per orna- 
meato del fregio collocato nella prima pa^ 
gina di questo volume ( i ). ^Nella carta sud^ 

(i) Quest'arme fu da noi posta sotto il ritratto 
cleir autore, che sta nel primo volume, ove a pag. ibo. 
parlasi pure di questa arme stessa. 



I^IL^ EDITOR FIORENTINO. XLVU 

detta abbiamo ossersfota e qui trascritta la 
« seguente memoria y. di mano dello stesso Berir 
venuto. Là vera arme de^ CellÌBÌ^ conforme 
a quella délli gentiluomini di Ravenna ^ cit- 
tà antichissima , e triovata in oasa m^'a in §i* 
DO da Cristofano Cellini^ mio bisavo^ pa« 
dre d^ Andrea mio avolo. 

Da tutte le esposte notizie ci facciamo 
a credere, che agewlmenjte il lettore pos'^ 
sa comprendere in quanta stima si dehba^ 
no tenere i presenti Trattati ^^ non tanto 
per V eccellenza delV autore loro, quanto 
per le mentorie e per gli utiUssùrd inse^ 
gnameniiy di cui sono ripieni; laonde ci 
giova sperare y che la nostra fatica ^ qua^ 
lunque ella sia^ in ciò usata amore^oU 
mente sia per gradire e lietamente acco^ 
gliere , e con frutto servirsi di questa ope- 
ra, per ritrovare la quale vana ed infrut'- 
tuosa non ha guari sarebbe stata qualun* 
que più premurosa diligenza e ricercar 



ALL' ILLUSTBISS. E BEYERENOISS. SIG, 

DON ERNANDO 

CARDINALE DE' MEDICI, 



5IG. E PADMIfE atro OSSBRTARDISSnlO , 



BENVENUTO CELIINL 



.zx. gran ragione s* è destato negli 
animi di ciascuno. Illustrissimo Signor 
mio, una nobile aspettazione del va- 
lore e della virtù sua; essendocjjè in 



Celimi Ben. Fol. Uh 



M 



ri 



h CELLINI 

quegli anrii^ che comunemente i Gio^ 
oani sogliono del tutto far serva la ra* 
gione^ elUis, con senile prudenza ^ d'ogni 
sua operazione P ha fatla interamente 
govematrice. Il che chiaramente vien 
manifestato per tò testimonio di molti 
personaggi d^ autorità e d^ ottimo gzu- 
dicio^ che talora sentendola con pron- 
tezza disputare ^ Qon ragione giudicar^ , 
e ornatamente e con facilità' esprit 
mere i suoi concetti^ hanno affermato 
di non aver conosciuto né ingegno più ^ 
fiorito^ né animo vestito di più signo^ 
rile e moderata costumatezza. A queste 
sue rare para s^ aggiugne ancora uno 
stimolo , ette la sprona continovamente 
a desiderio dj. gloria per mezzo degli 
studj e per mezzo d^ una universale 
protezione y che ella prende ^ in favorire 
ogni virtuosa f acuita ; e particolarmente 
so y che non tiene neW infimo grado 
fra le pregiate arti quella della Scul'^ 
tura e del gettare de' bronzi , come più 
volte y ragionando y rn é stato fatto fede 
dal virtuosissiino M. Gherardo Spini y 
suo segretario^ e Giovane y che oUr^ 
aU\ essere ornato di belle lettere (siccome 
è no/o a V. 5, Ittustriss. ) è ancora 
intendentissimQ deW arte del Visegno a 



DEDICATORIAé M 

lÈieW Architettura.. Il che sentendo , e 
parendomi^ che perciò mi si porgesse 
occasione di poterle dimostrare in parte 
quanto io mi . senta obbligato alla sua 
Illustriss. Casa^ mediante i beneficj 
infiniti^ che da quella ho ricei^uLo e 
ricevo continovamenle y facendole dono 
d^ alcune mie fatiche), eh' io già com^ 
posi intomo alle detf arti ed altre 
simili^ le quali già furono vedute, 
scritte in penna , dalU Illustrissimo 
Sig. Principe di Fiorenza^ suo fratello; 
col consiglio del detto M. Gherardo y 
del quale fa non piccola stima , mi 
deliberai y ponendole in luce^ fame 
umilmente dono a V. S. Iltustriss. J^è 
qui intendo altrimenti di scusare il 
picciolo presente o il poco valore di 
esso ; perciocché a me parrà d' avere 
ottenuto assai ^ se ella (come è suo 
solito) avrà riguardo solamente alVaf 
fatto della setvitu mia verso lei; che 
nel resto io son sicuro ^ che giudiciosi 
riprenditori dell' altrui fatiche son te^ 
nuti quelli y che in colai guisa perdo^ 
nano gli errori commessi , cornee se essi 
avessero sempre ad errare ^ e si guardano 
d' errare , come se non perdonassero 
mai gli errori di nessuno. Degnisi 



LU CELUNt 

adunque V. S. Illustrissima di ricevere 
il picciolo presente colla sua solita fee- 
nignltà^ ed a me far dono della sua 
grazia, tenendomi nel numero de' suoi 
umilissimi servidori. 

Di Fiorenza ^ addì si6. Febbraio, 
MDLXFIII. 



LUX 



PROEMIO 



Mono appresso di Plutarco ripresi 
que' Filosofi , ì quali inanimando cia^^ 
scono a ben operare, non mai dìmo* 
strana con opcire o con precetti co- ^ 
n^ ciò sì pq^sa conseginte ; e questi 
sono da lui assomigliati a coloro, cl^ 

Sroccurano con qualche, picciol ferr:o 
i Èar che un lume aixla^senas* laggiù* 
gnerci umore , onde il lume si possa 
mantenere ardendo^ Questo bellissimo 
precetto, essendo più volte da noe stato 

CeWni Bm9. Fot. Ili d * 



tIV GEIXim 

considerato 9 m^ha &tto ardito di pren« 
dere a ragionare deff arte dell' Orefi- 
ceria (essendoché io non pure del con- 
tinovo ho cercato d'inanimire con pa- 
role a bene e, diligentemente opera- 
re tutti coloro, che di questa inge- 
ignosissima arte si dilettano, ma con 
diverse opere , condotte da me con gran- 
dissima diligenza e studio, ho lor fat- 
to manifesto come a aualche perfe- 
zione e lode possano delle loro fati- 
che pervenire); mentrechè io a ciò fa- 
re era continuamente esortato da mol- 
ti virtuosi amici, i quaU prudentemen- 
te mi andavano con vive ragioni dimo^ 
strando, <xhe; il tempo, che apporta 
sempre tenebre e oscurità sopra le 
cose, potrebbe se non del tuttx> que- 
st'^ industriosa arte estinguere, almeno 
di molte sUe parti privarla , siccome 
di presente si vede esser - avvenuto di 
quella del lavorar di niello , che po- 
chi artefici vi ha in Fiorenza ( per 
esser élla dismessa ) che si ricordino 
d'averlo veduto lavorare. Ben è vero, 
che io conosco d'ayer preso a trsitta- 
re cosa di non picciola importanza, e 
più'' lecito forse mi era a quelli, ch^ 
di ciò mi pregavano, il negar loro 



cosi ; giusta dimanda , che il compia- 
cergli; perciocché difficilissimo è il 
voler ragionare di cose, in quelle par- 
ti massimamente, dove sonò statt e 
di presbite si ritrovano tanti eccellen- 
tissimi ' uomini ( siccome è ih Fioren- 
za, mia chiarissima patria) le quali 
da essi fìirono e sono eccellentemen- 
te possedute : ma perchè ( s' io non 
m' inganno ) il lungo studio e T espe- 
rienza , che io ho jratto in diverse arti 
soggette al Disegno, m'ha dato cogni- 
zione di molte cose , le quali arrecar 
possono onore e utile a coloro , che 
tal arte esercitano , mi son delibe- 
rato di essere il primo, che a' posteri 
lasci scrìtto i precetti di essa arte ; 
poiché nìun altro fin qui ( che io 
sappia ) ne ha scrìtto. Awengachè 
contenendo ella otto mòdi diversi dì 
lavorare^ siccome sono il gioiellare, il 
lavorar di niello, di filo, di cesello , 
e di cavo d' intaglio , e di stampar di 
conj per far medaglie e monete e 
sigilli , e dì grosserìe ; in tutti questi 
modi mi sono lungamente esercitato , 
siccome si vedrà nel • presente Ubro , 
dove io con proposito andrò citando 
tutte l'opere, àie da me a diversi Si- 



l 



LYl CEIXIKI 

gnori d'Europa $ono state &tte, • A 
queste ci s' aggiugueraono ancora al« 
cuni segreti e precetti intorno al- 
¥ arte • del gettar di bronzi , dì scol^ 
>ìr marmi ^ e del condurre con ^ faci* 
iti cdiossi altissimi , e di mollf altre 
particolari avvertenze , qhe in diverse 
altre professioni sono state da me os- 
servate. Essendo adunque che di que- 
sti miei scrìtti alcuno utile né succeda 
a quelli, che con benigno e non in- 
vidK>so occhio gli lederanno 9 perciò 
mi sentirò io contento e pago d'ogni 
mia lunga fatica; e quando pure ai-» 
trimenti avvenisse , dovranno in parte 
i modesti e più di me intendenti 
lodar questo mio onesto desiderio , cdk 
la loro scienza supplendo al nno - man- 
camento. Restane ora a c&mostrare a 
coloro , ' che^ seguitare la detta arte 
vorranno , quali - sieno stati quelli uo- 
mini , che per mezzo de* principj d' es- 
sa pervennero in altri più nooili eser*- 
dzj 9 siccome fìirooo , sotto la protezio- 
ne del Magnifico Cosimo de' Medici ^ 
Donatello 9 scultore, Filippo di Ser 
Brunellesco, architettore, e Lorenzo 
Giberti, il quale fece le pwte mara- 
vigKose di bronzo, che sono al tempio 



PROEMIO. LVlI 

di San Giovan Batista in Fiorenza : 
perciocché questi eccellentissimi artefici 
tutti da principio s* esercitarono nel- 
r arte dell'Oreficeria. E perchè insieme 
con questi noti restino senasa meritata 
lode, per F ingiuria de*, tempi, quelli 
ancora , che interamente seguitarono 
V arte , di che a trattare abbiamo ( av- 
vegnaché i soprannominati per le penne 
di molti lodati scrittori si rendano chia* 
ri ) . faremo menzione d' Antonio del 
Pollaiuolo, il quale fu orefice eccellen- 
tissimo, e cotanto valse nell' arte del 
Disegnò , che non pure gli altri orefici 
si servirono delle sue invenzioni ^ ma 
molti scultori e pittori di quei tempi , 
mediante quelli, si fecero onore. A 
questo s' aggiunse Maso Finiguerra , il 
quale , valendosi de' disegni d' Antonio 
predetto, attese senza parSigone a inta- 
gliare di niello , e Amerigo Ameri ghi , 
che alcuno non .ebbe , che lo superasse 
in lavorare di smalto. Michelagnolo da 
Pinzidimonte poi valse non poco nel 
legar gioie , e meritò non poca lode 
per lavorare universalmente assai bene 
di niello, di smalto e di cesello. Ma. 
molto più di questi si renderono chiari 



IVIII CELLINI 

Piero , Giovanni e Romolo del Tpvo- 
laccino, tutt'e tre fratelli; perciocché i 
medesimi neU' arte dell' Oreficeria con 
buonissimo disegno legarono gioie in 
pendenti e in anella , senza trovar, in 
cfuei tempi, pari, e non poco furono 
lodati lavorando di cesello e in intaglio 
di ba,sso rilievo. Accrebbono ancora 
riputazione alF arte Stefano _ Salteregli , 
Zanobi del Lavacchio e Bastiano Cen- 
sii ini , il quale particolarmente fece Je 
«tampe delle monete in Fiorenza lun- 
ghissimo tempo. Piero di Nino fu an- 
ch' esso orefice , quantunque egli non 
lavorasse mai d' altro, che di mo;, nel 
qual esercizio prevalse ad ogni altro; 
siccome inteiTenne ad Antonio di Salvi, 
che lavorò di grosseria eccellentemente, 
e a Salvadore Pilli, che fu grandissimo 
pratico nel lavorare di smalti. Ma dove 
erano da me lasciati Lorenzo dalla Ool- 
paia e Andrea del Verrocchio? 1' uno 
de' quali esercitando tal arte si volse a 
far gli orivoli ed in quella professione 
con tanto fondamento e diligen^ ope- 
rò, che perciò ne venne lodato da' più 
intendenti d' Italia ; siccome 1' altro , 
che ancor esso essendo stato aU' orefice 



PROEMIO. LIX 

fino che era uomo ^tto, nella Scultura 
fo tenuto Hi sìiìgolarìssimo pregio. Non 
manco son ^^gni di lode di questi no- 
bilissimi ingegni fiorentini alcuni orefici 
oltramontani, che con grandissima di- 
ligenza hanno operato in quest' arte ; 
fra' quali fu Martino Fiammingo, e 
quantunque egli seguitasse la maniera 
di quelle contrade, imperò si vide in- 
tagliar di niello, e di rame col bulino, 
con grandissima pratica e leggiadria. 
Lasciossi addietro di gran lunga Martino 
Fiammingo ¥ eccellentissimo Alberto 
Duro nelle cose dell' intagliare di niel- 
lo, si rivolse a intagliar con tanto ar- 
tifizio le stampe , che ancora non- è da 
alcuno , che io creda , stato superato. 
Furono in questi tempi Antonio da 
Bologna e Marco da Ravenna , pure 
orefici^ i quali gareggiarono nell' mta- 
gliare con Alberto , e ne riportarono 
gran lode. Di tutti questi adunque , 
fra gF infiniti , che neir arte dell' Ore- 
ficeria s' esercitarono , ho voluto far 
menzione, acciocché vedere si possa 
con che nobile schiera d' artefici an- 
dranno tutti coloro 9 che con istudio 






continovo cercheranno d* apprenderla : 
ma tempo è ornai dì dimostrare col* 
r aiuto d' Iddio benedetto quanto prò* 
messo abbiamo ; e perciò cominceremo 
in prima a trattare dell' arte del legare 
le gioie. 



TRATTATI 

Di V. 

BENVENUTO CELLINI 

SOPRA * 

L'OREFICERIA E LA SCULTURA 



TRATTATO PRIMO 



CAPITOLO PRIMO 



DdVarte del gioiellare ; della natura delle 
gioie Jini e delle pietre finte; delle loro 
legature e fiy^ie ; della tinta de dia-» 
manti; del mòdo di fare lo specchietto; 
e di ' moke altre particolari avvertenze 
intomo a dette gioie. 



\^ui non sarà nostra iotendimento di 
ragionare distintamente delle cagioni, che 
producono le gemme; ma essendo di que-* 
sto da diversi Filosofi sottilbsimamente e 

CeUini Ben. Voi 



/ 



a CELLIRI 

abbastanza trattato^ siccome furono Arìsto^ 
tile, Alberto Magno, Plinio, Solino^ FIiman« 
to, Isidoro ed infiniti. altri dottissimi uomini^ 
a noi basti dire, quéste , siccome tutte V altre 
cose dalla natura pr^do(te sotto il cerchio 
della Luna , esser composte de' quattro eie* 
menti , e , secondo la spezie^ dette gemme di 
essi elementi partecipare ed avere maggior 
virtù , e come essa natura a sommo studia 
abbia voluto rappresentare i colori di detti 
elementi , dipingendoli in quattro principalt»- 
«me gioie, le quali sono il rubino , il zaffiro , 
lo smeraldo e il diamante; perciocché pec 
mezzo delPacceso rubino ci si dimostra quello 
del fuoco 3 per lo ceruleo ed azzurrino colore, 
del zaffiro quello delFaere; per F allegro co- 
lore dello smeraldo quello della terra , quasi 
di verdi erbe ricoperta j e per lo traspa^ 
rente diamante quello delF acqua , che ia 
esso chiara , lucida e ondeggiante si scorge. 
Di queste adunque intendiamo noi principal-» 
mente trattare, siccome quelle, che infra tutte 
le altre pietre solamente giudichiamo, me* 
diante la Iorio finezza , virtù e bellezza^ de- 
gne d'esser chiamate gioie: ed avvengachè 
con proposito , secondochè ci se ne porgerà 
occasione, intendiamo di parlare di alcuna 
proprietà e ' virtù di esse gioie e di altre 
pietre , che dietro a queste seguiranno ; con- 
tuttociò il nostro primiero intendimento si 
è di dimostrare con ogni maggior diligenza, 
con quale artifizio si possa accrescete or- 
namento alla loro bellezza^ e con quale 
industria e artificio si stringano e legnina 
le dette gioie in peocienti « maniglie. aaeUa^ 



/ 



/ 



OABFiCERU. 3 

•arcami, regni papali, corone reali, e at- 
Hiili. Ma p*iaia cominciandosi da' rubini , 
serberemo in ultimo a trattare de' diamanti, 
per esser questa spezie di gioie, siccome 
infra V altre nobilissima , ancora difficilissima 
à legarsi; perciocché l'altre gioie o pietre, 
che in oro si stringono e legano j appari- 
scono contente di certa foglia, della quale 
pirleremo a suo luogo, che nel fondo dei 
loro castoni si mette: il che de' diamanti 
non si Tede avvenire; essendoché, secondo 
la diversità dell' essere di quelli , diverse 
tinture ricercano; e però, secondoché essi 
ai dimosjtrano all' orefice , bisogna , che egli 
c(m grandissima diligenza e giudizio cerchi 
di tignerli: delle quali tinte ancora minu- 
tamente si ragionerà; ma prima comince- 
remo a dire de' rubini^ come promesso 
abbiamo. 
Comiaciando adunque a trattare delk 

Sualità de' rubioi, diciamo, questi ritrovarsi 
i più sorti, siccome la prima, che si chiama 
rubino orientale , che si trova in dette par» 
ti y nel qual sito sempre si ritroveranno l« 
gioie più belle e di maggior finezza. Questi 
rabini di Levante hanno un colore maturO| 
pieno « molto acceso. Quelli di Ponente , 
awengaché il color di casi sia rosso, pende 
però nel paonazzo agro e crudo. I rubini 
di Settentrione sono di color più crudo e 
più agro , che quelli di Ponente; ma quelli 
ilei Mezzogiorno ritengono qualità molto) 
diversa da queste sopraddette , e di es$i 
pochissimi si vedono. Questa spezie di ru- 
hioi non hanno gran colore, come /qtrelH di 



4 CELLIVI 

Levante, ma somigliano piuttosto il color 
del balasTcio. Avvengachè egli non sia co* 
perto di così bel colore , è però un color 
tanto acceso e vivace, cbe di giorno si vede 
continovamente brillare, e di notte rende 
quella luce , che fanno le lucciole ^ o alcuni 
piccioli vermi, che rìsplendono nelle tene* 
bre. Ben è vero , che non tutti quelli , che 
nascono nelle parti esposte a mezzógior^ 
no^ universalmente hanno cosi maravìglioso 
splendore; ma sibbene rendono agli occhi 
altrui una vaghezza mirabile e tale, che i 
periti gioiellieri dagli altri rubini gli cono- 
scono; le quali pietre, che di notte rìsplendo- 
no , sono chiamate comunemente carbonchi* 
Qui è da avvertire , che avendo io detto y 
le vere gioie e degne di /un tal nome ascen? 
dere al numero di quattro , ed essendoci al- 
cuni gioiellieri di poca pratica ed esperienza, 
che connumerano fralle gioie il grisopazio, 
il ghiacinto, la spinella, l'acquamarina, la 
vermiglia , il grisolito , la prasma , Y amati- 
sta , ed alcuni talora vi pongono anche il 
granato, ed altri la perla, non considerando 
ella essere un osso di pesce ; acciocché 
questi tali non s'ammirassero, perchè io 
non ragionassi del balascio né del topazio , 
fuggendo la loro ignorante . confusione , di* 
stintamente diciamo, il balascio essere ra« 
bino di poco colore , e nel Ponente si do-^ 
manda rubih balascio; ma egli é della 
medesima durezza, e p0rò é gioia come il 
rubino , senza farvi alcuna differenza , fuori 
che del prezzo. Il topazio ancora è gioia , e 
perché egli é delia medesima dur/ezza del 



ORtriCEUIA. 5" 

TkfRvo y av^eagachè egK sia di color direno 
perciò si mette col zaffiro, siccome il ba- 
iacelo col rubino; il color del qual topazio 
è simile ai sereni raggi del Sole. Qui non 
fin fuor di proposito, poiché abBiamo co- 
minciato a dire di queste quattro prìocipali 
gioie ^ cioè rubino^ zaffiro , smeraldo e aia* 
mante, avvertire, come il rubino è io mag- 
giore stima e pregio oggi di tutte T altre 
gioie; perchè uti rubino, che pesi un carato, 
che sono cinque granella di grano in circa, 
e sia fine a paragone , questou rubino sarà 
in pregio di scudi ottocento d'oro; ed uno 
smeraldo della medesima grandezza , peso ^ 
bontà , varrà intomo a scudi quattrocento 
d'oro; e un diamante simile di peso e bel- 
lezza, sarà stimato dagl'intendenti gioiellieri 
scudi cento in circa ; un zaffiro poi pur 
simile di peso e perfezione, non sarà io 
ìntima più che per scudi dieci. Potrà questa 
digressione servire a coloro , che si dilettano 
della detta professione. Ma ripigliando il 
nostro ragionamento, seguendo U discorso 
de'' rubini , tratteremo oi*a io che guisa si 
debbe preparare ed acconciare un rubino 
per porlo nel suo castoùe d'oro, dov'egli 
ha da essere 'legato , o sia in pendente , o 
anello; che castane si domanda quella pio- 
dola cassetta ^ dbve egli ai rinchiude. Deb^ 
besi avere grand' avvertenza di non formare 
i detti castoni in tal maniera > che la gioia 
vi stia dentro tanto bassa ,, che essi occu^ 
pino gran parte della grazia e della va- 
ghezza alle gioie ; né manco i detti ca? 
stoni sieao tant' alti ^ che paiano separati in 



<5 f CBLtlUI 

tutto Calgli altri suoi oraamenti ^ il che sarl^ 
sehifato sempre da tatti que^ maestri ^ che 
saranno periti nel disegiio; Or venghiamo 
al modo del legare ì rubini ne^ lor ca^toni^ 
al che fare si debbe provvedere di cinque 
o sei sorte di foglie da porre sotto a^ detti 
robinie Di queste s^ usa farne di color rossa 
tanto acceso e carico, che appariscano mpl* 
t^oscnre-^ indi in tal guisa di mano in mano 
se ne vien facendo di quelle > in cui si di« 
minuisce tanto il colore, che in esse appena 
si diseerne poco p nulla di rossezea» Dovrà 
adunque il pratico orefice , postesi le diver*^ 
sita delle dette foglie avanti , pigliare il ru- 
bino con alquanto di cera nera j che sia me« 
diocreaiente soda è appuntata , colla qual 
punta piglierà il detto .cubino per uno dei 
suoi canti 9 appiccando velo ; indi metterà il- 
rubino or sopra questa ed or sopra quella 
foglia , fin tanto che pel me^zo del suo giu- 
dizio egli sia fatto accorto di queUa, che 
s'affaccia e convenga col suo rubino; avver- 
tendo, che quantunque egli avesàe provato 
a scostare il rubino alquanto dalla detta fiH 
glia e poscia appressatolo ad essa , tal dili- 
genza in gran* parte, ma non in tutto gli 
servirà; perciocché Paria , che trapassa infra ' 
la foglia e 1 rubino , gli mostrerà effetto 
dfvekio da quello che farà quando Favrà 
posto nel castone, dove l' aria non gli por- 
gerà più tal soccorso; è però dovrà, messa 
la foglia tagliata ed acconcia nel suo casto- 
ne, accostarla una volta al rubino ed un'al- 
tra discoatarla assai, perciocché aon vi sono 



i OABfiCBRIà. ^ 

|Hu ohe tre yedate , e la terza viene ad 
easere fra le due estreme, cioè fra la più 

{pressa e la più lontana^ e fatte queste di- 
igenae, allora potrà serrare la gioia come 
sì conviene. Ma perchè per mezzo della pra- 
tica si ritrovano bellissimi segreti e s^ im- 
parano di: moke destrezze cosi nelVarte, 
come nelle scienze; io giudico in questo 
luogo molto a proposito di narrare quello , 
che per mezzo di detta pratica mi è occorso 
d^ esperi meo tare y legando qn rubino di 
prezzo di circa tremila scudi di valuta. Era 
il detto rubino altre volte da valentissimi 
orefici stato legato y e desiderando io d' ac- 
quistare pregio alla detta gioia, presi una 
piociola matassina di seta tinta chermisi di 
grana ^ e questa con un paio di forbicine ta- 
gliai sottiUssimamente , ed avendo prima po- 
sto nel mio castone alquanto di cera nera 
ben distesa, presi dipoi la detta seta mi- 
nuzzata , e con un piede di cesellino calcai 
la detta seta assai bene> fintantoché ella si 
fece unita. Indi vi posi dentro il rubino , il 
quale guadagnò tanto di virtù , da quella 
che prima aveva, che ciascun degl' inten- 
denti gioiellieri di que^ tempi, che prima 
l'avevano veduto, riguardandolo di poi| 
insospettirono, che egU non fosse stato tinto 
da me. La qoal cosa (come a molti può 
esser noto) è proibita all'arte del gioiella- 
re, né ad altra gioia, che al diamante, si 
permette ciò fare j della qual tinta si ragio* 
nera a suo luogo. Ma tornando dov^ io mi 
partii , essendo ricercato da^ detti gioiellieri , 
di .che sorte di foglia io mi fossi servito 



per legarlo , e dicendo , che io non dvem 
messo foglia, presente il padróne del rubi^ 
no^ affermarono, che io l'avessi tinto, o 
usate altra cosa simile proibita. Laonde es- 
sendo perciò costretto cortesemente dal gen- 
tiluomo , a cui io r aveva legato , a doverlo 
Bcìorre e solo a lui mostrar tal segreto, 
dicendo, che egli mi satisfarebbe delle mie 
£itiche intomo ad esso fino a quell'ora dii« 
rate (che nessun desiderio -^ ho avuto mag« 
giore, che dMnsegnare quel poco, che io 
abbia saputo, sempre volentieri a ciascuno ) , 
lo sciolsi pubblicamente jn presenza di tut^ 
ti; il che vedendo i detti gioiellieri^ me 
ne lodarono e commendarono insieme col 
padrone sonmiamente. Era questo rubino 
molto grosso, e tanto nitido e fulgente , 
che tutte le foglie , che «otto gli erano 
poste lo facevano in tal guisa lampeggiare , 
che egli quasi si rassomigliava al girasole, 
o air occhio di gatta; le cui sorte di pietre 
molti imperiti, come dì sc^ra dicemmo, 
pongono fra le specie delle gioie* 

Yenghiamo ora a ragionare dello sme* 
raldo e del zaffiro. Questi si debbono coUe 
foglie, ch^ loro si convengono, serrare nella 
guisa de' rubini ; e nelle dette gioie ho io 
conosciuto le medesime qualità e difficultà , 
che ne^ rubini; e però di nulla più circa 
di essi giudico necessario ragionare, se Ition 
delle falsità^ che in e^se gioie si commet- 
tono: la qual dihgenza potrà servire per 
documento non tanto di quelli, che dilet- 
tandosene le comperano, quanto per quelli, 
che le comperano per rivenderle. Diciamo 



ÒReFICEUIA. g 

adunque, che vi sono alcairi rubini Indiani 
cfi tanto poco valore , quanto immaginar si 
possa ^ ed a me «è occorso vedere uno di 
tali rubini nettissimo, al quale da uno di 
qaesti falsificatori era stato tinto il fondo 
con un poco di sangue di drago (il quale 
è uno stucco fatto di gomme , che si lique- 
fanno al fuoco) e poi Fav^va legato, e £en 
ce va tanto bella mostra , che ciascuno Y a« 
vrebbe stimato più di cento scudi , e senza 
detta tinta nulla più avrebbe valuto che 
dieci scudi. Ma quello che era più da mara^ 
vigliare, fu, che avendo io detto ^ che quel 
robino era tinto, né essoadomi creduto, scio- 
gliendosi alla presenza da molti gioiellieri, 
ohe dì ciò mi schernivano, vi era su in 
tal guisa appiccata detta tintura, e tanto 
sottilmente , che chi non ^ fosse stato prati** 
olissimo non se ne sarebbe accorto ; perchè 
preso un ferrolino sottile, e rastiato il fondo 
del rubino , gli feci accorti, di quello che 
essi confessavano, che mai avrebbono sti- 
mato esser vero. Queste medesime ùifiicuUà 
e falsità patisce lo smeraldo e '1 aa£Gro ; 
ond' io senz^ altro dire di ciò trapasso più 
avanti. 

E venendo a parlare delle doppie , dico 
quelle ordinariamente farsi di cristallo, tanto 
di sotto ^ quanto di sopra; le. quali doppie 
sono dì poco valore^ e sì legano in ot*« 
tone e in argento pe' contadini. Ritrovapsi 
alcuni smeraldi e rubini addoppiati, cioè 
fatti doppi in quella guisa , che s^ usa di 
(àv col cristallo, de^ rubini e degli ^ smeraldi , 
i ^uali s' appiccano insieme, facendosi la 



IO CELLfm 

pietn di due pezzi ^ e s' addìmandanQ dop;* 
pie; le quali sorte di pietre false si fauno 
io Milano. Ma alcuni artefici spinti da ava<^ 
rizia astutamente si sono serviti di tale in- 
dustria per ingannare gli uomini; perciocché 
essi hanno preso una soogUetta di rubino 
Indiano, ed acconciala con bellissima for« 
aa, ed il restante della pietra, che entra 
Bel castone delF anello, hanno fatta di cri-' 
stallo ; dipoi gli hanno tinti ed appiccati in- 
sieme, e legati in oro con arlifiziose lega- 
ture, e venduti grandissimo prez^9; siccome 
avvenne a mio tempo, che un gioielliere 
Milanese, avendo per tal modo cootraf* 
fatto uno smeraldo, lo vendè a personag- 
gio di grande importanza, il quale si fidava 
assai del detto gioielliere, per sewU nove* 
mila; e stette tal inganno celato molti anni* 
Fasai ancora degli smeraldi e A^ zaffiri di 
un pezzo solo tanto ben oontraiuittiy che a 
gran pena si riconoscono per falsi; ma per 
essere molto teneri, mediante questa imper- 
fezione, gU avveduti gioiellieri superano: tal 
inganno, e falsità. Ma passiamo a trattare 
del modo di far le fogne, che servono a 
tutte le gioie trasparenti. 

Per far queste è prima necessario , che 1 
ralente orefice prepari tutti i ferramenti atti 
a ciò, e che sieno di unissimo acciafo, e 
pulitamente lavorati; essendoché per con- 
durre le dette foglie , le quali sono di tanta 
importanza, bisogna sottoporsi ad una ia- 
£nita diligenza , pazienta e pulitezza^ Salve* 
Mro del Lavaechio) orefice Fiorentino, in 



OR Wil^BItU, 1 1 

que' temici che io gievaoetto imparaTa la 
lietta arte deir ore6cerìa , oUeone gran lode 
per rioduistria, che egli usaVa in dette ù^ 
glie; perciocché egli a nient^ altro attendeva^ 
che a far foglie per tutte le aorti di gioie^ 
e parimente legarle ; ed avve^gachè di Fran*^ 
eia e di Venezia venissero delle dette foglie ^ 
per esperienza si conoscevamo non eisser du^ 
rabili, di gran lunga^ quanto quelle del detto 
Lavacchio: perciocché le dette sue foglie 
erano dell' altre alquanto più grossette , e 
sebbene la detta grossezza porgeva , a chi 
legava le gioie ^ maggior di Wcuìtà^ che non 
facevano r altra foglie forestiere; cotanto 
era V utile ( mercé della loro bont4 ) che 
apportavano alle gioie, che cominciatasi ge- 
neralmente a conoscere la loro perfezione, 
egli ne mandava per tutto; opide si era ri- 
dotto f per lo spaccio, che esse avevano ^ a 
non- attendere ad altro esercizio^ E di vero, 
che egli ciò fece con gran ragione , perchè 
tal arte richiede tutto V uomo. Ma trattiamo 
del nkodo di far le foglie^ È da sap^ere adun-- 
qae quattro e^^ere/ le sorti delie foglie : la 
erima* è detta fo^a comune , V altra rossa^ 
r altra azzurra e l'altra verde. La prima 
foglia ( come s' é detto ) si domanda fogliai 
comune , la quale ritiene, in se il color gial- 
lo, che serve a molte sorti di gioie e pie* 
tre trasparenti ; ma prima che venghiamo 
a dimostrare il modo, oom^ queste si fa 3* 
ciano, é necessario sapere, quale sia it 
peso dèi carato , del quale ci abhiaiBO e 
servire nel fare le dette foglie. 



f^ CfitLINI 

Il carato adunque è il pesò di quatti^ 
granella di grano; e per fere la detta fo- 
glia comune ai debbe prima pigliare 
* Carati nove d' oro fine C. Villi. 

Carati diciotto d'argento fine XYIIL 

Carati settantadue di rame fine LXXII. 
Per far la foglia rossa piglierai 

Carati venti d'oro fine C. XX. 

' Carati sedici d'argento fine XVI. 

Carati diciotto di rame fine XViU. 
Per far la foglia azzurra piglierai 

Carati nove d' oro fine C. Villi. 

Carati due d'argento fine II. 

Carati sedici di rame fine XVI. 

Per far la foglia verde piglierai 

Carati uno d' oro fine C. I. 

Carati sei d' argento fine VI. 

Carati dieci di rame fine X. 

Terrassi poi questo modo in condurre le ^ 
dette foglie. Fondasi prima il rame benis* 
simo , e poi si pongano insieme V altre due 
composizioni; e quando ogni cosa è bene 
incorporata, si debbe gettare in un canale 
nn poco largo, né fare la verga molto grossa. 
Quando è gettata e fredda , ntnisi poi ìooko 
bene, indi si batta col piano del martello 
leggiermente, ricocendola spesso , né mai 
apengasi in acqua, ma lascisi freddare da 
per se senza mai soffiarvi dentro. Essendosi 
poi condotta sottile quanto due (ostole dì 
coltello y radasi con un rasoio tondo e ga* 
gliardo, insino a tanto che per ogni verso 
tu conosca , eh' ella sia nettissima , e dag^i 
ìnlati nettisi con una lima , tantoch' ella si 
sciiopra pura e netta senza crepature. Dipoi^ 



ORCFICEftU t3 

<]«aiid' ella $i tira col ntarleHo y facciasi , 
che Tuno e T altro sia piaoo é pulito , e 
colle sopraddette diligenze si conduca sot« 
tilissima y quanto più si possa. Debbesi ar- 
vertire aùcora di far la detta verga quadra 
tanto, y quanto éìV esce del verguccìo , e se« 
condochè comporta la quantità della fusione, 
la quale dovrà essere di largheaza di due 
dita in circa e alquanto più lunga. Questa 
detta larghezza è quella , che debbe restare 
al fine dell'opera; e perchè nel tirarla ella 
vien Scendo qualche crepatura^ veggast dì 
tagliarle di mano in mano ch^elle si scuo* 
prono ^ fintantoché la verga sia risoluta alla 
grosseKza , a che ella si sia potuta condur- 
re^ e questi pezzi si debbono bianchire 
con gomma y sale ed acqua , che è il bian- 
chimento ordinario, che s'usa alF argento» 
Dipoi lavinsi tali pezzi puUtamente nell'ac- 
qua chiara y e strofininsi leggiermente. Dopo 
questo si debbono radere sopra un cannone 
di rame grosso , qual sia pulitissimo e li- 
sdo; ed avvertiscasi a radergli con un ra- 
soio da orefici benissimo arrotato; e ciò si 
debbe fare con grandissima diligenza y ac- 
ciocché non s'intaccassero; e ciascuno di essi 
pezzi si rade solamente da un Iato. Fatto 
questo^ si pigli il suo pezzo della foglia co^a 
panuo lino bianco^ c$e sia nettissimo^ e si 
abbia un tassetto , il quale sia bene arrotata 
con una pietra da olio, e dipoi nettisi pu« 
Utissìmamente da ogni untume e da ogni 
akra cosa, che l'avesse imbrattato. Meotre- 
chè egli si brniusce , bisogna stare in una 



l4 èBLLINI 

Stanza y ddfe non si fbecia polvere; e pi- 
gliando un^amatita nera, che son <|uelle 
che adoperano gli spadai a metter d' oro i 
brunito che egli sia molto bene , dìasegli il 
suo colore; il qual colore si dà a fuoco tem- 
perato e netto ; tenendo sempre il pezzo 
della foglia appreso il detto fuoco ^ con fa- 
re j che vèrso il viso di chi lo lavora si di- 
mostri sempre il brunito, e che quella parte 
die non è brunita, ai mostri al fuoco; 
così di matio in mano si vedrai venire il suo 
colore. Avvertiscasi , che con iscaldare il 
lavoro un* poco più o un poco manco , più^ 
o manco verrà a pigliar colore, secondochè 
altrui piacerà; e questo è necessario avver- 
tire, perchè bisogna alF orefice aver* della 
foglia più e manco carica di colore^ ae**- 
condo l'opportunità delle gioie. 

Avendo noi trattato, quanto è parato 
di nostro proposito delle tre gioie ^ cioè rur 
bino, smeraldo e zaffiro, e delle loro foglie, 
verremo a trattare del diamante, del quala 
ci siamo serbati a ragionare da nltiaxo , noa 
perchè lo teqghiamo di minor virtù delle 
sopraddétte, ma 'peii* cagione della nobiltà 
sua, e delle difficultà che porta secò in 
legarsi e in tignersi*: e avvengachè di prezzo 
maggiore oggi sia il rubino che '1 diamante, 
ciò nasce non per pltro, se non perchè 
de' rubini se ne trovano manco cAie de' dia- 
manti ; cosi vien^ a essi diamanti scemato 
il pregio ) non per mancamento della bel-* 
lezza loro, ma per cagione della moltitu- 
dine, che di essi si trova. Avvengachè si aia 
detto, il colore del diamante assomigliarsi 



ORmCCKIA. l5 

àll^ acqua) sì ha da mtendere, che quest^ac-* 
qua ha da partecipare di colore, il che 
non cade nelr altr^ acque ; perciocché fra le 
sue principali parti è^ che ella sia priva al 
tutto di colore; onde in proposito de' dia* 
manti dico di averne visti di tutti i colori , 
e qui faremo menzione particolarmente di 
due y ì quali erano di maravigliosa bellezza* 
Il primo era nel regno del Papa nel tempo 
di Papa Clemeote Settimo; il qual diamante 
era di colore incamato nettissimo e limpi«- 
dissimo y e in tal guisa brillava e splende- 
va^ che pareva una stella, e appresso di 
lui perdeva di vaghezza ogn^ altro diamante» 
L' altro mi occorse di vedere in Mantova ; il 
qnale era di color verde ; e tanto verde , che 
pareva uno smeraldo di poco colore, ma in se 
riteneva questa virtù del brillare^ come gli 
altri diamanti, U che non si vede negli sme- 
raldi ; onde per questa virtù s^ assomigliava a 
uno smeraldo più belìo e vago di' tutti gli 
altri smeraldi. E di , queste due sorti di dia-^ 
manti sia detto abbastanza, quantunque io 
potessi ragionare di molti altri , per averne 
veduti, come ho detto ^ di tutti i colori. 
Ragioneremo ora come essi di rozza forma 
si riducano a quella perfezione e bellezza^ 
che si veggono intagliati, in tavola, a fac** 
cette, e in punta. È da sapere adunque ^ 
come i diftnianti non si possono acconciare 
soli, cioè uno per volta, ma è necessario 
di condurne due a un tratto ; perchè essendo 
essi di tanto maravigliosa durezza, tìè al- 
tra cosa essendo, che m ciò lot sia supe« 
riore né dbe gli possa rodere e consumare^ 



l6 CBLLIHI 

è necessario, ehe^ rimo coMumi l'altra 
Laonde si piglian due diamanti, Q tanto si. 
fregatìo insieme y che ai riducono alla forma^- 
che si desidera; e quella polvere, che fre- 
gandogli n'esce, aiuta a condurgli a per- 
fetto fine. Perciocché si mettono sopr^unst 
ruota diaccialo legati in certi tasseliini di 
piombo e stagno, e tenendosi dal manico 
con certe tanagliette fatte apposta, colla 
detta polvere mescolata con olio si condii*» 
cono, come s'è detto. La detta ruota ^ dov^ 
i diamanti si raffinano e puliscono, si fa 
grossa un dito, e Urga craanto apre una 
mano , ed è d^ acciaio finissimo a tutta tem« 
pera: si ferma sopr'un mulino, dove ella 
ai fa girare con grandissima violenza, e io 
essa sono accomodati cinque o sei diamanti| 
e sopra quella tanaglia, dove sono fermi, 
si mette un peso assai gagliardo, il qual 
peso aggrava il diamante in sulla ripeta per 
dare più pccasione alla polvere suddetta > 
che consumi i detti diamanti} cosi in tal 
guisa si conducono a fine. Ma non essendo 
nostro intento d'insegnare minutamente il 
modo d'acconciargli, ci hasterà d'avere ac^ 
eennato per diletto del lettore questi brevi 
particolari, e non fuori di proposito. Ritor- 
nando adunque all' intralasciata materia del 
tignere i dian^anti, che si hanno da legare 
in oro, e delle differenze, che fra Funo e 
l'altro si veggono per cagione della diver- 
sità de' sopraddetti colori , dico , che quan- 
tunque essi siano di diversi colori, non per- 
ciò è, che siano di minor durezza; anzi ia 
tutti egualmente si ritrova^ o tanto poco 



OREFICERIA I f 

dìflferente y che nìeate si scorge^ laonelt! tutti 
s' acconciano in un medesimo modo. Mi pri- 
maohè io venga al modo d^l far le tiute^ 
yolendo ciò dimostrare per mezzo di occa* 
siont importanti^, che mi sono venute^ dì 
legar diamanti di molto pregio ^ siami lecito 
fare questa breve digressione ^ non lontana 
dalla materia, di che abbiamo da trattare. 
Avendo adunque Carlo V. Imperatore do- 
nato a Papa Paolo Farnese^ nel suo venire 
a Roma dall'impresa di Tunisi, un dia- 
mante del valore di dodici mila scudi y le* 
gate in un castone semplice e puro con un 
poco di gamba, il Papa, che un mese in* 
nanzi alla sua venuta avea fatto un pensiero 
di presentar degnamente Sua Maestà, s^era 
compiaciuto di mettermi a parte del consi- 
glio, che intorno a ciò si delìberaìise di fa- 
re^ondMo, considerando al tempo^ al luogo 
e al donatore, avendo massimamente in 
pronto buona parte del dono , con ogni ri- 
verenza debita proposi, che si sarebbe po- 
tuto donare a Sua Maestà un Crocifìsso 
d' oro, posto sopra una croce di lapislazzuU, 
pietra preziosissima, e nota per farsene l'az- 
zurro oltramarino, facendosi alla delta croce 
il piede d^ oro , e ornato di certe gioie , 
che aveva Sua Santità; a' piedi della qual 
croce avrei collocato tre figurine , le quali 
io aveva di già fatte con grandissimo studio 
e fatica, che erano la Fede, la Speranza -e 
la Carità. Il qual consiglio piacendo al Pa- 
pa , commesse , che io ne dovessi fare il 
modello, e vedutolo, e commessomi, che lé 
lo méttessi- in opera, fa un medesimo tempo j 
Celi ini Bew. VoUlL :i 



l6 ZELLINI 

ma non v' andò troppo , che mutato pen- 
siero ( secondo il parere d^ alcuni suoi 
savj) egli si risolvè di donare un ufiziuolo 
delia Madonna j miniato finissimamente , e 
a questo vollero^ che io facessi le coperte 
d^ oro fine, commesse tutte di preziosissime 
gioie, affermando che tal dono sarebbe pia 
caro all'Imperatore y perchè facilmente Fa- 
vrebbe potuto donare all' Imperatrice. Men«* 
tre che io faceva quest^ opera , la quale 
ebbe il desiderato fine ( tornando al nostra 
proposito) mi fu dal Papa di man propria 
dato il diamante medesimo , che gli aveva 
donato T Imperatore, dicendo, che io gliela 
legassi in un anello quanto più presto po- 
teva ] il che feci in ispazio di due giorni 
con grandissima soddisfazione del Papa , e 
di chiunque vide il detto anello legato. Oc-* 
corse, mentre io legava il detto diamante , 
che un certo Gaio, gioielliere Milanese , fa- 
vorito da alcuni famigliari di Sua Santità , 
essendo egli intromesso dinanzi a Sua Bea- 
titudine , disse , che avendo io avuto a le- 
gare una gioia di tanta importanza , per 
essere il detto diamante alquanto sottile , e 
la tintura de' diamanti difficilissima, sarebbe 
ben (atto (ancorché per giocane io fossi 
intendente ) che mi fosse dato qualche 
compagnia, acciocché nel legarlo io noa 
lo sminuissi di valore e di pre^o ; percioc- 
ché il detto diamante era stato tinto in 
Venezia da un gioielliere , detto MiUano 
Targhetta, che più d'ogn' altro sapeva ac« 
comodar gioie in sulla foglia e in su le 
tìnte. A queste parole il Papa^ come cauto ^ 



0REFIC1ERIA. t^ 

eommesse^ che egli con due altri gioiellieri 
si ritrovassero alla mia tintura. I compagni 
furono Raffaello del Moro y Fiorentino , e 
un certo ^uasparri, Romanesco, orefici ec» 
ceilentìssimi. Questi venuti da me da parte 
del Papa m'esposero la sua volontà 3 e av- 
vegnaché il detto Gaio con parole indiscrete 
meco procedesse , io con quella maggio^ 
modestia che sapeva, risposi particolarmente 
a lui , che mi desse il tempo almeno due 
pomi da poter provare più tinte per met- 
tere al detto diamante ; perciocché ne po- 
trebbe succedere per meszo di tali esperien^ 
ze^ che io ritrovassi colla mia industria 
falche nuovo secreto , che facesse utile al 
diamante e onore a me ; ma tutto fu va^ 
00^ perciocché il detto Gaio^ seguitando il 
suo noioso costume mi fece (licenziandolo 
con i compagni) subito deliberare di fare 
la detta tinta pel diamante^ che in tal guisa 
il conduce. 

Pigliasi una lucerna netta j e accesa con 
un lucìgnolo di . bambagia bianchissima , 
€ r olio y in che egli arde , vuol esser 
vecchio, dolce e chiaro; e la detta lucerna 
si melta in terra o in altro luogo , dov^ ella 
sia più comoda, in mezzo a due mattoni. 
Sopra i détti mattoni poi si mette uno sco^ 
dellino di rame, nettissimo, e quello si pone 
dalla parte concava, sopra la lucerna , ip 
guisa, che del lume se ne ripieghi la terza 
parte e noTi più. Ma bisogna essere avver- 
tito di far poco fummo per volta; perciocché 
si dee aver riguardo , che come si raguna 
troppo del detto fummo ^ vi si appicca 



20 CELLIMI 

dentro il fuoco, e cosi il fummo vien 
guasto 3 laonde di mano in mano y che la 
lucerna fa il fummo , conviene . spiccarlo 
dallo scodellino con un poco di cartuccia 
pulita^ e riporlo io cosa nettissima 3 e debbi 
sapere che al fummo sopraddetto non s^ ap* 
picca mai il fuoco, se egH non è grosso 
più di due gran coste di coltello; sicché 
per cotal esempio potrai venire in cogni-* 
zinne, che si può lasciar moltiplicare nello 
scodellino il fummo, quanto una costa di 
eoltello. Debbesi poi avere del mastico, il 
quale è una gomma notissima a ciascuno 
Speziale 3 ma si debbe por cura , che il 
detto mastico non sia troppo, nuovo, e que« 
sto si conosce, quand^ egli è sbiancato e 
tenero. Deesi ancora avvertire, che egli non 
sia troppo vecchio , del che s' ha notizia , 
quand'egli divien troppo giallo ; perciocché 
egli è secco e con poca sostanza. Però dovrìi 
il pratico orefice pigliarlo stagionato e che 
non sia fresco né secco, e nello scerlo pi* 
gliare quello che sia pulito e tondo , perché 
quando egli cade dair albero, per lo più, é 
raccolto terroso e imbrattato d'altre materie. 
Come si sarà scelto il mastico bello e net- 
to, piglisi un caldanuzzo pieno di accesi 
carboni, dipoi si abbia un ferruzzo fatto in 
guisa di punteruolo, e la punta di quel 
ierruzzo si scalda tanto, quanto egli ficcar 
SI possa in uno di que' granelli di mastico; 
e debbesi avvertire di non passare il mezzo 
jdel granello; dipoi si tenga sopra quel fuo- 
co , volgendolo pian piano tanto , che si 
vegga cominciare a colare, e subito che ai 



0RGneEKr\. ai 

fede in tal essere / si debbe bagnare ìp dita 
con un poco di scili va j e indi stringere 
quel granello di già caldo, prestamente in« 
nanzi che egli si freddi^ perciocché strin- 
gendolo ne esce fuori una lagrima chiaris-* 
sima 9 la quale subito^ rasente quella roccia ^ 
che resta del mastico , si dee tagliar colle 
forbicine^ e pulitamente conservarla ; e cosi 
andar facendo j fintantoché se ne abbia il 
bisogno. Appresso a questo si fa V olio di 
grano^ necessario a tale tintura, il quale si 
cava in questo modo. Scelgasi il puro gra- 
nello da ogn' altro seme , avvertendo , che 
il detto granello vuol esser netto , non roso- 
da^ bruchi , o riscaldato ; e ciò fatto se ne 
piglia tanto per volta , quanto si può na- 
scondere in una mano, indi si mette sopra 
un pezzo di porfido ^ e chi non avesse por- 
fido , si può servire di una piastra di rame 
pulitissima, e distendervelo sopra con un' al* 
\tra piastra di ferro , che sia grossa un dito^ 
e cinque per ogni verso; la qual piastra si 
debbe prima mettere in sul fuoco, e scal- 
darla tanto quanto ella cominci ad abbru- 
ciare un foglio di carta e non più; cosi si 
debbe aggravare bene con un martel gros^ 
so, di modo che si vegga uscir fuori rolio 
del grano ; ma bisogna avere avvertenza 
grande, che il ferro non sia troppo caldo 
né troppo freddo ; perché essendo freddo , 
FoUo non uscirebbe, e essendo troppo gal- 
do , si riarderebbe e non sarebbe a propo- 
sito ; ma se sarà temperato , e bene aggra- 
vata la piastra^ il detto olio ne uscirà be-« 
Dissime. Fatto questo si debbe levare con 



gran diligenza quelle granella di grano , e 
levate cbe saranno, si pìgli un coltellelto 
putito, e con esso si rasti il detto olio, 
avvertendo che la prima distillazione, che 
esce del grano, è un poco d' acquetta, la 
quale si conosce benissimo, perchè per se 
stessa si getta dalle bande, e il vero e buon 
olio rimane nel mezzo. Debbesi riporre il 
detto olio in un vasellìno di vetro, quant^è. 
possibile nettissimo. Bisogna dopo questo 
provvedere un poco d' olio di mandorle 
dolci; ancorché in questa vece alcuni si sono 
serviti talora d'olio d^ uliva vecchio. di due 
anni e non piò, dolcissimo e chiarissimo. 
Ciò fatto si debbe pigliare un cucchiaio , 
grande per quattro volte i cucchiai ordinar],, 
e fnsieme aver preparato un caldanuzzo 
con fuoco , e togliendo quelle lagrime del 
mastico , metterle nel detto cucchiaio , e 
con una palettina , d^ argento o di rame , 
nettissima debbesi cominciare a fare struggere 
con fuoco moderato ; e come il mastico si 
Tede struggere, vi si ha da porre un poco 
di queir olio di grano, tanto quanto sia per 
la sesta parte del mastico; e mescolati in- 
sieme quésti due liquori, ancora vi si metta 
il terzo liquore^ che sarà l'olio d'oliva o 
di mandorle , com' abbiam detto , lasciando 
in altrui T arbitrio di pigliare Fune de' due;, 
oltre a queste cose aggiungavisi alquanto 
di trementina chiarissima. Cosi fatto le dette 
infusioni , piglisi quel fummo , che prima 
si fece, e se ne metta con discrezione quella 
quantità, che tinga appunto, e non più; 
perciocché nel tingere i diamanti la. qualità 



OREFICERIA. a3 

diversa èi essi richiede la tinta più o 
manco nera. Ancora V esser la detta tinta 
più tenera o più dura^ di quello che con^ 
viene , importa grandemente ; perchè alcune 
sorti di diamanti appariscono meglio avendor 
la tinta dura , e altre amano la tinta tene*- 
ta. Imperò ogni volta che Y orefice ha da. 
legare un diamante d'importanza, è di ne* 
cessità rinnovare . le tìnte , dipoi provarle 
sul détto diamante colla più dura e . colia 
più tenera, colla più e colla manco nera, 
e secondo che la qualità del diamante ri* 
chiede, eleggere con fine giudicio la tinta 
che egli più. ama. Àlòuni sono stati , che 
avendo un diamante di color troppo giallo^ 
perciò hanno posto poco fummo , (pianto 
sia possibile, in sulla loro tinta, mescolando 
insieme colla detta tinta dell'indaco, il quale 
è colore azzurro e conosciuto da tutti i 
pittori; e talora hanno messo il detto in* 
daco in cambio di fummo nero senz^ altra 
compagnia di fummo; e questo vi hanno 
posto per tingere una certa sorta di dia^ 
manti di color tanto giallo, che paiono to«^ 
pazzi schietti; laonde per lo mezzo deire- 
sperienza s^ è veduto che colla detta tinta 
d' azzurro oscuro hanno mostrato benissimo; 
e ciò avviene , perchè pigliando due colori, 
eioè r azzurro e il giallo , quelli mescolati 
insieme vengono a fare un color verde , 
laonde, essendo il diamante di color giallo 
e la tinta di colore azzurro, per tal cagione 
si viene a far fare un^ acqua alla detta 
gioia, molto piacevole e graziosa, ed avven- 
l^achè la dett acqua sia colorata , non però^ 



*l4 CELLINI 

Tiene a essere di color giallo o azzurra ^ 
com' era per virtù della tinta , ^a appari- 
sce d^ un color cangiante , molto vago agli 
occhi de^ riguardanti. 

* Concludo adunque, che sopra tutte le 
specie de' diamanti debba avere l'mtendente 
gioielliere quelle diligenze e osservaltioni^ 
che merita la qualità della gioia e la na- 
tura di essa; il che si conseguisce per mezzo 
^ d' una lunga pratica ed esperienza, la quale 
si porg^ mediante la diversità delle , gioie ^ 
che a legare s' hanno ; siccome ( per rìtor^ 
nare donde prima mi dipartii) a me in** 
tervenne^ mentre legava quel diafoante , 
che io dissi , a Papa Pagolo IIL3 perciocché 
avendo chiesto due giorni di tempo a que- 
gli tre orefici , che io dissi di sopra , de- 
putati a veder la mia tintura 5 i;estandomi 
solamente a tignerlo per esser di già fatta 
l' anello , colle sopraddette tinte feci tutte 
quelle esperienze , che possibili fossero ad 
immaginarsi; lac/nde per mezzo della pratica 
mi venne ritrovato una composizione , la 
quale sopra il detto diamante appariva 
molto meglio che quella di Maestro Miliano 
Targhetta, da cui prima era stato legato; 
del che fatto accorto , mi posi con ogni 
studio per aggiugnere ( se fosse possibile ) 
alla detta gioia maggior valore e bellezza 
di quella , che prima aveva avuta da quel 
valentissimo orefice , ancora che ella (come 
dissi di sopra ) fosse difiicilissima , per esser 
troppo sottile : e V industria deir orefice con- 
sisteva in far stare il detto diamante in sulla 
ilota ; e con quello specchietto ji del quale 



OREIICERU. sS^ 

'speccliietto diremo a suo luogo ] laohiie ve- 
dendo aver ciò conseguito per mezzo delle 
dette esperienze, messe in ordine tutte le 
mie tinte, mandai per i tre vecchi gioieU 
lieri; i quali venuti da me, subito fu da 
uno dì essi , detto Gaio ( di cui facemmo 
di sopra menzione ) , tanto presuntuoso f 
quanto gli altri due erano discreti, sprez- 
zato r apparecchio delle dette tinte. Vedendo 
adunque la sua indiscrezione farsi sempre 
maggiore ( perciocché egli diceva , che io 
gettava via il tempo , e che io non potrei 
migliorare a quel diamante la tinta di Mae« 
atro Miliano ) dissi , che io voleva/ tignerlo 
alla loro presenza , e posto che io non lo 
migliorassi , allora potrei tignerlo con quella 
di Maestro Miliano , e se non altro, avreb- 
bono visto , che io desiderava per mezzo 
de' detti studj d' andare imparando. Cosi 
dopo molte parole mi posi colla mia tinta 
a tignere il diamante, la qual tinta dili- 
gentemente considerata da Raffaello e Gua- 
spani, compagni di Graio, con lor contento 
confessarono , che io avessi trapassata la 
tinta di Maestro Miliano, e cosi .con vive 
ragioni sforzarono ad acconsentire V invi* 
dioso Gaio. Ma io , non contento dì questo, 
volli porlo, presenti loro, sopra la tinta del 
detto maestro più d' una volta, e poi porlo 
aopra la mia : insomma tutti d' un parere 
confessarono, che io avessi acquistato assai 
al detto diamante , per cagione della mia 
tinta. Gom'io vidi, che essi tutti avevano 
affermato , gli pregai , che m^ aspettassero 
alquanto j imperciocché > poiché loro pareva 



^6 cctxiifi 

che io avessi passato la tinta di quel 
yalentuomo , valeva loro mostrare ancora, 
come per mezzo d^ un^ altra esperienza , 
che aveva fatta , esso diamante acquistava 
molto più : cosi ritiratomi in una stanzetta 
della mia bottega, feci T esperienza che io 
in prima ave^a osservata , la qaale fino a 
oggi non ho ad alcuno insegnata ) e in quel 
diamante mi fece grandissimo onore. iNon 
già dico , che ella giovi a tutti gli altri 
diamanti, ma voglio inferire, che mediante 
la pratica ed esperienza si viene in «cogni-» 
f ione di bellissimi segreti , siccome allora 
a ' me intervenne 3 perciocché io presi un 
granello di quel sopraddetto mastico^ assai 
ben grande e ben purgato dalla sua roccia^ 
il quale era nettissimo e chiarissimo ) e 
avendo io pulitamente netto il diamante, lo 
distesi sopra a quello con temperato fuo«» 
co , e lo lasciai freddare , tenendolo pur 
serrato colle mollette , che s' adoperano a 
tignere ; e dipoi che fu secco e freddo bene 
il detto mastico sopra il diamante, presi la 
mia tinta, la quale era assai tenera, e cosi 
gentilmente con un caldo soave la distest 
sopra quel mastico chiaro, che di già era 
posto sopra il diamante. Per la qual cosa, 
essendo il diamante sottile , quella sorta 
d^ acqua , che egli aveva , cotanto d' acqui- 
sto fece, come se ella avesse avuto tutte 
le sue intere grossezze ed altre apparte-* 
nenze naturali e artifiziate, che si ricercano 
in un diamante di tutta perfezione. Cosi 
ritornato alla presenza de' detti gioiellieri 
col diamante in tal guisa da me acconcio; 



onericBRiA* af. 

rtdendò essi raddoppiata la sua bellezza^ 
tutti e tre coutenti , di doppie Iodi pre<* 
miandotni^ da me aoiicissimamente ai par- 
tirono. 

Ora ragioneremo dello specchietto. Que- 
sto si mette sotto a que' diamanti y ì quali 
sono tanto sottili , che non possono resistere 
alla tinta, perchè diventerebbono neri. Ma 
quando occorre^ che sia in essi tanta smisu» 
rata sottigliezza, e che siano buoni d'acqua^ 
si usa di tigner loi^o un padiglione solamene 
te , oltra lo specchietto , che V uno e V al- 
tro farmo insieme mirabilmente. Lo spec-* 
chietto si fa in questo modo. Pigliasi un 
poco di vetro cristallino y nettissimo , cioè 
che non abbia sonagli né vesciche, e questo 
si dee tagliar quadro ed in guisa che entri 
nel castone , e il detto castone ^ si dee ti- 
gnerò colla sopraddetta tinta nera di dia-^ 
mante. Ma bisogna aver cura, di mettere il 
detto specchietto^ cioè vetro tinto da una 
banda sola, nel fondo del castone tanto basso, 
che egli stia discosto dal diamante ; percioc* 
che se egli lo toccasse , non mostrerebbe 
bene: ed in questo modo tutti i diamanti 
sottili acconciandosi, mostreranno benissimo. 

I berilli ed i topazj bianchi , i zaffiri 
bianchi , V amatiste bianche ed i citrini 
tutti s^ acconciano ne^ loro castoni col so- 
praddetto specchietto^ quantunque siano di 
grossezze ragionevoli } imperocché nessuna 
delle dette pietre, fuori chel diamante^ 
sopportano tintura addosso, perchè diventano 
nere affatto, né punto risplendono. CoSa 
certo niaraviglio^a è quella del diamante p 



aS CELLIKI 

che essendo la più limpida e la più falgente 
pietra di tutte le altre , quando vien tinta 
dalla sopraddetta tinta nera, accresce splen- 
dore , e le altre sopraddette pietre , subito 
finte, perdono ogni loro chiarezza, e diven* 
tano nere affatto. Sono alcuni zaffiri fatti 
bianchi dall' artifizio dell' uomo j i quali in 
cotal. guisa bianchi si fanno , e questo av- 
viene , perciocché si mettono in un coreg- 
giuolo, nel quale sia posto oro per distrug* 
gere , è se alla prima non diventassero 
bianchi , come si desidera , si debbono ri- 
mettere due o tre volte nel medesimo modo 
a fuoco insieme colF oro. Ma debbe avver- 
tire il giudizioso orefice di sceglier quei 
zaffiri che hanno manpo colore di tutti gli 
altri; perciocché i zaffiri ritengono tal pro- 
prietà, che quanto manco colore hanno, 
più duri sono. Ragioneremo ancora de^ to* 
pazj , per esser quasi d^ una medesima du- 
rezza che i zaffiri , anzi si reputano da' 
gioiellieri d' una medesima spezie ; essendo- 
ché ciascuno di quésti somiglia tanto il 
diamante , che pochi gioiellieri sono quelli 
(quantunque periti nell'arte) che, ponendosi 
innanzi Funa e l'altra pietra sciolta,. sa pes-> 
sero conoscerle da' diamanti , se tion fosse 
la virtù mirabile , che in se ritiene, il dia- 
mante, che (come abbiàm detto ) essendo 
tinto, più rispleode, e l'aitile pietre perdono 
il loro splendore ; la quale esperienza giu- 
stifica gli orefici senza che vengano alla 
prova della durezza^, perciocché, per la in- 
finita durezza del diamante , fregandoli in- 
sieme, subito si conoscerebbe , quantunque 



OREFICERIA. 2g 

il zaffiro sia più del rubino , e dello sme- 
raldo durissimo ; ma in comparazione del 
diamante v^ è grandissima differenza. Imperò 
sarebi)e poca prudenza dell' orefice venire 
a quest' esperienza pericolosa , di guastare 
ad altrui una gioia ^ essendovi la prima 
tanto evidente. 

Ma tempo è di dire ( poiché lunga-» 
mente s^ è ragionato de' diamanti ) alcuna 
cosa de^ rubini^ che sono in tutta perfezio- 
ne^ siccome noi promettemmo; perciocché 
egli è da sapere, che si ritrova una spezie 
di rubini , che sonò bianchi naturalmente ; 
e non si fanno bianchi per mezzo del 
fuoco j come di quell' altre gioie , che di 
3opoè dicemmo avvenire. Questo lor bianco 
somiglia una certa pietra, che si domanda 
calcidonio, la quale è come sorella carnale 
della corniuola ed ha un certo bianco livi- 
do ^ il quale non è punto piacevole e poco 
iueglio dimostra essere rubino bianco ; 
laonde di questa spezie di rubini non si 
mettono in opera , ed io ne ho trovati e 
veduti ne^ ventrigli delle grue , insieme con 
turchine bellissime, e vene avevano talora 
dei colorati , e delle plasme insieme con 
qualche perletta : e ciò m^ è occorso di 
vedeire , essendomi io in giovanezza dilettato 
di tirare d' archibuso. Ora , per tornare al 
nostro proposito, parlando de^ rubini bian- 
chi , diciamo , questi Uon servire a nulla , 
ma solo darci indizio, per là loro durezza ^ 
€sser della spezie del rubino ancor essi. 

Avendo promesso voler dire alcuna cosa 
del carbonchio ; gioia preziosissiiiia j^ per 



tó CELLIBI 

ritroTarsene di questi rarissimi, diremo bre« 
Temente la notizia , che di essi abbiamo* 
Nel tempo di Clemente VII. ci occorse di 
vederne uno ad un certo mercante Ragù- 
geo j detto Biagio di Bona. Questo era un 
carbonchio bianco , di quella bianchezza che 
noi abbiamo detto ritrovarsi in quei rubini, 
dei quali poco di sopra abbiamo fatto men- 
zione; ma riteneva in se un fulgente tanto 
piacevole e mirabile , che egli risplendeva 
nelle tenebre , ma non-quanto i carbonchi 
colorati , ben è vero y che in luogo oscu- 
rissimo io lo vidi rilucere in guisa d^ un 
fuoco alquanto smorto. De' carbonchi colo- 
rati poi non m' è occorso vedere, ond'io 
qui solo porrò quello , che di essi intesi , 
ragionando nella mia gioventù con un gen-^ 
tiluomo Romano, molto vecchio in materia 
di gioie, il quale mi disse, che un certo 
Jacopo Cola in tempo di notte, essendo 
in una sua vigna j vedde nel mezzo di essa 
risplendere in guisa di un picciolo carbon- 
cino di fuoco, a' piedi di una vite, perchè 
andato vicino , dove gli pareva di aver 
veduto quel fuoco né ritrovandolo , diceva, 
che ritornato nel medesimo luogo , donde 
V aveva di prima veduto , e ritrovato il 
' medesimo splendore , cotanto V osservò ^ 
che egli si condusse a pie di esso , dove 
raccolse una picciola pietruzza ; la quale 
presa con maravigJiosa allegrezza , ed il 
giorno seguente portandola a lùostrare a 
diversi suoi amici ^ mentre che egli raccon* 
lava in che guisa Y avesse trovata , abbat- 
tendosi a tal ragionamento un Ambasciatore 



\ 



OREFICERIA, 5^ 

Veneziano^ pratichissimo di gioie, vedutal^i 
subito conobbe quella esser un carbonchio; 
onde eoo destra maniera^ prima che si par» 
tisse da detto Jacopo ( non vi essendo nes* 
suno clie conoscesse il valore di sì preziosa, 
gemma) la comperò da esso per valore di 
scudi dieci y ed il giorno seguente si partì» 
di Roma per non esser costretto a renderlo^ 
e fecondo ch^ egli affermava , di quivi a 
certo tempo y diceva essersi inteso , che il 
detto gentiluomo Veneziano in Costantino- 
poli vendè questo carbonchio al Gran Signo- 
re , di nuovo creato in que' tempi , scudi 
centomila: e questo è quanto posso dire 
intorno a^ carbonchi. Avendo ora trattato 
quello che è di nostro proposito circa la. 
pietre preziose e deìV arte del gioiellare , 
diremo brevemente di quella del niellare. 



CAPITOLO IL 



Deir arte del niellare^ e del modo 
di fare il niello. 

iNfiLL'anno mdxv, che io mi posi a 
imparare V arte dell' oreficeria y l' arte di 
intagliare di niello si era quasi del tutto 
dismessa ; e oggi in Fiorenza fra i nostri 
orefici è poco meno clie del tutto spenta* 
Ma sentendo io dire del contiuovo in que* 
tempi dai vecchi orefici^ quanto fosse vaga 
cotale industria, e particolarmente quanto 
' Maso Finiguerra ^ orefice Fiorentino , in. 



3 a CELLUJI 

detta arte di niellare avesse Yaliito , còd 
grande studio mi posi a seguitare le vestigie di 
questo valente orefice ; e non solamente mi 
contentai d^ imparare' a intagliar di niello , 
ma volli apprendere ancora il modo di fare 
detto niello^ per poter più facilmente e con 
miglior fondamento operare in dett' arte: ma 
prima parleremo del modo di fare il niello. 
Pigliasi primieramente un^ oncia d'ar« 
gento finissimo, due once di rame benissimo 
purgato^ e tre di piombo , similmente pur- 
gato e netto. Poi s' avrà un coreggiuolo 
capace a ricevere la quantità dei detti me- 
talli^ avvertendo , che prima si debbe méttere 
in detto coreggiuolo un^ oncia d^ argento e 
due di rame , e quello porre nel fuoco a 
vento di manticetti , e quando T argento' 
e '1 rame sarà bene strutto e bene mesco- . 
lato^ aggiungavisi il piombo. Fatto questo, 
subito si tiri indietro il coreggiuolo, e pi- 
glisi un carboncino colle molle e con esso 
si mescoli benissimo \ perciocché facendo 
il piombo per sua natura sempre un poco 
di schiuma , bisogna procurare , il più che 
si possa , di levarla col detto carbone ^ sia 
tanto che i detti tre metalli siano bene in- 
eorporati e N|>en netti. Abbiasi poi in ordina 
una boccetta di terra, tanto grande quanto 
è uno de^ nostri pugni, la qual boccia 
cotanto vuole avere la bocca stretta, quanto 
un dito vi possa entrar dentro. Questa si «dee 
empiere insino a mezzo di zolfo benissimo 
pesto; ed essendo le dette fusioni de^ metalli 
benissimo strutte, cosi calde si getteranno 
nella detta boccia , e subito si turerà con 



OKEFICERIA. 33 

tm poco di terra fresca, tenendovi aopra la 
mano e turandola con un gran pezzo di 
pannaccio lino ; e mentrechè si fredda la 
aetta composizione ^ si dee dimenare contino- 
vamente la mano^ tanto che ella si freddi j e 
come è fredda^ cavisi di detta boccia, rooi« 
pendola, dove si vedrà, che per virtù di 
quel zolfo , la detta fusione ( che si chiama 
niello) avrà preso il suo color nero. Bea 
si dee avvertire , che lo zolfo vuol esser del 
più nero, che si possa avere. Ciò fatto pi- 
glisi il detto niello, il quale sarà in più gra- 
nella; quantunque il dimenare, che ora di- 
cemmo, che si ha da fare colla mano, non 
sia ad altro fine , che per metterlo insieme 
J^iù che sia possibile: però in quella gui* 
»a , che egli si ritrova , si rimetterà in un 
coreggiuoletto , come prima si fece, e si 
fonderà con lento fuoco , mettendovi sopra 
un sgranello di brace: cosi si anderà rifon- 

D 11" 

oendo insino a due o tre volte, ed ogni 
volta si dee rompere il detto niello, guar- 
dando la sua grana , la quale come si vede 
benissimo serrata , il niello avrà la sua per- 
fezione. \ 

Parleremo ora del niel^re, cioè del 
modo di adoperare detto niello in intagli 
d' oro o d' argento ; essendoché in altri me- • 
talli, che in questi due più nobili degli al- 
tri, non si niella, piglisi quel lavoro, che 
«i sani intagliato; e perchè* la bellezza del 
niellare consiste, che egli venga unito e 
«enza certi bucolini} perciA bisogna farla 
bollire nell'acqua con molta cenere di 

CelUni Senv. Voi IIL , 3 



34 èElLlNI 

quercia , la quale ha da essere Dettissima : e 
quest' effetto , che si fa , vien detto fra. gli, 
orefici fare una cenerata.' Dopo che 1 tuo. 
intaglio sarà stato nel calderone a bollire^ 
dov^ egli si pone colla detta cenere per ìspa- 
zio d^ un quarto d'ora, si dee dipoi met- 
tere in una catinella con acqua freschissima 
e nettissima, e con un paio ai setolìue netta 
strofinar benissimo F intaglio, fin che sia 
pulito e libero da ogni sorte di bruttura*. 
Fruscia si vedrà di accomodare sopra unp 
strumento di ferro lungo tanto , che tu lo 
possa maneggiare al fuoco, la quale lun- 
ghezza debb^ esser tre palmi in circa ^ più o 
manco 9 che sia di bisogno, secondo la qua- 
lità deir intaglio : ben si dee avvertire, che . 
il ferro, dov'egli si lega^ non sia né troppo 
sottile né troppo grosso, ma di sorta, che 
quando altri si metta a niellare F intaglio, il 
iuoco l'abbia riscaldato egualmente^ percioc* 
che se prima Tintaglio^ che il ferro, o il fer- ^ 
ro, ohe l'intaglio si, riscaldasse, non si &rebbe 
opera buona; laonde si dee a tal cosa stare , 
molto avvertito. Ciò fatlo piglisi il niello e 
pestisi sopra l'ancudine o sopra un porfido ^ 
te;)endolo in una gorbia o cannone di ra- 
me, acciocché nel pestarlo non ischizzi via; 
avvertendo ^ che il detto niello debb^ esser 
pesto e non macinato , e pesto molto egua- 
le, facendo si, che egli sia grosso come 
le granella del miglio o del panico, t non. 
manco niente. Ridotto in tal termine il niel- 
lo, mettasi in vasetti o ciotolette invetria* 
t^ , e con acqua frésca e pulita lavisi 
molto beue^ acciocché egli sia netto dalla 



OREFICERIA. 35 

polvere e da ogoi cosa j che lo potesse 
rendete impuro, meatrechè egU si pesta. 
Indi si prenda una palettina di ottone o 
di rame , e distendfasi sopra V intagliata 
opera , aito quanto una costa di coltello 
ordinario da tavola;, inoltre vi si getti so-* 
fra uà poco di borace byen pesta, ma non 
vi se ne ponga troppa. Mettasi poi alcune 
legnette sopra certi pochi carboncini, le quali 
Si accenderanno alla fabbrica col mantice; 
€ come il fuoco sia in ordine^ accostisi de- 
atramente V opera al detto fuoco , e comin- 
cisi a darle moderato caldo, sin tanto che 
M vegga cominciare a -struggere il niello j 
perciocché come egli si comincerà a strug- 
gere, non bisogna dargli tanto caldo, sic* 
che la tua opera s'infocasse e divenisse rossa.^ 
essendoché^ quand'ella si fa troppo cal- 
da ,. viene a perdere le sue forze e divien 
molle in guisa, che il niello^ che per la 
niaggior parte è composto di piombò, di- 
vora r opera, o d'argento o d' prò, che eUa 
sia fatta; laonde vane ritornerebbono Tal- 
jbui fatiche, e però bisogna usare in ciò 
grandissima diligenza. Ma tornando alquanto 
addietro 9 diciamo, che quando si avrà, 
l' epera sopra le fiamme, si dee procurare 
d'arer un filo di ferro alquanto grassetto | 
e stiacciarlo dalla testa dinanzi, Ai qu^l 
testa si terrà nel fuoco; e alloracbè si vedrà 
cominciar a struggere il niello , si dee il 
detto ferro caldo strofinare sopra F intaglio : ^ 
perciocché essendo T uno e l' altro cal- 
do , si verrà il niiello a fare in gui^ di 
cera strutta, e cosi meglio si potrà unire q 



39 CELLIVI 

distendere sopra T intaglio. Come T opere 
sarà fredda ) comincisi con una lima gentile 
a limare il niello ; e come sen^ avrà limato 
certa quantità ( la quale non sia però tan- 
ta, che scopra l'intaglio^ ma sia vicina al 
discoprirlo ) mettasi l' opera sopra la cinigia 
o veramei^tie sopra un poco di brace accesa; 
e com'essa sia calda tanto, quanto la mano 
pon la sopporti , allora si dee pigliare un 
brunitojo d'acciaiò, e con un poco d^ o- 
lio si brunirà il niello, aggravando tanto 
la mano , quanto comporta l' opera. Questa 
brunitura è solamente fatta per riturar certe 
spugnuzze , che alcune volte vengono nel 
niellare, al qual difetto si andrà, facilmente 
riparando con pratica e pazienza , se in tal 
guisa ci governeremo. Ma per recare Y opera 
a fine dee il prudente artefice ripigliare il 
rasoio e finir di scoprire T intaglio^ e di' 
poi' avere tripolo e carbon pesto, e oca 
una canna fatta piana dal lato del midollo ^ 
accompagnato l'mtagUo con acqua ^ cotanto 
dovrà stropicciarlo, che egli vegga la sua 
opera unita e bella. E fin qui basti d^ aver 
trattato dell' arte del niellare , ancorché bre« 
vissi m^men te se ne sia ragionato; avvenga* 
che la difficultà di quest'arte forse ricerca* 
va, che io fossi più prolisso; ma perchè 
quando da principio deliberai di scrivere di 
tali arV , proposi meco medesimo ancora di 
pon uscire de^ confini della brevità, però 
trapasseremo a dire delibarle di filo^ noB 
meno di questa diificHe e vaga, • 






OKISI^ICERIA. / ìf 



CAPITOLO m. 

Deir arie del las^orare di Jilo , del moda 
di fare la granagfiay e del saldare. 

• VfuaDtanque non mi sia occorso di far 
moU^ opere di filo , nientedimeno gi^ ne feci 
alcune molto difficili. Ma perchè T arte è 
l'agilissima ed a giudizio degF intendenti 
stimata molto bella ^ awengachè chi in 
essa si vuole esercitare bisogna , che abbia 
lume non piccolo di disegno per i fo- 
gliami e trafori^ che in essa intervengono; 
perciò ne {>arleremo diligentemente ^ non 
avendo riguardo , che ancor Questa oegi sia 
poco in uso. Servivansi già 'alcuni deirarte 
del lavorar di filo in ornar puntali e fib^* 
bìe per cinture, a far crocette, pendentif 
ifcatolini, bottoni, opiandorlette per riem- 
piere di muschio , le quali di presente molto 
si costumano^ coperte da ufizioU, coperta 
da Brevi per portare al collo, e simili*^ ed 
ancora si è fatto di tal lavoro maniglie | 
e altre opere vaghissime e ingegnosissime. 
E da sapere adunque , che tutte quelP ope- 
re, che in essa arte si fanno, escono d^una 
piastra o d^ oro o d^ argento , alla quale 
dato che si ha quella forma ^ che più si 
desidera , si prepara la sorta del filo , di che 
si ha di bisogno j perciocché vi sono tre 
grossezze di filo, cioè grosso, sottile e 
mezzano > e puosseae fare ancora sino alla 



«^^ 



38 CBLLINI 

auarta gros3ezza. Ma prima si abbia fatto 
suo disegno , bene studiato e considerato. 
Inoltre provveggasi della* granaglia, la quale 
si fa brevemente in tal guisa. Piglisi l'oro 
o r argentò, che si vuol granagliare, e pon« 
gasi a fondere, e quando è benissimo strut*^ 
to^ gettisi in un vasetto pieno di carboa 
pesto , e cosi verrà fatta la granaglia d^ ogni 
sorte. È necessario ancora di provvedere sal- 
datura di terzo, che eoa vien detta, percioc- 
ché si piglia due once d^ argento una di 
rame; e quantunque molti usino di tor 
della saldatura d' ottone^ e di quella servir- 
si , meglio è però saldare col rame , e manco 
pericoloso. £ parlando delle saldature di-* 
ciamo, ch^elle si debbono limare pulitamene 
te, mettendo sopra tre parti ^i saldatura 
una di borace benissimo macinata, la qual 
saldatura mescolata assai colla detta com- 
posizione si metta in un boraciere. Piglisi 
poi del dragante e pongasi a molle in una 
ciotoletta; e ordinate tutte le sopraddette 
cose , si avrà ancora apparecchiato due paia 
di mollette, le quali vogliono essere assai 
ben gagliarde. Con queste troverassi in- 
sieme uno scarpelletto augnato in guisa di 
quelli, che adoperano i legnajuoli, ma la 
sua asta dee esser simile a quella de' bulini. 
Di questo scarpelletto ci serviremo a ta- 

{|[liare i fili più volte , secondochè richiede il 
avoro, che si ha dinanzi. Provveggasi an-* 
Cora una / piastra di rame della grandezza 
della palma della ' mano , e sia di ragione- 
vole grossezza e benissimo spianata, so- 
pra la quale si porraono i fili, di che ci 



.^ OREFICEKU. 3§ 

abbiamo a servire ] e dopoché si sarà Volto 
il filo^ secondo il suo volere, appoco ap* 
poco si comincerà a mettere sopra la "piastra^ 
cbe si ha da lavorare; e preso un pennellino 
molle nell'acqua di draganti (che di so* 
pra dicemmo) di mano in mano si bagne* 
ranno i fili, e quelle gallette grosse e pie* 
cole. Perciocché mentreché si compone il 
fogliame dell'opera^ o altro partimentO| 
quesf acqua di draganti tiene il lavoro in- 
sieme^ -si che egli non si muove. E deesf 
avvertire ogni volta che si sìa composta 
una parte del lavoro, prima che la detta ac* 

a uà si rasciughi^ che col boraciere vi sì 
ee gettare sopra della limatura di saldafu-* 
ra , quanto sia bastante a saldare V opera ^ 
e non pi^; perché la troppa saldatura rende 
brutto il lavoro. Quanao poi si vuol sai* 
dare il lavoro, bisogna aver in ordine un 
fornelletto come quelli, che servono per 
{smaltare. E perché é gran differenza dal 
modo di far correre lo smalto al modo di 
saldare i lavori di filo , perciò deesi dare al 
detto fornello mancò fuoco, che quando 
serve per ìsmaltare. Ciò fatto accomodisi so* 
pra una piastretta di ferro il lavorò, e ap« 
poeo appoco s^ accosti al caldo del fornello; 
è così si faccia fin tanto , che la borace ab* 
bia ribollito e fatto T effetto , che comporta 
la sua natura; essendoché il troppo caldo 
farebbe muovere i fili , di che si compone 
il lavoro , e però si dee provvedere in que- 
sto con una destrezza infinita , ed imposti** 
bile ad insegnarla, se non col mezs^o della 
pratica. Messo cbe ìMavoro sarà nel fupco ^ 



^Ó CELLIiri 

Teggasi accuratamente^ che la saldatura 
scorra; e nel mentre che si yien saldando, 
abbiansi alcune picciole légnuzze ben sec« 
che, e con un poco di vento di màntaco 
vadasi con discrezione aiutando il fuoco, o 
si soccorra con un poco di crusca ^ossa; 
éhe anche questa messa a convenevol tempo 
fa il medesimo eflfetto. Saldato che sarà 
il lavoro la prima volta, se l'opera sia 
d^ argento, si farà bollire nella gomma di 
botte insieme con sale, e tanto vi bolhrà, 
che il lavoro sia sboraciato ; la qual cosa si 
conseguirà per termine di un terzo d^ ora. 
Ma essendo V opera d' oro , si dee por nel* 
l'aceto forte, tanto che sia ricoperta, aggio- 
gnendovi un poco di sale , come di sopia 
si disse, e quivi si dee lasciare per ìspa- 
sfo di un giorno e di una notte ; e ciò 
fatto si potrà cominciare a traforare alcuna 
di quelle rosette ^^ che saranno nel compar- 
timento deir opera, le quali danno molta 
vaghezza a^ riguardanti j perchè quando al- 
.cuni traforetti, messi con disegno a^ loro luo- 
ghi , si veggono ne' lavori di filo , sono giu« 
dicati molto belli dagF intendenti. Ma poiché 
io sono venuto con proposito a ragionare 
della vaghezza de' trafori nelP opere di filo , 
non voglio lasciare indietro di non dire 
(se non con altro fine per recreazione del 
lettore) come in Parigi nel mdxli. essendo 
al servizio del magnanimo Re Francesco, 
m^ occorse di vedere un^ opera lavorata 
di filo molto maravigliosamente : certo , che 
questa digressione non sarà lontana dal 
nostro proposito^ come in hte\% $i potrà 



ORKPlCEltlA. , A% 

lìreclere. Mentrechè io lavorava in quella 
nobilissima città per lo detto Re, (dove 
quattr^ anni continovi feci dimora , essendo 
da Sua Maestà veramente con animo reale 
premiato; perciocché non contento, di avermi 
remunerato splèndidamente delle mie ope- 
re, mi donò un castello detto il Pitittj> 
Nelles: e ciò sia detto, non perchè io 
mi creda di aver mai cotanto meritato, 
ma per non defraudare T opere egregie di 
così valoroso Signore ) egli un giorno , che 
era andato al Vespro nella Cappella Reale , 
mi fece intendere dal gran Gonnestabile, che 
dopo il Vespro io mi dovessi appresentare 
da Sua Maestà : così andato nel dotto luogo 
mi disse, che mi aveva fatto chiamare 
per mostrarmi alcune belle cose, e sopra di 
^SA% intendere il mio parere, siccome sopi:a 
certi (Cammei antichi , della grandezza di una 
palma di mano 3 alla qual dimanda avendo 
io soddisfatto nel miglior modo , che io sa^ 
peva, e con ogni debita riverenza, alla fine 
mi mostrò una tazza senza piede , da bere, 
lavorata di filo, la quale era di ragione- 
'vole grandezza , e di leggiadri fogliametti or* 
nata, 1 quali andavano scherzando intorno 
a diversi compartimenti fatti con gran dise^ 
gno; ma quello che più la faceva parere 
maravigliosa , era , che infra i fogliami e 
i ' partimenti , quegli sfondati erano stati 
tutti da quell'ingegnoso artefice ripieni di 
amalti di varj colori ; laonde quando si al- 
zava la detta tazza alF aria , tutti quegli 
«malti trasparevano in guisa tale, che cosa 



4 3 CELLINI 

vaghissima era a vederla , e quasi pareva 
impossibile a essere stata a tanta perfezione 
condotta. Adunque sopra il lavoro di que- 
sta tazza fui dal Re dimandato, se io còni' 
prendeva in che modo ella fosse lavorata, 
soggiugnendo, che sopra dì ciò io gli par- 
lassi minutamente : alle quali parole rispo- 
si y che io direi particolarmente il modo , 
che fu tenuto per far un tal lavoro, il 
quale è questo. 

Volendo condurre una tal opera , biso- 
gna fare una tazza di piastra di ferro sot- 
tile > e questa debb' essere maggiore una co- 
sta di coltello della tazza , che s' ha da fare ; 
poi si dee pigliare la detta tazza , e con un 

Eennello darle un loto di terra sottile dalla 
anda di dentro : il qual loto si fa di terra^ 
cimatura e tripolo macinato benissimo. Ciò 
fatto si piglia il filo ben tirato ; e debb* es«* 
sere alquanto grossetto, sicché quando egli 
si stiaccia col martello sul tassetto , egK 
penda più presto nel largo , che altrimenti | 
di maniera che quando egli sia stiacciato , 
venga della larghezza d^ua nastro grande 
quanto due coste di coltello, e sottile quanto 
un foglio di carta reale, ma si dee proc- 
curare di stiacciarlo egualmente : poi benis- 
simo si ricuoce , acciocché egli sia tanto più 
facile a volgerlo colle mollette. Ciò fatto co- 
mincisi, secondo il disegno che «i avrh in- 
nanzi , a comporre col detto filo stiacciato 
nella tazza di ferro di dentro i primi or* 
dini di quegli scompartimenti, di mano in 
mano appiccahdogli con acqua di dragante 
sopra il detto lotO; e mesi^i che mno' 



OREFICEIUA. 43 : 

tutti i primi partimenti e profili ^ si dee 
poi fare i fogUami per ordine, secondochè 
mostra il disegno , appiccandogli foglia per 
foglia nel modo detto. Come tutta l'opera 
sia poi accomodata nella maniera *, che ab* 
biamo divisato , si dee avere preparato gli 
smalti di tutti i colori , benissimo pesti e 
lavati; e quantunque il lavoro si potesse 
saldare, prima che si ponga lo smalto ( nel 
modo, che già si disse ragionando de^ la- 
vori di filo ) pur si può fare nelP uno e 
nell'altro modo, cioè col saldarlo e senza. 
Piglisi adunque lo smalto, e con giudizio 
si riempia tutto il lavoro di diversi colorì', 
e poi si metta nel fornello, facendo scor- 
retre il detto smalto^ Ma la prima volta bi- 
sogaa dargli pocp fuoco, dì nuovo riem- 
piendo il detto smalto tanto, che egli avanzi: 
cosi dandogli poi fuoco alquanto maggiore, 
radasi rivedendo, se in qualche luogo Po- 
pera ab|>ia di bisogno d'esser ricaricata di 
smalto. Ciò fatto, diasf^gli un gran fuoco, e 
tale^ quale il detto lavóro e i detti smalti 
possono comportare , e che l' arte richiede : 
la qual cosa si renderà facilissima per ca- \ 
gione di quel loto , che si dette , il quale 
avrà difeso quegli smalti, che non si sieno 
attaccati. Con certe pietre dette frassinelle, 
e con acqua fresca si va poi spianando gli 
smalti, finché vengano per* tutto eguali. Indi 
con altre pietre gentilmente si va pulendo 
l'opera; e l'ultimo pulimento si fa col 
tripolo e. con una. canna ^ come si disse par- 
lando del niello. Con questo ragionamenta 
adunque lasciai soddisfatto quei generoso 



4^ CELtini 

Re del desiderio, che aveva d'intendere,' , 
come /osse fatta la detta tazza: e mi diste$i 
a parlare di queste minuzie dell'arte eoo 
Sua Maestà, perciocché egli grandemente 
pigliava diletto d^ udir ragionare di simili 
cose; che altrimenti sarebbe stato sconve- 
nevole tediare cosi nobili orecchie» con sì 
umile ragionamento ] il quale ho voluto qui 
porre (come di sopra dissi) per essere di 
nostro proposito. Ora verremo a trattar^ 
delParte dello smaltare. 



CAPITOLO IV. 

Deiy arte dello smaltare in oro e in ar* 
gènio y e della natura et alcuni smalti. 

i^ome già dicemmo^ in Fiorenza Tarte 
dello smaltare è grandemente fiorita , ed ia 
tal guisa, che, gli ocefici della Fiandra e 
della Francia ^ dov' ella è molto in uso ^ 
non poco acquistarono a' lor lavori me- 
diante l' osservazioni y che essi fecero sopra 
le opere di smalto de' nostri artefici , avendo 
considerato, che quello era certamente il 
vero modo di smaltare ) ma perchè tal modo 
era non poco difficile d^ conseguire^ vi- 
ebbe di quegli , che tentarono altra maniera 
più facile di lavorar detto smaltcf, ed in 
quella con grandissima pratica esercitandosi 
condussero infinite opere, le quali merita- 
rono d' esser molto lodate da quelli , che 
poco esperti ^rano di tal arte. Ma vependi» 



^ OREFICERIA. 4^ 

óoi a parlare del vero modo di smaltare^ 
diciamo primieramente , che si dee fare una 
piastra d^oro o d'argento alquanto gros-» 
fletta e condotta in quella fornia^ che si 
dee far l'opera^ e questa si appicca sopra 
uno stucco^ che si fa di pece greca e mat-* 
ton pesto, sottilmente incorporato con un 
poco di cera: ma si dee avvertire alla sta- 
gione^ in che altri si ritrova; imperocché 
se sarà d'inverno^ vi si ha da metter più 
cera , e se di state y ponga visene manco. Ap- 
piccasi poi il detto stucco sopra una stecca 
o grande o piccola , secondo la grandezza 
del lavoro; indi si piglia la detta piastra 
scaldandola^ e dopo che sìa calda^ si appicca 
sopra la detta pece , come s' è detto« Ciò . 
fatto segnisi un profilo con un paio di se« 
ste piccole ^ il qual profilo sia manco d^ una 
costa di coltello , e poi s' abbassi tutta la 
detta piastra ; appunto^ quanto ha da es- 
sere la grossezza dello smalto con molta 
diligenza. Come si darà ridotta la piastra 
in tal termine , disegni visi tutto quello 1 1 
che si vuole intagliare y o siano figure ,. 
fogliami o animali y e tutto s'intaeli^ col 
bulino e colle ciappolette con diligenza 
grande. Debbesi fare il lavoro «di basso ri« 
lievo della grossezza di due fogli di carta 
ordinaria , intagliato con ferri sottili, e mas- 
simamente i profili; ma essendo figure ve- 
stite con panni, è da sapere, che i panni 
sottili mostrano benissimo per cagione delle 
spesse pieghe, che si fa in essi. Ben è di 
grande importanza e vaghezza fare il la- 
voro pieno dentagli, pieghette o fiori, i 



46 CELLINI 

quali 8Ì fanno sopra i panni grossi ,* to^ 
lendo dimostrare un dommasco; perciocd^è 
questa diligenza si fa ^ perchè^ oltre alia 
Taghezza , finito che si sia di smaltare ^ lo 
smalto non ìschìzzi 3 e quaiUo pia' pulita-» 
mente si farà T intaglio ^ t^nto più bella 
Terrà. l'opera. Ancora si debbe avvertire di 
non toccare V opera con ì ceselli e coi 
tnartello con credenza di far pia bello il 
basso rilievo, perchè gli smalti o non si 
appiccano o fanno brutta la smaltatura; 
Quando s'intaglia, è forza di fregar F inta- 
glio con un poco di carbone di salcio o di 
nocciuolo y strofinandolo insieme con un 
poco di scili va, acciocché si possa meglii9 
scorgere quel(o , che V uomo intaglia ; es^ 
sendochè il lustro, che vi faniio que' fer- 
ruzzi, non lascerebbe veder bene P opera; e 
perchè per tal cagione la dett^ opera diviene 
alquanto unticcia e lorda, finito che sia 
r intaglio , sì dee bollire in una cenerata 
nel modo, che dicemmo faVsi ne^ lavori di 
niello. Ma prima che venghiamo a ragio-- 
Dare del modo dello smaltare in argento e 
in oro (ne' quali modi indifferentemente si 
trovano alcune diversità per òonto della sta- 
gione degli, smalti , siccome avviene dello 
smalto rosso trasparente, che non si può 
adoperare a smaltare in argehto, perciocché 
l'argento noi piglia) diremo alcuna cosa 
sopra gli smalti particolarmente. Era in 
uso quest' arte appresso gli antichi ; ma per 
quello , che s' è ito per diverse osservazioni 
congetturando , essi non ebbero cogni/.ione 
di quella sorta di smalto rosso trasparente^ 



ORBPICE&IÀ. 4? 

la qaal sorta di smalto fu ritrovata da un 
oretìce, che si dilettava dell' archimia , il 
quale teutaodo di far oro, e nella fusione 
de' suoi metalli restandogli nel coreggiuolo 
una loppa di ,vetro rossa y vaghissima veden- 
dola, fu accompagnata da esso, per mezzcT 
deir esperienza , con gli altri smalti. Questo 
smalto a gran ragione è tenuto da tutti gli 
orefici per lo più bello, e si domanda 
sqialto roggio. Ecci un^ attrà sorte di smalto 
rosso, il quale non è trasparente né di 
bel colore , che si « adopera in suir argen- 
to; il che non interviene dello smalto rog- 
gio (come dicemmo di sopra) che per 
mtolte esperienze fatte non lo riceve. Ma il 
roggio pare, che avendo avuto compagnia 
con altri preziosi metalli, mentre si cercava 
di ritrovar l'oro, non sia dalForo sdegnato, 
e con. esso volontieri s' accordi. Fannosi gli 
smalti di tutti i colori, come di sotto dire- 
mo. Ma tornando allo smaltare, diciamo, 
che lo smaltare non è altro, che un dipin- 
gere; e perciò bisogna aver preparato i suoi 
smalti , e quegli pesti benissimo : la qual 
cosa è di non poca importanza; onde dicono 
comunemente ^ìi orefici: smaho sottile, e 
niello grosso. Pestasi dunque lo smalto in 
una. bacineUa di forma tonda, e di gran^- 
dezza d'un palmo, e questa vuol essere fab- 
bricata di acciaio benissimo temperato; e 
qui dentro posto lo smalto con acqua net- 
tissima, si macina con un martello, pure di 
acciaio , di ragionevole grandezza , fatto ap« 
posta. Alcuni vi sono, che hanno avuto 
in costume di pestargli in sulle pietre di 



V 



48 ctiixfxi 

porfido o di serpentino, e re gli pestano 
asciutti; ma si è sperimentato^ che il modo 
della bacinetta è migliore e più pulito ^ e 
le dette bacinette si fanno in Milano. Ora 
cotn^ e' si sarà pesto sottilissimamente lo 
smalto , per mezzo dell' esperienza ritro- 
viamo esser megKo scolare V acqua y dove si 
sarà pesto, e subito poi mettere il detto* 
smalto in molle in tant'ac({ua forte ^ quanta 
ricuoprà appunto lo smalto, in un vasel-* 
lino di vetro ; e così si lasci stare per ispa* 
zio di un ottavo d^ ora. Ciò fatto, pigliasi 
ì detti smaltile in un^ ampolletta con mol* 
inacqua chiara e fresca lavinsi molto benCi 
acciocché non vi resti alcuna bruttura; per* 
ciocché quell'acqua for(e, che abbiamo det^. 
lo, lo libera da ogni untume, e l'acqua 
fresca lo purga dalla terra. Lavati che sieno 
gli smalti , ciascuno da per se debb' essere 
posto in un vasellino di vetro o di terra 
invetriata, e si dee procurare di tenerli 
in guisa , che l' acqua non si rasciughi ; 
perchè subito si guasterebbono , ponendovi 
su del tutto acqua nuova, e però bisogna 
mantenere quella , in cui sono posti. Ora 
noti diligentemente F orefice, che desidera, 
che i suoi smalli vengano bellissimi. Piglisi 
un pezzo di carta .nettissima^ e quella si 
mastichi o si metta in molle , e dirompasi 
con un martello, e ciò fatto lavisi bene, ac- 
eioGchè l'acqua n^esca; e di questa si ha 
da servire come se fosse una spugna, met* 
tendola di mano in mano sopra gli stnalti ^ 
che si pongono sopra il lavoro; perciocché 
quaùto più asciutti si terranno, tanto più 



OREFICERIA. 49* 

bella diverrà P opera. Non voglio lasciare 
indietro aacora un altro avvertimento y il 
^aale importa molto alio smaltare, ed è 
qaesto. Prima che V orefice si prepari a 
smaltare T opera , si dee pigliare una pia- 
stretta d^oro o d' argento, e sopra essa si 
debbono porre tutti gli smalti che si hanno 
da adoperare, facendo sopra la detta piastra 
tante ctivernelle con una ciappola , quanti 
saranno gli smalti ; . indi si pesta di tutti 
un poco per farne saggio, che serve a ve« 
dere qual sia più o manco facile al cor- 
rere, essendo necessario, che tutti gli smalti 
corrano a un tratto; perchè quando T uno 
fosse tardo e l' altro veloce , 3^ impedireb- 
bone r un 1' altro , e nulla si condurrebbe- 
a perfezione. Per meglio poter adoperarci 
detti smalti , si usa nelP arte uno strumento 
detto palettiere , il quale si fa di piastra 
di rame sottile e si taglia a imitazione 
delle dita delia mano; fé quali si debbono 
&re in numero di cinque o sei dita al 
più , e larghe quanto un dito. Dipoi si fa 
un piombo in guisa di pera , e il suo pic^f 
ciuolo o gambo è di ferro ; e perchè a 
tutte quelle dita di rame si fa ioro un 
buco , perciò si pongono V uno sopra. F^al* 
tro nel picciuolo della detta pera, la quale 
si tiene innanzi alF opera , che si fa ; e 
quelle palettine , che son fatte in guisa 
di dita , Volendole poi mettere in opera, si 
aprono^ e sopra esse si pone a poco a poca 
i suoi smalti secondo la discrezione e pra- 
tica. Fatte le dette diligenze, si potrà co* 
miociare a smaltar \ opera di basso rilievo^ 
CdlirU Ben. Fol IH. 4 



50 CELLI»! 

tenendo sempre coperti i vasetti , dove si- 
serba lo smalto^ acciò stieno sicuri dalla 
polvere: ed in ciò si dee usare quella de* 
«trezza che farebbe un pittore volendo di- 
pìgnere; che ( come s' è detto ), lo smaltare 
e molto simile ; perchè gli smalti si lique<! 
fanno , come i colori : quegli si liquefaano ^ 
coir olio e qpir acqua, e questi si liquefanno 
col fuoco. Piglinsi adunque con una palet- 
tina di rame piccola gli smalti^ e quegli si 
distendano a poco a poco sottilissimamente 
sopra r opera, con vaghezza compartendo 
la varietà de^ colori degli smalti; perciocché 
sene trovano di color verde, incarnato, ros- 
so, pagonazzo, tanè, azzurro, bigio, cappa 
di frati , e cavezza ^i moro , che cosi è il 
nome del colore di detto smalto : a questi 
s' aggiugne il colore dell'acqua marina, il 
quale è coldr molto bello e si adopra be- 
nissimo in oro e in argento. Non connu- 
mero fra questi il colore dello smalto 
bianco e turchino, perciocché questi nòa 
si pongono fra gli smalti trasparenti. La 
prima volta , che s' impone lo smalto , si 
domanda dar la prima pelle , la quale si 
pone sottilmente e con gran diligenza; pef- 
ciocche bisogna proccurare di mettere la 
diversità de' colori nettissimamente e in tal 
guisa , che paiano miniati , e non che uà 
colore si sparga nell' altro. Condottp che si 
sìa il lavoro a perfezione, si avrà in ordine 
il fornello bene acceso, di carboni dolci ; e 
de^ fornelli parlerò altrove, mostrando fra 
le diverse sorti , che sene fanno , ,qual sia 
la migliore. Debb' essere il detto fuoco a 



OREFICERIA. 5 1 

proporzione dell' opera x;he vi si pon dentro; 
e com^ egli sia nella sua stagione , si porrà 
il lavoro sppra una piastra di ferro ^ la qual 
piastra sarà tanto più grande del lavoro^ che 
y' e posto sopra^ quanto ella si possa pigliare 
colle molle ; e dopo che colle dette molle 
sia presa ^ si accosterà alla bocca del for- 
nello , tenendovela tanto appresso , ch^ ella 
comìnci a pigliare il caldo; indi a poco a 
poco^ come si vede essere ben calda, met- 
tasi V opera dentro al fornello nel mezzo ; 
avendo grandissima avvertenza^ come lo 
smalto comincia a muovere di non lasciarlo 
scorrere affatto, ma cavar V opera fuori del 
fornello e trattenerla a poco a poco , ac- 
ciocché ella non si freddi a un tratto. Come 
sia poi ben freddo lo smalto^ diasi la se^ 
conda pelle al lavoro in quella guisa, che 
si fece la prima , della quale s^ è detto ; e 
poi si rimetta nel fornello , ma diasegli al- 
quanto più fuoco, e di nuovo si tiri J^ora 
nel modo detto di sopra y e vedendo che 
il lavoro abbia di^ bisogno d^ esser caricato 
di più smalto in qualche estremità delle 
sue parti ^ a ciò si dee supplire con discre- 
zinne, la quale, come abbiam detto, è dif- 
ficile a essere insegnata. Avvertiscasi a far 
fuoco fresco air opere^ cioè che il fornello 
3Ì rinnovi di carboni ; ed allora^ che sieno 
accesi nella loro stagione, si dia al lavoro 
sicuramente un buon fuoco , però tale quale 
comporta lo smalto e Foro, Dipoi tratto 
foora del fornello con grandissima prestezza, 
facciagli vento con un manticetto un garzone, 
finché con quel vento 9Ì freddi : e questo si 



ÌÌ2 OEtiLIIff 

fa solo ^ove intervieue lo smalto roggio ^. 
perciocché egli ha in se questa proprietà, 
che sentendo il fuoco ultimo, oltra il cor« 
rere come gli altri smalti y di rosso diviea 
giallo, e tanto giallo, che egli non si di« 
scerne. dalPoro : il qual effetto dagli orefici 
si domanda aprire. Però , com^ egli sarà 
freddo^ si dee colle molle pigliare e ri'* 
mettere nel fornello con fuoco molto de- 
bole, al contrario del secondo, perciocché 
vuol essere gagliardo, e quivi si vedrà a 
poco a poco ritornar rosso ; ed allora si 
aebbe por cura , se égli avrà ^uel colore , 
che si desidera, di trarlo presto dal fuoco 
e còl detto manticetto freddarlo , perchè 
il troppo fuoco gli darebbe tanto colore, 
che diventerebbe quasi nero. Ciò fatto, ab- 
biansi apparecchiate di quelle pietre frassi- 
nelle , come di sopra dicemmo, e con quelle 
si assottigli tanto lo smalto, quanto si vegga 
a bastanza trasparente e che mostri bene ; 
indi si finisca di pulire col tripolo. Questo 
modo di smaltare si domanda pulire a ma- 
no, ed è il più sicuro e^l più bello. L'ai* 
tro modo di pulire si conseguisce C0SÌ3 per- 
ciocché essendosi scopeirto lo smalto colle 
dette pietre, e assottigliato e lavato molto 
bene con' acqua fresca, sicché egli sia benis- 
simo netto, si rìibette in sulla piastra di fer- 
ro, e avendo a ordine il fornello con nuovo 
fuoco^ messolo a poco a poco dentro, perchè 
non pigli il caldo a un tratto, come sia ben 
caldo si lascia il lavoro nel fornello, fin 
tanto che si veda scorrere tutti gli smalti e 
diventar pallidissioii. Cosi in questa maniera 



OREriQBHIA. 53 

èr (à il secondo pulimento degli smalti , il 
quale si conseguisce più presto^ che ^1 primo: 
ma perchè tutti gli smalti per natura riti- 
rano e ristringono , e chi più e chi manco 
ritira ; perciò in questo modo 1' opera vico 
manco* unita, che quand^ ella si pulisce nel 
primo modo , detto a -mano. Àvvertiscasi 
ancora che dove non è smalto roggio (per-* 
che, come ho detto^ non s'adopera suIFar'* 
f ento ) quando si cava il lavoro del fornello 
si debbe cavare a poco a poco j e con tal 
fentezsa y che gli smalti si freddino da per 
loro e non con violenza^ comesi fa, quando 
fra èssi è lo smalto roggio. Usasi ancora 
di smaltare pendenti ed altri diversi lavori, 
ne' quali non s' adopera la pietra frassi* 
nella ; perciocché v' interviene talora smal** 
tare alcune cose di rilievo , come sono frutti^ 
foglie ; animalucci, mascherette e simili^ le 
quali si smaltano con gli' smalti tsotlilissi-* 
mamente pesti e lavati. Ma perchè nel 
porre gli smalti sopra tali cosette di rilievo, 
consti mand osi assai tempo, gli smalti si ra** 
scingano tanto, che si seccano, laonde nel 
voltare il lavoro cascano a terra ; perciò 
volendo riparare a tal disordine, si dee pi« 
gliare delle granella di pera , cioè di . qqei 
semi che sono nelle pere, di quelli scegliendo 
i non vani 9 i quali si mettono in molle in 
un vasetto di vjetro con poca acqua ; e vo« 
lendo smaltare la mattina , basta ponergli la 
aera. Dipoi cominciando a smaltare , avendo 
messo gli smalti sopra il palettiere, prima 
che si comincino a por gli smalti sull ope- 
ra 9 si dee pigliare una sola gocciola di 



54 CELLIAI 

quell'acqua di seme di pere, e aopra cia- 
scuno degli smalti, che sono sul palettiere, 
se . ne dee porre una gocciola^ e poi comin- 
ciare a imporgli suir opera: essendoché quel^ 
r acqua di seme fa una certa 'coUa^ la quale 
tiene sì, che gli smalti non cascano, né altra 
sorte di colla farebbe un tale effetto. Nel 
rimanente poi si dee usare i modi e le di* 
ligenze, che altrove si è detto ^ non vi.es- 
sendp più di quello, che s^è ragionato, di 
altre differenze da osservarsi volendo smal- 
tare in oro o in argento*. Ma prima che 
ponghiamo fine al nostro ragionamento^ 
qui sarà nostro luogo di far menziono an- 
cora di Caradosso Milanese, il quale valse 
assai in dett' arte di smaltare per non de- 
fraudare gli artefici forestieri e che furono 
eccellenti al pari di quelli della mia patria , 
de^ quali feci da principio menzione , delle 
lodi che loro si convengono; ma perché poco 
di sotto con migliore occasione si debbc 
ragionare delle sue opere, perciò trapasso* 
remo ad espedirci di altre sorti sottoposto 
all' oreficerìa^ siccome è quella del lavorar 
di cesello. 



OBEFICCRIA. 55 



CAPITOLO V. 



DelV arte del cesellare , del rammarginare , 
saldare / arrenare , camosciare y brunire y 
ss^affiare , e colorire i lavori di piastra 
d* oro e d argento. 

JL UTTO quello , che fra gli orefici si do- 
manda lavorare di minuteria, si conduce 
col cesello ; le quali minuterie sono anella y 
pendenti, maniglie e certi medaglie di pia- 
stra y d^ oro sottilissimo , per portare nelle 
berrette e ne' cappelli, nelie quali medaglie 
si fanno figurine di basso , di mezzo e di 
tatto rilievo. In quest' arte^ fra quanti orefici 
sono da me stati conosciuti, niuno (per 
mio parere) ha sopravanzato Garadosso da 
Milano y del quale pur ora abbiamo fatta 
menzione ; perciocché ne* tempi di Lione y 
d^Adriano e di Clemente , Papi y fece opere 
molt^ eccellenti. Era questo valente artefice, 
oltre la sua virtù, ornalo di una sìngolar 
bontà e piacevolezza y ma perchè egli y po- 
nendo grande studio e diligenza nelle sue 
opere , non mai cosi presto finiva i lavori , 
come quelli che del suo artifizio si serviva- 
no, avrebbono desiderato^ conciossiachè egli, 
come amorevole dell' arte- e bramoso di gloria, 
vedeva ciò non potersi acquistare con far 
gran numero d^ opere, e che difiicil cosa era 
congiugnere colla prestezza la perfezione? 



56 cEi^Lmi 

,per questo suo virtuoso costume s' acquieto 

il soprannome di Caradosso ; percioocbè 

avendo egli lungo tempo trattenuto un Si* 

gnore Spagnuolo, a cui doveva finire una 

medaglia, fattolo un giorno il detto Signore 

dinanzi a se chiamare , tij^tto irato gli disse : 

Sennor caraduosso , porque rum me acabais 

mi medallia? la qual parola di Caradosso più 

volte replicata da quel Signore e tenuta a 

mente da lui^ tornato che egli fu a bottega, 

e per piacevol modo raccontando il seguito 

^a^suoi garzoni, volle, che per Caradosso 

sempre lo nominassero; ma divagandosi iL 

soprannome, ed essendogli detto la forza delle 

parole Spagnuole (il significato delle quali 

Benissimo quadrava a un certo sno viso 

Isopico che egli aveva ) mostrò poi sempre di 

adirarsi, quando altri per lo suo vero nome 

non lo chiamasse. Ora tornando dopo que*> 

sta piacevole digressione al proposito nostro. 

diciamo esserci due modi di lavorare di 

cesello^ uno difficile e l'altro più facile; il 

qual modo difficile in que' tempi «ra seguì* 

teto da Caradosso : e perà di tutti due è 

nostra intenzione di parlare ; e prima dei 

più difficile tenuto dal detto Caradosso. 

Usava questo industrioso artefice di far 
primieramente un modelletto di cera, ap^ 
punto della grandezza dell^ opera , , che egli 
intendeva di condurre, lavorato con gran- 
dissima diligenza; dipoi preso il modello, e 
riempiendo di terra i sottosquadrì^ lo forniva^ 
e gettava di bronzo, di ragionevole gran- 
dezza. Ciò fatto, tirava una piastra d'oro, nel 
mezzo alquanto grossetta : non tanto però ^ 



oitEPicmiu. &f 

cbe facilmeote egli a sua volootìi non V a- 
Tesse potuta piegare; e questa faceva due 
eo9te di coltello più grande del suo model- 
letto. Avendola poi ricotta e tirata alquanto 
colmetta^ la metteva sopra il detto modello 
di bronzo , e prima con certi ceselletti fatti 
di scopa o di corniolo, appoco appoco co- 
minciava a f^r pigliar forma alle figurine 
del modello; e perchè bisogna aver avver* 
lenza che V oro non si vada rompendo, egli 
con -grandissima destrezza dava con i ceselli 
quando di legno , quando di ferro, ora da 
ritto, ora da rovescio della piastra, proccu- 
raEido sempre che l'oro della detta piastra 
divenisse uguale; perciocché se egli fosse 
più grosso in un luogo, che in un altro , 
difficilmente si tirerebbono quest^ opere a 
bella fine. Queste diligenze in Garadossa 
erano esquisitissime, essendoché io non ho 
mai conosciuto uomo, che meglio di esso 
tirasse de dette piastre d^ oro , né più eguali. 
Avendo egli poi condotto le medaglia a 
quell' altezza di rilievo ^ che voleva, che el- 
r avesse , allora cominciava a stringere V oro 
con grande avvertenza fra le gambe^ fra le 
braccia e dietro alle teste delle figurine delia 
sua medaglia, e congiunte che egli Taveva 
benissimo insieme, e che i pezzi delF oro si 
toccavano , egli tagliava tutti que' campi che 
restavano sotto le gambe, le braccia ed altre 
parti delle dette figure, pulitamente soprap- 
ponendole, e così faceva a tutte l' altre parti , 
che erano separate dal campo. Com'egli aveva 
a tal termine condotto il suo lavoro (il quale 
faceva di bonissimo oro^ e che fosse oro di 



58 cELLiìri 

ventidiie carati almeno; percìoechè esaendiy 
troppo vicino a ventitré carati, sarebbe un 
poco dolce da lavorare, e se egli fosse 
meno di ventidae e mezzo , sarebbe al« 
quanto duro e pericoloso al saldare ) co^- 
minciava a saldare detto lavoro col primo 
modo di saldare , che si domanda saldare 
a calore, il quale si fa così. Pigliasi uà 
poco di verderame dal suo pane vergine ^ 
perchè non vuol essere stato adoperato ad 
altro', e di questo, volendo saldar simili 
opere, se ne piglia quanto una noce no*^ 
strale senza il mallo , e con questo si me^ 
scola la sesta parte di sale armoniaco e 
altrettanta borace , e ogni cosa essendo 
macinata insieme, dipoi si liquefa in »no 
scodellino invetriato con un poco d'acqua 
pura, benissimo netta. E delia detta com^ 
posizione di verderame macinato , allorché 
ella era diventata liquida come un colore 
da dipignere, con un picciolo fuscelletto 
pigliandone Garàdosso , la distendeva «U 
quanto grossetta sopra quelle giuntura , 
che dicemmo, che venivano fralle braccia 
ed altre membra delle figurette della me^ 
daglia; e sopra il detto verderame poneva 
col suo boraciere un poco di borace be- 
nissimo macinata. Indi facendo accendere 
il fuoco di carboni freschi e non più stati 
accesi altra volta , poneva l' opera nel fuo« 
co , acconciando i detti carboni colle Iof 
teste per ordine, quelle volgendo verso do* 
V egli voleva saldare, perchè dette teste 
soffiano e respirano alquanto. Ciò fatto adat« 
tava sopra V opera alcuni carboni in guisa 



OHEFICEBU. 59 

^una graticoletta , proccurando però che i 
carboni non toccassero l' opera ; e stava av* 
TertitOj mentrechè egli tesseva detti carboni. 
Quando V opera fosse diventata del color del 
fuoco^ ciò vedendo, cominciava destramente 
col manticetto a soffiar nella detl' opera^ e 
in tal guisa che le fiamme si ripiegavano tutte 
sul suo lavoro ; perciocché se il vento fosse 
troppo gagliardo, le fiamme s' aprìrebbono e 
anderebbono fuora , e si porterebbe perìcolo 
che r opera non si struggei»se e guastasse ; 
e perciò egli^ coUa sopraddetta diligenza 
goyernandosi come cominciava a veder lam- 
peggiare e muovere la prima pelle deir oro^ 
prestamente con una setòlina infusa in un 
poco d' acqua spruzzava sopra il detto lavoro> 
e in tal guisa veniva rammarginata V opera 
heaissimo senza saldatura. Dopo che egli 
aveva questa prima volta saldato il lavoro 
a calore ovvero rammarginato (essendoché 
questo modo non si domanda saldare, ma 
é un ridurre tutta l'opera d^ un pezzo; per* 
che tanta é la virtù del verderame accom« 
pagnato col «ale armoniaco e colla borace^ 
che possono muovere solamente la pelle 
deir oro y laonde con quella stessa pellolìna 
si rammargina ess^ oro in tal guisa , eh^ 
egli egualmente vien sodo e intero ) avendo, 
dico, ciò fatto Garadosso , poneva la suA 
opera in aceto fortissimo, bianco, mettendo 
in esso un poco ili sale, e cosi ve la lasciava 
star dentro per una notte intéra; il qual 
effetto fa, che la mattina ella si trov^ bian^ 
chita e netta dalla borace ; allora pigliava 
dello stucco, e riempiva r opera tutta, per 



6o CBLLIKI 

poter lavorarla col cesello; il quale stucciii 
8Ì fa di pece greca in escoIa|ba con un poco 
di cera gialla e con mattone benissimo pe*' 
sto: e questo è il vero stucco^ col quale si 
riempiono le medaglie o altre simili casey^ 
che si hanno da lavorare di cesello. Fattit 
le dette diligenze cominciava a cesellare 
Fopera^ avendo prima preparato i suoi ce^ 
selli, i quali cominciando da certa grosaeiBza 
andavano sempre diminuendo; laonde pef 
cotal via de^ grossi y de^ mezzani e de^ piccoli 
ne veniva ad avere. Questi ceselli si fanno, 
senza taglio veruno, perchè hanno a servire 
per infragnere solamente e nc^n per levare; 
ma io non voglio altro dire di cos^ cosà 
Bota; bene avvertisco il lettore^ che essendo 
di necessità^ che nel lavorar l' opere sempre 
vi nasca qualche picciolo buco o stiaqta^ 
che perciò questi non si debbono saldare x> 
rammarginare nel modo, che di sopra di« 
eemmo, col verderame^ ma colla s^daturs^ 
la qual e cosi si dee fare. Piglisi sei carati d^oro 
fine, e un carato e mezzo tra rame e argento 
fine, e dopo che si sarà fonduto Taro vi ai debbe 
aggiugnere. l'argento e il rame sopraddetto; 
la qual saldatura e composizione , di rame 
e d^ argento fra gli orefici è cliiamata lega. 
Con questa adunque si dee saldare i detti 
buchi o rotture cne si fanno nel lavorare; 
e ogni volta che si ha da saldare è neces- 
aaHo mettere sopra la saldatura fatta un 
poco della detta lega , acciocché Y ultima 
saldatura, con che si è saldato/non abbia ad 
aver causa di far ricorrere le prime salda tu* 
re : ed essendo saldati alcuni, pezzi o ^altre 



/ 



OflEriCERIA. 6i 

cosette deir opera j di nuovo si ponga il 
lavoro sopra lo stucco , e si rìceseili con 
diligenza e pazienza ^ finche si conduca a 
perfezione. E questo è tutto il modo che 
teneva Caràdosso nel cesellare, il quale li« 
bera mente confesso d^ avere imparato da 
kir; né me ne sdegno , anzi y grato e co- 
noscente y del continuo gliene rendo lode 
e grazie infinite 3 perciocché niun vizio vi 
ha maggiore che quello dell'ingratitudine; 
non volendo in ciò assomigKarmi a molti , 
che non prima hanno ricevuto benefizio | 
che in cambio di sentirne obbligo al be« 
neficatore , proccurano d^ oltraggiarlo o ma- 
lignamente opprimerlo ; ed avvengachè '\o 
voglia di presente mostrare un altro modo 
di cesellare, di questo più facile^ e alcune 
mie particolari osservazioni non usate da 
Caràdosso ; non perciò é mio intendimento 
d' oscurare per cotal modo la ^sua fama ; 
essendoché io , come ho detto , dì molte 
t>sservazioni fatte da me nella dett'arte da 
lui propriamente riconoscojma come avviene 
che facilmente s*aggiugne alle cose fatte ^ 
così di alcune cose intorno a quest' arte 
interverrà. Dico adunique^ che dopo che si 
aarà fatto il modello di cera e risoluta la 
sua invenzione , presa la piastra dell' oro 
nel modo sopraddetto ( cioè sottile dagP in- 
lati y ed alquanto grossa nel mezzo ) pian 
piano con i ceselli grossi si debbe comin- 
ciare a darle da rovescio, facendo gonfiare 
un poco di bozza, secondochè dimostra 
V ordine del modello 3 laonde così facendo 
non occorrerà adoperare il bronzo ; come 



64 CEtXlIfl 

tis^va fere Caradosso ] conciossiachè y in- 
panzi che si sia gettata la medaglia di 
bronzo', si sarà tirata 1^ opera molto bene 
avanti; ed inoltre per quel poco d^ imbrat- 
tamento j che fa il bronzo aiP oro , non sa- 
rai costretto ogni volta ^ che si debbe ri- 
cuocere la medaglia , ad arrenarla coUa 
renella di vetro ; la qual reoella è molla 
a proposito e necessaria , perciocché ella 
leva tutti i cattivi fummi che piglia V oro 
dal bronzo. Governandosi l' artefice adun- 
que per cotal modo , verrà a sfuggire gli 
impedimenti delti e subito potrà ricuocere 
il < lavoro senza arrenarlo mai : e perchè qui 
xni s^ appresentano alcune opere, che io 
feci y lavorate nel detto modo , non voglio 
a me medesimo onestamente mancare ; 
hxentrechè facendo di esse menzione e bre- 
vemente dimostrando il modo che io tenni 
in condurle y verrò ( per quello che io mi 
fo a credere ) più chiaramente a dimostrare 
l'intenzione mia al lettore con tali eviden- 
ze. Occorsemi di fare a Girolamo Marretta^ 
gentiluomo Senese^ una medaglia d^ oro ^* 
nella qual€ vi adattai un Ercole , che fa- 
ceva la fatica del leone , sbarrandogli la 
bocca ; le quali figurine furono fatte da 
me di tutto rilievo e tanto spiccate , che 
appena i capi si vedevano accostati al pia- 
no , cosi erano T appiccature piccole. Que- 
sto lavoro fu condotto sen^a far prima 
lai medaglia di bronzo : ma tenni il modo 
sopraddetto y dando ora dal ritto ed ora 
dal rovesciò della piastra y tanto che io lo 
tirai a fine con una pazienza e con uno 



OREFICBKIA. 63 

Studio tale, che egli meritò (e questo è 
da aie detto con grandissima ambizione ) 
che il grandissiii^o Michelagnolo Buonaroti 
si degnasse di venire infino nella stanza ^ 
dov' io lavorava , a vederlo , come sanno 
di molti virtuosi artefici, che vi si ritrova- 
rono ) il che occorse nell' anno mdxxvili. 
in Fiorenza. Il qual lavoro veduto da sì 
maravìgUoso uomo fu lodato con queste 
proprie parole ( perciocché io non voglio 
di esse far mercanzia o onorarmi , come 
molti artefici con isfrenata ambizione co- 
stumano dì fare , adattando ad ogni loro 
ragionamento sentenze , jche egli dicesse 
sopra le loro opere ^ essendoché io ho fatto 
sempre più professione d^ essere y che di 
parere) dico adunque, che avendo egli 
con occhio dilìgente osservato i contorni , i 
muscoletti e l'attitudini di quelle figurine |. 
disse : Se guest* opera picciola , finita con 
quello studio e bellezza , che io s^eggp ^ 
fosse condotta in forma grande di marmo 
o di bronzo y egli si {vedrebbe una mara- 
viziosa opera ; e per mio parere non ere- 
do^ che quegli orefici antichi averebbono 
potuto con più eccellenza condurre i loro 
lavori , che questo si sia condotto. Le quali 
parole cotanto mMnfiaHimarono a operare ^^ 
che io mi disposi di fare delle figure gran- 
di; e tanto più/ quanto mi fu detto dopo 
che Michelagnolo s^ era lasciato intendere 
cosi , dicendo , che uno , che conducesse 
con tal perfezione un^ opeta piccola , non 
r avrebbe condotta poi cosi grande. Laon-- 
de, non per contrappormi all'oppenione di • 
tant' uomo , ma per avanzare con istudio 



64 CELLtNI 

e pratica qtiegV impedimenti , cbe m' ares* 
8ero potuto y nello scolpire o gettar di 
bronzo figure grandi , non lasciar coose* 
guire la vera e lodata maniera , che in 
dette arti si ricerca^ mi posi a scolpire e 
far opere grandi di marmo e di bronzo ^ 
come diremò a suo luogo. Ma per tornare 
donde io m^ era partito , avendo vedato 
Federigo Ginori, gentiluomo Fiorentino e 
grandissimo amatore de^ virtuosi , la detta 
medaglia , volle , che to gliene facessi una 
ancora a lui; e perchè egli aveva animo 
veramente nobile avendo collocato il suo 
amore in una Signora d' altissimo grado , 
espresse il suo particolar pensiero con un 
Atlante , che sosteneva il cielo j secóndo 
che figurano i poeti , dando spirito alla 
detta invenzione con questo motto : svmma 
TVLissE iVYAT. Il clic avcudo io inteso y mi 
posi con grand' amore a servirlo ^ tenendo 
questo modo. Prima feci il modelletto , 
grandemente studiandolo, dipoi mi risolvei 
di fare la medaglia, che avesse il campo 
di lapislazzoli; ed il cielo, che si finge 
tenere addosso Atlante ( il quale Atlante 
io aveva di già lavorato con cera bianca ) 
feci di cristallo , intagliandovi con bel di- 
segno dentro il zodiaco ed altre immagini 
di steUe. Ciò fatto preparai una piastra, 
d^ oro, ed a poco a poco cominciai a rilevar 
con gran pazienza la figurina dell'Atlante, 
tenendo un tassettino tondo dinanzi, sopra 
il quale lavorando di mano in mano, ti-* 
rava V orò del campo con un picciolo mar- 
tellino^ mettendo il dett' oro nelle braccia 



OKE^ICBIilA. 65 

e lidie gambe della detta figura^ per ren- 
dere eguali tutte le grossezze. Cosi condussi 
insino presso alla fine la detta figura , in 
tal guisa lavorandola : il qual modo di lar 
vorare si domanda lavorare in tondo ; per- 
ciocché il detto lavoro non aveva sótto il 
si)o .campo , come quando si mette T opera 
in pece, cioè ne' sopraddetti stucchi. Come 
io l'ebbi ridotta a tal termine, io l'empiei 
di ciucco, o pece, che dire la vogliamo, 
e per via di ceselli la condussi alla fine; 
dipoi appoco appoco l'andai spiccando dal 
SUO' campo d'oro: il qual effetto è piolto 
difficile ad esprimere con parole^ pure col 
miglior modo , che sia possibile , m^ inge- 
gnerò di andarlo dimostrando. Noi dicemmo 
in che maniera si congiungeva le braccia 
e le gambe delle figure^ lasciandole appic- 
cate al campo ' d' oro della medaglia 3 ma 
io quest' altro modo di lavorare le figure 
si hanno da spiccare dal detto campo d'oro} 
laonde debbe l' artefice con un martellino 
picciolo, lavorando sopra quel tasselletto , 
o ancudinuzza , che di sopra dicemmo ^ 
colla petina del detto* martellino dar pian 
piano nella piastra d^oro, che s'avrà di- 
nanzi , e eoa un poco d^ atto di mano 
spignerlo in dentro^ e in parte con i ce- 
sellini , tanto che la figura venga alquanto* 
gonfiata sopra il campo. Ma quando s'avrà 
da lasciare la figura sopra il campo d' oro 
spiccata , non bisogna mai , ch^ ella venga 
gonfiata, e perciò si debbe aver cura, che 
U campo di detta figura non esca^del suo 

Cellini Berw. Fol IIL 5 



4 



66 CILLIHI 

dirìlto y dove ìd questo presente modo j 
che ora diciamo , noD ci avendo a servire 
del detto campo , si debbe far gonfiare y e 
si ha da storcere in que^ luoghi , dove il 
bisogno ti mostra. Poiché si vedrà restare 
oro abbastanza per poter congiugnere le 
schiene della %uretta , allora ella si ha da 
spiccare dal restante del campo y e con 

2ueir oro^ che si sarà lasciato alla detta 
gura , pian piano congiugnendolo y si do- 
vrà saldare e dargli V ultima pelle e fine , 
senza mettere il lavoro più nello stuc« 
co; perchè di ragione^ essendosi l'arte- 
fice oon diligenza governato, non vi do- 
vrà nella sua opera restare alcun luogo 
aperto, dove lo stucco possa entrare. In 
tal guisa adunque condussi a perfezione il 
mio Atlante e quei luoghi della figura che 
si avevano da posare sopra il lapislazzoli, 
che io mi era eletto per campo deUa me- 
daglia j saldati con due picciuoletti d' oro 
ben gagliardi ; ed avendo fatto bucare il 
detto lapis ^ ve la fermai sopra benìssimo. 
Ciò fatto ^ sopra gli omeri della detta fi- 
gurina vi posi la palla di cristallo, figurata 
per lo cielo y e perciò intagliata col zodiaco 
ed altre immagini celesta ^ come di sopra 
dicemmo y la qual palla era sostenuta colle 
mani alte dal del to Atlante ; dando alla 
d^tta medagha poi la fine con un orna- 
mento d* oro y pieno di fronde y di fiori y 
di frutti ed altre vaghezze, dentro^ al quale 
la legai. Cosi condottala a perfezione y la 
detti al detto gentiluomo , il quale mostrò 
infinitamente di contentarsene , e venendo 



OREFICERIA. ^ 67 

a morte, perciocché egli mori' molto gio- 
vane , la lasciò a Lpigi Alamanni , poeta 
eccellentissimo e suo singolare amico , il 
quale , dopo V assedio di Firenze andando in 
Francia a servire il Re Francesco^ la donò 
a quel Re^ giudicandola degna di tanto 
Signore. La qual medaglia essendo somala- 
mente piaciuta al detto Re y fu cagione , 
che Sua Maestà si degnasse d' intendere 
dalPAlamanni chi ne fosse statò il maestro , 
e dopo certo sparJo di tempo mi chiamasse 
a' suoi servigj. Essendo medesimamente di 
nostro proposito, faremo ancora menzione 
di un bottone d'oro, di forma tonda, che 
io feci a Papa Clemente Settimo^ col quale 
egli s' allacciava il manto , dimostrando in 
parte il modo , che io tenni in condurlo. 
Era questo bottone grande un palmo per 
ogni verso, e per la sua grandezza molto 
difficile ; perciocché neir opere ' pìccoline 
la materia ubbidisce più alla mano ; e 
tanto maggiore era la fatica , quanto io 
era obbligato ad alcune gioie , che nello 
scompartimento di detto bottone si avevano 
a serrare ; perciocché vi era fra esse i^n 
diamante assai grande, il quale fu com- 

E rato tréntaseimila scudi. Sopra questa no* 
ilissima pietra adanque con dignità e de- 
coro adattai un Dio Padre a sedere , che 
dava la benedizione^ al quale io aveva fatto 
la testa e le braccia tutte tonde j ed il 
restante era appiccato al campo del bottone. 
Intorno a questo poi scompartii più di un 
drappello d'Angeletti, de' quali parte si 
ravvolgevano neMembi del ^uo manto, e 



68 CBLLINI 

parte furono da me frammessi con dise|[no 
trair altre gioie, che andavamo' legate nel 
bottone y come dicemmo ; ed alcuni de^ detti 
puttini aveva io fatti di tatto rilievo , altri 
di mezzo rilievo , altri di basso rilievo ^ 
secondo io gli voleva Bgurare; lontani o 
presso , servendo in . ciò alle regole del di- 
segno e della prospettiva. Fatto adunque il 
modello j della grandezza appunto ^ che do- 
veva esser T opera, tirai una piastra d'oro, 
maggiore un dito d' ogni intorno di quello 
che aveva da restar la dett' opera, e questa 
cominciai a far gonfiar nel mezzo , battendo 
la detta piastra con alcuni martelletti sopra 
il piano di una ancudinetta; ma la battevo 
colla penna del martello all' indentro , e 
cosi per tal modo veniva a gonfiare assai 
nel mezzo il dett' oro : e dove io lo vedeva 
troppo* grosso gli dava co^ ceselletti^ quando 
da ritto e quando da rovescio, fintantoché 
la prìncipal figura , che era il Dio Padre , 
cominciasse a pigliar conveniente forma. 
Cosi a poco a poco in tal guisa ^ or con 
una or con un' altra sorta di cesello y con 
pa2.ienza e amore mi^ rendei ubbidiente la 
detta piastra d^oro, ed in pochi giorni con- 
dussi il Dio Padre quasi tutto tondo. Men- 
trechè io così andava seguitando^ occorse 
che alcimi invidiosi dell'arte^ dicendo a 
persone &mìgliari del Papa^ che io non 
riuscirei con onore della dett' opera, percioc- 
ché io lavorava in modo molto differente 
da quello di Caradosso , e più pericoloso e 
men bello , cotanto fecero , che il Papa mi 
mandò a chiamare e mi prese gentilmente 



OREFICERU. 69 

a' dire ^ se dopò che io gli aveva portato il 
modello di cera^ avessi fatt' altro: onde io 
mostrandogli quanto aveva fino a quelP ora 
operato^ con suo grandissimo contento e 
piacere^ gli piacque di favorirmi con tali 
parole ^ dicendo rivolto a dì moki Signori^ 
che gli erano dintorno , e forse a quei mt« 
desimi j che avevano £itto per me cattivo 
ufficio^ che io aveva grandemente migliorato 
l' òpera dal modello , che di già gli aveva 
mostrato. Facendomi poi questo quesito Sua 
Santità , cioè , come io avrei firtto a tirar 
fuora della detta piastra quegli angioletti, 
che sì vedevano nel modello, senza gua- 
stare quel che io aveva (in allora operato; 
dissi , che in quella guisa , che io aveva 
fatto rilevare il Dio Padre ^ nella medesima 
farei rilevare ancora gli augioletti , cioè, 
&cendo gonfiare a poco a poco quella pia- 
stra d' oro con i ceselli , dandogli quando 
da ritto e quando da rovescio, fin tanto che 
io andassi a poco a pòco distribuendo V oro 
dove ne fosse più necessità; perciocché 
essendovi alcuni puttini di grandissimo rilie- 
vo, bisognava tirarli tutti fuori a queir al- 
tezza che avevano a venire , e nella, ma- 
niera che io aveva fatto il Dio Padre; ma 
che negli altri poi di minor rilievo, non 
vi aveva tanta difficoltà; soggiugnendo che 
la maggior fatica che fosse in lavorare la 
detta piastra , era il mantener V oro , che 
per tutto fosse di un'eguale grossezza. Ciò 
detto avendo, mi fu da Sua Santità diman- 
dato, perchè io non tenessi il modo di 
Garadosso nel lavorare; ondMo brevemente 



7 a cELLmi 

dovessero porger maggior vaghezza all' o- 
pera. Covimettevasi il detto fondo con 
certe viti , che lo tenevano fortissimo j né 
ai scorgeva come fosse stato saldato. Smal- 
tai dopo la dett^ opera ìq più luoghi , e 
massimamente nel fregio , che ella aveva 
intorno. Finalmente le detti ^'ultima mano 
in tal modo. Per ispianare a tutte le parti 
delle figure , che erano ignude , i colpi 
de^ ceselli , delle ciappole e bulini ed altre 
limuzze , che in tali lavori si adoperano 
( non vi essendo cosa che apparisca in tal 
sorta di opere più vaga , che una pulitis- 
sima unione , la quale non si può conse- 
guire, se non per mezzo di certe pietre 
ohe diremo , essendoché le pelli ^ che la- 
sciano i ferri, di gran lunga tanto colorite- 
non appaiono) perciò provveddi alcune punte 
di pietre acconcie in forma di ceselletti: e 
queste vogliono essere iosino al numero di 
quattro o cinque^ le pùnte delie quali 
( come de^ ceselli si disse ) debbono, per 
proporzione venir diminuendo. . Con queste' 
pietre y dette frassinelle ^ si adopera insieme 
un poco di pomice ben pesta, e cosi colla 
punta di esse si viene spianando e pulendo 
le parti ignude delle figure. Per dar poi 
finimento a' panni , che vestono le dette fi- 
gure y ho usato pigliare un ferro sottilissimo 
a tutta tempera : e perchè, rompendolo in 
due parti y quella rottura mostra una certa 
grana sottilissima; col detto ferro adunque 

{lercotendo sopra le pannature col martel- 
ino , che pesi per lo peso di due scudi , 
o piuttosto meno ^ ho conseguito il mio 



OREFICEjaU. 73 

intento: e questo modo fra gli orefici è 
detto camosciare. Per dimostrare poi i panni 
più grossi si debbe pigliare nn ferrolino 
appuntato , ma non si debbe rompere come 
quello da camosciare. Indi con esso perco- 
tendo sopra i panni , appariranno più gros- 
si y e ciò si dice granite. Per fare le sepa- 
razioni de' campi si prende una cìappoletta 
sottile e b^n arrotata y graffiando tutti i 
detti campi per lo traverso; percbè in. al- 
tra guisa non apparirebbono punto bene : 
e questo si cbìama sgraffiare. Fatte le dette 
diligenze , piglisi 1' opera e pongasi in una 
catinella invetriata e ben netta , facendovi 
sopra orinare da piccioli fanciulli ^ percioc- 
ché questa è più calda e più purgata di 
quellja dell' uomo : e ciò fatto si debbe co- 
lorire : il qual colore si fa col verderame 
e sale armoniaco ^ togliendo tanto dell'uno 
quanto delF altro , e per una ventesima 
parte delle dette ^ tolgasi del salnitro da 
lar polvere^ cbe sia nettissimo ^ macinando 
ogni cosa insieme ; ma si debbe avvertire 
di non macinarle né sopra il ferro né sopra 
il bronzo 9 ma in sulla pietra , o sia por- 
fido o altra pietra , che tu possi avere , 
ancorché il porfido di tutte sia meglio j e 
come sieno ben macinate y mettasi ogni cosa 
in una scodelletta invetriata j e coir aceto 
bianco si stemperi la detta composizione 
in guisa y cbe non sia troppo liquida né 
troppo soda. Ciò fatto ^ piglisi un pennello 
di setole di porco delle più sottili^ e col 
detto pennello s^ imbratti V opera della 
detta mestura ; ponendovela sopra egual* 



•^4 CELLINI 

mente , della grossezza di una dosta ^ di 
coltello. Dipoi avendo acceso un fuoco di 
carboni che sieno mezzi consumati y xAoh y 
che il fuoco in essi abbia perduto il furo* 
re, spianinsi i carboni colle molle tanto 
quanto T opera vi si possa fermare; cosi 
messo il lavoro sopra il fuoco , vadasi pi- 
gliando colle molle alcuni carbonetti ^ che 
jsieno ben accesi ^ e con questi si vada scor- 
rendo dove la mestura del verderame fosse 
troppo , grossa ; perciocché bisogna esser 
avvertito che il detto verderame arda tutto 
egualmente, e che egli non istentì arden- 
do^ perch'egli è differenza da farlo ardere 
a farlo riseccare sopra il lavoro; il che^ 
quando fosse , causerebbe che V opera non 
piglierebbe buon colore , oltreché ti sarebbe 
difficile poi Io spiccarlo colle setoline. Come 
il verderame sarà quasi che tutto egual- 
mente arso^ cosi soppasso e caldo cavisi il 
lavoro del fuoco j e pongasi sopra una pie- 
tra o tavola di legno ^ coprendolo con una 
catinella netta, cosi lasciandolo stare tanto 
che egli sia ben freddo. Indi si ponga in 
una catinella invetriata e pulita, e colla 
medesima orina di fanciuUetti , che dianzi 
dicemmo, ricopertolo tutto ^ si debbe per 
cbtal via nettare colle setolette di porco. 
Ben è vero, che tali diligenze si debbono 
usare sopra i lavori , che sono smaltati ; 
ma non essendo smaltati , quando il ver- 
derame sarà arso , cosi caldo si può met- 
tere nella sopraddetta orina, e cosi finirlo. 
Tutte queste furono V avvertenze , che io 
ebbi nella sopraddetta opera } e quand' io 



OREFJCCRU. 75 

fui al fermdre le gioie a' suoi luoghi j Jion 
maucai con gran destrezza di far ciò con 
DoUoUne e con vitì^ commettendo il fondo 
tanto forte j quanto se egli fosse stato sai- 
, dato. Parmi ancora d'avvertire in queste^ 
luogo r orefice che dovendo fermare in si- 
mili lavori giòie grandi e piccole , veda con 
disegno e giudicio di applicarle alla sua 
invenzione. Perciocché hene spesso alcuni 
orefici accomodano qualche gioia grande^ 
per ornamento di qualche figurina , con 
grande spropprzione ^ credendo d^, essere 
scusati per la necessità che apporta seco la 
grandezza della gioia^ siccome avvenne nel 
detto bottone ; perchè essendosi il Papa ri- 
soluto di farvi dentro^ un Dio Padre, molti 
orefici vi furono y che ne^ loro modelli fé-* 
cero/ che quel gran diaìmante venisse ap- 

1)uot:o collocato nel petto alla detta figura; 
aonde non potendo essi a proporzione 
della gioia fare tanto grande il Pio Padre^ 

{berciò con poca grazia vi si vedeva aver 
uogo : del qual mancamento accorto il Pa- 
pa j poiché egli ebbe veduto più modelli, 
essendo io stato l' ultimo , mentre Qhe egu 
diceva a que^ maestri che averebbe voluto 
che quel diamante non fosse adattato nella 
detta guisa, ed essi replicando, che mala** 
gevolmente si sarebbe potuto fbre 3 accen» 
nando, che io m'appressassi e mostrassi il 
mio modello, vedde, che io aveva postoli 
diamante in guisa di uno sgabelletto , dove 
il Dio Padre sopra si posasse: la quale in- 
venzione cotanto gli piacque insieme col 
modello , che subito mi fece consegnar 



.^ I 



.' 



/ 



6 CÈLLINI 

Opera. Perciò avvertisco 1' orefice ( come 
ho detto) che ioveado legar simili gioie ^ 
le ponga con belU proporzione e con di- 
segno nelle sue opere. Un altro bel modo 
si ritrova accora in quest' arte di lavorar 
di piastra d^ oro, il qii^le è di far certe 
sorte di figure tte di grandezza di on mezzo 
braccio , e malico , secondo V occasione , il 
cui modo di lavorarle per via di esempio , 
come fin qui abbiamo usato , dimostrere- 
mo. Nel tempo che io lavorava in Roma, 
vi era un piissimo Costume quasi fra tutti 
i Cardinali di tenere ne' loro studioli T im- 
magine di Gesù Cristo benedetto, crocifis- 
so , di grandezza di poco più di un palmo ; 
ed i primi y che si fecero y furono lavorati 
d^ oro , con buonissimo disegno , da Cara- 
dosso^ i quali gli erano pagati cento scudi 
d*oro Tono. Ragioneremo adunque prima 
( come di sopra abbiamo fatto delle me- 
daglie di piastra d' oro ) del modo osser- 
vato da Caradossoin fare i detti Crocifis- 
si, e poi di quello che da me era tenuto, 
giudicandolo io più facile e più sicuro per 
le ragioni che si diranno. Fatto che avesse 
detto artefice il modello di cera, appunto 
della grandezza , che voleva , che fosse la 
figura, la quale faceva colle gambe spic<;a- 
te , cioè non soprapposte , come si usa di 
fare a' Crocifissi ; poiché V aveva ridotta a 
quella fine , che desiderava , la gettava di 
bronzo , ìndi tirava • una piastra d^ oro in 
forma triangolare, maggióre del modello due 
gran dita intopno intorno; e ciò fatto metteva 
la piastra detta sopra il Crocifisso di bronzo ^ 



OREFICERIA 'f^ 

e con certi martelletti di legnò , alquanto 
lunghi y V andava percotendo tanto , che 
egli le dava forma di più che mezzo rilie- 
vo ; e dipoi con i suoi ceselletli e col mar- 
tello diligentemente cominciava a dare or 
dall' una or dalF altra banda , e cosi pian 
piano veniva ad alzare la figura di tanto 
rilievo, quanto a lui pareva che bastasse. 
Dopo co' medesimi martelletti e caselli per- 
coteva quelle margini, che delF oro d in* 
torno alla figura avanzavano, tanto ch'elle 
venivano quasi a toccare insieme la roton- 
dità della testa , del corpo , delle braccia e 
delle gambe ; e come a tal termine l' avesse 
condotte , egli l' empieva di stucco , e con 
ceselli e martellini di nuovo andava ricer- 
cando tutti i muscoli particolari di ciascun 
membro della figura con grand^ amore e di- 
segno. Poscia cavandola dello stuccò, e fa- 
cendo congiugnere l' oro insieme, benissimo 
lo saldava nel modo sopraddétto , lasciando 
aperto nella schiena un buco, vicino alle 
n>alle, per poterne cavare il detto stucco^ 
dandogli fine poi co^ ceselletti; e quando egli 
era vicino alla penultima pelle, che si dà' 
alla figura, gentilmente le soprapponeva i 
piedi: e questo è il modo che teneva il detto 
artefice, nel quale io son difierente in questo 
solamente , perciocché in simili opere non 
saprei lodare che si adoperasse bronzo; es- 
sendoché il bronzo è nimicissimo deli' oro e 
lo fa rompere, arrecando gran diIBcultà al 
lavoro ; ma con pratica e sicurtà acquistata 
con lungo studio nell'arte, per via di ceselli 
e di diverse ancudinette ; dimandate dagli 



^d CELLINI 

orefici caccianfuori , usasra io di condarre i 
miei larori^ senza gettare l'opera prima di 
bronzo ; laonde per cotal via y molto più 
brevemente tirava a fine il lavoro e mi li- 
berava da i fami del bronzo, il quale mac- 
chia r ot*o ; come dianzi dicemmo ; nel re- 
sto era da me seguitato tutto V ordine di 
Garadosso. E perchè il lettore vegga che io 
non ho simili avvertimenti mendicati da al* 
tri artefici, ma per mia propria esperienza 
« industria imparati, mettendogli ad effetto^ 
dirò di un'opera di piastra che mi occorse 
di fare al Re Francesco; che per cagione 
. della grandezza sua ( se non p>er altro ri- 
spetto ) non fia indegna la menzione , che 
io intendo di fare. Questa fu una saliera 
d' oro in forma ovata^ di lunghezza di due 
terzi di braccio , ed il primo sodo della 
forma ovata era di grossezza di quattro dita. 
ComponeVasi Tinvenzione della detta saliera 
principalmente di due figure y una intesa 

Eer Nettunno , Dio del mare , V altra per 
erecintia^ Dea della terra: dalla banda di 
Nettunno vi aveva finto un seno di mare , 
dentrovi una conchiglia, sopra la anale si 
vedeva il detto Dio a sedere trionfante e 
tirato da quattro cavalli marini, il quale 
tenendo nella sinistra mano il suo tridente^ 
col braccio destro tutto si appoggiava sopra 
una barca fatta per comodità del sale, or- 
nata di varie battagliette di diversi, mostri 
marini^ e nell'onde medesimamente , dove 
si posava la barca , andavano scherzando 
divèni pesci Questa figura era fatta di pia- 
stra d'oro^ tutta tonda e grande pia di un 



OREriCERU. 79 

mezzo braccio y per forza di ceselli e di 
martelli , come s^ è detto. DalP altra banda 
sopra il lito vi era una femmina della me- 
desima grandezza y rotondità e metallo ^ fi- 
gurata per la Terra , la quale con disegno 
andava a rincontrarsi colle gambe in quelle 
di Nettunno y tenendone una distesa e Paltra 
raccolta^ imperò soprapposta; volendo per 
la detta attitudine intendere il monte e la 
pianura. Nella mano sinistra poi teneva un 
tempietto d' ordine Iobìco y riccamente or* 
mìo j il quale serviva per tener pepe j e 
Della destra il corno della copia, pieno 
deije sue vaghissime appartenepze. Nasce- 
vano poi sopra la terra o lito, do v' ella si 
posava, diversi fiori e fronde, e vi si, vede- 
vano yarj animaletti, che insieme andayano 
sofaerzando e combattendo; cosi veniva ad 
ayere la terra e 1 mare' ciascuno i suoi 
proprj animali e ornamenti. Oltre a questo^ 
nella grossezza del dett'oyato ejano scom*- 
partit^e otto nicchiette^ e n^lle prime quattro 
vi aveva collocato la Primavera, la State ^ 
l'Autunno e Inverno, nelF altre l'Aurora, 
il Giorno > il Crepuscolo e la Notle; cod 
noa queste otto figurine ornai le ^ette 
ciechie, gli spigoli delle quali insieme con 
varj luoghi dell' opera erano contesi di al« 
cunì filettini d' ebano , che per lo suo co- 
lore nerissimo le faceva più vaghe. Ultimar 
mente posi la detta saliera sopra quattro 
piccole pallette di avorio , che nelle loro 
casse mezze nascoste si giravano e secondo 
V opportunità .conducevano la. detta map- 
chma facilmente innanzi e indietro; je di 



do CELLINI 

dett^ opera gran paìrte era smaltata y siccome 
foglie, frutti/ fiori^ tronchi d'alberi e tutte 
quell' onde di mare , secondòchè V arte pro- 
mette e richiede. Finito che io ebbi il detto 
laforo y e destinato il giorno , che io lo 
Yolevm portare al Re, mi occorse un caso^ 
che^ brevemente narrandolo, ne servirà per 
fine del nostro ragionamento, e per dimo- 
strare a^ virtuosi, che non debbono temere 
r operazioni che contro di essi facciano gli 
invidiosi e maligni. Un certo Monsignore , 
a cui non vo' far nome , che abitava in 
quelle parti, non so che se ne fosse la 
causa, invidiando Futile e Tonor mio, con 
una inveniuone simile air animo suo, cioè 
debole, cercò di tenere in quel giorno, che 
il Re doveva vedere quest^ opera , cotanto 
a bada gli occhi di Sua Maestà, che egli 
don potesse considerare le mie estreme fa* 
tiche : m può lo stimolo della malignità ne- 
gli animi vili! Il giorno avanti adunque^ 
che io voleva andare col lavoro dal Re , 
venutomi a trovare il sagace vecchio y che 
del tatto era consapevole , mi mostrò certe 
figurettt!, antiche di bronzo , piccole, invero 
molto eccellènti; e dimandato il mio parere, 
le lodai e stimai grandemente , come meri- 
tavano , dicendo , che io V averci compre 
certa somma di danari, che ora del nu- 
mero non mi sovviene: basta che egli^mo* 
strando di partirsi da me satisfatto, in quel- 
l'ora che io presentai la saliera al Re, egli 
ancora , siccome prima aveva neir animo 
suo ordinato , quivi fingendo a caso ritro- 
varsi^ diede le dette figure antiche ah Re,* 



OREPICBaU. St 

adducendo il 'mio testimoDio della loro per- 
fezione e y-alore; le quali considerate , quel 
buon Re, e lodate alquanto ; rivoltosi al 
mio lavoro, disse: noi dovianko esser tenuti 
non poco agli artefici di questi tempi, poiché 
essi ancora ci fasciano s^ere cose non men 
belk di queste antiche: e ciò detto me ne 
mandò a casa lodato e premiato oltre al 
mio inerito. E cotal esito ebbe V astuzia . 
del vecchio odioso^ il quale mi venne poi 
a trovare , facendo meco scusa d' essersi 
abbattuto quel gioriìo a disturbarmi con 
Quelle 6 gare, che egli un tempo fa aveva 
J^tinate di presentare al Re; ma io finsi 
di non mi essere accorto dell' atto , il quale 
fu solo j perchè le dette figurine antiche 
fossero paragone a quelle della mia saliera. 
Ma tèmpo è di por fine a questo nostro 
ragionamento y e cominciare a trattare della 
Ionissima arte di lavorar di cavo. 



CAPITOLO VI. 



DeWarte del lavorare in cavo, rf* oro, 
i argento e di rame , nella quale si conr 
tiene il . mqdo^ di fare i sudili </e' Cor* 
dinali e et altri Principia 

jyiAESTRO Laatfzio, orefice Perugino, 
lavorò in Roma nel mdxxy. eccellentemente 
della^ dett' arte di far suggelli cardinalebchì, 
uè nissuno bo Conosciuto ,- che meglio di 

Celimi Ben. Voi JIL 6 



1 



V 



8a CfctUNI 

lui gli abbia eondotti a perfezione^ per- 
ciocché egli non attendeva ad altro che a 
far detti suggelli per le Bolle de^ Cardinali: 
i quali fii %nno della grandezza ^ di una 
mano d' un fanciullo di dieci anni in circa , 
ritenendo la forma di una mandorla. Io 
questi con invenzione di 6gure si esprime^ 
per via d'intaglip^ il tìtolo de' Cardinali, 
e per mezzo delP arme le loro casate ^ e il 
manco ^ che fossero pagati al dettq Lauti- 
zio j era cento scudi V uno. Seguitando ora 
il nostro costume y parleremo dì alcune 
opere ^ che ci occorsono di lare indett'ar- 
te, e indi parleremo de' modi varj di la- 
vorare- tali opere y e parlicolìarmente di 
quello, che teneva Lautizio. Occorsemi di 
fare a Ercole Gonzaga , Cardinale di Man- 
tova, il suo suggello, nel quale intagliai 
FAscebsione di Nòstra Donna, con dodici 
Apostoli , il quale era il titolo dì detto 
Cardinale. Un altro ne feci , più di questo 
ricco di figure, a Ipolito da Este , Cardinale 
di Ferrara e fratello del Duca Ercole^ e 
in esso intagliai un Sant'Ambrogio ax^avallb 
con una sferza in mano che andava cac- 
ciando la malvagia turba Ariahia^ e perchè 
al titolo s'^ggiugneva San Giovanni Batista^ 
dair altra parte ( avendo per lungo del 
suggello fatta una diyisione ) vi jposi detto 
San Giovanni Batista predicante nel deser- 
to: e valse la fattura di quello di Mantova 
dugento ducati, e quella di Ferrara tre- 
cento ; che tanti mi furono pagati. Yen-' 
ghiaino ora 'A modo di fare i detti suggelli 
Primieramente debbe ìk d&igente artefice 



V ORBFIGBRU. 83 

pigliare una {netra nera e che sia piana, 
sopra la quale ,si ha da disegnare T istori^ta^ 
ch^ dee apparir nel suggèllo-^ e poi con 
cera bianca^ a^uanto dura^ ha da farsi eoa 
qud rilievo appunto , che si desidera^ che 
il suggello stampi. Finita che sia V opera 
benissimo , cioè il lavoro di cera , piglisi 
del gesso cotto, Volteraoo o altro gesso ^ 
pur che sia fine ; e presa la dett' opera di 
/Cera^ con un pennello di vaio /intinto in 
oKo di uliv^a^ netto, ungasi la dera a ba- 
stanza, e non troppo / perchè dafUbbe noia 
^ gesso, il quale noa potrebbe entrare 
per quelle minute sottigliezze 3 indi preso 
il lavoro* della cera unita, cioè Jl detta 
suggello, abbiasi un poco di terra fresca e 
tenera , e con essa si faccia un dintorno ^ 
alto due dita, alla detta storietta di cera; 
e ciò fatto, vi si versi sopra.il gesso li- 
<}uido, toccando detto gesso con uh pen- 
nello di vaio , alquanto grande , così de* 
stramente con esso^ pingendolo i^ dritta cera; 
^ quando si sarà bei^ calcato , lascisi fare 
la sua presa ; e come sia fotta , si debbe 
spiccare il gesso dalla cera , la quale non 
si guasta di diente , non vi essendo (atti 
sottosquadri nessuna ( perchè cosi permette 
l'arte) dovendo servire quest'opera a tal 
effetto di suggellare. Ciò fatto, si dee pi^ 
gliape il deitto gesso, e con un coltellino 
nettarlo da certe ha ve , clie fa il gesso al- 
1^ intorno. Dopo le dette diligénzis si viene 
al gettare : e perchè vi àona due modi ^ 
noo <leir altra più facile, da gettare d'avgen« 
te, per es^er amhidue buoai^ di ciftscue0 



84 t:«LLt2fI 

diremo il modo, accii si possa F artefice di 
qaello , che più gli aggrada , servire ; ben 
I esorto a far di ciascuno di essi esperienza, 
essendoché di tal pratica occorrerà in molte 
òose, da quéste differenti, servirsi, che tutto 
il giorno occorrono neir arte dell' oreficeria,, 
n primo modo, il 'quale era tentito da 
Lautizio sopraddetto, in co tal , guisa si con- 
seguisce. Egli pigliava di una certa sòrta di 
terra, che comunemente si dice terra da 
formar nelle staffe, la quale è in 'uso ap- 
presso gii ottonai o borchiai , che gettano 
finimenti da mule e cavalli. Questa si fa 
di una rena di tufo: ma una qualità dì 
queste rene, eccellentissima, ho io veduto 
nel fiume della Senna in Parigi / non inde- 
gna d' esser raccontata per k sua bontà. Nel 
mezzo della Senna v' è un luogo in isola ^ 
detto la Santa Cappella, il cui lito produce 
la detta rena, la quale è sottilissima e ri- 
tiene una proprietà dàlP altre diversissima^ 
perciocché, adoperandola in guisa dell' altre 
terre da formare nelle staffe , non occorre 
rasciugarla , siccome di quelle interviene , 
quando é formato ; ma formato che altri 
ha con questa, vi si può gettar dentro oro^ 
argento ^ ottone e altri métàlK. Tornando 
ora al nostro proposito , prima che io rac- 
conti altro delle terre da formare , meglio 
fia dimostrare il modo di formare il gesso 
per gettare il suggello. Dico adunque, che 
poiché il detto gesso si sarà netto bene ^ 
come di sopra dicemmo, avendo la terra 
umida in • ordine , si dee ' spolverezzare 
con un poco di spolverezzo di carbone 



0K»IC£K1A. 85 

sottìlissimo/ o veramente s'affiimerà col 

lume della candela o della lucerna ; che 

fono e TaUro è buon motìo : né di ciò 

più diciamo per èsser noto a ciascuno. Af- 

lumato e sppiferezzato che sarà il gesso ^ 

^i debbe formare nelle sopraddette staffe^ 

le quali vogliono essere tanto grandi e gros- 

«e, eh' elle sieno capaci di potere in loro 

ristringere il suggello di gesso. Ciò fatto, 

quella parte , dove saranno, formate le fi- 
gura, si dovrà rasciugar bene, parlando 

delle terre d'Italia e non di quelle della 

Senna , che poco fa dicemmo. Indi si vegga 

a avere un poco di pasta di pane crudo , 

^ di essa si faccia in modo di una stiaccia- 
wfia , di quella forma e . grossezza che altri 
TQole , che venga V opera o d' argento o 
u altro metallo, che si sia; e questa si 
porrà sopra quelle figurjs^ che saranno for- 
mate dal gesso , le quali ^ così facendo^ 
appariranno di rilievo : indi si affumeranno 
le dette figure col fumo della candela ac- 
cesa,' e vi si porrà sopra la' pasta ; e fatto 
questo, vi si porrà F altra staffa, che tu 
Sai ri^sciutta e . cotta. Questa si debbe riem- 
piere della medesima terra umida; è qìò si 
feccia con destrezza , perchè notì si rompa 
quella parte. rasciutta, dove già son formate; 
1« figure. Aprasi dipoi la forma, e cavata 
che si sarà la pasta, faccianvisi le sue boc- 
che , e due. .sfiatatoi dalla banda di sotto , 
cioè che comincino di sotto tutti e due ed 
arrivino per di sopra accanto alla bocca. -^S^^.^^'^ 

Comp sarà rasciutta quest' altra parte, avendo ^"^^'^'^'I^^ 

ambe le parti ben secche, aflumminsi un 






\ 



86 CELLIICI 

poco col futnt^o della eaudela, come di 
sopra dicemmo , e dipoi che sarà freado j 
abbiasi Y argento o altro metallo bene strut- 
tOj e cosi si getti nelle dette forme; essen- 
xlochè r opera vien meglio nelle forme fredde, 
che nelle calde ^ il che si trae dalP esperien- 
za. Da <)aesto modo osservato da Lautizio 
ve n* è un altro modo diverso ; imperò per 
far più copioso questo Trattato, é ^er esser 
egli ancora molto buono in cose di verseci 
queste di cui parliamo^ b che nell'arte oc- 
corrono; perciò lo porremo a benefiziò 
maggiore del lettore. Facciasi in prima so* 
pra V cera^ cioè sopra là storicità del sug- 
gello , uà getto di gesso fidissimo nel taodo 
che di sopra s' è dettò; dipoi si piglierà del 
medesimo gesso in disparte e aéì midollo 
di conio di castrato , che sia ben àrso e 
sìa per la terza parte del gesso, e l'uno e 
1' altro sì dee benissimo macinare*; indi si 
tolga tripolo per la quarta parte di dette 
composizioni e altrettanta di pomice e ogni 
cosa insieme medesimamente sia ben maci- 
nata^ e come ciò si sarà conseguita, vi si 
debbe aggiugnere tant^acquà^ quanta com- 
porta la quantità della materia , faceUdob 
diventare in guisa d^ un savore, che ooq 
sia né troppo spdo né troppo liquido. Ab* 
biasi poi un pennelletto di vaio , e con 
esso si unga coii olio d^ uliva il gesso, col 
quale si è formata la detta cera , e come 
benissimo sarà unto^, trattengaisi Tarté^fice 
tanto che si sia rasciu/tto; perciocché ki 
natura del gesso é di succiarsi il dett*^ olio. 
Essendo da per se . radciutto , iù; guisa cbe 






ORtriCBRU. 9^ 

sia floppadso ( perciocché npn vaol eseeré 
troppo rbeccò né poco) se gli debbe fare 
una spalletta di. tèrra airinlòrna^ che sia 
alta due dita il manco. Ciò fatto si debbe 
pigliar quel gesso , che di già abbiam det- 
to^ c|ie si mescoli col corno e col tripolo, 
e si debbe versare sopra il gesso unto ) e 
con UQ ]>eDnelletto di vaio^ asciutto , destra- 
mente pingasi in quella storia del primo 
gesso unto , dipoi vi se ne aggiagnerà su 
tanto, che sia grosso due dita o fMÙ, fiiceod^ 
che iuverso il di «sopra si sia fatta una for- 
ma^ pure in foggia di mandorla , grande 
^attro dita; e questa grandezsia ti debbe 
a^ryire per fare la bocca da poterlo gettare 
d' arguto o d^ altro metallo. Come ai vegga 
il ge^o esser ben secco y il «he sarà fra 1 
termine di quattro ore ^spicchisi P uè gessa 
dait\ altro con gran destrezza^ aodoechè 
nui^ si rompa della storìetta> che si è fatta. 
E qui è da avvertire, che vie più fadile è 
ficcar quel priifao gesso dalla cera , per- 
ciocché ha più nervo che il iseóòndo , <?he 
81 fa colla coniposizione , che dicemmo. 
Quando adunque occorresse che nel cavo 
rimanesse o testa o braccio o altra parte 
di qualcuna delle figùirine , due modi et 
sono da pot^r riparare a tal disordine. Il 
primo è y che potendo V artefice cavar que^ 
pezzi ^ debbe torre un poco di tripolo ben 
macinata, é con un pennelletto di vaio gli 
Terranno facilmeote rappiccati^ perciocché 
essendo la storia di rilievo ^ meglio si scor- 
gerà dove si ha da riparare, che s' ella 
&S8e di cavo. Il secondo modo è , che si 



88 QELLIHl 

debbe' nettar benissimo il isayo di gesèo e 
di naoYO ugnerlo nel modo dettOi^ e cor 
medesimo gesso (cioè di quél composto) fare^ 
come dianzi insegnammo ; perchè , non es« 
sendo venuto alla prima, potrà essére, che 
alla seconda venga senza difetto. Ora av- 
vertisca il prudente orefice a quello che io 
son.per dire. Facciasi una forma di cera, 
della grandezza appunto, che ha da essere' 
il suggellò, e della forma già detta; eque* 
Aa si faccia vota e mettasi sopra la storia 
del suggello , avvertendo di darle quella 
grossezza y che debbe restare dopò che il 
suggello (inargento sarà gettato. Ciò fatto ^ 

Songansi le spalle di terra d^ intomo a 
etta cera , Còme dianzi diceipmo , avver- 
tendo , che quella lunghezza della bocca vi 
rimanga tanto lunga; quanto la discrezione 
dimostra : ben è vero , cbe quanto la detta 
bocca sarà più lunga , meglio verrà V ope- 
ra. Infinite minuzie sopra di ciò sì potrebbe 
dire , le quali giudichiamo* superflue y per- 
ciocché presupponghiamo di parlare con 
uomini, che ai tuito non sieno inesperti di 
de tt' arte, e perciò fieno da noi tralasciate. 
Ben diciamo^ che si debbe avvertire nelle 
dette forme di ^ far la bocca di cera e ap- 
piccarla alla mandorla del suggello } e me- 
desimamente si lasceranno gli sfiatatoi , t 
quali 8^ appiccheranno di sotto , facendo A 
che dieno la volta intorno al suggello e 
arrivino di sopra alla bocca } imperò noa 
s'accozzeranno colla bocca, accio possano 
benissimo sfiatare e fare V ufizio loro. Come 
ai abbia ridotto al termine detto la forma^ 



O KB VIGER lA. 89 

leghisi col filo di ferro e di rame ben 
licoUo^ dipoi si lasai Mare al Sole o in 
luogo dov' ella abbia caldo , tanto che ella 
81 vegga esser beue asciutta ; e poi si inetta 
infra certi mattoni., facendole un forneIlet« 
to. Cosi legata essendo F opera, se le darà 
fuoco dentro, tanto che se ne cavi là cera; 
ed avvertiscasi che quella cera vuol esser 
pnra e non con altra cosa . mescolata, per«* 
che altrimenti apporterebbe danno ^ dove, 
essendo pura , opererà per lo contrario, 
facendo benefizio. Quando sì sarà colici dette 
diligenze cisivata la cera > comincbi ad ac- 
crescere il fuoco con gran destrezza alla 
forma , facendo eh* ella sia ben cotta^ per« 
ciocché tanto meglio verrà V opera ; dipoi 
si lascerà freddare , essendoché più Tolen-^ 
tieri se gli accosta 1- argento eas^do fredda 
che calda ; intendendo p^r fredda y cV ella 
non sia però umida. Come la forma sia alla 
detta perfezione , si può gettarvi dentro 
V argento , benissimo strutto 3 e perché non 
riarda , getti visi di sopra un poco di borace 
e sopra la detta borace nn pughelletto di 
gruma di botte ben macinata. Gettato V ar- 
gento, si debbe scìorre la forma e aprirla, 
o pure si 'metta nelF acqua, che cosi ò me« 
glio , essendoché in tal guisa si . spicca be- 
nissimo X argento dalla detta forma. Cid 
fatto , nettisi il getto dalla bopca e dagli 
sfiatatoi , e colla lima si; conduca alla sua 
figura é forma. Avendo nel detto termine 
il suggello^ si usa poi di appiccarlo ne' so- 
praddetti stucchi, e tenendo innanzi quella 
prima forma di gesso ; la quale è in cava 



\ 



90 ctJLimi 

con ceselli 9 bnlmi o ciappole si variseri^ado 
l'argento eifiaendo la storia del detto sug- 
gello, cioè r una figurina accanto alP altra, 
tutti i panni e l'altre parti di i^sse^ e per 
meglio vederle , si usa con un poco di cera 
sera o d^ altro colore formare spesso quel 
che si lavora. Àvvertisca qui il diligente arte- 
fice, che le teste delle figurine , le mani e 
i piedi si è usato sempre dagli amorevoli 
doir arte d' intagliar tatto in punzonetti di 
acciaio; perciocché in lai guba sempre si 
vede meglio il vero. .Come ciò si sia iatto, 
intagliando bene i detti membrétti ^ ' stam- 
pinsi in ^aei proprj cavi, dove essi sono 
{ cioè dette teste, mani e piedi ) con un 
martelletto, con destri colpi, iiél suggello. 
È necessario àncora fare un al£ibetò d^ac- 
ctaio , intagliando colla medesima diligen- 
za, che sMotagliarono le testoline, le let- 
tere di detto alfabeto.. Occorrendo a me di 
&ré simili lavori , usai sempre a ogni nuova 
opera di rifare detto alfabeto, pecciocchè 
logorandosi non fa onore agli artefici. An«* 
jcon bisogna avvertire di fare, le lettere 
proporzionate e belle e qon queUa ragione 
che ti dimostra una penna temperata in 
guisa che renda alquanto grosseUo^ la qitale 
secondo che si girerà nella mano facendo 
le lettere , verrà ancora a fare que^ corpi 
giucrti e regolati ; e questa tengo io che aia 
la vera rególa , avvertendo però , che le 
dette lettere non siedo troppo grosse o na- 
ne, perche non avrebbono grazia; simil* 
mente se fossero troppo lungbe e sottili: 
ben è verO; che accostandosi alla mediocrità, 



/ 

ORBFICEKIÀ. QK 

se si penderà alquanto nel farle 3yelte'^ 
non sarà errore , ma appariranno graziosis- 
sime. Or vènghiamo all' intero ornamento 
del suggello. Questi è necessario che sieno 
ornati delParme de^ ^ardin^li^ per cui son 
. fatti^ le quali ^no sttite sempre ornate dli 
me Con 6^rine ed altari fiaschi disegni^ non 
perdonando a fatica alcuna. Dipoi. ho usato, 
di fere j iti ^ece àeV manitso d(el suggello ^ 
qualche ^ago animale o fioretta , serTen- 
domi in ciò dell' impressa del Signore > che 
faceva fare il suggettòj siccome fu in un 
suggello d' oro , mezzanetto , che io feci a 
Ercole Gonzaga^ Cardinale di Mantoya, nel 
quale feci per manfco un Ercolev a sedere 
sopra la pelle del leone e colla sua clava 
in mano, la qual figura, fatta^ dft U^ con 
grande studio, fo lodata assai da .Giulio 
B ornano , scultore e pittore kfdatissimo , -e 
da' pittori e scultori di queUempi merita 
d' esser messa in opera. Alcuni vi sono che 
con gran pratica e sicurtà dell' arte si sono 
messi a intagliare i suggelli senza gettarli 
prima , fatto che essi abbiano il lor mooel* 
letto o disegno , e in ial guisa si son fatti 
non poco onore ) ma si debbef però sem- 
pre fare i punzoni di già detti; e perchè 
in cotal guisa m'è occorso ancora di lavo- 
rarne, però tengo più facil modo il get- 
tarli , e più sicuro : pur l' uno ' e V altro è 
buon modo e degno d'esigere sperimentato 
da chi non vuole apparire uomo mediocre 
nella dett' arte. Ma véngfaiamo a trattare 
dell'arte di far le stampe delle monete. 



93 CELLIRI 



CAPITOLO VII. 



DeW arie di Iworare di cas^o , in acffiaio , 
le stampe delle monete ; dwe si tratta 
del far le pile e torselli , e le madri o 
punzoni per incasHw dette stampe , e delle 
difficultà y che in ciò ebbero gie antibhi ^ 
non osando trescato V ins^envone j ohe i 
moderni hanno intorno a detta arte* 

vrRANDissiMiMBNTB mte agli artefici la 
via di far le medaglie a oro , d' argento e 
di broozOy come co8tuiiiar9fio di fare gli 
antichi ^ il modo di far le monete y le qaali 
monete , come si pad conoscere dagli os- 
servatori delle cose antiche j furono molto 
diverse dalle medaglie; perciocché essi quelle 
facevano per necessità , e queste per pompa , 
essendoché le monete si fanno con poco 
rilievo , perchè v^ entri manco metallo , e 
quelle con più rilievo per maggior bellezza. 
Basti qui di dire, delle mopete rieigionando , 
che i nostri moderni con maggior facilità 
degli antichi V abbiano fatte ^ come più di 
sotto diremo ; e tanto maggior lode loro si 
debbe attribuire, quanto essi di ciò sono 
stati inventori»^ siccome, della stampa e di 
altre diverse, cose è intervenuto. Seguitando 
adunque il nostro costume solito ,, che è di 
dimostrar le cose ^ che prese a trattare 
abbiamb y per via d^ esempj , dico , che 



ÒÀKFICERIA. ^3 

essendo io dopo il miserabile sacco di Roma 
ma odalo a chiamare de Clemente Settimo, 
mi fu da detto Papa fatto fere certe monete 
di due ducati d^ oro F una^ in una delle 
quali ^ nel suo diritto, era un Cristo ignudo 
còlle mani legate dinanzi, fatto dà me con 
grande sjtudìo , con un motto della Scrittura, 
che attraversava il Banco del detto Cristo, 
e diceva : ecce homo , e intórno alla cir-* 
confereiiiKa della moneta vi erano quest'al- 
tre: CLEMENS VII. PONt. lUX; , c nel rovescìo 
feci la testa del Papa. Mosso poi da altra 
occasione mi .fece &re un'altra moneta, 
medesimamente d^ oro ' e di valore di due 
ducati d^ oro in oro , da una banda della 
Quale era il Papa in abito pontificale e 
1 Imperadore , che ambi facevano atto di 
rizzare una Croce y che mostrava di cadere 
a terra; ne, che io mi ricordi, vi erano 
lettere: ma dalP altro lato, attorno a un 
San Pietro e un Safei Paolo fattovi dentro 
più su che nel mezzo vi era questo motto: 

VNVS SPIRITVS VWA FIDES ERAT IW 1BÌS. QuCSte 

monete^ mi * fecero non poco onore; ma per 
esser fatte con gran disavvantaggio del Papa, 
furono dagli avari banchieri in breve tempo 
disfatte. Dopo le détte due monete d* oro^ 
ne feci una d'argento, di valore di due 
carlini, da un lato della quale ^vedeva la 
testa del detto Papa col suo nome, e dal* 
V altro tm San Pietro , che alla voce di Cri« 
sto benedetto uscito di barca ed espostosi 
all^ onde , mostrava tutto timoroso di som- 
mergersi , e Cristo con gran manstietudiae 
lo prendeva per mano; e il motto erano 



94 CBLLIVI 

le stesse parole del nostro Salvatore: QVias 
DVBiTÀSTi 7 In Fiorenza poi feci tatte le mo"* 
nete d'Alessandro de^ Medici, Daca primo; 
e. la maggiore di queste fa di prezzo di 
quattro carlini. Da una banda vi era la te« 
sta di detto Duca^ e dalF altra un San Cosmo 
e Damiano , Avvocati di quella Illustrissima 
Casa; né di queste pongo le lettere per èssere 
a ciascuno manifeste : ben dirò ^ che per , 
essere la testa di detto Duca ricciuta.) da 
quelli: furono chiamati: Ricci. Feci , oltr^ a^ 
questa, il barile e'I grossóne^ monete nelle 
nostre contrade notissime. Ma per venire al 
nostro intento e per mostrare il modo che 
io tenni ^ che si debbe tenere in far le 
stampe delle dette /nonete y dica, che si dee 
pighare due ferri, sopra i quali si stampa 
la moneta , V mio de' quali è chiamato pila , 
e r altro torsello. ^L^ pila/ è in forma di 
un' ancudinetta , e sopra di essa & intaglia 
quello che dee apparir% sopra la medaglia. 
L' altra parte, detto torsello -, è cinque, dita 
alto ed è della grossezza , nella sua (e^ta , 
che debb' essere la moneta , tutto il rima* 
nente verso la sua fine ya, alquanto dimi- 
nuendo con bella grazia e forma. Fannosi 
questi due ferri , cioè la pila e 1 torsello , 
di ferro schietto, fuor ohe le teste di essi,- 
aopra le quali si debbe appiccare , per la 
grossezza di un dito /di finissimo, acciaio; 
e ciò fatto, cpUa lima si darà loro la de*, 
bita forma , lasciandolo con quella grandezza, 
che esser debbe la moneta , che si ha da 
stampare. Preparasi |>oi un loto fatto eoa 
terra ^ vetro pesto , fileggine di cammino , 



OREFfcmu. g5 

terra di bolo Àrtnenio e alquanto di sterco 

di cavalla^ le quali cose tutte mescolate 

insieme e infuse con orina d' uomo y si ri-* 

ducano nella guisa della pasta da fare il 

pane. Piglisi pof del detto loto^ evengasene 

per la grossezza di un dito sopra le teste 

del torsello e della pila , e poi sì pongano 

in fuoco^ il quale sia di tal valore y che 

po^ssa ricuocere benissimo le dette tèste: è 

nel medésimo fuoco da .per loro si lascino' 

freddare ^ avvertendo , che il detto fuoco' 

cotanto vorrebb^ essere^ che per una notte 

di verna intera ( e non manco ) le potesse 

mantener calde. Indi si traggono fuora, e 

affatto se le dà loro quella forma che deb* 

bono avere, lasciandole 40011 tanto vantag* 

gio 'y quant' è la grossezza d^ una mezza co* 

sta di coltello ; ciò fatto si debbono arrotare 

sopra, una pietra gentile ^ la quàl vuol esser 

patitissima^ perchè sopi;^! le dette pile è 

torselli non debbe restare nessuna inegua-* 

lità. Piglinsi poi le seste, e segnisi il cir*' 

cuito della granitura della moneta y che viene 

a essere appunto quella grandezza, che ha 

da aver la moneta 3 dopo questo con un 

Atro paio di seste si debbe segnare Move 

hanno da star le Lettere che vanno intorno 

alla detta moneta : e qui si ha da sapere , 

che le dette seste vogliono esser fatte di 

fil di acciaio, alquanto grossetto, il quale 

acciaio si torce in guisa di seste e si pone 

alla grandezza , che altrui se ne vuol ser-* 

vire , né mai più si muove y e delle dette 

seste immobili è necessario di averne due 

paia alBianco; T altro naie di seste mobili 



96 €BI^INI . 

vogliono essere alquanto gagliarde. Segnata 
che si sarà la granitura e il sito delle lette- 
re, mettasi la pila in un grosso tassello di 
piombo , il qime pesi cento libbre alm^nqo; 
e ferma che vi sia la pila in detto tassello, 
comincisi a stampare la moneta nella stampa 
di detta moneta , che cosi si debbe fare. 
Piglisi la testa di quel Principe, che si 
serve ^ intagliata in acciaio finissimo; ma 
prima diremo del modo d' intagliar questa ^ 
e de' rovesci. Addolciscasi nel fuoco V ac- 
ciaio nel . modo che del torsello e della pi la 
si disse , ed awerli^cajsi che il d^tto ferra 
vuol esser tutto di finissimo, acciai^ ; e per- 
ch' egli è di necessità di fare i detti ferri 
da stampare secondo T opera ^ che si. vuole 
intagliare nella moneta, perciò bisogna (arl^ 
di più pezzi: siccome, volendo fare il di-« 
ritto d^nna moneta, in cui per .lo più si. 
pone la testa del Principe che la fa batte- 
re, questa si deb))e fare di due pezzi^^ e 
nel rovescio , perchè vi vanno più figure , 
perciò si debbono fare di molti pezzi ^ e 
più o manco secondo, la discrezione del 
valente artefice. Sono stati alcuni, che di 
pochi pezzi l'hanno £itte, ma in tal, guisS- 
sono più difficili a comporle nelle stao^pe^ 
dove essendo di più pezzi con maggior fa- 
cilità vi si commettono ; ma . ben si dee 
avvertire ^ commetterle bene, e ciò'si con- 
seguirà, -se, mentrechè le dette figure si 
intagliano, si proveranno sopra uno stagno 
pulito, al quale colle dette seste. si dà la 
forma della nioneta, e C0sì si vien vedendo 
di mano ,in mano V opera, arreoandola 



ÒEBBICBHU. gj 

Morameote a fine. Haimo^i detti peszì o 
ferruzz^ aopra i quali s^ intaglia V'operst, due 
Qgomi, perciocché comunemente son detti 
panini , e altrimenti madri ^ e questo 
nome secondo ragionevolmente loro si con- 
viene j perciocché sono le madri y che par* 
toriscono V opera composta di figure od* al- 
tro, che nelle monete si pongono. Tutti i 
piò valenti maestri di quest' arte , e che 
meglio di monete lavorarono y ebbero in co- 
stume di fare i loro lavori per via delle 
dette madri o punzoni ; laoade cosi gover- 
nandosi r artefice, potrà esser sicuro 2i non 
avere a. toccar mai niente con « ciappole o 
bulini ; essendoché co' detti ferri si cóm« 
metterebbono due errori^ il primo, che l'una 
moneta datt* altra farebbe alquauto di va- 
ne(à, il secondo^ che per mezzo di tal 
variazione si darebbe comodità ai falsatori 
di conseguire più agevolmente il loro scel- 
lerato fine; dovechè essendo ben fatte e 
colle dette osservanze, non le sapranno 
né possono contraflEare. Torniamo ora dove 
lasciammo la pila commessa nel piombou 
Ciò fatto. si debbe pigliare le dette madri ^ 
e quelle prime y che compongono la testa 
dtl Principe e che fanno il diritto della 
moneta , come di sopra dicemmo ^ cosi presi 
i primi pezzi , che si vogliono commette» 
re, avendogli situati al suo luogo, si darà 
loro un colpo col martello, avvertendo^ che 
con quella prestezza , che s' é dato il colpo 
sopra la detta madre , coli' istessa si debbe - 
Mule vare la mano e il ferro, cioè il pun-. 
2one o la madre ; perciocché ogni poco, che 
Cettini Ben. Fot. III. 7 



t. 



g^ dBtti»! 

la delta ntòdre ribatCei^e^ v^lrtéfabe macclàaf^ 
e brutta V òpera. Còsi òdllà tnede&ima dì^ 
ligenza ne^ cfiritti e ne^ fdve^lci s^ ànderà conok 
mettendo o com)K>neDdd ié porrti delle (igu^ 
rìnè^ che vanno nella monetsf, e dopo queste» 
tutte r altre sue apparlénónase ^ come sono 
arme , contrassegni e sirìiilì, avendo insieme 
prepdrtiio gli alfabi^ti delle lettere e il gra- 
oìtò per far la granitura, che va idta^iàtai 
in compagfiia dell'altre èose ^opra te dette 
pile e tornelli. E perchè io non voglio alcuna 
parte lasciar indiètro ^ che da me ope- 
rando sìa slata imparata y dico, che H marf 
tello ^ cori che si percuote le maggiori ma- 
dri^ come sono quelle, che compongono le 
testé e cimili, vuol esser di péso di quattro 
libbre in éìrca o più {Presto manco , e cjueln 
le, dòn citi si battono le minori^ vuol es-*' 
sere assai minore. Così debbónd i iùarteUi 
and^ didainuendo di peso, secondochè le. 
madri sofiò piccole insiuo alla granitura» 
Cóme sarà finito d' intagliare la pila " e ^1 
torsello,* si debbono i detti limare intoma 
alla toro circonferenza, tantoché s'accosti: 
alla grariitura appunto^ facendo, che ^uel, 
che' ^i lima verso la graùitui^, sia bolso 
assai j perchè, altrimenti essendo,^! sv^mae- 
rébbe la stampa e sabito sarebbe guasta , 
dòvèchè, essendo il detto ferro, che si lima, 
quanto più si può bolso, la stampa non 
potrà mai svernare. 

Venghtamo ora alla tempera,. che si dà 
a dette stampe. Queste , poste in fuoco^non 
vogliono divenire né troppo né poco iross^; 



oRBPicmiii. .99 

md basta^ clie sieno infocate Cabtb^ che serva 
per tenlpérarle : imperò si debbe avver- 
tire ^ efae essendo pòco ò troppo infocate ^ 
noB pigiiòranao k tenaìpera , massimamente 
ebe Del temperarle gettano nna scaglietta , 
ìà quale goasterebbi^ il lavùro , se nonvi si 
pónesse gran òura ; e perciò bisogna , come 
s' è . dettò > avvertire , cbe il fe#ro sia rossa 
ih^ tal gnisa, ohe non sia né troppo né ppco.^ 
Ciò fritta , si debbe pigliare dalla sòaglia di 
finrny pètta , e che con es^a altro non sia' 
lli€8Colato ; qnesta si metta sopra un letfna/ 
é dipoi vi si strofim la pila e lì torsèllo oe-^ 
ni^imo; peh;bè cosà facendo diverranno 
lùstìranti y e per cotal cagione similmentié 
Avei^anno luetre te m(»iele. Dopo che la 
stampe si sst'hnnb strofinarte sopra la detta 
scaglia,. iSsséndo nelle stam(>e alenai ihUigU 
più b nsatieó profondi , acciocché' incor q»e-^ 
stì vengano lustrati, perciò si debbe pigliare 
vài poco di stiverò insieme, con alouanto- . 
della di»tta sbaglia di ferro > e dalla banda 
del sntero insieme colla scagna si debba 
strbfinaré k^ dette profondità ^ e così , a lai 
termine essendo condotte , sì possono dare 
allo statbpatóre nella zecca. Ma perdìo al ^ 
pri»eitpid del nostro ragionamento dicemUno 
come gli antichi, cotanto in ógni còsa ed--, 
celienti^ non seppero condurre con quella , 
bellezza e facilità le loro monete, che imo- 
derni artefici hanno saputo; qui sarà luogo 
opportuno di renderne la ragione. Diciamo 
adunque j che ciò nasceva, per quello che s^ è 
potuto coiighietturare ^ perchè essi intaglia- 
vano le loro stampe con i ferri da orefici | 






lOÒ 



GBLtitHt 



ciappole j bulini $ ceselli y la qual cosa j 
* oltra 1 far men beUa^ l' impronta della mone- 
ta, è ancora più difficile per la ragione, che 
diremo ; perciocc^iè lavorando io per Papa 
Clemente le stampe delle sue monete (come 
dicemmo )' vi ebbe tal giorno j che fu ne^ 
eesa^rìo di stampare trenta di questi ferri , 
cioè pile e torselli j laonde se per lo modo^ 
che gli antichi gli conducevaùo , gli avvessi 
dovuti fare j non ne avrei condotti due in 
un giorjQO solo, oltreché non satebbooo di 
gran lunga venuti bene, come vengono nel 
modo detto. Potevano adunque supplire gli 
antichi a questo mancamento colla moltitu- 
dine di^h intagliatori, ma non già alla bel- 
lezza^ per non aver ritrovato il modo di 
far le stampe per via deMetti punzoni € 
madri; Ma venghiamo a parlare delle. mèda- 
glie , le quali ^a' detti antichi furono fatte 
con supremo artifizio ed eccellenza ; dove* 
ohe , di esse minutamente trattando^ in quel- 
lo ^ che si fosse mancato nel mo^tcare il 
modo di far le monete , nel segueiite di»- 
. corso si verrà a supplire; essendoché molte 
cose vi sono > comuni fra le monete e le 
medaglie , che indifferentemente all' une e 
r. altre servir possono per la confonnità ^ 
che si trova fra di loro. 



» 



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J i 



OltCnCBRUu 101 



CAPITOLO vni. 



i ■» 



Del^mqdóy che tennero gli antichi artefici 
nel far le stampe delle meda^ie'; di- 
quello , che fra' moderni s* usa ; e come 

*' si facciano i tasselli di dette medaglie. ' 

' - ■ . < 

* __ ' " ' 

xJe diversità delle maniere d^ una intesali 
medaglia, (delP antiche parlando ) fatta sotto 
un medesimo Imperadore e a suo tempo 
stampata^ ci fanno considerare , che la- 
cilmente potette essere , che quaùdo Timi- 
peradore fosse in que' tempi creato , tutti 1 
più valenti artefici di tutte le provincie al 
suo Imperio sottoposte facessero ciascuno 
una medaglia colf effigie ed impresa del 
detto Imperadore. Come > per esempio, in 
Roma cinquanta o sessanta maestri avreb- 
hòno fatta }a medaglia di Cesare , e il mi* 
^ gliore sarebbe stato quello , a cui fosse per- 
tnesso di fare le dette medaglie , e ad esso 
artefice ancora per avventura dovevano con* 
segnare' la zecca /cioè il far le stampe delle 
monete. Cosi per tutte le città si^ doveva 
per i ministri Imperiali tenere il medesimo 
ordine /dimanierachè in un medesimo tempo 
ai dovevano diverse medaglie da diversi 
artefici fare^ i quali più o manco, come in 
ogni tèmpo interviene, dovevano essere ec- 
cellenti in tale esercizio ; e però , aecondo- 
ckè io mi ion fatto a credere ^ delle pia e 



/ 



1^ ,€E|.LllfI 

manco beHe ogni giorno se ne .veggono. 
Ma perchè non è nostra intenzione di àis^ 
correre sopra d^ quest? ^ ne* qon in quanto 
al Qkodo di farle s^ appartiene ^ essendo di 
esse massimamente da dottissimi nomini 
^tp ^rì^03 perciò verrenip ^^^ nostra prati- 
ì^, diceado prìnia quel mo4a; ohe t^iinerp gli 
antichi in è^r delti lavori^ secopdoi^lià per 
diverse oA^erva^iopi 9' è potiiitp (:9pgbiettt^ 
rafre/e per mezzo di molte cose antiche ap» 
partènenti a essa arte^ che aUe mani ii<e 
«OQO pt^rvenute ^ le quali ci hanop data oq^' 
•Cfision^ di còsi ragionare. Volendo ^dunque 
•i maestri antichi {ar la testa e il rovescio 
della medaglia , queste prìpueramepte &ce- 
vano di céra y di quel basso nlleyo , ch^ 
volevano ^hfi Id detta n^edaglia fos^,eap- 
.puato della graadezza ìstfssa, cb(^ av^isste 
' d^ essere. Ma prima che più avanti pasaì^ 
mp ^ diremo i^ome si fa^ia la detta perà. 
Debbesi pigliare cera biancbis^io^^ f pura^, 
a mescolarla cop tanta biacca ben maciàiì- 
ta y che sia per la metà della cera y ^ que- 
sta 8^ aggmgne un poco di tremf ptiua cbta* 
rissima^ la qnale più o manco vuol essere ^ 
aecondp la stagione, in cbf altri ^i ritrova; 
perche essendo d^ inverno , si pnp torre più 
trementina la metà , che la state non ^1 
farebbe: e questa è il modo dt iar ìs^ùpn^ 
If qipaj^f eor/l da essi antichi lavtjMrafc^ ('^9- 
com:^ aùccu'a è da^ moderni ) Uffrtk òq 
•toMdp di pietra j ìT osso o di vetro nero, fipa 
if^tti Kiacelletti di legno. Condptto i) detto 
^.ycFP di per9 % perfezione / lo fòrma?aào 
4i p§90 in nquella maniera ^ chp ^ di : sQ|>|*a 



ifaemmo &f|i 4^' $iie^el)i éardu^ales/Qbì. Poi 

avevano i loro tasselli ; ch« ceis^x pi xlpmaai-^ 

davano i fi^cri^ co^ ch^ «i stapip^o te dfHt« 

«Medaglie y t 4i£^f na^ 4i qi^^^lli 4elÌe ipq- 

wte , che pì\e e tornelli pi 4icorjp ; chf , 

<mM di già è Qciti> , epAtengijitìo difl^reato 

BOina^^ perchè nnqor e»#i spo/O differenti , il 

dbe jion avvieiie 4!e^t|sse]li ^ che ain|>i sono 

Infiali. Ma qu^ati ferri qob « fa^o , jaojna 

fieUi delle m^of^to^ peroliè i tor^^Ui « la 

ffle di ferro e .d'aociaip si comfKoogoiDo ^ e 

^utfrti taaaeUi sì faMio t^tti d* acquaio scbiet* 

k) j 1 qu^(li debb#Do^ lessare di forfi^a qu^dra^ 

agoali P uno air^Hro, coiDe b^ è detto j 

e. per fMstrape il mod<^ di farli ^ 4Ì€Ì^0y 

ohe poiché $i ^ariuiQo indolciti nel f^ocO i 

econe ìoaegpafB^io , chi), a qii?lli d«)ilf ipo<» 

Dete 81 doVess« fare |, s^ d§^Qqfì tpì^ 

Ilare piilitaroeate eoo pietre d^p^yie, QÌ^ 

hklo , aU>iansi du^ o tra paia d| quelle 

seste icnmohjli &J$e^ di filp di aQ€;ia)0| cqìb^ 

piando delte lE^net^ ai 4i$4e; I9 quali 

condotte .che aaranoo a qu^Us^ gri^n^e^za, 

(ft che sdt4 hfi di l^isogno, oqh efia^ fi.fter 

gQ^ii il Joogò della graaitijiri^ e ]ù d^^Umw 

dalle lettere y cona^ pur deli^ ipope^ AucQr» 

^naitio* Già latto colica «iiyppp)? .4ili* 

trateineiìte sopra il tàaa^Uo ^oQ^ùiiciii^dQ; a 

biorare si lava l' àoeiaip y aocQ^dp qhd 4kwr 

alra I9 £)ffiaa^ che ai ^a^rà ^t^ di. ge^so 

^OfHra la eqm ^ e coni tó» |^stl^fiiza^l j^ ya ìq* 

i>iaayan(Ìo cèn.i detti ferri, pomod? :CwrA; 

4^ naaneo, chat aia possikile.^> si.abhla da 

tdoperare i ceaelU pev ai;m^aafp 3 esaeù- 

àofié per tal. modo si ìarebbN^ indurir 



104 . CELUKI ' 

l'acciaio /e* non se ne potrebbe levir fiori ^ce>i 
ferri da tagliare : ]!>erd con pazienza A 
debbe andare i tasseHi lavorando ^ nel modo^ 
detto y il quale è quello , cbe leonefo> » gli 
antidhi facendo le loro medaglie. Le letlere' 
medésimamente , ch« intorno a e^se andi* 
vano, intagliarono con ciappole e con bu- 
lini; ma delle dette lettere, die nelle loro 
ihedaglie si veggono, siami lecito dire con 
ogni debita reverenza, cbe essi colle loro 
regole non le fecero ,- quantunque i Qomani 
inventori ne fossero ;'peFeioechè cbi .porta 
diligente cura , le Vedrà per lo più .fatte 
in tali opere con ^poca grazia, il cbe doveva 
procedere, perchè in tal parte eoa met* 
tevàtio studio, e le lasciavano ^ come cose al 

, loro esercizio non appartenenti. Avendo ^n 
detto éA modo, cbe tennero gli -^antichi in 
far le medaglie, verremo ammoderni,- segni- 
tando il nostro solito ordine. Occorsemi di 
fare a Clemente Papa Settimo due madame 
con i loro rovesci^ alla prima ùel diritto 
feci la testa del Papa , e per rovesciò v^ era 
intagliato quando Moisè nel deserto con 
moltitudine di pòpolo assetato ^ percoteva 
colla verga la pietra, fuor della quale usci- 
vano abbondantissime acque; la quale alo* 
ria era stata da me fatta con mokitudine 
di parsone ^ di camipelli e cavalli, servemìo 
air effetto^ con affetto e decoro; ititorao 
alla quale era questo motto t vt hibat «>- 
PVLVs. Neir altta , oltre aHa testa del Ps^, 

"vi era per rovescio figurata la Pace con tina 
facoltà ; in -mano, che ardeva un trofeo d'^r- 

•me/ ed accanto aveva il ^tempio- di -Giarn» 



• 'I OKEPICBItU. I05 

/con una figurina legata a dettò tempio 
postavi per lo' Furore; ed il motto era 
tXATDYNTVR BEI.LI poETAE. Qùìeste due t^è*- 
daglìe furono intagliane da me con quelle 
8<^raddette madri e panzoni , come di*- 
cemiùo parlando delle monete. Sia qui si 
ricordi F artefice, che dove io dissi, che le 
stampe di queile non si dovessero toccare 
con ferri da tagliare , dì queste tutto il con- 
trario avvìeile ; perciocché , come si saranno 
messe sopra i tasselli e puHzònetti ^ è di 
necessità con ciappole e con bulini finirle 
diligentemente , e indi porvi le lettere d' in- 
torno^ fatte pur in punzoni d'acciaio, come 
nelle monete si disse. Le dette stampe di 
medaglie vogliono esser poste ^oprà un grossa 
tassello di piombo ) perchè , sebbene da al- 
cuni è stato usato di metterle in celti ceppi 
di legkìo buoati, ciò nelle medaglie non 
si può faré^ essendoché T incavo ha da es- 
sere in queste molto più profondo, che 
quello delle. monete, dovendo esse mostirarsi 
eon maggior rilievo. Débbesi ancora usare 
come nelje -monete, ^mentrechè le dette 
stampe .a' intagliano , di ^stampare con un 
poca di cera nera qudlo, che si lavora; acciocr 
dbè meglio si consideri ciò, che si fa^ e 
innanfzi che le deftte stampe si temperino j 
Btamipisi prima alcuna medaglia dì piombo, 
affinché tutto il lavoro si vegga insieme e 
secondo il insogno si corregga. E come ciò 
SI fkà' fatto y allora si' potranno temperare 
nel modo , che si disse delle monete ; ma 
pongaai cura di avere un vaso capace, al^ 
•^laanco di dna barili d^ acqua ; e quaòdo 



\ 



<06 CBX.l«|lfI ; 

«aranQO fiitte rotsse dal fuoco colla discrer 
sione, che dicemino;, pigliandole, colle te- 
Daglie y 8Ì debbono subito tvfl^re heUa dotr 
t^ acqua , teoeadole % m e^sa ricoperte e 
non mai fuori, ma girare, oosi ricoperl^ 
iDtoroo, fio tantoché ai senta cessare q«e) 
rumene del frìggere*, che fa il fuoco per 
la violenza deir acqua ; . dìpd, si possonp 
cacare , e: si hanno . da pulire colla scaglia 
del ferro macinato, come altrove si dijsse. 
Ma tempo è di trattare de' modi di stamr 
pare le dette medaglie* 



• s 



jCAPITOiIo IX. 



Del modo di $tampme le medaglie a canie; 
. delle misure delle staffe e 4^ oonf^ . 

Itf diversi modi i& stampano le miedtf^ 
glie^^e quello, che generalmente ai dice 
ooniiare , a noi pare, che . particolarm^nt^^ 
ancora si debba intendere ^ esaendoek^ .egli ' 
è imo de' modi , con ^ che A .stampano le 
dette medagtie. Ma quantunque . in diveiai 
modi queste si stampino ^ per fuggiiie la 
superfluità non necessaria, diremo solai^eato 
di <piegU stessi, de^ qnali . nelle nostr' opera 
ei Biamo servili , avendogli per , meazo. delr 
1* esperiencsa trovati utilissimi. Cominciando 
adunque dal modo di stampar - Id medaglie 
a comò ^ diciamo v che si: debl^ &r« mf 



9taffii di ferro^ |arg£i. quattro dita , grossa 
iue^e ItiQga un i^è^zp l^raccio^ il vaco 
larghezza dellsi quale, ifuol essere appunto 
laoto q^aoU^ $00^ grandi i tasselli , dove 
li SQno int^gMatf le aiedaglìe y i quali , sic- 
come dìceniiDp, v<^}iono esaner quadri ed 
eguali, e dispci^ti in tal gqisa, che metten-» 
dqgl^ n^elle staffe v^ entrÌAo dentro appunto ) 
perchj^ pelooiiiaF poi l$i ipedaglia, di qua* 
lunque melallo ella si^^ ^pdpvi dentro 
«ippunto,! detti t9sselli fM)Q ai pps^ono tras« 
porre. Ayvertiscasi pra^ che volendo stanw 
par le medaglie oel detto modo , priqua è 
necessario di aver neUas^elti ^tapspate una 
medagUa di piopibo ^ella gtpssezza , ch^ ella 
si desidera d' avere d' oro q di argento , e 
ciò &tto bisogna fondarla in quella terrai 
iieUe'dé;;te staffe, già nel modo che dicei]$iQ)fì 
usare i boirchiai ; ed ^p|^ssp gettarl^i e 
n^ti^rla dalie sue bavette con una lima , 
avvertcDdo pe^ò. di Don vi lasciare i colpi 
della lima, ina raderla bfne. Dipoi si met- 
terà ìf^ mezzo a' tassèlli 3 perchè essendo la 
medaglia hi tal rfkoào 'gettata,, per co tal vìa 
m verr^ a facilitar il più U modo dello stati^ 
parla ; essendoché le stampe noi;t s' afl^|icanp 
tanto. Pipoi che si; avranno le stampe 
Della staffai e che sl^ia diritta la staflaìo 
terrari facciasi , che da una banda; i tasselli' 
À pesino nel fondo della detta, stafffi, 9 dalla 
banda di sopra , nella qqale vi debbono 
esser tre dita di yacuoi vi $i ppo|pino dii^ 
^cdn| di ferro ^ cioè due biette) le quali vor 
' gtioifo da una. banda esser grosse^ e <lair al- 
tra per ^ la metà manco grosse. Queste 



Iò8 CEtLiNI ' 

vogliono esjgev lunghe per i|aa volta e mezzo 
la lunghezza delta staffa ^ più e manco , 
secondo il bisogno. Volendosi poi stampare , 
pongansi le punte delle dette biette o conj 
aopra i tasselli^ in guisa che F unn e V altra 

{mntavénga a soprapporsi. Fatta che si sarà 
a detta diligenza ( la quale si fa, per- 
chè non si traspongalo le parti della meda- 
glia^ e per agevolare i ferri e il metallo^ di 
che dee farsi la medaglia ) piglisi poi la 
staffa e posisi sopra una pietra grande còti 
una di quelle teste' grosse de' conj ^ é iosulla 
lesta di sopra percuotasi con un groiso 
martello a due mani, il qual martèllo nel- 
r arte si domanda mazzetta ; e debbési so^ 
lamente percuotere tre o quattro volte il 
plùy scambiando a ogai doe cólpi il conio 
di sótto in sopra. Ciò fatto cavisi la meda* 
glia, ed essendo per avventura di ottone^ 
è di necessità ricuocerla ^ perchè per la du^ 
rèzza del metallo non vénrà formata à\h 

Srima; e dòpo che sia ricotta, facciaiisi ler 
ette diligenze due o tre volte , tantoché 
ai vegga essere bene stampata. El^^ questo è 
quanto ne occorre di ragionare sopra que*» 
sto modo di stampare a conio, taséiando 
indietro molte minuzie, come non neces- 
sarie, perciocché io presuppongo , come 
s'è detto, di parlare sempjre con uòiiiim 
non in tutto ignari ed imperiti della det- 
t^arte; e perciò discendo a un altro modo 
di stampare, detto a vite. 



OKsricKKU. togi 



CAPITOLO X. 






iMlo lampare le meda^ie a vite ; de 
masti y delle chiocciole ; e de* pani di 



esse iMe. 



J? AcciAsi uM staffii di ferro , grossa e 
larga nel modo sopraddetto^ ma tanto più 
Ituiga^ quanto 9 oltra i due tasselli, dovè sarà 
V intaglio della medaglia^ ella possa esser 
aita a nascondere ancora la vite femmina 
£ bronzo,, la quel vite si getta in sul ma- 
stio di fe^ro. Questo detto mastio è quello^ 
èbe veramente si domanda vite, e la femmina 
si domanda chiocciola. Vuol essere il'detto 
mastio grosso tre dita/ e i pani della vite 
vogliono esser &tti quadri^ perchè hanno 
fin forza^ rhe nel^^ altro modo, che si usano 
ditf^e. Avvevdscasi, che la staffa débbe 
essere buciata di sopra; e poiché in essasi 
saranno messi i tasselli , e infra i detti tas* 
selli il metallo, che si vuole stampare^ è 
necessario, che per la grandezza della chioc^ 
ciola di ' bronzo sia tale , die non balli nella 
staffa. £ perchè i tasselli hanno da .essere 
alquanto minori , per tal cagione , si èal* 
zeranno con biette^ di ferro , fermandogli 
bene , acdocchè non si muovano punto^ 
Abbiasi poi preparato nn pezzo di trave di 
lunghezza ^ due braccia o più , la quale 
vuol esser sotterrata tanto , . che sopra 



N 



ferra se tie vegga solamente un hi^bso brac«^ 
eio; e questa sia benissiibo piallata; ed .alla 
detta trave $ì appicchi delia tj^a di salto" 
UQ pezzo di cprreote assai ben grosso , di 
larghezza pur di due braccia , commettén^ 
dolo nella testa di sotto detta detta* trate^ 
£pot odia lesta di-sopra comnàéttasi. la staffa 
con un^ intaccatura y sicché ella tì entri 
appunto. Bisogna, ancora fare certe aliette 
di ferro ^ gagliarde , le quali sostengano la 
4etta trave ) dov'è comtliessa la vite; per-* 
ciocché le dette aliette la sostangood, qh' ella' 
non si apra. La testa di sopra, della vite 
vóol esaere stiacciata, ed io quella, patte 
stìaeoiatà vi si oommette un grosH> andlofte 
di fèrro ^ che abbia due code y le <{«ali 
code hanno a essete bucate e confile a una 
Innga stanga ^ ^ cioè a un lungo cofreùte^ 
la cui lunghezza non sia manco di sei brac* 
eia ; e poi con quattr^ uomikìii destramente 
tenendo diritti i ferri da stampare edH m«M 
taHo^ che si stampa ^ cosi si «eondocobo a* 
perfezione le dettò medaglie. Ed in ' tal 
modo per Papa Clementcr ne stampai più di' 
cento tutte di ottone, senza averle gettaitr^ 
come di sdpra dicemmo , . ohe necessari p 
Cosse / volendole ^ooniare. vFÌDi4ineiiÌe questar 
forni della vite è tale^ che se ben ai cbo^ 
sidera^ Quantunque sia di pia spesa, im^ 
però mette fenà conto a stamparle cwl^ che 
in altro modo ^ e. manco si spende } percltè 
oltre che meglio si stampa^ i ferri meno à 
affatioaiko i e deir oro e dell^ argento parlandòr^ 
io nt stampai graA quantità senza mal rì^- 
mooarne nessua»; insomma ìi due «tretlarar 



I 



ORsricsRiA. ni 

di Ttte sempre verrà atampata la' ineda<* 
glia, dovechè a cento colpi di codio ap« 
pena se ne sari fatta una* Laonde pét 
ognuna, che se ne stampi a conio, sé ne 
starà stampate venti a vite; e di questo sid 
detto abbastanza. Ora tratteremo di lavo«^ 
rare di grosseiSè . d^ oro 6 d'argento. ' 



' » 



CAPITOLO XL 



M^ arie di lij^orare di grosseria d^ uro e 
di argenta p figure escasi; e del modo 
ài Johdere- a sfitto , a mortaio è a tcLz-- 
za ; e del far le staffe da gettar le fiia^ 

stre dfl detti nHialU. 

• . . . . . * - • 

■ . ^ . 

IN 01 ^etho pervenuti all' nlliina aìrte ' 
4eir oreficerìa, che è quella dèi lavof^r di 
grosserie d'oro e dt argento, la qufcil arte 
fii da me -impalata in Roma, ma alquanto 
diversamente da quello ,*<:he io poi kk veddi 
lavorare, in Parigi , dove ii^ grahdissiitisl 
copia si lavora dì detto esercizio. Imperò sa^ 
ranno d*a me tutti' due spiegati; ma, come 
cosa néoesisa ria ^ parleremo prima del moi^o 
di fondere F* argento , per tutte T otcasioni^ 
che in dett' atte occorrono. Dico adunque^ 
che volendo , cbe F argenta noti si riarda é 
(ibe mégiio si liquefacela , per far* questo Vi 
sono tre modi*. B primo ^ iónderlo per virtè 
del vento, oko' & il raantieéj percioocfaò 
81 eompoae intornìD alla bocca dei maiMiCi 



112 CBLLlffi 

un fornelletto di mattoni , dove àehbe es- 
sere coperto bene. il coregaiuoìo « cioè. che 
lant' alto Bia il detto foraeflo , che egli 90- 
pra6&còia il coreggiuolo di quattro dita } 
pipoi ai piglia il coregginolo e ugoesi dfiDr 
trp ^ fuori beDittsidio róQ.olio di uliva^, e 
empMendplod^^argeoto ai mette nel fornello^ 
e nel fondo dì esso fornello debbono essere 
certi pochi carboticini accesi : dico pochi ^ 
perchè il calore non sia cotanto subito j 
che faccia rom,pere il coreggiuolo 3 ^ per* 
ciò se gli debbe dare un caldo tempera- 
to j non toccando mai il mantice fintanto- 
ché il cor^gìuolo non si vegga ii^focato e 
rossd j ma come siia in detto termine ^ allora 
si debbe comiociare pianamente a far ali- 
tare detto mantice fintantoché, destramente 
soffiando , si veda come accpia liquefatto 
l'argento. Ciò fatto piglisi tanta gruma di 
botte, quanta si può tener nascosta io una 
mano , e mettasi sopra T argento strutto nel 
coreggi uqIo; e lasciatala sl^re alquanto^ 

Siglisi uno .^traccio di panno lino, che sia 
en unto eoo olio , e cotanto sia grande , 
che in quattro o cinque doppj si possa ri- 

Eieg^re. Indi scèoprasi il coreggiuolo da' 6arT 
oui e pongavisi sopra .quel panno lino ; di 
poi piglisi il òpreggiuolo con un paio di ta- 
naglie dette imbrajcciatoie^^le quali dall'ef- 
fetto, elle fanno, d'abbracciare il detto co- 
reggiuolo , son cosi nominate] perciocché se 
quéste lo pigìiassorip ip quella guisa y, che 
si fa il coreggiuolo di term y essendo que? 
sto, di che parliamo, di terra, lo rompe- 
rebbqno subito ; dove queste in guisa $on 
fatte, che lo sostengono senza alcun perìcolo 



OR&FUtMlA. Il3 

di romperlo. Dopo questo abbiansi pDspa-* 
rate le* sue sta^ per gettarvi deatro' V ar- 
gentò: e queste si fanno di due piastre di 
ferro y grandi secondo il bisogno , fralle 
quaUsi mette certi bastoncini quadri , della 
grossezza del dito 'mignolo , più o manco 
secondo la piastra , che si vuol gettare ; 
indi* éi serrano all' intorno con certe molle 
di ferro , alquanto grossette ^ e col martello^ 
si pingono innanzi in guisa eh' elle serrino 
egualmente le dette staffe ; e delle dette 
mòlle se ne fa sei o otto, secondo la gran* 
dèzza delle staffe ; stuccansi poi dintorno 
con un poco di ' terra liquida , perchè V ar- 
gento^ che vi si getta dentro, non. si serri. 
Proccurisi ancora , che le staffe sieno ben 
calde, e avendole ferme in un catino di' 
cenere spenta o fra quattro mattoni in ter» 
ray avendovi prima gettato dentro un poco 
d'olio^ vi si' potrà versare poi l'argento:^ 
e questo è un de' modi di fondere. Yen-* 
ghiamo ora al secóndo , molto migliore. 
Usasi "in Fiorenza nell' arte de' battilori 
fondere in uq modo detto a mortaio , che 
cosi chiamano quel fornello, dov'essi fon- 
dono , il quale si fa in questo modo. Ab- 
biasi più lame di ferro schietto , grosse un 
mezzo dito e larghe quanto un dito grosso y 
e toilè dette lame tessasi uno strumenta 
di forma tonda , alto un braccio e un ter-'* 
zo; ancorché se -ne usano de^ minori «.e 
i&aggìori^ secondo P occasione di fondere 
più o "Ynanco argento. Questo , come s' è 

detto', vuol esser tessuto di forala tonda 

• - -1 

Celfìnù Bew. Voi Uh 8 



/ 



iofino a Bue ierzì del tutto , e da due 
terzi in giù si debbano lasciare quattro 
gambe di ferro , alquanto più grosse che 
non è '1 resto del tessuto , sopra le quali 
quattro gambe il detto ' fornello s' ha da 
posare. Ma si debbe avvertire , che dove 
cominciano le gambe , si ha da fare una 
graticola tanta larga , ohe vi passi un dito 
e mezzo 4 e non più, la qual graticola 
debbe servire per lo fondo del fornello; e 
al detto fornello facciasi una crosta di terra 
mescolata con cimatura , la qual terra debbe 
esser di quella, che s^ adopera alla foruace 
de' biochieri. Fatte le dette diligenze , pi-> 
glisi un mattone di terra cotta e posisi nel 
fondo del fornello , e sopra il detto mati 
tone si ponga un poco di cenere, e $opra 
]a cenere il coreggiuolo coU' argento , che 
$i vuol fondere ; il quale vuol esser tanto, 
che sia bastante a empier detto 'coreggiuo-» 
lo y usandogli V altre cbligenze , che si dis-« 
aero nel fornello passato. Ciò fatto , empiasi 
il coreggiuolo di carbonetti con un poco di 
fuoco , lasciandolo per se stesso far rosso; 
perciocché per se medesimo piglia un venta 
grandissima y ed in tal guisa si fonde me- 
glio che col vento del mantice. Usansi fare 
ancora de^ coreggiuoli di ferro schietto^ 
essendoché quelli di terra bene spesso si 
rompono ; ma a questi di ferro è necessa^ 
rio fare un loto di cenere pura, la quale 
perciò si domandai cenerata ; e dentro e 
fuori del coreggiuolo vi si pone gr03sa ud 
mez^o dito, lasciandola rasciugisir bene avanti 

ch^ V argento vi si metta dentro^ Usasi 



0BEFICE1KIA. Il5 

ancora di far detto loto di terra con ci- 
matura ; e r uno e V altro si approva , 
purché nel resto si osservino le diligenze 
raccontate. A questi si aggiugne il terzo 
modo di fondere , il quale fu trovato da 
me per mezzo della necessità, e mi riusci 
molto a proposito : perciocché essendo in 
Castel Sant^ Angelo rinchiuso al tempo del 
sacco di Roma , e privo delle comodità y 
che a tali cose si ricercano , rivolgendomi 
air industria , smattonai una stanza ^ e di 

5 mei mattoni andai tessendo un fornello in 
orma d'angolo ottuso; fra Tuno e T altra 
mattone^ neir attestargli , lasciai i conventi 
iarghi due dita; così in tal modo l'andai 
ristringendo , e quando io fui un palmo 
sollevato da terra di dentro , Y andai con- 
gegnando , dimodoché io vi accomodai so- 
pra una graticoletta fatta di manichi di 
palette da fuoco e di certi stidioni, che io 
roppi ; ciò fatto , alzai il fornello , ristrìn- 
gendolo più d' un palmo e un quarto ; e 
dopo presi un romaiuolo di ferro assai 
grande 9 che a caso ritrovai in una cucina^ 
facendogli un loto di cenere e terra me- 
scolata y e vi posi dentro queir oro^ di che 
egli era capace , cominciando a dargli fuoco 
grande in un tratto y per non esser sotto- 
posto al pericolo dello spezzarsi, siccome 
de' coreggiuoli suole intervenire. Essendo 
dipoi fonduta la prìma quantità , rimbòttai 
tante volte, che io fondei cento libbre d' oro} 
e questo è un modo facilissimo e perfettis- 
simo , del quale essendo io stato inventore, 
siami lecito chiamarlo con questo nome 



/ 
i 



Il6 « CSLLINI 

come per isclierzo, fondere a tazza; e qaaa^ 
tunque paresse necessario , che se ne do- 
vesse per maggior chiarezza mostrare il di- 
ségno > essendomi ingegnato con parole di 
farlo a bastanza chiaro } perciò non pÌ7 
glieremo cura di mostrarlo per lo mezzo 
di più manifesta evidenza , ma verremo a 
trattare del modo di lavorare in dett' arto 
di grosserìa. 



CAPITOLO XIL 



Uel modo di tirar vasellami d'oro e d*ar^ 
gerito y e de' varj modi di formare e gei-- 
tare i manichi e piedi loro ; del rasoio 
da rader le piastre; del raderle e bat- 
terle; e della forma de^ ceselli di fèrro, 
ancfddini e caccianfuori. 

V^ETTATo adunque che si sarà l'argento 
nelle sopraddette piastre di ferro , si debbe 
lasciar freddare in esse; perciocché meglio 
fri rassoda e condensa. Com^ egli sia freddo y 
5Ì debbe d^ intorno nettarlo dalle sue bave; 
6 ciò fatto, piglisi un rasoio alquanto bolso 
e largo più di due dita e mezzo. Questo si 
appicca sopra un bastone, il qual bastone 
debb^ aver due manichi , che stieno disco- 
sto dalla punta del rasoio un mezzo braccio 
in circa; e vuole il detto rasoio esser pie- 
gato tre dita e acconcio in guisa che possa 
graffiare^ perciocché col detto rasoio si 



ORisnCÈHIA. 117 

debbe radere la piastra d^ argento o d'oro^ 
ch^ ella sia , in qoesto modo. Facciasi la 
piastra rossa come dì fuoco^ e così calda 
si metta sopra una di quelle piastre di 
ferro , delle quali ci servimmo per gettar- 
vela dentro , e quivi si fermi con certi 
ferri da conficcare^ cosi mettendosi il ma- 
nico del rasoio in sulla spaila, e ponendo 
ambe le mani a i manichi del detto rasoio 
( il quale viene a stare in forma di croce ) 
gagliardamente si raderà la piastra d' argen- 
to^ tanto quanto si scuopra la pelle delPar- , 
gento e si vegga netta. Qui non voglio 
lasciare alcune cose , che io osservai lavo- 
rando, come ho detto , in Parigi, dove io 
feci opere d' argento di maggior grandezza , 
che far si possano in dett' arte di grosse- 
ria, e le più difficili. Mentrechè io radeva 
le dette piastre d' argento nel modo soprad- 
detto, avendo ciò osservato un certo Clau- 
dio Fiammingo mio lavorante j giovane 
molto ingegnoso e succiente , mi disse 
modestamente « che ancorché il modo di 
radere dette piastre fosse molto bello ; im- 
però , nella maniera ^he egli le lavorava , 
si poteva risparmiare quel tempo e fare 
senza raderle : ond' io ciò intendo dissi , 
che aveva caro dMmparare il suo modo, e 
così gli detti a fare un paio di vasi d'ar- 
gento che pesavano libbre venti V uno (im- 
però con i miei modelli ) i quali vasi, cosi 
furono da \\n messi in opera. Poiché egli . 
ebbe fondato il suo argento , e gettatolo 
nelle forme di ferro nel modo sopraddetto , 
levatogli le bave, cominciò a batter la 



41$ CBtUHI 

piastra sena&a raderla e a dargli Gonfeniento 
forma, come più di aotto si dirà; e cosi gli 
conduceva senza far quella manifattura di 
raderla : il qual modo mi pare degno d' es« 
sere imitato. E con questa imparai molt' aU 
tre belle avvertenze^ le quali prima stimava^ 
che nascessero ^ perchè in detta Città si la- 
vora d* argento finissimo; ma fui fatto poi 
accorto che ciò procedeva nàediante la pra- 
tica grande , che essi avevano in tal arte , 
essendoché ogni bassa lega d' ai^en^to era da 
loro lavorato colla medesima facilità e per- 
fezione dell' argento fine. Così , come ho 
detto, senza spender il tempo in rader la 
piastra, conducevano il lavoro; non man- 
cando però di alcune diligenze, come sono 
in andar levando alcune foglietto di mano 
in iqano, che getta la piastra, secondochè 
elle si dimostrano. Contuttociò, non giudi- 
cando a passione , piuttosto eleggerei il 
primo che.il secondo modo, cioè di raderle, 
per averlo trovato migliore. Dimostreremo 
ora come si debba fare un vaso in forma 
d'uovo. Dico dunque, che in Roma fra di 
molti, che me ne occorse di fare, due ve 
ne furono di forgia d^uovo alti più d^ un 
braccio 4 colle bocche strétte di sopra e con 
i lor manichi : uno fu del Vescovo di Sala* 
manca e l'altro del Cardinal Cibo. Questa 
sorte di vasi , com^ è noto , sono chiamati 
acquerecci , e per pompa si tengono sulle 
credenze ; e furono da me lavorati con fo- 
gliami e animali diversi. Di molt^ altri ne 
feci al Re Francesco y vie maggiori de' so- 
praddetti ( dove io aveya in essi lavorato 



Alctidé opere di cesello con gfaii diligenza ) 
i quali in tal guisa condassi. Presa la pia « 
8tra e pulitala dalle bave e scantonatala slU 
quanto^ la radei da tutte due le bande nel 
modo che di sopta dicemmo! e perchè le 
piastre, che si gettano ^ sono alquanto lun-» 
ghe per un verso più che per F altro, per 
via del martello così la ridussi tonda. Fatta 
la piastra infocata e rossa ( ma non troppo^ 

Fercioccbè si spezzerebbe ) messala sopra 
ancudine , colla penna del martello si 
debbe batterla da .un angolo air altro ga- 
gliardamente e -fare eh' elP entri bene ; e 
così pércotendola , da tutti e quattro i can- 
tóni j nel modo detto si debbe fare fintan* 
teche si venga a riscontrare in croce la bat* 
titura; dipoi pur colla penna del martello sì 
tiri inverso le facci? t cosi percotendola nel 
detto modo, e scaldandola e battendola 
quattro volte, diventerà tonda. Ridotta la 
tal guisa y si debbe aver la misura di quanto 
ha da esser largo il corpo del vaso} e ciò 
visto, tirisi tre dita di più che non è la detta 
grandezza, avvertendo sempre di lasciar la 
detta piastra più grossa nel mezzo che sia 
possibile; ma innanzi che s^ arrivi alla detta 
grandezza percotendola, si debbe pigliare 
un ferro grosso un dito e lungo sei (que* 
^to vuol esser bolso e appimtato , ma non 
sì che egli sia pungente ) e il detto si mette 
dritto col piede in suir ancudine , dipoi vi 
si congegna sopra la piastra , fintantoché si 
tenga dritta , cioè pari , bilicandola in sul 
detto punto ; e quando ciò s| vegga èssere 
in pronto > commettasi a un jpratico gata^ne 



1 20 GCLLINI 

che la percuota colla bocca del martello a 
diritto di quel punto, tantoché venga se- 
gnato nella detta piastra. Sonovi dimoiti ar- 
tefici che senza alcun aiuto fanno benissimo 
il detto effetto , massimamente alle piastre 

Incede; imperò alle grandi ò necessario 
^ aiuto sopraddetto. Come la piastra sarà 
nel detto termine, -piglisi e rivoltisi insul- 
r ancudine con quel medesimo ferro, e per- 
cuotasi col martello ) dimodoché quel punto ^ 
che è poco segnalo y apparisca maggiore ^ 
dipoi colle seste ^ girandole intorno^ veggasi 
r inegualità sua ; e sempre Hcjiocendola , col 
martello si tiri Y argento dove si vede man- 
care, proccurando di non perder mai il detto 
punto. Cosi essendo tirata tanta grande, 
quanto si disse^ cioè tre dita maggiore che 
non debbe essere il corpo del vaso, di nuovo 
si pigli le seste, e segnisi appunto tanto quanto 
ha da essere il corpo del detto vaso, segnando 
oltra quello più cerchi distanti l'un dall'al- 
tro, un mezzo dito, inaino che arrivi al cen- 
tro cioè al punto di mezzo. PigUsi poi una 
aorta di martelli , che abbiano la penna 
grossa un dito da\una banda e un dito e 
mezzo dair altra parte y e la detta penna 
debb^ essere scantonata , e tonda in guisa 
che sta il polpastrello di un dito : cosi col 
detto martello si comincia a percuotere nel 
mezzo della piastra , dico del centro appun- 
to, proccurando sempre che il punto, che 
vi si è segnato, non si perda j il che si i& 
dando spesso col medesimo panzone, con 
che da prima sì «fece il detto punto.. Col 
detto martello poi si va battendo a uso di 



ORBtiCBRU. 1 3 1 

chiocciola intorno a que' segni e cerchi 
filiti dalle seste , spesso rlcocendola. Batten- 
dola adunque in questo modo ^ viene a cre- 
scere l' argento in guisa di un cappello o di 
una coppa ^ la qual forma ha da e^sereil 
corpo del vaso. Cosi avvertendo che il punto 
resti in mezzo, si dehbe tirare su Inar- 
gento eguale; perciocché quando si tirasse 
più da una banda y che da un^ altra, ^i ver* 
rehbe a far brutto lavoro e sarebbe 1' ar- 
gento diseguale. Percuotasi adunque tanto 
nel detto modo , che la detta piastra pigli 
ibroia tanto profonda , quanto è alto il corpo 
del modello del vaso; dipoi con diverse aa- 
cudini appropriate alla detta forma del vaso , 
quando colla bocca quando colla penna del 
martello^ e quando a voto, cotanto si batte, 
che pigli interamente la forma di tutto il 
vaso; il che si conseguisde in sulle dette 
ancudini, che per l'arte si domandano lin- 
gua di vacca. Àncora si dirizza queir orlo 
o rigoglio, che fa la proporzione del corpo 
del vaso , sopra un' altra sorta di ancudini 
torte fatte per detto effetto ; il quale a poco 
a poco si comincia a battere, sostenendolo' 
alquanto a vantaggio , fintantoché si venga a 
ristringere la gola del vaso , proccurando di 
levar sempre con diligenza qualche sfogliet- 
ta, che apparisse nel lavoro. Poiché si sarà 
ristretta e condotta la igola del detto vaso, 
secondo il modello, volendo lavorare il corpo 
di basso rilievo, si debbe empiere di pece 
nera , e ciò fatto compartire e disegnare con 
uno stiletto di acciaio brunito sopra il 
corpo del detto vaso o figurine o fogliami 



la^ CELUNl 

o animali^ secondochè si vaol Ornare; indi 
ridisegoar tutto colla peana e coU' inchiostro 
con tutta quella nettezza e pratiba che nel 
disegnare si ricerca, poi co^ ceselli: quali (se 
prima di essi non avesse appieno dato noti-^ 
zia) sono ferri di lunhgezza di un dito e di 
grossezza di una penna d'oca, e vanno cre-> 
scendo per due grossezze di penne } i quah 
ierrì sono acconci in diverse maniere, per-* 
che alcuni ve ne sono fatti come la lette» 
ra G j cominciando da un e piccolo e an-* 
dando crescendo a un G grande; alcuni 
sono più volti, alcuni meno volti, tantoché 
egli si viene a quelli, che sono diritti ap- 
punto ; e questi si debbono fare di tal gran- 
dezza ^sicché cominciando a diminuire^ ven« 
gano tanto grandi quanto è T ugna del dito 
grosso d' un uomo , le quali diminuzioni 
hanno a essere da una infino a sei. I detti 
ceselli, adunque si debbono porre sopra il 
lavoro, e questi percuotere con un martel- 
letto di peso di tre o quattro once^ destra- 
mente, e così venir profilando con essi tutto 
Snello che di già si è disegnato. Piglisi poi 
detto vaso e circondisi con lento fuoco ^ 
che così facendo sene caverà La pece, che 
v' è dentro ; e cavata ch^ ella ne sia, si 
debbe ricuocere, facendolo bianco col bollirlo- 
nella gruma di botte e nel sale , pigliando 
tanto dell'uno quanto delF altro, come già 
9Ì disse. Come ciò sia fatto , abbiansi certi 
ferri^ fatti in foggia d'ancudini, colle corna 
lunghe, i quali sono detti caccianfuori e si 
fanno di ferro puro ^ più lunghi e più corti 
secondo il bisogno. Queste cacciahfuori si 



ORBf ICERIA. I a3 

banoo (k iermare io un ceppo ^ come s* ac* 
coDciaDO r altre ancodini. Nel vaso poi si 
fa entrare una di quei cornétti delle dette 
ancudini, il quale sta rivolto colla punta 
air insù , la quale si fa tonda ^ nella guisa 
di un dito piccolo della mano ; e questa 
serve a far rinnalzaré que^ luoghi , che nel 
lavoro del vaso è mestiero d'innalzare. Cosi 
pian piano percotendo col martello V altro 
cornetto delle cacdanfuori si viene a sbat- 
tere^ facendo per co tal modo brandire quel 
eh' è nel corpo del vaso , e innalzare l' ar- 
gento tanto quanto fa di bisogno. Avendo 
ciò fatto a tutte le figure, animali o fo- 
gliami j che sono neir opera ( cioè innalza- 
tigli colle caocianfuori ) sì debbe ricuocere 
il vaso e farlo bianco nel modo, che dicem* 
mo , poi. rimetterlo nella pece e lavorarlo 
con una'altra sorta di cesellini fatti pure 
nel medesimo mòdo , che dicemmo farsi i 
sopraddetti , se non quanto le lor punte 
hanno da esdere della forma di un fagiuolo , 
grande o piccolo secondochè la forma del 
cesello va diminuendo. Ben è vero che in 
altri modi di questi sen' usa di fare ( i quali 
sono secondo l'usanza dell'artefice che la-* 
vera ; perchè io ho veduti diversi modi di 
cesellare ne^ maestri ) ; ma ciò poco impor** 
ta ; bastine dire che i ceselli non hanno 
da tagliare , ma ammaccare Y argento. Ma 
tornando al nostro proposito , dico / che il 
lavoro si debbe cavar di pece e ricuocer» 
due o tre volte secondo il bisogno ; e come 
si saranno co' ceselli condotte le figure* 
e i fogliami presso alla fine (cioè albi' 



^12^ ^ CELLINI 

peDultima pelle , che così si cfaianift) trag 
gasi il vaso di pece , e colia cera si lavori 
la bocca e 1 tnaoico con varj e grazios 
ghiribizzi, tutto migliorando dal aiodello 
che prima di. ciò si sarà fatto : i qaali orna 
nienti ; finiti che saranno di cera , 6Ì debbono 
formare in diversi modi. Né questi ci parrà 
grave di descrivere per benefizio dell' arte- 
fice. Cominceremo adunque da quello^ che 
da me fu giudicato per più facile , che io 
usai nel lavorare i vasi del Re Francesco.. 
Io prendeva di quella terra che adoperano 
i maestri deir artiglierie , la quale , essendo 
secca I la stacciava^ benissimo; dipoi la me- 
scolava con cimatura di panni fini e con 
un poco di stallatico di bue, passato per 
ìstaccio ; e queste cose batteva poi tutte 
con diligenza. Poi macinava del tripolo , ed 
avendolo condotl;o liquido come un colore 
da colorire, lo dava sopra le dette cere: a' 
quali lavori aveva fatte tutte le sue bocche 
colla medesima cera /e tutti gli sfiatatoi; i 
quali sfiatatoi sempre ho usato di metter- 
glis per di sotto , arrivando alla bocca di 
sopra , come indietro dimostrai , tenendo nel 
gettare alquanto lontano dalla boeca detti 
sfiatatoi, acciocché nel gettare l'argento non 
si venisse a versare in essi , perciocché non 
potrebbero far T officio loro. Avendo adun- 
que dato del detto* trfpolo macinato una 
sola pelle , si debbe lasciar seccare ; dipoi 
si piglier^ della terra sopraddetta , imponen- 
dola sopra il lavoro grossa tanto quanto 
è una costa di coltello, lasciandola seccar 
tanto eh' ella v^ga per la grossezza di un 



OREFICERIA. I ^5 

dito. Fatto questo^ armasi 1' opera con iSli 
di ferro d' ogni intomo , e sopra i detti fili 
si debbe mettere della medesima terra y che 
abbiamo detto , e non s' imponga grossa 
come r altra ; e ciò si fa , perchè tenga me* 
glio quella mano di terra, che s'è data di 
sotto. Accostisi poi al fooco , e tenendo la 
bocca della cera all' ingiù verso una catinel- 
letta y dandogli il caldo temperato j a poco 
a poco si scolerà la detia cera; proccurando 
però, che il caldo non sia troppo, perchè 
farebbe ribollire la cera dentro nella forma, e 
per tal effetto si verrebbe a guastare la forma. 
Cavata che si sarà lacera^ la forma perse stessa 
si verrà a spiccare dal vaso; così si lascerà 
rasciugar bepe dalla cera, e dipoi colla me- 
desima si chiuderà bene quella parte y che 
era appiccata al vaso : e ciò fatto , e rilegato 
io alcuni luoghi col filo di ferro sottile , 
dandogli di nuovo un poco del detto loto , 
tanto che '1 fil di ferro non resti scoperto y 
si ponga a cuocere con. carboqi in un for- 
neiletto ristretto di mattoni , accendendo i 
detti carboni nel medesimo tempo ^ che vi 
sia posta la forma , facendo sì , eh' ella sia 
ben cotta; essendoché a questa sorte di terra 
se le può dare tutto il fuoco a un tratto ^ 
la qual cosa non si può fare all'altre terre, 
^ che noti sienp , come questa , mescolate e 
composte. Poiché la forma sarà ben cotta ^ 
abbiasi r argento , e mentrechè egli si fonde, 
pongasi la Tbrraa dentro a una pentola ca- 
pace a riceverla largamente, empiendo il 
vacuo di rena non molle y ma alquanto 



ia6 CELLIKt 

umidettd , la quale verrà a serrare la forma 
in qoellai guisa , che si fanno quelle dell' ar* 
tiglierie nelle fosse. Come l' argento sia strut- 
to ; rìufreschisi con gruma di botte ben pesta; 
e avendo uno straccio di panno lino , o in 
tre o quattro doppi mettasi sopra la bocca 
del coreggiuolo, facendo però, che detto 
atraccio sia unto bene con grasso o olio: 
dipoi preso il detto coregginolo coirimbrac* 
ciatoie, si versi T argento fonduto nella forma. 
Debbesi avere delle dette imbracciatoie di' 
più sorti, cioè grandi, mezzane e piccole^ 
secondo la qualità de' coreggiuoli e la quan- 
tità . deir argento che si vnol fondere ; per- 
chè queste mantengono il coreggiuolo uni- 
to, che non si rompa, al qn.tl pericolo 
grandemente è F artefice sottopósto ; avver-* 
tendo bene spesso che nel cominciare a gettar 
r argento dentro alla forma , essendovene^ 
entrato alquanto, si spezza il detto coreg- 
giuolo e si perdono tante fatiche in un 
punto. Abbia adunque V artefi:ce gran de- 
strezza e diligenza in tal atto , e mentrechè 
egli versa V argento nella forma , comandi 
a un £ittoretto, che con un paio di molle 
tenga, che quello straccio sopraddetto non 
caschi dal coreggiuolo; perciocché, cosi te- 
nendosi, viene a mantener ealdo V argento, 
e fa che non caschi dentro alla forma qual- 
che carboncino o bruscolo. Avvertiscasi an« 
Cora, che essendosi fatte nel vaso, come 
si costuma, alcune mascherette^ poiché si^ 
sarà spiccata la cera dal vaso , si debbe pi- 
gliare la forma della detta maschera , e nel 



OAEFICBHll. t2'J 

SUO cavo si metterà una grossezza di cera 
quanto una costa sottile di colteilo ^ più o 
manco che vorrai che la maschera venga 
grossa d^ argento , proccurando , eh' ella sia 
distesa eguale ; la qual cera per cagione del- 
r egualità e sottigliezza, che ha da avere ^ 
vien detta per Parte la lasagna. Alla detta 
forma adunque avendo fatto pur medesima» 
mente di cera la sua bocca e i suoi sfiatatoi , 
come altrove s^ è detto ( cioè che sieno ap-» 
jMccati da basso , rigirando sopra la bocca ) 
ricuoprasi ogni ooaa colla medesima terra , 
e armisi co^ medesimi fili, e nel medesimo 
modo ancora si getti y e in tal guisa ti go- 
vernerai nel gettare i manichi del vaso ed 
il piede ancora , non lo volendo tirar col 
martello ; bencbè ne^ vasi grandi sempre con* 
siglierei V artefice a farlo di getto , perchè 
il piede del vaso , dovendo reggere tanto 
maggior peso^ essendo tirato di piastra, 
si torcerebbe. Aggiugneremo a questo altri 
modi di gettare siùiili cos^ , acciocché V ar* 
tefice possa a sua elezione servirsi di quello, 
che più gli aggrada. Questo*, che io son 
era per dire, ancora è molto a proposito. 
Io pigliava del gesso fresco , da formare , 
ben pesto e stacciato, e in oltre un mat* 
ione di terra cotta , e quello pestava e stac- 
ciava similmente, pigliando i due terzi di 
detto matton pesto e ^ facendo , che detttv 
due terzi fossero la quantità del gesso 3 e 
poi dis£siceva T uno e 1' altro con acqua in 
modo di un savore , aggiugnendovi alquanto 
di gesso arso. Indi aveva un pennello di 



I S8 CELLIKI 

setole di porco ^ e quello adoperava da 
quella parte , che la setola è pia morbida y 
e col detto pennello metteva la materia 
sopra r opera di cera in quel modo , che 
si disse della terra. Ma si vuol mettere, i) 
gesso tutto in una volta , perciocché di 
mano in mano il gesso si viede a rappi- 
gliare; in guisa che si può poi mettere con 
mia mestoletta di legno fatta a tal propo- 
sito , tantoché sia grosso un dito y e poi si 
lascia rappigliare. Fatto questo si lega la 
forma con &lo di ferro sottile ben ricolto , 
e poi si piglia quel gesso e matton pesto ^ 
che non è passato per istaccio , e si fa lique- 
fare coir acqua , come di sopra si disse , e 
questo si debbe mettere sopra la delta forma 
della grossezza di una xosta di coltello , e 
finché sia ben ricoperto il detto filo di ferro; 
avvertendo sempre, che quantVè maggiora 
Ja forma, tanto più grossa si debbe far ta 
detta spoglia , e non èssendo l' artefice cac« 
ciato dalla fretta del fornir presto V opera , 
come spesso avvenir suole , dovrà lasciar 
seccare il gesso da per se al sole o in luogo 
asciuttò e dove si faccia fummo ^ e quivi 
tenerla fintantoché fuori n'esca F umidità. 
Piglisi poi la detta forma , e con fuoco 
temperato cavisene la cera nel modo^ che 
già s^ é detto , e uscita che ne sia la cera y 
crescasi il fuoco destramente, tanto che 
si ricuoca la detta forma in quel modo , 
che dicemmo cuocersi quella di terra. E 
questo é quanto occorre di fare intorno al 
detto modk> di formare^ il quale io loda 



OREFICSHIA. 129 

fiommamente per essere molto a proposito 
a sbrigarsene ^ secondo la fretta più o man- 
co , che abbia V artefice di finire il lavoro. 
£vvi ancora un altro modo per gettare le 
sopraddette cose, il quale porremo ancora 
appresso di questo , e così si conduce. Egli 
si piglia le cere , e tagliansi in più pezzi 3 
dipoi si formano nella terra in polvere , e 
nelle staffe , come di già s' è dimostrato ; e 
formate, ch^ elle sono, in quel miglior mo- 
do, che sia possibile (e questo dico ri« 
spetto a^ sottosquadri ^ i quali non possono 
uscire della polvere, con che si forma) si 
gettano di piombo e dipai si rinettano e 
assottigliano secondo la volontà del mae- 
stro; ciò fatto si formano e gettano d'ar- 
gento nelle medesime staffe. E questo modo 
è ancora ottimo, perciocché quando T ar- 
tefice ha formate le dette cere di piombo , 
egli le pud assottigliare nel modo sopradr 
detto, a suo proposito; e dette forme di 
piombo possono poi servire altre volte ^ 
secondo V occorrenze. 



CAPITOLO XIIL 



JJelle figure , che si fanno cf argento , wi^- 
giori del naturale ; delle lorofi^rme y saU 
dature e hianchimenti. 



VTAANoissiMA è la difficultà ^ che si ri* 
trova nel fare una statua d' argento ^ che 
Cellini Bem* Vpl. IIL 9 



l3o CELLINI 

sia d' altezia qaanto il naturale o più ) pet^ 
ciocché , ancorché si usi il medesimo modo 
in far le grandi , che le piccole , cioè di uà 
braccio e mezzo , siccome sono quelle ^ che 
si veggono nell'altare di San Pietro di Ro* 
ma ; imperò non avviene di queste come 
di quelle y essendoché per la loro grandezza 
non si possono maneggiare intomo al fuo- 
co y oltreché si fanno di lamine più grosse « 
che le piccole. Laonde per tal cagione co- 
tanto si rende difficile il condurle , che io 
non ho sino a questi tempi veduta nessuna 
degna di lode per tal diffioultà^ dove delle 
piccole molte se ne veggono fatte da valenti 
arteGci eccellentemente. Ed avvengaché noi 
dTòessìmo , che in Parigi si lavorasse , più 
che in altra parte del mondo , di grosserie^ 
e coki più pratica e maggior sicurezza si 
tirasse di martello } contuttociò , dovendosi 
fare per comandamento del Re Francesco 
Primo y nel passaggio che fece Carlo Quinto 
Imperadorè per la Francia, una statua d^ ar- 
gento y figurata per un Ercole con due co* 
lonne ^ d' altezza di tre braccia e mezzo in 
circa y la quale volle donare con altri pre- 
senti a detto Carlo y ponendosi a tale im- 
{>resa i primi maestri di Parigi y non mai 
a poterono^ condurre , sicché in essa si 
Vedesse quella belleziza o industria , che 
neir altre lor opere si vede ; perciocché non 
la seppero mai saldare bene y e nel com- 
metter le gambe y le braccia e la testa col 
corpo della detta statua , furono costretti 
a legar le dette membra con fili d'argento. 
Laonde il detto jKe volendo ; che io gli 



OREFICERIA. l3l 

facessi dodici statue della grandezza y che 
dicemmo^ dolendosi di tali ìmperfezioiii e 
proccurando di sapere , se V arte permet- 
tesse j che si potesse superare tali difficultk^ 
fatto da me di ciò capace , avendo con ra< 
gioni dimostrato a Sua Maestà , come con- 
durre 3Ì potessero a tale eccellenza , mi 
comando , che con prestezza le dovessi re- 
care a fine. Diversi adunque sono i modi di 
lavorare tali opere , e secondo la sicurtà^ 
àhe i maestri hanno in dett^ arte di lavorare 
di grosserie, cosi si elegge qno de' detti >modi 
per finir V opera. Ma prima è necessario farci 
una statua di terra , di quella grandezza ap^ 
punto che si vuol far la statua d^ argentò^ e 
fatta ch'ella sia, si debbe formare col gesso 
in molti pezzi : i quali pezzi in queste parti 
divideremo: uno sarà tutta la parte della, 
corporatura dinanzi ^ cominciando dalF ap- 
piccatura della gola insino all'inforcatura 
delle gambe , e per grossezza insino alla 
metà delle costole da destra e da sinistra; 
r altro pezzo debbe essere le schiene insino 
air appiccatura del collo con tutte le spalle 
insino dove fluiscono le natiche , congiu- 
gnendosi coir altra parte delle costole 4i- 
nahzi; e questi sono i due pezzi principali: 
le braccia poi si fanno di due pezzi ; il si- 
mile le gambe ; e la testa di un pe^zo si 
debbe fare.. E perchè i sottosquadri dareb- 
bono impedimento, si hanno a riempiere 
di cera ; essendoché colle dette diligenze i 
detti sottosquadri non impedbcono a cavare 
il pezzo. Pigliansi poi tutte quelle forme di 
gesso, ed ognuna da per se ai getta d| 



l3a CEILIHI 

bronzo ; e ciò fatto sì debbe avere le piastre 
d' argento , tirate di quella grossezza , che 
r artefice giudica più a proposito ; e poi 
con martelli di legno si deboe cominciare 
a battere sopra le dette forme di bronzo ^ 
facendovi volger l'argento con ricuocerlo 
più volte: perciocché cosi facendo viene a 
pigliar dett' argento benissimo la forma del 
cavo. Inoltre debbe aiutare con gran de- 
strezza il diligente maestro il suo lavoro eoa 
qualche colpo di martello j secondochè ri- 
chiede V arte e la ragione delF attestare ia- 
sieme j ma non però tanto debbe attestare 
le dette piastre , quanto bisogna che ciascuno 
de' detti pezzi abbia di vantaggio per due 
costole di coltello ; il qual vantaggio si 
debbe intaccare con una cesoia due dita di- 
scosto r una intaccatura dall' altra ; le quali 
intaccature Y una neir altra si debbono far 
entrare , e quelle strìgnere discretamente 
col martello , tenendo di dentro un' anca-' 
dine tonda e altri pezzi di ferro , sicché il 
colpo del martello non percuota in vano : 
e così a ciascun pezzo si debbe fare. Ma 
prima si debbe cominciare dal corpo y e 
poi dalle gambe , indi le braccia e la testa, 
e tutto saldare diligentemente. Ma prima 
che insieme si saldino e congiungdno j ai 
debbono empiere di pece, e col nìartello 
e con ceselli si hanno da condur tanto in* 
nanzi quanto mostra il modello fatto di 
terra. Ma per venire a dimostrar quello che 
per mezzo della pratica osservai e feci 
nelle figure del detto Re Francesco , dico y 
che avuto F argento^ feci le piastre nei 



ORBflCBRlA. lS3 

modo òì già detto , e il modello di terra della 
grandezza / che doveva essere la statua ; cosi 
tirate le piastre alla grossezza , che m' era 
bisogno y percotendole ora da dritto ora da 
ityvescio, con pazienza e destrezza veniva 
a rilevare ed abbassare^ secondochè Farte 
richiedeva ; ed in tal guisa mi venne fatto 
.più presto , che nel primo modo , che s' è 
detto y non avrei ; essendo questo più espe* 
ditivo y ma contiene in se più virtuosa pra» 
fica. Condotte adunque , che io ebbi le brac* 
eia, le gambe, il corpo; la testa feci tutta 
di uil pezzo, tirandola in quel modo, che 
fatto averci , se avessi avuto di far un va- 
so; il qual modo di già abbiamo dimostrato* 
Data la forma a tutti i detti membri , co- 
minciai a saldarli insieme nella maniera già 
detta , cioè intaccando e soprapponendo l' un 
pezzo coir altro. Le saldature , che io faceva 
per tali cose , erano d^ ottavo , cioè metteva 
io un' oncia d^ argento V ottava parte di 
un'oncia di rame; cosi cominciando a sal- 
dare il corpo col soffio d^ un mantaco gran- 
de j al quale aveva fatte certe cannelle lunghe 
quanto era il bisogno ( e soffiavano sotto 
un letto di carboni, i quali io aveva fatto 
accendere , mentrechè l' opera era loro ad* 
dosso 9 operando si, che il lavoro insieme 
con i carboni divenisse rosso , cioè affo- 
cato ) ; cosi soffiando a poco a poco , veni- 
vano a scorrere le dette saldature ; né le 
spegneva , perchè di mano in mano le man- 
dava innanzi e indietro secondo il bisogno, 
e fintantoché arrivassero da una testa al- 
r altra deli' opera. Ma non avendo parlatp. 



V 



jl34 CEZ^LUII 

in questo luogo della borace, àyvertiseo 
chi legge y che io mi son presupposto di 

{>arlare con artefici non in tutto ignari del-* 
' arte e che sappiano y che nulla si può sal- 
dare senza detta borace. £ perchè, bene 
spesso suole avvenire^ che ih qualche lunga 
il pezzo, che s'è preso a saldare, non.vien 
ben saldato, ed è necessario porvi di nuovo 
altra saldatura e borace , quando ciò mi suc- 
cedeva io pigliava in cambio ^ di acqua un 
poco di candela di sevo ^ ciò facendo per non 
avere a freddare tutto quei gran pezzo ^ che 
io doveva saldare; e sopra quell'untume 
metteva poi nnova saldatura e nuova borace, 
le quali cose facevano il medesimo effetto , 
che l'acqua avrebbe Ssttto. In tal guisa adun- 
que saldava tutti i membri della figura, e 
mettendogli in pece, co^ ceselli dava loro 
nn^ ultima mano. Volendo poi mettere questi 
pezzi saldati insieme per fare intiera tutta 
la figura ( la qual cosa è quella y che cosi 
difficile dicemmo essere ^ e che quegU ar-* 
tefici Francesi nella statua d' Ercole non 
avevano potuto superare ) nel mezzo ap* 
punto d^ una grande stanza, dove io lavo*^ 
rava, feci un alzato di sassi, simile a un 
muricciuolo , alto dal piano un braccio e 
lungo quattro e largo uno e mezzo , ed 
avendo cominciato ad appiccare le gambe al 
corpo della statua , le legai con fili d^ ar- 
gento in vece di fili di ferro, die usare si 
sogliono ; è di tre dita in tre dita andai le* 
gando le due gambe della statua al corpo» 
con non piccola fatica ; e ci5 fatto le messi 
sopra il detto ncuriccìuolo , avendo ordinato 
un buon fuoco 3 sopra le quali legature 



OKBPlCEUtA. t35 

OTéVà messo saldature di qointo, simili a 
quella ^ che di ottavo dicemmo. Ben avver- 
tisco il lettore^ che la quinta parte del 
rame , che si piglia , vuol esser rame e non 
ottone, perchè il rame lascia meglio cesel- 
lare e tien meglio^ quantunque sia un poco 
Eiù difficile a scorrere; ma perciocché io 
ivorava argento di undici teglie, perciò 
venivo a superare ogni difficoltà ; ma chi. 
volesse far tali opere d' argenti di lega bas* 
sa , sia avvertito , che ciò non gli riuscireb* 
he. Avendo adunque accomodato il peszo 
della statua nel modo sopraddetto , racen* 
domi aiutare da quattro lavoranti, comin« 
Clava a dargli fuoco con roste e manticetti 
a mano , e quando io vedeva scorrere le 
sue saldature a poco a poco, gettava della 
cenere molle dove la saldatura scorreva ; 
perciocché se colf acqua si fosse fatto , non 
si sarebbe potuto rimediare dove la saldai 
tura non correva ; cosi in tal modo seguitan- 
do, si venne a saldar detto pezzo , e innanzi 
che il lavoro si freddasse , medesimamente 
a' appiccarono tutti gli altri pezzi felicemen* 
te : cosi questa statua , d^ altezza di quattro 
braccia e di peso di trecento libbre , si 
cavò dal fuoco benissimo salda ; e detto 
modo fu molto lodato ed approvato da tutti 
gli arteBci di Parigi. Ciò fatto la venni a 
bianchire co' bianchimenti già detti ; cosi 
riempiendola di pece e cesellandola , segui- 
tando V ordine che dicemmo , se le dette 
l'ultima fine« Fu messa questa sopra una 
base di bronzo , alta due terzi di braccio in 
drca , e da me ornata con alcune atoriette 



lB6 CCLUHI 

di basso allievo, dorate. Era questa statila 
figurata per un Giove j il quale Della de* 
iStra teneva il suo folgore , nel qual folgore 
ai commetteva una torcia da veder lume, 
e nella sinistra il globo della terra. Concios* 
giacile il modo di biancbìre V cpere , che di 
argento si fanno ^ di già sia stato insegnato- 
da noi , avendo nel bianchir questa non po- 
che difficultà , rispetto alla sua grandezasa , 
son lascerò di farne menzione , acciocché 
r artefice in simili opere possa vedere come 
governare si debba. Dico adunque, che nella 
detta statua mi fu di necessità di andare 
nella bottega di un tintore di panni lani, 
e quivi empiere di bianchimento una di 

3uelle loro caldaie , la quale presi di gran* 
ezza tale, che potesse ricevere la statua. 
Ciò fatto, preparai quattro veVghe di ferro, 
di lunghezza di quattro braccia Tuna, e 
quattro pali di castagno , di piii lunghezza 
che non eranp te dette verghe; e avendo 
la mia figura netta dalle saldature e fatta 
piana e pulita , ed appresso pomiciata , la 
messi colle quattro verghe di ferro sopra 
un gran letto di carboni , i quali erano di- 
stesi in terra j ed essendo questi accesi e 
consumati tanto che avevano perduto il vi- 
gore , e quasi stracchi e senza violenza , la 
ricopersi benissimo, con pale di ferro, di 
detti carboni ; la qual cosa non senza diffi- 
cultà sì faceva per la grandezza del fuoco , 
che si può immaginare, che questo fosse. 
Così col detto fuoco si andava la statua co- 
pret)do e scoprendo , secondo il bisogno , fin- 
tantoché egualmente si fece divenir tutta rossa. 



Lasciatala poi frediare, ed avendo in ordine 
la caldaia già detta , piena di bianchimento , 
cioè d'acqua, gruma e sale, la levammo, 
colle quattro verghe di ferro , di sopra i 
carboni , e dopo che fu fredda , la ripì-* 
gliamroo colle quattro stanghe di castagno; 
perciocché il bianchimento non sopporta 
di toccare il ferro ^ e perciò bisognò fare 
tal diligenza. Cosi avendolo posta nella cal- 
daia , la rivoltammo in quella , e con al- 
cuni pennelli grandi di setole di porco , 
acconci nella guisa, che si usano iù bian* 
chire le mura, e di quella grandezza pro- 
prio, benissimo si strofinava. Come fu fatta 
bianca, si cavò fuori della detta caldaia, e 
in un'altra simile, piena d^ acìqua fresca, si 
pose; dipoi benissimo rasciutta, si dette 
ordine a dorare alcune parti , che tale or- 
namento richiedevano; ed avveugachè la 
difScultà di dorare dette parti fosse incredi- 
bile, pur lascerò di trattarle per non esser 
prolisso, riserbandomi più di sotto a inse- 
gnare il modo di dorare : la qual cosa si 
debbe sapere ( per non esser men bella che 
maravigliosa ) da quelli che desiderano di 
essere interamente eccellenti in tal arte, 
ma non però farla essi, ma lasciarla fare 
a quelli , che solo a questa professione di 
dorare attendono ; perciocché tanta é la 
possanza delP argento vivo, che ha forza di 
Hidebolire quelli , che tal arte esercitano , 
Scendo tremare le membra e spaventargli 
occhi , arrovesciandogli loro. E qui sarà il 
fine delle dette arti e del primo Trattato , 
che ci proponemmo dì fare, rapportandoci 



1 38 CELLIHI 

sempre all' intelligeoza e pratica di' queUi^ 
che più intendenti sieno in tal professione. 
Ma primachè veogbiamo al secondo Trat- 
tato » porremo appresso a questo alcuni 
esperimenti utili e necessarj a i professori 
della detta arte dell'Oreficerìa. 



CAPITOL/0 XIV. 



Seguitano alcune cose attenenti alle dette 
ar^ti iielt Oreficeria ; e prima del modo 
d'acconciar V oro da dorare ^ e del mod&, 
che si tiene nel dorare. 



V. 



OLENDO far l' oro da dorare y si debbe 
pigliare* oro purgatissimo e nettissinK) e che 
sia di ventiquattro carati , ed avendolo di 
questa finez^&a^ si debbe battere sopra un^an* 
cudine col martello , proccurando, che il 
martello e F ancudine siano netti 3 ed il det« 
t'oro si ha da condurre in tanta sottigliezza, 
che sia quanto un foglio di carta da seri«> 
vere; poi con un paio di forbice si ha da 
tagliare in tritoli tutto V oro , che si vuol 
macinare. Ciò fatto ^ piglisi un coreggiuolo 
nuovo j da fondere e che non sia mai stato 
adoperato , ed in esso si debbe mettere tanto 
argento vivo^ benissimo netto^ quanto com-* 
porti l'oro^ che si vuol macinare ^ e la 
proporzione vuol essere un' oncia per peso 
di scudo j cioè un' ottava parte d' oro sopra 
etto parti d' argento ' vivo in circa : « qui si 



OREFICERIA^ I Sg 

debbe avvertire nhe il detto argento vivo e 
il dett' oro si mescolano in ubo scodellino 
o di terra o di legno , ma che sieno benis* 
simo netti. Mettasi poi nel fuoco quél co- 
reggiuolo , sen^a vento di mantaco , òoperto 
da carboni accesi e consumati^ e dopo* che 
sarà fatto rosso, vi si verserà dentro il detto 
argento vivo e oro mescolato insieme , 
mettendolo nel fuoco con un paio di mol- 
lette^ avendo preso un carboncino acceso^ 
lunghetto, atto a poter con esso mescolare 
detto argento vivo e oro insieme ; indi col- 
P occhio e colla discrezione della mano si 
sentirà e vedrà, quando Toro sarà disfatto 
e unito coir argento vìvo : ed in ciò bisogna 
diligentemente aiutarlo macinare , il che si 
conseguisce dimenandolo presto col detto 
carbone, perchè chi lo tenesse assai. Toro 
verrebbe troppo sodo o, per meglio dire, 
la pasta fatta di detto mescnglio, e poco 
tenendovelo, verrebbe troppo tenero e non 
sarebbe ben macinato 3 le quali destrezze 
sono tutte insegnate, mediante la pratica. 
Dopo che si giudicherà essere ben macinato, 
mescolato e disfatto Y oro , ritrovando la 
pasta nella perfezione detta , sì piglia , ès- 
sendo così calda, e si vota in una piccola 
catinelletta o vasetto , grande o pìccolo se- 
condo la quantità delF oro> che si ha ma- 
cinato : il qual vasetto debb^ essere pieno 
d* acqua fresca , e nel votarlo dentro a tal 
acqua si sentirà stridere. Piglisi poi altr^ ac« 
qua nettissima, e due o tre volte si lavi 
tìinto che V acqua ultima, nella quale si 
pone ^431 vegga restar chiara e bella. Ciò 



l4o CELLINI 

fatto y COSÌ 81 mette a dorare : abbiasi Y ó* 
pera , che si vuol dorare , benissimo pulita 
e grat^apugiata , come per T arte si dice: i 
quali istrumenti, quantunque siano notts^oti 
e che da^ mereiai si vendino, nientedimanco 
per esser fatti tutti in un medesimo modo 
da loro , cioè d' una medesima grandezasa, 
ed essendo di necessità , che V artefice con 
discrezione accomodi dette grattapugie se* 
condo il bisogno e l'opera, cioè facendole 
grandi o piccole; perciò diciamo doversi 
avere tal avvertenza: sono queste grattapu- 
gie di fila decitone, di grossezza di un filo 
di refe, e di esse si fa un mazzetto della 
grossezza di un dito, più e manco seconda 
r opera, come s^è detto. Ora tornando al- 
r opera , che s^ ha a dorare , avendo ben 
gratta pugiato , dove si vuot dorare y metta- 
visi r oro sopra con un avvivatolo , che cosi 
si dimanda una verghetta di rame , posta 
in un manico di legno ; e si fa ordinaria- 
mente della grossezza - e lunghezza di una 
forchetta ordinaria *^ cosi con detto stru- 
mento con pazienza si va distendendo T oro 
suir opera. E quantunque molti usino ciò 
fare coU' argento vivo stesso , e dipoi vi 
distendine sopra V oro macinato^ non per- 
ciò è da seguitare tal modo; perciocché ii 
troppo argento vivo , che di necessità vi si 
pone f toglie il colore e la bellezza all'oro: 
e perchè ancora . alcuni usano di mettervi 
Foro in più volte ^ perciò lodo (avendone 
fatta esperienza ) a por^e delt' oro tutto in 
una volta , volendo ben dorare l' opera , 
é poi con fuoco dolce rasciugar tanto la 



OREFICÉKIA. l4l 

doratura , che Y argenlo vivo per virtù di 
tal fuoco se ne vada in fummo. Il che 
come per l'orefice si scorge^ do v' egli non 
vegga eguale 1' oro sopra P opera , menlie* 
che è cosi calda , con gran facilità vi se 
ne può aggiugnere e far la doratura eguale. 
Debbesi ancora avvertire^ che dove dett' oro 
non 8^ appicca^ si ha da pigliare un poco 
d^ acqua di bianchimento da bianchire ar- 
gento y che di già sen' è fatto menzione ; 
ed intingendo in essa 1' avvivatoio^ e dan- 
done dov' è di bisogno, riparare a tal im« 
perfezione ; e quando la dett' acqua non 
facesse bene, piglisi dell'acqua forte ^ bene 
sfumata e tanto che abbia consumato il 
suo vigore, e questa ti servirà benissimo, 
adoperandola nel sopraddetto modo. 



CAPITOLO XV, 



Per far colorì per colorire 
dow sarà dorato. 



I J L primo colore, che si usa per colorire 
le dorature deboli ( che còsi nelF arte si 
chiamano quelle dorature dove è più o 
manco oro) si fa in questa guisa. Pigliasi 
tanto zolfo e tanta gruma di botte , cia- 
scuno ben pesto ^ ed a questi s^ aggiunge 
del sale ; ancora si piglia per la metà di 
ima delle dette parti di cuccuma pe?>ta} e 
poi tutte quattro le dette cose si mescolano 



insieme. Con queste si debbe avere prepa- 
rato ia doratura netta benissimo , e gratta- 
pugiata , come s' è detto ; indi si piglia 
deir orina di fanciullo o d' altra persona y 
pur cbe sia giovane , e così tiepida , con 
setoline di porco ^ in una catinella netta si 
spanna colle dette setole^ le quali insieme 
coir orina hanno forza di levare alcune un- 
tuosità o sudiciumi, che avesse preso la 
doratura. E ciò fatto , si avrà un calderone 
di rame y ovvero una pentola di terra , la 
<[uale si ha da empiere d' acqua , là dove 
si debbe porre , allorché la dett' acqua bol- 
le y la predetta composizione : abbiasi poi 
r opera legata con uno spaghetto sufficiente 
a tenerla , e avendo prima con una scopetta 
o frasconcino ben diguazzato e mescolato 
il colore, visi porrà drento l'opera, tenen- 
dovela per ispazno, che si camminerebbe 
quattro passi innanzi e indietro , e poi ca- 
vandola si porrà in un vaso d' acqua fresca 
e chiara, e secondochè si vuole, che abbia 

Fiù o manco colore , più o manco si m^tta 
opera nel detto vaso boileftte; avvertendo 
però di non ve la lasciar troppo soprastare , 
perchè diventerebbe nera e si guasterebbe 
il dorato : e questo è il più debole dorata 
che si faccia^ né il detto colore può ser« 
yire più che una volta. 



\ 



^ 






OaBFlCBRUr 143 



CAPITOLO XVI. 



Pei' fare un^ altra sorte di colore 
per colorire V opere dorate. 

Jl iGLisi matita rossa, verderame, salni- 
tro y vetriuolo e sale armoniaco ; ma la 
matita debb' essere , per la metà, più delle 
cose sopraddette, pigliando a peso ogni 
cosa. Debbesi poi pestare ciascuna delle 
dette materie da per se, sottilmente ^ e pe« 
ste che sieno, stemperìnsi con acqua chia« 
ra, facfndosi liquide in guisa di un savore; 
e di mano in mano^ che detto colore si 
stempera , vadasi macinando così liquido ^ 
tanto ch^ tutte le dette materie si veggano 
bene incorporate insieme ; e come ciò si 
sarà conseguito , pongasi in un vaso inve- 
triato , un poco grandetto , perciocché la 
detta materia rigonfia ; e se, si avesse un 
vaso dì vetro , tenendolo turato , sarebbe 
meglio. Per mettere poi in opera il detto 
colore sopra il dorato , bisogna avvertire , 
che il lavoro sia dotato bene , altrimenti 
diventerebbe nero, essendoché il colore in 
se è gagliardo ; ma essendo ben dorato ^ 
farà colore bellissimo. Per mettere detto 
colore sopra 1 dorato^ si debbe distendere 
con un pennello , tantoché cuopra il dora- 
to, avvertendo, che il colore non tocchi 
F argento ^ perciocché diventerebbe vlzvqx 



l44 CELLI5I 

Piglisi poi il lavoro > iqcibrattato ch^egli sia 
di colbre, e mettasi sopra il fuoco ^ e quando 
il lavoro fummica più forte y allora sì getti 
nell'acqua chiara; ma avvertiscasi . di non 
lo lasciare sfum<nare aflfatto j perciocché 
ioangerebbe 1' oro e non piglierebbe. 



CAPITOLO XVIL 



Per fare un colore per le dorature , che 
Steno abbondantemente cariche (toro^ e 
per far cera per dorare. 

XXtsghiaràta che si sarà V opera , come, 
di sopra s' è detto j dorisi , e dipoi destra- 
mente si rasciughi ; né sarà difetto non la 
rasciugando io tutto ) basta , che resti solo 
senz^ argento vivo. Debbesi poi di nuovo 
rischiarare; e rischiarata che sia y scaldisi 
sopra fuoco di brace , tanto che vi si di- 
stenda sopra una cera con . comodo caldo y 
che qui di sotto sarà notata^ e sMnsegneràil 
modo di farla. Come si sia distesa la detta 
cera^ lascisi freddare Y opera, dipoi rimettasi 
sopra il fuoco, tanto che arda la cera , avver« 
tendo che la dett* opera nv>Q diventi rossa, ma 
solo si consumi la cera^ come s^ é detto. Ciò 
fatto , piglisi r opera cosi calda e spengasi 
in gruma di botte e acqua , che fra gli ore- 
fici si dimanda grumata; e quando sia spen- 
ta^ lascisi stare per breve spazio, indi, si 
spanni con una setola nelF acqua fresca^ ed 



OREFICERIA. 145 

appresso da vantaggio ìsi rischiarì. Ma se si 
avrà opere ben dorate^ si darà loro il co* 
lore y che qui di sotto s insegnerà ; imperò 
ai dirà prima il modo di far la cera^ che 
dì sopra s'è detto. 

Tolgansi cìnqae once di cera nuova, 
matita rossa mezza oncia , altrettanto ve- 
trìuolo Romano, tre danari di ferretto di 
Spagna y cioè il peso di un ducato , e più 
presto vuol essere scarso, verderame mez- 
z'oncia, e tre danari di borace. Tutte le 
dette cose si debbono porre a struggere 
colla ceraj é poi si debbe dare nel modo 
sopraddetto , e netta che l' opera sarà dalla 
cera^ se le darà il sottoscritto colore. 



CAPITOLO XVIII. 



Modo ^ fare un altra colore 
per colorire il dorato. 



D, 



^EBBESi torre mezz'oncia di vetri uolo 
B'omano, altrettanto salnitro, sei danari di 
sale armoniaco , e mezz' oncia di verdera- 
me. Vuoisi prima pestare sopra una pietra, 
senza adoperar ferro , il sale armoniaco be- 
nissimo , dipoi rimacinarlo in compagnia 
delle dette materie tutte insieme. Abbiasi 
in oltre un pentolino invetriato, dove si 
ponga la detta composizione, mescolandola 
con tant' acqua, come se si avesse da' fare 
Canini Ben9. Voi. II L io 



1^6 CELOMI 

una salsa ; e posto che ^i sarà il detto peu? 
tolino al fuoco, sempre si debbe con an^ 
Jegoetto mescolare la detta composizione , 
e non gli dar gran fuoco, ma farla bollire 
per tanto spazio, che si cammini cinque 
passi; perciocché ricrescendo assai, si gua- 
sterebbe. Lascisi freddare da poi e, come 
di sopra s^ è difillo , s' adoperi. 



CAPITOLO XIX. 



Modo di fgre un colore alle dorature j^^ 
disperso da i sopraddettL 

xJtqvo che si sarà rascìutta F opera coti 
un panno bianco, piglisi una o due penne 
di gallina , e imbrattisi in guisa , che si 
avesse a colorire col verderame Toro. Indi 
si ponga sopra il fuoco, e quando si vegga 
r^sciutta e ch^ ella fumerà forte , non si la- 
sci Qnire di sfuniare, ma cosi calda spen^ 
gasi in acqua frasca ^ dipoi si spanni , e cosi 
fredda si faccia di nuovo {>ollire nella gru- 
mata per brevissimo spazio. Ciò fattp, tor- 
nisi di nuovo a spannare in acqua, e brur 
niscasi dove più aggrada : e questo è il più 
bel dorato e il più vfigo colore , che si 
possa fare, oltreché si co^nserya liiugamenlei 



OREFICERIA. |47 



CAPITOLO XX. 



// mqdo j che si dehhe tenere^ svolendo la- 
sciar bianco V argento in alcuni luoghi. 

X\iscHiARATO , che r artefice. avrà nel la- 
voro, dove non vuole, che si appicchi Te- 
ro , debbe pigliar certo fior di farina , il 
quale ne' mulini si raccoglie dalle loro mura 
o risalti o cornici della stanza, dov'eglìsi 
posa y il quale in Fiorenza è detto fuscello. 
Questo si stempera in guisa di savore 3 dopo 
con un pennellino di vaio si debbe disten* 
dcre alquanto grassetto per tutti que' luo* 
ghi j dove altri vuole , che V oro non s^ ap-* 
picchi; e ciò fatto si rasciuga bene a lento 
fuoco , indi si dora sicuramente. Non vo« 
lendo adoperare detto fiore di farina si può 
usare quest^ altro modo. Piglisi del gesso in 

Eane, che adoperano i calzolai, e pestisi 
eoe ) dipoi si riduca come savore con colla 
ccrvona ovvero con colla di pesce, r;he è 
migliore; ma dell'una o deir altra, che si 
pigli, bisogna avvertire di mescolarla con 
assai acqua , acciocché la colla perda la sua 
gagliardia. Per non lasciar liulla , che possa 
rendere utile alP artefice, dico ^ che quando 
si vuol dorare e lasciar bianco V argento » 
si può adoperare il fior di farina. E questo 
è quanto ci occorre dire sopra tali cose ; 
XM la principale importanza è in saper 



l48 CEZ^LIlfl 

ben lavorare V opere ^ percìoccliè quest' art^ 
di dorare si paò lasciar fare a quelli, che 
per proprio esercizio se l' hanno eletto , e 
per isfuggìre ancora gP impedimenti y che 
tal arte arreca^ come di sopra si disse. 



CAPITOLO XXI. 

ffodo f acuissimo e bellissimo per fare (wqua 
da intagliare le piastre di ramey in vece, 
di far col bulino. 

1 

L RENBAsi una mezz^ oncia di silimato^ 
nn^ oncia di vetriuolo , una mezz^ oncia d^ al-* 
lume di rocca , altrettanto di verderame , e 
col sugo di sei limoni incorporinsi le so- 
praddette cose^ poiché saranno ben polve-* 
rizzate; le quali si debbono fare alquanto 
bollire ^ avvertendo y che non si riseccassero 
troppo, e debbono bollire in una pentola 
invetriata: e se non si avessero timoni, pi- 
glisi aceto forte ^ che tanto monta. Poiché 
$i saiÀ bene spianata la piastra di rame y 
piglisi vernice ordinaria ^ cioè di quella , che 
si vernica i fornimenti da spada ; e questa 
poni a scaldare dolcemente , facendo strug- 
gere con essa un poco di cera^ la quale 
£i, che disegnando poi sopra la detta ver- 
nice non ischizzì, £ mettendo la vernice 
sopra jl rame^ ^vvertisica^i ^ che non sia 
troppo cotta; e poiché $i sar^ io^tgliata^ 
volendo m.ettjer l'acqua^, faccia3Ì un orlQ di 



ORjSFtC&lttA. l49 

cèi^à alia statnpa , né si lasci àtare la detta 
acqua più dì mezz' ora ; e se non fosse la 
stampa profonda e incavata a tuo modo ^ 
rimettasi P acqua di nuovo, e dipoi levatala ^ 
nettisi bene con una spugna. Sopra la ver- 
nice si disegna con uno stiletto d^ acciaio 
temperato } ìndi si leva la vernice di sopra 
la stampa con olio caldo e con una spugna ^ 
gentilmente , acciocché l' intaglio non si con« 
sumi; poi si possono adoperar le dette stampe 
nel modo*, che si adoperano quelle , che 
sonò intagliate dì bulino; ben è vero, che 
siccome questo modo si fa colla facilità y 
che si è detto ^ basta ancora meno che non 
faranno gl'intagliati, che col bulino si fanno 
neUe piastre di rame. 



CAPITOLO xxn. 



Per far acqua ^ partire. 

jtVbbunsi otto libbre d'allume di roCOft 
arso ed altrettanto dì bonìssimo salnitro e 
quattro libbre di Vetriuolo Romano , e tutto 
si ponga nella boccia; e colle dette cose 
vi si ponga ( secondochè altrui detta la di^ 
screzione ) alquanto d' acqua forte , che sia 
stata adoperata. Per far poi loto bonissimd 
per la boccia, piglisi stallatico di cavallo ^ 
scaglia di ferro e terra da far >mattoni ^ 
tanto dell'uno quanto delP altro; e queste 
cose si debbono incorporare con torli d' uovo^ 



1^0 CEtLINl 

e ciò fatto 9 distendasi sopra la boccia tanto 
quauto ne piglia il fornello, e diasegli fuoco 
temperato nel modo y che si usa di fare* 



CAPIT OLO XXIIL 



Per fare il cimento reale. 

Avendo pigliato Toro, che altri, vuole 
affinare 9 battasi sotlilmente , e facciasene 
pezzuoli della grandezza d^uno scudo^ Al- 
cuna volta si usa di torre gli stessi scudi, 
é se ne fa cimento , affinandogli di venti- 
quattro carati. Ed è di. tanta virtù questo 
semplice cimento y che egli ha tratto tutta 
la le^a del detto scudo e non ha levato il 
segno della stampa , ma solo ha tolto quel-* 
lo j che in esso era di brutto , cioè la le* 
ga. Fassi adunque il cimento in questo mo- 
do. Pigliasi gruma di botte e matton pesto ^ 
e queste cose si riducono alquanto liquide : 
indi si fa un fornello tondo j e nelle com- 
messure del detto fornello, fra Tuno e Tal- 
tro mattone, sì distende il loto; e ciò fatto 
vi si none i pezzuoli delF oro o veramente 
scudi oattuti , e sopra dett^ oro o scudi si 

gone altrettanto della detta composizione, 
>ipoi per lo spazio di ventiquattr^ ore se 
gli fa contino va mente fuoco ; ed io tal guisa 
diviene di ventiquattro carati. Ma qui av- 
vertisca il discreto lettore, che ciò non è 
da me detto con intenzione d' insegnare <^ 



OREFICERIA; I^t 

he Vàòqùa forte a quelli^ cné volessero 
fat professioDe di partitori^ e il medeaiiud 
diciamo del ciménto ; ma solamente iqtefi- 
didmo di darne agli artefici - tanto lume , 
<manto se ne possano servire nelParte del- 
r oreficeria : perciocché possono occorrere 
infinite cose, dove apporterà loro utile aver 
notizia di tali cose, siccome intervenne a 
me in alcune figurette d'oro^ d^ altezza di 
Un mezzo bracdio^ che io lavorava in Psl^ 
ligi pel Re Francesco , le quali essendo vi' 
cine alla fine , nel ricuocerle , come occoF'* 
re, avendo preso una fumosità di piomba 
si sarebbono rotte in guisa di vetro, se ìù 
Jion r avessi vestite del sopraddetto loto di 
cimento , dando loro fuoco temperatamen-^ 
te) dovechè colla detta diligenza le tenui 
a liberare da tale impedimento : e perciò 
non debbe il valente artefice schifare di 
saper tutte quelle cose ^ eh' egli possa ap-« 
proprìare al suo esercizio. 



J^ihe del primo Tratiatù* 



52 



TRATTATO SECONDO 

DI M. 

BENVENUTO CELLINI 

SOPRA 

V 

LA SCULTURA. 



CAPITOLO L 

t 
\- ^ / 

2?e' i^arj modi di far le statue di terra per 
gettarle di bronzo; delle loro camice di 
cera^ toniche e coperture di stagnuolo; 
del preparare la terra ^ di che prima si 
fanno dette statue j e qual sia più fi prò* 
posito; de* cavi di gesso; delV armadure 
di ferro ; degli\ sfiatatoi , e del modo di 
cuocere le forme. 

INe^suno è, a cui non si renda mani* 
festo, che lascia protezióne y che gli ottimi 
e yirtuosi Principi' pigliano delle buone ar^ 
ti; è quella ; che porge a esse auguqaeKlto^ 



\ 



ìS\ CÈLtlNf 

e che mediante il loro aiuto fioriscono 
gF ingegni eccellenti. E perchè i nostri 
tempi non hanno mestiero di proccurare 
gli esempi antichi , diciamo , come nel se- 
colo di Cosimo primo de' Medici (percioc- 
ché egli ninna cara ebbe maggiore^ che 
sovvenire con reale liberalità ciascuno , che 
egli vedesse inclinato a seguitare le virtù) 
fiorirono molte nobili arti , ma particolar-^ 
mente quella del disegno ^ essendoché id 
que' tempi Filippo di Ser Brunellesco cavò 
Maravigliosamente la buona architettura delle 
tenebre ^ e Donatello e Lorenzo Giberti ne 
mostrarono, in marmi e in bronzi con grande 
artifizio lavorando, come eoo gli antichi 
concorrere si potesse^ A Cosimo successe 
Lorenzo^ della medesima stirpe e del me- 
desimo valore , il quale sovvenne ed aiutò 
lo stupendo Michelagnolo Buonarroti, che 
poi sotto Giulio Secondo , Papa , ebbe gran^ 
dissima occasione di dimostrare quanto fosse 
la sua eccellenza e la sua virtù. Medesima^ 
mente de^ tempi del detto Papa fiorì Bra- 
mante y architettore di sommo pregio , il 
3aale essendo mediocre pittore y ma uomo 
i svegliato e singoiar giudìcio nelFarte 
deir architettura ^ ciò conosciuto da quel 
Pontefice, cotal occasione gli diede ^ ch^egli 

{)ervenne a quel grado di lode ^ che per 
e sue opere egregie si scorge : e detto Bra- 
mante veramente fu quello, che con anirùa 
nobile e benigno fece conoscere quanta fosse 
la virtù e l'artifizio del Buonarroti, propo^ 
nendolo nel dipignere , che si aveva da fa^ 
re; la cappella Papale a détto Giulio Seconda 



SCULTURA. 1 55 

Ma lasciando da parte la menzione, cbe si 
potrebbe merìtamente fare di molti splen- 
didi Principi^ cbe ardentemente innalzarono 
e premiarono le vìnrtù , fra^ quali come due 
fulgentissime gemme risplendono Leone De- 
cimo y Papa y e Francesco Primo , Be di 
Francia ; in questo luogo , come conveniente 
al nostro proposito, solamente diremo coq 
gran ragione del giusto e magnanimo Co-* 
simo de^ Medici , Duca di Fiorenza e di 
Siena ; il quale non pur seguitando il lo-* 
datissimo costume de* suoi passati , ma di 
gran lunga sopravanzandogli, ba dato nei 
suoi tempi occasione a ciascuno , cbe molte 
belle arti ( cbe quasi andavano abbando- 
nate errando) nella sua nobilissima patria si 
possano render chiare, e quelli per mezzo 
delle loro opere acquistarsi perpetua gloria^ 
Il cbe pur dianzi a me intervenne per la 
nobilissima occasione , cbe egli benignamente 
mi diede nel Perseo , statua di bronzo cbe 
io feci per suo comandamento^ dove da 
questo generoso Prìncipe mi fu dato modo^ 
onde io potessi acquistarmi (essendoché io 
abbia bene operato) perpetua fama; per- 
ciocché la detta statua risiede tra T opere 
di tre eccellentissimi artefici , cbe dinanzi 
al suo rea! palagio sono poste , siccome fu-* 
rono Micbelagnolo , Donato e '1 Bandinello^ 
Similmente il favore ^ grandissimo , che io 
ho veduto prestare continuamente, a ogni 
maniera di virtuosa facultà da Francesco ^ 
mentissimo Principe di Fiorenza , e da £r- 
nando, Cardinale^ suoi diguissimi figliuoli, 
è atato vera cagione , che io ( sprezzato il 



1 56 C&LLINI 

carico degli anni ed ogni altro impedimen- 
to) mi sia posto a scrivere i presenti Trat- 
tati per rendermi in parte grato e cono* 
scente degli infiniti beneficj , che io ricevo 
ad ogni ora dalla real cortesia di questi ot- 
timi Signori. Ed avvengachè da me sia stato 
trattato di cose, che a molti certamente 
saranno note, non. per questo mi fo a cre- 
dere , che dagli intendenti e discreti debba 
per vana essere riputata questa mia fatica ; 
essendoché , oltre agi' infiniti segreti , che 
io dimostro , ritrovati da me per lo mezzo 
di una lunga pratica, pur sono il primo 
stato , che per certa amorevole pietà , che 
io sempre ebbi alle dette arti, ho proecu* 
rato per cotal diligenza , che , come di già 
dicemmo , elle possano lungamente vivere e 
schivare gP infiniti impedimenti, a i quali 
per cagione dal tempo tutte l' umane cc^e 
tengano sottoposte. In questo secondo ra- 
gionamento adunque si tratterà primiera* 
mente dell' arte del gettar le statue di bron- 
zo. Laonde per seguitare il modo, che fin 
qui s'.è tenuto, cioè d' insegnare quella pra- 
tica is^tessa , che io , mediante V opere da 
me fatte j ho conseguita , dico , che in Pa- 
rigi mi occorse di fare per Francesco, Re 
di Francia -'alcune opere di bronzo, delle 
quali parte furono da me finite , e parte 
per diversi impedimenti, che occorsone, 
restarono imperfette. Quelle , a cui si diede 
fine, furono una statua di bronzo, di gran- 
dezza di sette braccia, la quale era più che 
di mezzo rilievo, ed appariva in un mezzo 
tondo , pur di bronzo. Questa rappresentava 



SCULTURA. 1 57 

la Fontana Belio , villa aroenissìma del detto 
Be^ nel qual luogo tali ornamenti si collo<« 
carono; e dal sinistro braccio yì feci più 
vasi ^ che spargevano acque'^ e col destro la 
faceva posare sopra una testa di cervio di 
tutto rilievo, significando per quei vasi le 
diverse acque, che in quel fonte concorro- 
no, e per lo ceryio la specie particolare di 
quegli animali , che in detto, luogo fanno 
dimora. Poi da una parte dei campo di 
detto tondo vi apparivano parecchi bracchi 
e levrieri, e dall'altra vi erano adattati al< 
cuni capriuoletti e cigoali. Sopra al detto 
mezzo tondo vi erano ancora collocati due 
angioletti , che avevano in mano ciascuno 
una facella , e molt^ altri ornamenti ,^ che 

J)er brevità si lasciano. Venendo ora a par«« 
are del modo, che io tenni in far dett'o» 
pera, dico, che (secondochè si usa) io la 
feci di terra della grandezza appunto , che 
ella aveva da e^ere* e come io la ved^i 
soppassa e ritirata per la grossezza dì uà 
dito, discretamente l'apdai ritopcando e 
misurando ; di poi la co^si gagliardamente ^ 
e dopo ch^ella fu cotta messi sopra esssk 
una grossezza di cera eguale, manco grossa 
di un dito. Dipoi con cera medesimamente 
Fandava accrescendo, dove io vedeva es- 
serne bisogno, non mai levando , o poco y 
di quella prima camicia, che io aveva messo 
di cera) cosi con gran diligenza la tirai a 
fine. Ciò fatto macinai del midollo arso di 
corna di castrato^ e con esso, per la metà 
di detto midollo, macinai gesso ^ tripolp e 

ftUr^ttanto di scaglia di ferrp; cosi akacimte 



\ 



/ 



1 58 CBLtlNI 

benissimo le dette tre cose, le mescolai in* 
sieme con un poco di loto di stallatico di 
bue o di cavallo, passato per uno staccio 
sottilissimo con acqua pura , il quale rendè 
solamente l'acqua tinta di detto stallatico^ 
che è quella, che serve a tal bisogno. 
Avendo adunque mescolate le dette cose e 
fatte Uquide , presi un p^nneUo di setole 
di porco, e adoperando detto pennello da 
quella parte , che la setola sta dentro nella 
carne, per* essere più morbida^ detti una 
volta a tal opera di cera, colle d^tte ma** 
tene stemperate in guisa di savore, met- 
tendo tal composizione egualmente. Dipoi 
lasciatala seccare le ne detti un' altra volta , 
sempre lasciandola seccare , imponendo so- 
pra V opera tal mestura quanto è grossa una 
costola di coltello ordinario. Dopo questo 
feci a dett' opera una camicia di terra, grossa 
un mezzo dito, e quella lasciata seccare, 
tornai a farlene un' altra grossa un dito , 
ìndi tornai a porvene un'altra d'altrettanta 
grossezza. La terra , che si adopera per far 
tali cose , cosi si debbe preparare. Piglisi di 
quella terra , che comunemente adoperano 
i maestri da fare F artiglierie , la quale si 
suol cavare di luoghi diversi; perciocché 
alcuna se ne ritrova essere appresso de^ fiu- 
mi j che è alquanto arenosa , ma per tale 
effetto non vuol esser trpppo arenosa, ma 
basta , eh' ella sia magra , essendoché la 
terra grassa e delicata serve per vasellami, 
e per tal effetto non è buona. Ma la buona 
si ritrova ne' monti e nelle grotte , e in Ro- 
ma, in Fiorenza e in P^rri^i particolanQerite 



scuiiTuiiA. iSg 

s6 ne trova della perfettissìn&ia, ed» è di lai 
bontà , che niuna dell^ altre ho io mai ri^ 
trovata co^ì a proposito. La terra , ch^ si 
cava delle grotte , è migliore di quella , che 
si piglia vicino a' fiumi, ed a volerla pre- 
parare per potersene servire , bisogna la* 
sciarla seccare , e dopo che sarà secca , 
staccisi con uno staccio alquanto radetto^ 
acciocché n^ escano alcune pietru^ze e4 aUr^ 
simiglianti cose. Ciò fatico si debbe mesoot 
lare con esssL cimatura di panni ^ la quale 
vuol esser per la metà manco della detta 
terra. E qui avvertisca P artefice a quello^ 
che io son per dire; perciocché io gì' inse- 
gno un segreto da me ritrovato per mezzo 
dell' esperienza , il quale mi è riuscito in 
tutta perfezione , ed è que3to> Poiché si 
sarà mescolato la terra colla cimatura , si 
debbe bagnare tanto colP acqua, ch'ella di-» 
venga come psfsta da far pan^e. Dopo si 
debbe battere con una. verga di ferro, grossa 
due dita, diligentemente (ed in questo con* 
siste il segreto) perciocché ella si debbe mm^ 
tener molle per quattro mesi almanco ^ q 
quanto più sta y tanta è meglio , perchè la 
cimatura marcisce e divenendo cosi marcisi 
fa essere la terra morbida come un unguen^ 
tp : la qual cosa essendo veduta da quelli | 
che di ciò non hanno fatto sperienza , ^a*^ 
rebbe giudicata nocevole , e la terrebbono 
per tenra troppo grassa y ma questa gras^ 
sezza non impedisce il ricevimento del me^ 
tallo ^ anzi l'accetta più volentieri senzci 
comparazione dell' altra terra , che come 
<^UQS(a iiQjj §'è l?>3qi9ta ^narcire^ ^iccpm? \9 



|6o CELLINI 

diverse òpere ho sperimentato^ che qui <£L 
sotto Si diranno. Un altro modo diremo da 
far figure , che vadano gettate di bronzo , 
le quali abbiano da essere grandi- cfuanto il 
vivo o poco più. Poiché si sarà fatta la fi- 
gura colla terra sopraddetta y mescolata con 
cimatura j per essere la migliore y come s^ è 
detto y e che la figura si sarà condotta colle 
debite diligenze, lavorandola parte che la 
terra sarà fresca e parte che si sarà comin* 
ciata a seccare y volendola gettare di bronzo, 
si debbe dare alla detta statua una coperta 
di stagnuolo da dipintori, il quale, è a cia- 
scuno notissimo. £ il modo da preparare 
detto stagnuolo, per appiccarlo sopra la 
statua di terra , è questo. Piglisi tanta cera 
quanta trementina e facciasi struggere in 
xin calderone ovvero in un paìuolo , e 
quando ogni cosa è bene strutta, diasi so* 
pra la detta statua di terra, cosi bollente ^ 
con un pennello di setole di porco sottilis- 
simamente e gentilmente, acciò non si gua- 
sti muscoli, vene o altre minuzie, che^ di- 
mostrano la diligenza ed arte del maestro. 
Ciò fatto, sopra vi si debbe appiccare il 
detto stagnuolo : e perch^ egli è necessario 
di fare un cavo di gesso sopra alla^ statua 
di terra, e ugnerla con olio; perciò biso- 
gna fare la coperta di detto stagnuolo , il 
quale non vi essendo , malvolentieri la di- 
fenderebbe dair umidità e forza del gesso , 
dove per mezzo di tal riparo se ne difende 
benissimo. Mentrechè per simil via si cam- 
mina, viene r artefice non poco a ire avan- 
uado,. essendoché dopo che sarà gettata k 



SctJLTUKÀ. l6l 

figura di bronzo , restando per mezzo delle 
dette diligenze il modello della statua di- 
nanzi finito, presta comodità a quelH, cbe 
ti aiutano rinettarla, di governarsi secondo 
il detto modello 3 dovechè, non vi essendo, 
oltre al cohsumarvi più tempo, si condu- 
cono con manco perfezione , non avendo i 
lavoranti T esempio innanzi. La qual diffi- 
cultà intervenne a me^ poiché ia ebbi get^ 
tato la statua di Perseo , di bronzo , di cui 
poco dianzi feci menzione ; perchè per es- 
sere ella di altezza di più di cinque brac- 
cia e fatta da me nel prìnu) modo, che ab- 
biamo insegnata, cioè fatta prima di terra 
e finita magra circa un dito, cotta e po~ 
stavi la cera sopra, fu gettata tutto di un 
pezzo. Dovechè per cavarne l'anima, ac- 
ciocché restasse più leggieri, gli feci pa- 
recchi buche ne^ fianchi, nelle spalle ^e 
nelle gambe le quali buche, poiché io 
ebbi finita tutta la sua tonaca di cera, fui 
costretto a levare di quella detta cera he 
detti luoghi tanto quanto io voleva , che mi 
restasse aperto per poter tenere Tanima ia 
mezzo appunto ; le quali cose m' impedirono 
di poter, mantenere intero il modello* Ma 
per tornare al proposito nostro , diciamo , 
che alla slatoa, che in questo secondo modo 
insegniamo di fare, poiché ella sarà finita 
di terra , si può ancora appiccare detto sta«< 
gnuolo con pasta , con un pennello sottil- 
mente; )a qual pasta si fa di fior di farina 
nella guisa di quella , che adoperano i cal^ 
zelai : così di mano in mano, che altri vuole 
appiccare lo staguuolo, allora si debbe fare 
Celimi Bem\ f^oh HI. n 



|62 CBLU9I 

il« cavo di gesso , il quale si fa in diversi 
modi , ma il più sicuro e migliore mi pa* 
re , che sia il far pezzi piccoli tanto quanto 
comporta quello^ che Tuomo vuol formare , 
siccome sono i piedi /le mani e la testa ^ 
dove intervengono molti sottosquadri. Que^ 
sti pezzi piccoli voglion esser fatti con gran- 
dissima diligenza, e, mentre che '1 gesso è 
fresco j in ciascuno de^ delti pezzi si debbe 
mettere un filo di ferro , doppio , il quale 
avanzi fuora tanto quanto dentro vi si possa 
mettere uno spaghetto ; perciocché il ferro^ 
che sporta in fuora, ha da restare in guisa 
di una picciola maglietta. Debbesi ancora , 
ogni volta che sìa fatto uno de* detti pezzi 
e rappreso il gesso bene , provarlo , e pro- 
vato che sia ^ vedendo che esca senza gua- 
stare nessuna minuzia delF opera, rimettersi 
il detto pezzo al suo luogo , accostandosi 
bene, acciò non vi resti qualche vacuo ^ 
perciocché verrebbe T opera scorretta. Così 
adunque seguitandosi di fare di «lano in 
mano tutta la qnàìitità de^ detti pezzi (cosi 
quelli, che sodo a sottosquadri, come mol«- 
t altri y che si richieggono di fare nella te^ 
sta , nelle mani e ne* piedi ) jcon essi si 
debbe andar compartendogli in guisa , che 
piglino la metà della .^statua ^ dico la metìk 
per la lunghezza ^ la qual lunghezza s^in-» 
tende ogni volta che sia coperto il bellico^, 
le poppe insiao a* fianchi y e da basso in* 
sino alla metà de^ talloni. Ma qui si debbè 
avvertire y. che con detti pezzi piccoli la 
statua non si ha da coprir tutta, ma di essa 
si lascia scoperto gran parte ^ delle poppc^ 



I 

/ 



SCULTURA. r63 

pSirte dei carpo , delle cosce e delle gambe, 
proccurando che detti pezzi, che si metto- 
no y sieno posti con tia certo modo unito , 
sit;chè non facciano sottosqaadri. Perciocché 
sopra questa metà di stàtua vi si dehbe get- 
tare una camicia di gesso tenero, non più 
grossa èhe due dita, debbesi por cura , prima 
olle sopra ai getti detta camicia, di vestire 
q^el' poco^ di quelle magliette di ferro, che 
dicemmo lasciarsi fuòri di que' pezzi picco- 
li-; le quali si debbono ricoprire con un poco 
di terra , acciocché nel mettere della cami- 
cia non venissero a impedire^ volendola poi 
cavare. Messo che si sia la terra , si dehbe 
poi con olio d^ uliva ugner bene con un 
{^anello tutta quella parte, che debbe ab- 
bracciare la camicia; perchè ciò fatto , e 
rappreso che sia bene il gesso, con molta 
facilità uscirà la detta camicia. Come una 
volta si sarà provato , eh' eli' esca , rimet- 
tasi a suo luogo, e finiscaci l'altra metà 
del : cavo nella maniera , che s' è detto , che 
far si debbe per formar quella parte dinanzi : 
cosi si seguiterà di far dalle bande di die* 
tro 'j e come tutto il cavo sia finito , piglisi 
una corda rinforzata^ alquanto grossetta, e 
da capo a pie leghisi tutta la statua con 
molte avvolture, e inoltre non essendo la 
corda ben serrata , ristringasi con assai quan- 
tità dr piccole biette di legno ; e ciò si fa , 
percirò non si torca il gesso, perchè la fi- 
gura verrebbe bieca; laonde per tal cagione 
cotanto si debbe tener legata^, che il gessò 
abbia perduto gran parte della sua umidità, 
e ^ che il cavo non si possa torcere, Poich' ei 



r64 CELLIKI 

sia rasciutto , svolgasi la corda, e aprasi ià 
forma y la quale viene a esser quella prima 
camicia 9 che alle figure piccole sì può. fare 
di due pezzi soli , intendendo per figure 
piccole quelle, che sieno grandi quanto il 
VÌVO; e maggiormente essendo più piccole 
del vivo: perciocché Saria pii\ facile ti farle 
di due pezzi , ma y essendo alquaùlo mag« 
glori del vivo y è necessario farle di quattro 
pezzi y cioè un pezzo insino all' appiccatura 
della mttura, e un altro pezzo dair appicca- 
tura della natura in giùy i quali pezzi si 
fauno soprapposli due dita l'uno sopra l'aU 
tro , perchè meglio possano congiugnersi in-* 
sieme: i due altri pezzi s^ intendano essere 
le parli di dietro. Come fatte saranno le 
dette diligenze^ aprasi la camicia alla statua, 
e mettasi a rovescio in teiera, cioè detta ca- 
micia , facendo che il concavo venga di so- 
pra ; indi si pigli a uu per uno tutti quei 
pezzetti; spiccandogli dalla statua , e met(ansi 
nelle casse loro, che saranno fatte in detta 
camicia; e levato da detti pezei quel poco 
della terra ^ che si messe sopra quelle n\a- 
glie di ferro y si porrà cura , dove la terra 
avrà lasciato un poco di margine o cavo, 
che si dimostri, ed in quel luògo appunto 
si debbe.fcire un buco con un succhiellino 
nella detta camicia ^ appiccando a ognuna 
di quelle magliette di ferro nn pezzo di 
cordicella rinforzata^ la quale di poi si mette 
n^l buco , che si fece nella camicia col soc- 
cbiello; indi con un poco di fuscello si lega 
ciascun pezzo al difuori della camicia. Cosi 
essendo vestita la camicia di tutti que' pezzi, 



^ Scott oftii. i65 

tht tenevano i SDttòsquadri ^ e avendo nato 
tutto il cavo sottilmente con un poco di 
lardo, vi si debbe commettere una gres- 
sesza di una costa di coltello o di cera ò 
di terra o di pasta.^ la quale si domanda la 
lasagna^ e fassi in questo modo. Piglisi 
un'asse di legno, e con gli scarpelli intà- 
glivisi un quadro di cavo, quant'è grande 
la palma della mano, e di grossezza quanto 
una buona costola di coltello*, . come s^ è 
detto, più o meno che si vuol che venga 
o grossa o sottile la statua. Così di mano 
in mano, che si sarà formata la lasagna nel 
detto legno , si andrà commettendo nel cavo 
della' statua, sicché Tun pezzo tocchi T al- 
tro. Dopo questo si debbe fare un'armadura 
di ferro , la quale serve per Y ossatura della 
statua : e la detta armadura debb^ essere 
tortuosa secondo là forma, che dimostra re 
gambe, le braccia, ilcorpo e la testa' della 
statua. Ciò fatto, piglisi della terra magra , 
battuta , con cimatura , gd a poco a poco 
si vadaf mettendo «opra dett' ossatura , sec- 
candola o per mezzo del tempo o del fuoco, 
tanto ch^ellà sia piena quanto tiene il ca- 
vo: il che con gran diligenza si prova molte 
volte ora da una banda ora dair altra : e 
come là detta ossatura sÌ9 piena, sicch'ella 
tocchi tutta la lasagna , ella si debile cavare 
e fasciarla di un sottil filo di ferro tutta 
quanta da alto a basso, e poi ricuocerla 
tanto che la terra si vegga ben cotta; la 
qual parte si domanda il nocciolo della fi- 
gura. Come detta ossatura sia ben cotta, 
diasele sopra un sottilissimo loto , il quale 



.l66 CELLINI 

SÌ fa d* 0880 macinato e mattoo pesto , tua*' 
grò , mescolato con un poco di terra intrisa 
con cimatura. Ciò fatto , diasele un altro 
poco di caldo con fiamma di fuoco , tanto 
che il detto loto ancor esso sia cotto , e poi 
8Ì tragga la lasagna del cavo, avvertendo di 
lasciare in quattro luoghi almanco alcuni 
.ferri legati alla detta ossatura j perciocché i 
detti ferri mantengono tutto li nocciolo ^ 
8Ìcchè egli non si può muovere Debbesi 
ancora nel cavo di gesso fare il posamento 
de' detti ferri, che avanzano. Poi dopo le 
dette preparazioni (come avvertimmo.) si 
caverà tutta la lasagna e si metterà ne^ detti 
cavi di gesso^ avendogli di nuovo unti con 
lardo sottilmente, e che sia alquanto caldo ^ 
perciocché sMncorpora meglio nel gesso. Inatte 
che si saranno poi le bocche , dove si vuol 
mescere la cera, serrisi il nocciolo dentro 
nel cavo , e serrato che sia , dirizzisi la sta- 
tua, facendpgli quattro sfiatatoi per lo man- 
co, cioè due da' piedi e due dalle mani, e 
quanti più se ne farà, più sicuro sarà F ar- 
tefice^ che la stàtua s'empia dì cera. Ed in 
tal guisa si fanno detti sfiatatoi. Debbonsi 
i due primi fare nella più bassa parte dei 
piedi , e se si avrà la statua collocata sopra 
qualche poco di posamento, con più faci- 
lità ti verranno fatti. Facciasi poi con un 
succhielletto gròsso il buco degli sfiatatoi 
tanto a vantaggio, che penda in verso il 
basso } perché , così essendo , non veri à a 
restare nessuno imbratto dentro alla Torma. 
Dentro a' delti buchi vi si debbe porre can- 
nelli di canna, i quali sicno adattati in guisa 



cbe ai vadano rivolgendo e legando Tua 
cannello nell^ altro ^ sicché per esser messo 
il cannello per la parte di sotto y egli si 
TeogA a rivolgere in modo , che sia volto 
«lUo msn verso il diritto della statua ^ e cosi 
a- tatti gli aUri^ che vi si pongano^ s^usi il 
medesimo modo. Dove si lega il cannellp e 
nel. buco, dove egli si mette ^ abbiasi av** 
vertenza d^ imbrattarlo bene con un poco di 
terra liquida tanto eh* ella lo possa difen- 
dere 9 sicché egli ritenga la cera e non la 
versi* Fatto le dette diligenze ^ mesciasi ar« 
ditamente la cera , purché sia calda e strnt« 
ta 9 che , osservando i modi sopraddetti > sia 
la statua in qual difficile attitudine esser si 
voglia, facilmente verrà piena* Poiché la 
forma sarà piena ^ lascisi per un giorno in- 
tero benissimo freddare ^ ma se sia di state^ 
lascisi stare p^r due giorni; e come sia fred*^ 
da f sciolgasi diligentemente dal legame ^ e 
medesimamente sciolgansi poi que^ piccoli 
spaghetti^ che tengono que' pezzi di dentro 5 
che son fatti per i sottosquadri ^ come di 
già dimostrammo; ed avendone sciolti la 
metà, gentilmente si comincerà a tentare la 
prima parte o dinanzi o di dietro: e perché 
per lo raflreddami nto 9 che averà fatto la 
cera ^ si sarà ritirata ^ quànt' é I9 grossezza 
di un pelo di cavallo almanco ; perciò si 
renderà più facile a spiccare dalla statua, 
quella prima veste; la quale spiccata si po- 
serà in terra ^ e dipoi si farà all' allra parte 
le medesime diligenze. Ciò fatto ^ mettansl 
sopra due caprette di legno tanto basse | 
quanto T artefice vi possa cornar sotto colle 



/ . ^ 



i68 G^LLmi 

maaiv; iiidi si comìnci a spiccare a uno a 
uno dalla statua tutti que^ pezzi ^ che sa- 
ranno con questa maglietta dì ferro e con 
quello spago appiccati alla detta maglina; 
e ciò fatto, perchè- restano nella statua aU 
cune bavette causate da^ detti pezzi y puli- 
tamente s'andranno rìnettando^ e con di li* 
genza s^ andrà rÌY€dendo tutta la statua : e 
come si sarà r artefice risoluto di non usarle 
d'intorno altra diligenza, facciansi di cera 
tutti quegli sfiatatoi, che hanno da essere 
intorno alla statua^ innanzichè se le faccia 
la tonaca di terra ; e ayvertiscasi a fargli 
tutti , che pendano verso il basso^ perchè 
dipoi nella tonaca , cioè nella veste ultima y 
facilmente colla terra si rivoltano all' insù: 
e la ragione, perchè gli sfiatatoi vogliono 
pendere al basso , è questa , perciocché con 
maggior facilità se ne cava la cera ; laonde 
stando altrimenti , sarebbe necessità di vol- 
gere e rivolgere la forma , e verrebbe per- 
ciò a patire e portar perìcolo di guastarsi; 
dove, cosi governandosi T artefice, verrà 
sicuro da tali impedimenti. Debbesi ancora 
avvertire a questa, come cosa di grandis* 
sima importanza, che nel cavar la cera si 
faccia, che il fuoco sia temperato tanto, 
che la cera non ribolla nella forma , anzi 
esca senza violenza; e quando sarà tutta 
uscita , diasi alla forma , ancora , temperato 
fuoco fintantoché altri si assicuri , che tutta 
r umidità della cera sìa fuora. Poi ardita- 
mente se le può dare buon fuoco , facen- 
dole d' intorno una vesta di mattoni , che 
sieno presso alla forma a tre dita; e il fiioco^ 



SCULTURA. l6g 

che se le fa ^ sia di legne dolci , com' è 
ontano, carpine, pino, faggio, sermenti ed 
altre specie di simili legni. Soprattutto fug-* 
gasi dal cerro, dalla quercia 6 dai carboni ^ 
perchè il lor fuoco farebbe colar la terra , 
la <|ual terra , essendo condotta a tal ter- 
mine , diventa come yetro^ se già non fos- 
sero alcune terre ^ che hanno proprietà di 
non co^are , siccome sono quelle , che si 
adoperano alle fornaci de^ bicchieri ed alle* 
fornaci de' bronzi, come a suo luogo di- 
remo. Oltre a questo modo ve n^ ha un al- 
tro alquanto più facile ; ma non così sicu- 
ro, come il sopraddetto 3 e questo si è^ che 
in cambio di far quel nocciolo alle figure 
di terra , si - può fare di ^esso mescolato 
con osso arso e con matton cotto pesto; 
ma s' egli avviene , che il gesso sia di buona 
sorte , il detto modo diventa più facile; 
perciocché , invece di dare quelle vesti a 
poco a poco alla terra , si può torre il gesso . 
e farlo liquido colle dette cose mescolate 
insieme, pigliando una parte di gesso ed 
altrettanto infra osso e mattone, tacendolo 
liquido come un savore ; la qual composi^ 
zione si debbe gettare in quel cavo sopra 
la lasagna , e si rappiglerà isubito. Sciolgasi ' 
poi il cavo ne^ modi sopraddetti, e leghisi 
tutto il nocciolo con filo di ferro , e cuo* 
prasi il detto filo sottilmente con un savore 
alquanto più liquido del primo , pur jdella 
medesima sorta del sopraddetto. Ciò fatto, 
«i debbe cuocere detto «nocciolo nel modo , 
che si fa quel di terra} e come sia bea 
cotto , gettivisì sopra la cera con tutte quelle : 



fJO CfitLlNl 

diligenze^ cbe si debbe usare intorno al 
cavo di gesso. Cavato poi che si sarà detto 
cavo , avendo rìnetto la cera della statua ^ 
come s^è detto , e preparati medesi marne o te 
i suoi sfiatatoi > si può nel medesìn^o modo 
e colla medesima composizione del gesso 
far la spoglia sopra la cera , che sia di due 
dita e mezzo di grossezza « Inoltre si debb€ 
armare colle medesime listre di ferro, lar« 
glie due dita; e pome sia armata , cuoprasi 
di nuovo, dett^ armatura col gesso. Indi ri- 
stringasi in un fornello fatto tutto di mat- 
toni, e accomodato in guisa che/ dandogli 
fuoco 9 se ne possa trarre la cera , facendo 
una buca in terra da porvi un calderone 
per ricevere la detta cera/ la quale si debba 
trarre per li sfiatatoi; e come se ne sarà 
tratta , allora si darà alla forma un buon 
fuoco di legne e carbòni , tantoché la to<* 
naca della statua si Vegga ben cotta ; ma 
si debbe sapere > che il gesso si contenta 
della metà manco fuoco , che non fa la terra« 
Ben è da avvertire^ che nelle parti della 
Toscana il gesso non e cosi a proposito a 
far simili opere , come è in Mantova, in 
Milano e in Francia; che in tali regioni è 
eccellentissimo. E per tale imperfezione in 
dette parti dr Toscana ha ingannato di va* 
lenii artefici , che non sapevano la diffe* 
renza^ di questi gessi; perciocché più d^ una 
Tolta j adoperandolo > non poterono con* 
durre le loro opere a desiderato fine ^ non 
sapendo che se ne fosse causa ; perciò il 
vaiente artefice debbe avere perfetta noti- 
zia delie terre e de' gessi e similmente di 



«ICUtTURA. l'JC 

Ogni altra cosa necessaria al suo esei;cizio^ 
volendo esser lodato delle sue fatiche. Con 
quest^occasioilè farò menzione d^una espe- 
rienza osservata da me sopra le calcine di 
Roma e di Francia ed in alcuni altri luo- 
ghi, le qdalt quanto più si tengono spente 
tanto sono migliorile fanno miglior' presa ; 
laddove per lo contrariò q^ielle* di Fioren- 
za, mia patria, vogliono subito spente esser 
messe «in opera ^ e così fanno buonissima 

E resa e sono molto a proposito, dovechè, 
i^cia&dole aoprastare , perdono il Valore ; 
e l'altre, quanto più sopràstanno , maggior 
forza acquistano. Cosi si vede per simili 
effetti, quanto T artefice debba essere os- 
ft^vato.e. diligente ip far esperienza delle 
jBaterie , (à^e gU occorrono d^ adoperare) 

J poiché beois j6pje$ap secondo la regione, che 
e produce, oangìaHO natura e fanno variato 
effetto. Essendoci ora spediti delle soprad-^ 
dette cose ,. parleremo delle diligenze, che 
ei 4e)>hf0no. u^are per gettar le. statue dì 
bronzo , del far le fosse e le fornati , dei 
preparare il bronzo, e df^U- altre grandi av- 
Tert^nzé , che là ciò si debboiho avere. 



tn2 CBLL1KI 



CAPITOLO II. 



Del modo di metter le forme nella fossa , 
e delle misure di essa fossa ; del porre 
gli sfiatatoi^ e del riempiere la detta fos* 
sa; del por le spine ; del murare il ca- 
nale; delle diligenze da usarsi in prepa^ 
rare il bronzo ; e del riparare a diversi 
accidenti, che in simili casi possono in^ 
tervenire. 



, ' 



vJoME la forma delln statua ; che si faà 
da gettar di In^onzo , sia condotta nel ter^ 
mine sopraddetto^ si débbe cavare una fossa 
appresso alla fornace^ dinanzi alla spina; 
la qual fossa debb^ esser tanto profónda^ 
che la forma della statua si nasconda tutta 
in essa, ed inoltre debb' esser più bassa un 
mezzo braccio y acciocché se le possa dare 
il suo pendio ; e la bocca y la qual debbe 
venire sopra la testa della statua y debb^ es- 
sere almanco un quarto di braccio. Dipoi 
che si sarà fatta la fossa con t^ misure 
per altezza, e per larghezza uq^tìiezzo brac- 
cio discosto dalla detta f^rtna da ogni ban* 
da 9 piglisi la forma, che si sarà sfasciata 
da que^ mattoni , dove si pose a cuocere ^ 
e dopo che sarà fredda, leghisi diligente- 
mente con un canapo bastante a sostener- 
la ; ed avendo posto una taglia a una trave 
del palco e messovi dentro il detto canapo^ 



SCULTURA. 173 

si débbe T artefice «ervire di ud argano pos- 
sente a sostenere la detta forma. ]Ma per* 
che in tal proposito mi si rappresentano 
alcune cose ritrovate per mezzo deir espe- 
rienza y non reisterò d' insegnarle. Essendo la 
statua del Perseo (che io feci) della gran* 
dezza , che s' è detto ^ perciò giudicai y che 
fosse necessario porla nella fossa con due 
argani, il che feci, e gli caricai ambedue 
oon più di duemila libbre di peso: ma se 
la statua sarà di grandezza fh tre braccia, 
in circa , sarà bastante un argano solo , e 
sebbene (non essendo la statua maggiore 
di quello, che s^ è detto) si potrebbe fare 
senz^ argano, non perciò è da assicurarsi 
per cagiona de^ gran pericoli, ne^ quali si 
potrebbe incorrere, essendoché si potrebbe, 
muovere il -suo nocciolo, cioè l'anima di 
dentro , e anche percuotere la spoglia di 
fuori y dovechè adoperando Targano si sfug- 
gono i' detti inconvenienti. Xevata adunque 
che si sarà la forma col detto argano , pian 
piano y e condotta alla bocca della fossa , 
allentisi tanto , eh' ella discenda nel fondo 
della fossa ; e poich^ ella sia . ben ferma e 
diritta , e situata la bocca (dove ha da en« 
trare il metallo ) al diritto della spina , si 
debbe trovare in prima li due sfiatatoi, chd 
sono nella più bassa parte ^ e quelli imboc- 
care con certi cannonetti , che si fanno di 
trcrra cotta , i quali cannoni sogliono servire 
per gli acquai : e perchè si usa de^ detti con 
alcune rivolte , questi servono nelle parti, 
più basse ed in tutti quegli altri luoghi, 
dove gli sfiatatoi sono forali airiiigiù} che 



1 74 CEUINI 

con quella rivolta sMmboccanò Tuno n&l- 
Faltro evengono diritti alFÌDsu. Messi adun* 
qne che saranno questi due sfiatatoi^ si éebbe 
pigliare di qaella terra , che si sarà« cavata 
della fossa ^ la qua! terra vuol esser ben 
crivellata e mescolala con altrettanta rena, 
che non sia troppo molle ; e mescolata bene 
la terra colla tena j si debbe riempiere la 
fossa. Ed avvertisca V arte&ce , che la detta 
terra ^ che io dicoy che debb' esser mesco* 
lata colla rena ^ basta y eh' ella sia presso 
alla forma delU grossezza di un quarto di 
braccio , e da indi in- là si debbe riempiere 
di terra pura j cioè di quella y che si sarà 
cavata di detta fossa , la quale noa importa , 
che sia altrimenti crivellata : e quando ve 
ne sarà per l'altezza di un terzo di brac- 
cio, allora si debbe entrare in detta fossa 
con due mazzapìcchi , i quali sono due le- 
gni di lunghezza di ti e braccia Puno^ e 
larghi di sotto per un quarto di braccio, 
ooV quali si condensa la terra insieme , proc* 
curando di non percuotere mai la forma; 
basta a quattro dita appressarsi a qaella 
mazzapicchiando , e da indi in là si debbe 
serrare con li piedi, premendo la terra ap- 
presso la forma con gran destrezza. Così a 
ogni terzo di braccio , che si sarà posta la 
terra, nel detto piodo si mazzapicchierà ; 
e perchà gli sfiatatoi , che dicemmo , ven- 
gono a essere raggiunti dalla terra , met* 
tanvisi volta per volta di quei cannooetti 
di terra cotta ; e ogni volta^ che si saranno 
messi , turìnsi bene con un poco di stoppa 
netta , la quale ripara ; che nel riempiere ^ 






SCULTURA. ì'jb 

che si fa della fossa j la terra non entri 
dentro a' detti sfiatatoi , perciocché impe- 
direbbe tanto la forza del softiare, che non 
iascerebbono venir la statua. Segiiitando 
adunque di riempiere la fossa in tal modo^ 
ritrovandosi degli altri sfiatatoi^ si dehbe 
tenere le diligenze raccontate nei primi, (in- 
tantoché s' arrivi al pari della fossa , riem- 
piendola Ciò fatto j si debbe cominciare a 
«^ iar la via dove ha da correre il bronzo : e 
debbesi sapere^ che quando si comincia a 
mettere la forma nella fossa y bisogna , che 
sia piena la fornace di bronzo , e in uh 
medesimo tempo cominciare a dar fuoco alla 
fornace , che si riempie la fossa ; acciocchà 
la forma non pigliasse troppa umidità : le 
quali diligenze , ancorché paiamo frivole , 
mancandone l'artefice , son cagioni molte 
volte/ che non s'empiano le forrtie e che 
si resti con vergogna dell'opere Or poiché 
sarà ripiena tutta la fossa al pari disila bocca 
principale j dove debbe entrare il bronzo , 
essendosi lasciata quella parte di caduta dalla 
bocca della spina, dove debbe uscire il bronzo 
della fornace , ed avendo tirali su tutti gli 
sfiatatoi nel modo , che si è detto, sempre 
tenendogli chiusi con istoppa^ e il simile la 
bocca principale della forma ^ si debbe pi- 
gliare tante mezzane cotte, e di esse &re un 
pavimento , sempre lasciando scoperti gli 
sfiatatoi. E perchè la forma talora avrà più 
d'una bocca principale , dove ^ebbe entrare 
il bronzo ; perciò si debbe avvertire , che 
il detto ammattonato venga appunto al pari 
delle bocche^ dove ha da entrare il bronzo» 



1^6 CELLINI 

Piglisi poi de^ mattoni di terra cruda , sec* 
chi (i quali si debbono spezzare^ lascian- 
dogli della larghezza di tre dita o più , se- 
condo \la discrezione dell' artefice y e della 
caduta che si vuol dare al bronzo ) e questi 
detti mattoni si hanno da murar per coltèl- 
lo 9 con terra liquida , mescolata con cima- 
tura in cambio di calcina^ sopra il detto 
mattonato. Ed è da avvertire^ che essendosi 
tirato per la parte di fuora insino alla pa- 
rete della fornace un canale fatto de' detti 
mattoni crudi ^ e riserrato intorno le bocche, 
dove ha da entrare il metallo nella forma, 
si debbe poi pigliare de^ mattoni crudi o 
cotti j e per piano murare il canale, tanto 
quanto esso verrà alto , e sarà assai la lar« 
ghezza d^ un mattone , mettendo F uno sopra 
l'altro e accomodandogli intorno al detto 
canale, tanto quanto verrà alto, come s'è 
detto. Come sarà giunto al pari^ e bene 
stuccato con terra fresca in vede di calcina, 
$i debbe levare la stoppa di sopra le hoc-^ 
che, dove ha da entrare il bronzo, ed io 
cambio di stoppa vi si debbe porre turaccioli 
di terra fresca, fatti si che si possano cava^ 
re; perciocché subito si debbe mettere de* 
carboni accessi nel canale , e coprir tutte 

5[uelle parti, che si sono murate con terra 
resca , acciocché ogni cosa sia bene asciutta ; 
e perciò si debbe rinnovare il fuoco più vol- 
te, perchè non tanto vuol essere asciutta la 
detta terra , ma benissimo cotta. Dopo tali 
diligenze , avendo il metallo ben fuso , si 
leva tutte le ceneri e carboni , soffiando con 
un niautacuzzo si che nulla vi resti sopra^ 



«CULTUJIA. ifjn' 

che possa impedire il metallo. Ciò fatto, si/ 
debbono levar tutte le sloppe , che cbiug-' 
gono gli sfiatatoi^ ed ancora queUuraccioli 
di terra dalle bocche y dove ha da entrare 
il bronzo strutto. Debbonsi inoltre mettere 
su per io detto canale due candele di se- 
vo, sino in tre, le quali non arrivino a 
una libbra di peso ; iodi andare , alla bocca 
della fornace, e rinfrescarla con una certa 
quantità di stagno di più della lega ordi-^ 
naria, la quale vuol essere ^irca una mfezza 
libbra per cento di più della lega , che vi 
avrai messo. Con prestezza poi , mantenendo 
il fuoco continuamente alla fornace con. 
nuove legno , arditamente col ' m^ndriapo 
(che cosi s'addimanda quel ferro, cpl quale 
ai percuote la spina) sA debbe percuotere 
la detta spina, e temperatamente Iqsciai^e 
scorrere il broozo, sempre tenendQ la punta 
del 'mandriano dentro ^nella spin^ , fintanto- 
cbè.^ vegga uacita una cerl^ quantità . di 
metallo; la qual destreiiza serve a far pas« 
sare quelF impeto, che fa il metallo, che 
talora è cagione di. far pigliar vento all'en*^ 
Irata della fprma. Vedendosi adunque alien* 
tata questa prima furia , si potrà levai^e il 
mandrìanp dalla spina della fornace , lasciando 
versare il brons^o tutto , acciocché la fornace 
restia netta ^ e per eia fare è necessario di 
aver un nomo a ciascuna delle bocche della 
fornace , che co^ rastiatoi , che s' usano a 
tal effetto, spaccino tutto il bronzo verso 
)a spina : e quel metallo , che avanza , di- 
poi che s' è pieno la forma si ritiene con 
Cellini Ben. Fol* III^ la 



1^8' CCI.L1NI 

quella terra , che avanza dalla fos^a , la 
quale si piglia con pale e gettasi sopra ,al, 
pronao , che corre fuori della forma. Cosi 
colle dette diligen^ s^empioup le dette for-. 
pne. Ma perchè in simili casi i divei^ aocin. 
denti ^ che possono avvenire , son causa ta<. 
lora di far perdere alFarteEce le suejiiingbe 
fatiche ; perciò in questo luogo narrerò al- 
cune avvertenze per comun benefizio ^ che 
con mia grande spesa e disagio ho impara^ 
to^ le quali non sono da ess^e sprezzata 
da quelli , che di tal esercizio si dilettano.. 
Né foderò il parere di alcuni , che usano 
in tali casi di servirsi delF opera de' maestri 
d^ artiglierie; perciocché quantunque in taL 
effetto la loro arte e pratica sia simile^ 
ìinperò nel gettare le statue vi.soi^o molte 
cose differenti e assai intelligenze j di che 
^ssi Don hanno notizia ^ le quali debbona 
sapersi dagli scultori ^ né Bdarsi in ciò ddlfli 
ìorQ pratica , perchè non sempre avviene ^ 
che essi conducano a perfezione i getti della 
figure, come quelli delP artiglierie; mentre-^ 
che il valente scultore in tali casi y sebbene 
debbe prezzare \ consigli di ciascuno, non 
pei'ciò Ila da essere ignaro di tal arte, s^ic^ 
che egli bisogni, cl^e si limetta in tuttOi 
pelle mani di detti artiglieri ^ ma sapere ^ 
secondo r occasione, con prudenza risolve^ 
re, antivedere e riparare a ogni difficultà,^ 
che poss^ intei^enire in materia dì getto» 
E ciò è detto d^ me nofi per fare injgiuriai 
9 i gettatori dell' artiglierie y, ma pe^* avver- 
tire gli scultori, che molte cose, com^ ho 



detto, occorrono neirarte del gettare le 
statue^ cìie esM dog sene sanno risolv^crej 
il che è occorso conoscere a me per V e- 
sperienza nel gettare , che io feci del mio 
Perseo, venendovi una delle dette difBcul- 
tà, dove ricercando questi tali di consiglio, 
gli trovai ( parlando in materia di tali sta- 
tue) scarsi e sbigottiti^ e mi dissero la mia 
forma esser guasta e senza rimedio. Era 
questo getto molto difficile si per la sua 
grandezza e si ancora per cagione dell' at- 
titudine, in che io aveva £itta la figura, la 
quale aveva nella sinistra il gorgone di Me- 
dusa , e il braccio ritto tirato molto indie- 
tro con ardita prontezza , e la gamba sini* 
stra piegava assai ; le quali cose rendono 
molto difficile il getto. In questa aveva io 
posto gran numero di sfiatatoi e molte boc- 
che , che dipendevano da una sola , che 
veoiv£l dall'altezza della testa , per di dietro 
della figura 4 iosino alle calcagna di tutfa 
duei piedi, appiccandone su per le polpe, 
delle gambe in tutti quei modi, che ricer- 
cava r atte. Insomma io vi aveva posto un 
estremo studio per esser la prinfia opera, 
qbe io faceva nella mia nobilissima patria j 
laonde volendo io far tutto di mia mano, 
avendo di già condotta la forma in tal es- 
sere y che erano superate le maggiori di ffi« 
cultà , per l'estrema fatica, che io ajieva 
durata , senlendomi alquanto injlkposto , 
poiché io ebbi ridotto già quasi il &onzo ^ 
in bagno, cioè fuso, pregai i detti artiglieri, 
che facessero il resto , a tutti dando Tordipe^ 



r. 



léo CELLINI 

che io voleva ^ che tenessero , perciocché io 
per la debolezza non poteva stare più in* 
torno 9I fuoco della fornace. Essendo adun- 
que^ come ho detto , il bronzo fuso presso 
al suo termine ed in tal guisa che si poteva 
trattenere per lo spazio di sei ore ^ questi 
^er veder, com'ho detto , cosa diversa dalla 
oro professione, mediante quelle tante di- 
Verse bocche e sfiatatoi , che nelle lor forme 
non si usano, e parte avendct trascurata la 
fornace, lasciarono rappigliare il metallo e 
venire , come per V arte si dice , un migliac- 
ciò : al qual disordine il riparo è molto dif^ 
ficìle per esser la fornace tonda e per ve- 
nire il fuoco , che si dà al metallo , per di 
$opra3 il che non sarebbe, se il fuoco po- 
tesse venir di sotto , perciocché allora facil 
cosa sarebbe a riavere il metallo rappreso, 
Bitrpvandosi adunque il metallo in tal Xet^ 
mine, e venendo essi a darmi tal nuova ^ 
uscito in un subito del Ietto, dove i«> era,^ 
e domandato^ se alcun rimedio vi fosse ^ 
risposero, non v^ essere altro rimedio, cho 
disfar la fornace 3 ma per esser poi la mia 
forma sotterrata più di sei braccia in ter- 
ra , non vedevano come potesse essere , che 
la detta forma non si guastasse ; perciocché 
difficile era il cavaref la terra dintorno ali»- 
forata , per essere ella ben serrata e ripiena 
di t^nte bocche e sfiatatoi. Ciò seqtendo , 
ardifsffitente feci loro animo e dissi ^ che 
non dtnbitassero , mia che mi ubbidissero , 
essendoché io mi rincorava di riavere il 
detto metallo. Così in un istesso tempo 



SCiTLTUiyi; iSì 

coniatadai a più uomini diverse cose. E 
prima dissi) che uno mi £icesse condurre 
una catasta di legne di quercia ben secche ^ 
la quale era poco lontana dalla fornace : e 
qui awertisca il lettore , che sebbene indie- 
tro si disse y die i legni forti non erano a 
proposito , come la quercia ; in tal caso era 
necessario servirsi di un fuoco gagliardo ^ 
siccome fa la quercia. Cominciando adun* 

3 uè a mettere parecchi peszi per volta di 
ette legne nella fornace , sì venne a muo- 
vere il detto metallo. Due alivi poi feci^ 
che con certe lunghe verghe di ferro lo 
pugnessino , per Tuna e per T altra buca 
della fornace. Ciò fatto avendo , luentrechò 
io mi era messo a pulire il canale^ donde 
aveva da correre il metallo , e che io aveva 
scoperto tutti i mìei sfiatate» e aperto tutte 
le buche y vedendomi già plesso alla fine 
delle mie fatiche, vidi in un subito alzare 
tutto il coperchio della fornace ( e questo 
avvenne per la forza del fuoco di quelle 
legne di quercia ) ; laoi^de il metallo si spar-* 
i;eva per tutti i versi : i. quali accidenti di 
nuovo sbigottirono tutti quei maestri ^ «he 
m^ a lutavano e che con gran maraviglia ave-* 
vano veduto risuscitato e fatto liquido |1 
migliaccio di bronzo. Essendo adunque sO"* 
prappreso da tanU impedimenti , senza punto 
sbigottirmi, vedendo, che quel gran fuoco 
m^ aveva consumata tutta la lega , detti or<^ 
dine di rimetterla nella fornace con un pane 
grosso di stagno fine, preparato per tali 
bisogni ; ma vedendo di non poter ciò fare^ 



l8!» CEtLlNI ^ 

perchè il metallo si versava e si dilatava 
per tutta la fornace intorno , presi nuovo 
partito ; detti ordine , che subito mi fossero 
portate da due uomini circa dugento libbre 
di piatti di stagno, che erano in casa mia^ 
e gettato di quelli una parte nella fornace, 
feci a uno df essi pigliare il mandriano e 
percuotere la spina , la quale era durissi- 
ma^ ed il simile feci fare alF altra, perchè 
ve ne aveva poste due ; così di mano in 
mano che il metallo correva per i canali ^ 
io andava geUandó di quei piatti sopra detti 
canali^ e per essere il metallo cotanto fer- 
vido e bollente , veniva in un tratto a cor- 
rere insieme col detto stagno/ Laonde in 
brevissimo tempo veddi entrare dentro il 
metallo', sen^a soffiare, pacificamente, e 
lavorare tatti gli sfiatatoi; e così* si empiè 
benissimo la forma con mia grandissima aU 
legrezza , e maraviglia di coloro , che io 
aveva chiamati in mio aiuto. I medesimi 
accidenti mi erano occorsi ancora in Fran- 
cia nel gettare le prime figure, cher io di&* 
si, per lo Re Francesco; dovechè avendo 
chiamato di valenti gettatori di bronzo, gli 
trovai, fuori di quella loro solita pratica, 
in tali cose inesperti e inresoluti: e perciò 
ho voluto avvertire V artefice e insegnargli 
quello^ che con una lunga osservazione e 
pratica m^ è occorso d' imparare , a fine che 
in taU casi si trovi svegliato e. abbondante 
di partiti. Le quali destrezze s^ acquistano 
tutte per mezzo dèlia pratica e dell' espe* 
rieoza , come s' è detto. Ora verremo a trat- 
tare del modo di fare le fornaci. 



t 

• * * 

CAPITOLO Ili. 

ÌMle fornaci da gettar bronzi y é loro parti 
e misure; delle qualità ddle terre da 
murarle e intonacarle^ e del modo dt 
strabere il bronzo. 

JLje fornaci, che si fanno per fondere il 
bronzo 9 si debbono murare secondo Toc» 
casioni dell'opere. Parlando adunque del 
modo di fare dette fornaci , verrò a mo^ 
strare quello , che da me è stato tenuto so^ 
pra tal sorte di edìficj, quando mi è oc* 
corso di fame. La. póma^ che io akai^ fa 
ia Pwigi^ volendo gettare le figure, ohe 
entravano in quel meszo tondo ^ che io 
aveva £itto al Re Francesco ^ come di sopra 
8* è detto. A questa feci il vano di dentro ^ 
cioè il diametro, di tre braccia Fiorentine} 
laonde veniva a girare la sua circonferenza 
nove braccia ; e V altezza deUa volta di detta 
fornace era il mezzo tondo della pianta della 
sua rotondità. Diciamo ora del piano del 
fondo della fornace, nel quale si pone il 
bronzo. Questo si dee fare a pendio^ ed 
essendo la fornace della grandezza soprad*» 
detta debbe essere il suo pendio la sesta 
parte di un braccio. Avvertiscasi ancora ^ 
che il detto fondo si ha da fare coiri quel* 
Inattitudine, che si fanno le strade ^ dove 
A cammina, cioò^ che abbiano nel mezzo 
il suo rigagnolo e pendìo | il quale ha da 



l84 CEtLTNI 

correre diritto alla bocca della spina , di 
dove esce il metallo. Gò^ per tal ragione 
queste spalle andranno montando su dolce- 
mente presso alle due porte , dove si mette 
il bronzo , a un terzo di braccio ; il qual 
terzo di braccio si debbe fare andare tanto 
piò ardito , quanto si vorrà , che la fornace 
abbia più o meno fondo, la qual consiste 
in manco di u|i mezz^ ottavo di braccio dal 
più al meno. Ewi la terza porta , dov'en- 
trano le fiamme del fuoco , alla qusie non 
è necessario usare tali diligenze^ per non 
essere ella affaticata dal bronzo ; ma solo 
se le debbe fare alquanto di spalletta ^ d* al- 
tezza di tre dita. Debbesi murare il detto 
fondo di fornace con certi mattoncelli fatti 
a posta , i quali , oltre alla loro picciolezza ^ 
si fanno larghi più da una banda che dal* 
l'altra, e vogliono essere grossi per unse* 
sto di braccio; e se si faranno della detta 
grossezza per tutti i versi , serviranno molto 
meglio che non fanno quegli, che scusano 
alle fornaci de* bicchieri. Ed avvengachè 
molti usino di mettergli in <^era per col- 
tello, avendo io T uno e T altro modo spe- 
rimentato, son fatto accorto, che essendo- 
ì detti mattoni di una medesimsi grossezza 
per tutti i versi ^ fanno migliore operazione 
mettendogli, a diritto, che in nessun altro 
modo. La terra, che si adopera per fare i 
detti mattoni , debb' essere con . diligenza 
scelta^ perciocché ella vuol esser tale, ch'eUa 
upn coli al fuoco : ed in. Fiorenza se ne 
v^rvono i fornaciai da bicchieri di una^rte^ 



SC1TLTU1UL ld5 

€he tiene da Monte Carlo ^ che è assai 
buona , ed è di color bianco ; ma in Parigi 
n'ho io trovata di quella di gran lunga mi* 
gliore e ohe fa molto maggiore operazione; 
ed i mattoni^ che usano di fare gli artefici 
di quei paesi per dette fornaci , sono lunghi 
per un ' quarto di braccio ^ e della grossezza 
sopraddetta ; e perchè la moltitudine de^ la- 
vori d'argento e di ottone^ che vi si fanno^ 
costrigne a fare infinita quantità di coreg* 
giuoli , adoperati che sieno a tal uffido^ rom^ 
pendogli e pestandogli ne fanno la sorta 
de' mattoni i^opraddetta. Ma perchè a cia- 
scuno è noto, che gli artefici sono forzati 
di servirsi delle materie , che nelle regioni , 
in che essi lavorano ^ gii sono più comode; 
perciò, diremo, che, poiché^ avranno usato 
ogni possìbile diligenza di servirsi della mi- 
glior terra , che possono avere , avendo fatto 
fare i mattoni e vedendogli ben secchi , si 
debbe , con asce e scarpelloni fatti a posta 
per tal necessità^ lavorargli .pulitamente e 
in tal guisa, che si ccngiungano benissitno 
insieme. Così di mano in mano si andranno 
i detti mattoni murando in sul fondo della 
fornace: il qual fondo ha da esser fatte di 
pietre morte, C/ levato dal piano della terra 
un mezzo sbraccio; e le dette pietre morte 
vogliono esser grosse un terzo di braccio , 
il manco , e benissimo congiunte insieme. 
Questo primo fondo ^ del quale continova- 
mente parliamo , essendo la fornace della 
sopraddetta grandezza ^debb' esser più grande 
due terzi di braccio che non ha da restare 



•, * 



t86 celìini ' 

il vano del fondo della fornace, e.mntaéo 
di calcina ordinaria, purché sia buona e 
hene stagionata. Sopra questo primo fondo 
si debbe poi marare V altro , e co^ dHlì 
mattoni; ma in vece di calcina si ha da 
pigliare della medesima terra , e fiirla hqai'^ 
da, avvertendo di stacciar bene la detta 
terra , e renderla netta da ogni bruttora ; 
cosi con detta terra , stemperata in guisa di 
calcina, si debbe stabilire tutto questo se- 
condo fondo della fornace, ma porvelasot^ 
tilmente, perciocché mettendovela grossa* 
mente, ed essendo la natura della terra di 
ritirare alquanto, nel riseccarsi viene a get-» 
tar de^peli, e a fare sottilissime crepature , 
le quali per picciole^ che sieno^ sono di 
grandissimo danno; essendoché quando il 
bronzo viene in acqua , cotanta é la sua 
forza , che egli penetra per tali fessure , « 
sforzando la fornace viene a sollevare il 
fondo; e perciò dando V artefice di terra 
sottilmente, sfuggirà tali disordini , e non 
darà occasione air intonacato di far crepa* 
ture. Fatto che sia questo secondo piano, 
si debbe tirare là volta con li medesimi 
mattoni, e nel medesimo modo' murati. Nella 
detta volta si debbe far due entrate, una 
per <;antOj come dicemmo, per le quali si 
ha da mettere il bronzo ; e, se* si faranoo 
larghe per due terzi di braccio , e per tre 
quarti alte, sarà a bastanza. La terza porta, 
per la quale debbono entrare le fiamme del 
fuoco, dovrà essere larga per due tersi di 
braccio, e un braccio altaj ed a questa si 



SCULrtJBA. iS*; 

dà più alteasza per tal ragione, perciocché 
essendo la natura del fuòco d^ andare in 
alto, entrando la fiamma in su più gagliar*- 
damente, e girando nella volta della for- 
nace , sformato per la detta rotondità a ri- 
girare di sottQ, per tal furore cotanto si 
riscalda il metallo, che in poche ore si 
viene a liquefare. Fannost dipoi quattro sfia- 
tatoi nella parte delF estremità, dote muove 
la volta ; i quali s^atatoi debbono essere di 
tanta largbeKza , che v'entri due dita della 
mano. Il buco, donde. dee usdre il metallo 
fonduto^ si ha da fare in un mattone^ ac- 
ciocché non possa essere impedito da nes- 
suna parte della sua circonferenza; il qual 
buco si domanda il buco della spina , e la 
sua larghezza per di dentro debb' essere un 
mezzo dito di più , che la parte , che esce 
di fuor^, per cagione del zafifo di ferro, 
che vi si pone dalla parte di dentro, il 
quale s'intride con un .poco di cenere bene 
«tacciata e liquefatta secondo il bisogno. E 
il mattone , dove si fa il detto buco , si 
mura insieme con gli altri ; e così si debbe 
andare seguitando, finché la volta sia rag- 
giunta tutta. Preparisi dipoi una pietra mor- 
ta, di grossezza di un mezzo braccio per 
ogni verso , ed in questa si faccia un buco 
nel mezzo ^ il quale sia grande appunto 
quant'é il buco ^ che si fece nel mattone, 
dico da quella parte , che s' ha d' appog- 
giare 41 mattone; ma la parte del -detto 
buco , eh' é di fiiora della fornace , si debbe 
fare larga per sei volte qu*ant' è quella parte 



/ 



t8S , CEliLINI 

sopraddetta y che si appoggia al dettò mat-» 
tone , e cosi debbe venire pulitamente sba^ 
rata infuora. Dipoi si muri la detta pietra 
id mattone della fornace j con terra ^ nel 
mt)do sopraddetto. Ma, perchè la detta pie* 
tra si viene a posare sopra quel fondamento 
e spalle della fornace , come di sopra di- 
cemmo ^ quella parte , che posa sopra il 
detto fondamento del piano della fornace ^ 
fii debbe murare con buona calcina: e cosi 
l'altre pietre morte, che debbono essere 
ideila grossezza del primo pezzo. E la detta 
altezza debb^ essere appunto quanto l'altezza 
della volta; la quale altezza si debbe far 
dritta, acciocché venendo qualche accidente 
alla volta , si possa , secondo il bisogno , 
acconciare e rifare. Cóme P artefice abbia 
recinto la fornace nel detto modo , essendo 
giunto alle spalle della buca maggiore ^ per 
la quale entra la fiamma, si debbe fare ac- 
canto alla detta buca un fornello, il quale 
sia due terzi di braccio per ogni verso j e 
profondo due braccia appunto dal piano 
dell^ buca in giù; nel quel fondo si deb- 
hono porre sei o sette ferri , grossi due 
dita della mano per ógni verso , e sieno di 
tanta lunghezza, ch'egli avanzino da ogni 
i)anda quattro 4ita ; i quali ferri si debbono 
posare sopra pietre morte , mettendogli 
lontano Funo dalF altro per lo spazio di 
tre dita, in forma di graticolato. Questo 
fornello, che va murato sopra i detti fer- 
ri , si debbe murare nel medesimo modo , 
cjoè con 4 detti mattoni e terra ip vece di 



e 



SCULTURA. l8g| 

calcinai , come dicemmo doversi murare il 
di dentro della fornace. Debb' essere il auo 
piane alto tanto ^ Gli^egli arrivi afUa faetà 
della buca della fornace^ dove hanno da 
entrare le fiamme; e come sia arrivato a 
tal segno, ristringasi la parte di sopra per 
un ottavo di braccio per ogni verso. Sotto 
alla graticola di fen'o \ che dicemmo^ fac*' 
ciasì nna fossa larga un bràccio e mezzo ^ 
profonda due braccia e^larga cinque o sei 
verso qtieila parte ^ ohe Indetta volta deo 
porgere il vento per ta graticota al fornello 
della sopraddetta fornaoe. ÀvvertiscaM, cho 
questo vento non ha da entrare* se iloa 
per una bdnda , e cosi vada seguitando la 
profondità della fossa -, quanto tiene la fine 
del detto fornello per di sotto ; la qual 
fossa dall' effetto è dhiam^ta comunèmeata 
la braciaiuola. E perchè talora^ interviene^ 
che lo scultore darà fuoco ^ a buona cau-' 
zione^ cinque 6 sei ore prima alla fbrnate^ 
e per tal eflfetto le braci delle legne arse 
sotto alla graticola cotanto crescano , che 
impediscano la virtà del vento al fornello^ 
che ìion fa la sua operazione; imperò bi^ 
sogna , vedendo • ci^soere tal monte ^ aver 

Preparato un ferro di langhezza di un mezzo 
raceio e largo un ottavo^ il qual ferrò nel 
mezzo da una delle bande della sua lar*< 
ghezza lia da averti saldata una verga di 
ferro, di grossezza di due dita e di Iùb^ 
ghezza di due braccia, alla quale per la 
testa contraria sua se gli fa una gorbia , 
Il^Ua quale si ^ommett^ una stanga di 



y 



igo cELLmi 

?uaUro braccia; cosi con questo strumento 
che volgarmente è detto il rastrello). $i 
cavano le dette braci ^ di mano in tnano 
che si veggano andar crescendo. Poiché si 
sarà fatta la fornace colle sopraddette dili- 
genze ^ ella, si debbe ricignere intorno con 
Buone catene di ferro ^ le quali ahnanco 
vorrebbono essere due; perciocché una se 
De debbe mettere al rincontro del fonda- 
mento della fornace e r altra, per un terzo 
di braccio lontana dalla detta ^ per di sopra; 
e queste quanto più grosse e larghe saranno 
tanto più sicura renderanno la fornace. La 
bocca del fornello y dove per diritto si poi>- 
gono le legoe , dd>be tenersi coperta con 
un coperchio fatto in guisa d' una paletta 
di ferro ; dì tanta grandezza quanto com- 
porta la buca; alla qual paletta si larà un 
manico tanto lungo, che non possa cosi 
presto infocarsi^ ma, secondo il bisogno > 
essere adoperato sicuramente. Mettendo il 
metallo nella fdrnace, è ancora da sapere^ 
xbe vi si debbe porre in guisa che l'uà 
pezzo sia dair altro sollevato, acciocché le 
fiamme più facilmente entrino; il che é 
cagione , che il fornello molto più presto 
faccia il suo ufficio, ed il bronzo la sua 
fiisione. Ma molto maggiormente è da sa- 
pere, che, piimaché il detto metallo si 
ponga nel fornello, si debbe detto fornello 
ricuocere y dandogli ventiquattro ore di fuo- 
co, doé un giorno ed una notte; permoo* 
che non lo ricuocendo bene , ponendovi 
dentrQ il metallo^ ne» ai potrebbe fondere, 



SCULTURA. 191 

ma agghiadaBdosi , piglierebbe certi fumi 
di terra , che gettano detti fornelli , ì quali 
lo inasprir^bbouo in tal guisa che pei* otto- 
giorni continui , che se gli desse fuoco y non 
si potrebbe liquefare; il che avvenne a me 
in Parigi in oert' opere, che io voleva get- 
tare j dove io mi serviva di mi vecchio pra« 
tichissimo; laddove 9 essendk) cotto il fornello 
ne svaporato, noti avremmo mai fondutQ 
detto metallo ^ se io non m^ accorgeva della 
cagione di tal disoipdine. Cosi avendo lasciato 
st'^ionare col fuoco il fornello, in due oro 
fondemmo millecinquecento libbre di me^ 
tallo. Deboesi ancora alle bocche, dove si 
mette il metallo , far due sportelletti di 
pietra morta y ne' quali sportelli , in ciascun 
no, si scompartisce due buchi, larghi no 
dito e mezzo Tono, e quattro dita lontani 
r uno dall'altro, i quali buchi servono per 
porvi una forcl^tta di ferro fatta a tal pro- 
posito, colla quale, secondo il bisogno, si 
vanno levando e ponendo i detti sportelli. 
Volendo ancora mettere nuovo metallo nella 
fornace , prima si debbe porre il pe7.zo 80« 
pra i detti sportelli ^ e tenervelo fintanto^ 
che diventi infocato e rosso , e quasi che 
sia per colare, cpsì poi si può metter frsi 
l'altro; essendoché chi ve lo mettesse senza 
psar prima tali diligenze , andrebbe a pe-» 
ricolo di freddare il primo metallo e farlo 
divenire in g;uÌ8a di migliaceio , come s^è 
detto. Queste avvertenze adunque sono ne«t 
cessane da sapersi per gli scultori, he<R 
Ussimio d^iibpjio esserf^ informati della pat^rt- 



l^a CELLIMI 

de' metalli e - di molte altre cose , che la 
teorica e la pratica iasegoa; perciocché mi 
k occorso di vedere uomini pratichtssimi in 
tal ai:te^ i quali hanno fatto getti maravi- 
gliosi 9 e talora soprappresi da qualche pic- 
ciolo accidente^ per, non ne conoscere la 
causa y hanno -gettate lo loro fatiche. Essen- 
doci adunque spediti con quella maggior 
brevità, che sia* stato possibile, di quanta 
intendevamo di dire in materia del gettare 
le statue di bronzo e del fare le fornaci e 
^fornelli, ps^sseremo. a discorrere* brevemente 
dello scolpire e intagliare i marmi. Avvera 
tendo in tal l)iogo il lettore, che noi ci 
siamo distesi a trattare di tali mateiie tanto 
quanto abbiamo giudicato conyenursi per in- 
«truzione degli scultori e gettatori di statue* 

CAPITOLO IV. 

Della qualità di diversi marmi atti a fare 
statue; del fare i modelli di terra; e 
del fìiodo , che si debbe tenere per en^ 

^ trare a Uworare co' ferri ne^ detti marnu^ 

X oiGHÈ il mio principale intento fu, 
quando io mi posi a scrivere i presenti 
Trattati , di ragionare sopra quelle arti , che 
da me sono state esercitate , tutto quello , 
che io con lungo studio avessi imparato per 
benefizio di ciascuno, che di esse si dilet- 
tasse y non mancherò per tal cagione di di- 
mostrar brevemente quanto m^ è occorsa 



SCULT1ETRA, ip3 

d' osservare ÌDtòrno alla qualità de' marmi 
per fare statue , e del modo di lavorarli , 
avendo io con grande assiduità e diligenza 
cercato d' imitare tutte l' opere antiche e 
modiftne ^ che da' più intendenti sono stat« 
per migliori giudicate , e con i migliori ar- 
tefici del nostro secolo tenuto stretta con- 
versazione, siccome fra l'altre fu quella^ 
che io ebbi col maravigliosissimo Michela- 
gnolo Buonarroti , che , particolarmente 
nello scolpire i marmi ^ non è stato a nes- 
sun artefice antico, per comun parere, infe- 
riore. Venendo ora a parlare della qualità dei 
marmi , lasciando da parte il parlare della 
loro generazione , come còsa , che appar* 
tenga a persone di più alto sapere, che il 
mio non èj perciocché al nostro proposito 
poco importa, se la loro creazione si faccia 
di terra grossa , . untuosa , congiunta colla 
commistione dell' acqua , e che poi di terra 
in fango e di fango in pietra si riducano 
per lo mezzo de' raggi del Sole : a me ba- 
sta di dire di aver osservato principalmente 
esser cinque specie di marmi, i quali hanno 
ciascuno di per se la sua grana difieren-* 
ziata. E cominciando dalla prima sorte, di-, 
damo questi avere una grana grossissima 
con certi lustri , accanto T uno all' altro uni- 
tamente ; e questa specie di marmo è più 
duro da lavorare, ed in esso difficilmente 
vi s' intagliano cose sottili ^ sicché '1 ferro < 
noLn le schianti; imperò dalla pazien/^a e 
diligenza dello scultore sono tali impedi- 
menti superati , e le statue di ^fiso manna 
CMni Ben. Fol UL i3 



|g4 CEtLtNt 

mostrano benissimo. Dopo questa prima 
grana ho osservato andarsi negli altri marmi 
sempre assottigliando e perdendo della loro 
rigidità insino alla quinta grossezza ^ la quale 
si getta in certo modp più al color* in- 
carnato y che al bianco : e questa sorte di. 
marotio giudico per V e&perienzà ,, cW io 
n^ ho fatta , essere la più unita y la più 
gentile e la più bella, che si possa lavo- 
rare y la qual sorta di marma è detto Pario. 
Trovansi ancora le dette grane in diversi 
marmi talora alterate; perciocché avranna 
la grana grossa, mescolata con assai sme-^ 
riglì e macchiata di nero y ^ questi sona 
difficilissimi a lavorare^ essendoché da i detti 
smerigli sono mangiati gU scarpelli d' ogni sor- 
ta; e talora saranno vergati da una delle dette 
macchie y le quali ingannano facilmente V ar- 
tefice; perciocché di fuòra sono ricoperti 
da una scorza. candidissima, e dentro poi 
celano tali magagne, per le quali si rendono, 
brutte e sgraziate l'opere. £ pecù debbe; 
Tarte^ce per $fi stesso andare alle cave a 
eleggergli e proccurare di avergli bellissimi 
e bene stagionati y ' nella qual cauzione ab- 
bondò graqdemente il Buonarroti ; per- 
ciocché nelle montagne di Carrara s' elesse 
una cava con non pìccola dihgen^a^ dalla 
quale poi tra&se tutti quei marmi, che gli 
servirono per gli ornamenti e figure , che 
egli fece liella sagrestia di SaQto Lorenzo 
va Fiorenza^ per ordine di Clemente Papa 
Settimo. Infinite sono le sorte delle pietre, 
delle quali si -felino statue, ma ninna ve 



SCULTURA. igS 

0' ha , che pareggi U marmo ^ quand^ egU è 
beD netto; e questo aocora secondo le re-; 
gìoni si rende più e manco bello , essenT 
dochè a ciascuno è manifesto^ che quanto 

Eiù la regione è vicina all' Oriente e al 
lezzodi, come T India e l'Etiopia^ tanto 
più fine e preziose pietre in quelle sì gene- 
rano^ per lo contrario quanto più sono di- 
stanti dal Sole, men lucide e men fini vi 
pasceranno. Nella Francia presso a Parigi 
si ritrova una sorte di pietra, la quale è 
di color bianco , ma non della bianchezza 
del marmo , anzi è un bianco torbidicpio ; 
ma tanto è dolce e gentile , che quando si 
trae della sua cava , ella si lascia lavorare 
con i ferri , che s^ adoperano a intagliare il 
legno ( ben è vero , che si fa a i detti ferri 
alcune tacche, co' quali si sgrossa l'opera^ 
e poi con gorbie e scarpelli d'ogni sorte 
si va finendo ) , ed in ispazio di tempo la 
detta pietra piglia una durezza quasi come 
il marmo, e massimamente nella superficie, 
cioè dove si termina i lineamenti dell'ope- 
ra. Veggonsi lavorate dagli antichi ancora 
certe pietre verdognole , le quali da dimolti 
sono chiamate oggi brecce , e sono della 
durezza dell' agate e de' calcidonj ; e percioc* 
che si veggion(0 intagliate di essa pietra 
figure molto grandi ^ essendo si estrema la 
sua durezza, non s^è per ancora trovata 
modo da intagliarle y cioè scolpirvi dentro 
fignre ^ che in altra guisa per i parimenti 
si lavorano col piombo «e con lo smeriglio« 
Sonocì ancora i serpentini e i porfidi, pietre 



t 

196 CELUMI 

molto note per là loro bellezza e durezza; 
e neir una e nelF altra spezie usarono gli 
antichi di scolpirvi dentro figure molto 
grandi, ma più nel porfido, che nel ser^ 
pentino^ per essere alquanto meno aspro 
e indomito. Il porfido insìoo a oggi da nes-^ 
sutfo ò statò saputo intagliare meglio, che 
da Francesco del Tadda^ Fiorentino, il quale 
tra F altre sue opere ha condotte molte 
teste di detta pietra, hen finite quanto gli 
antichi si facessero 3 la qual lode a lui ye^ 
ramente si dehbe, poiché egli è stato il 
primo dopo gli antichi, che ha travato il 
modo di spuntare colla tempera de^ suoi 
ferri il perfidioso porfido. Alquanto del 
porfido è più tenero il granito ^ che dr due 
sorti se ne ritrova^ cioè rosso , e di un' altra 
«orta^che è bianco e nero: il rosso hellisr 
Simo si vede venire dalle parti .Orientali , 
e del bianco e nero nell'Elba particojar-r 
mente non poco vi sene ritrova. Sono le 
dette pietre belle e durabili , ma non m 
uso modernamente per far figure, ma co*!> 
lonne ed altri ornamenti. Nelle montagna 
di Fiesole ed s^ SettignanO; luoghi vicinissimi 
^ Fiorenza, si ritrovano pietre dì colore 
azzurro^ shiamate serene, le quali per la 
lóro bellezza y delicatezza e &cilità di lavQ-r 
rare^ sono molto in uso per far coloQn^ 
ed altri ornamenti e figure y ma non resi- 
ijitendo né all' acqua ne all' aria > bisogM 
coUoc^rrle al coperto^ il che non interviene 
di un' altra sorta di pietra tanè , detta mor^ 
ta, la quale ne' ppiedesimi luoghi $i ritrQva,, 



SCtrtTtTRÀ. 1^^ 

Questa^ quantunque sia dolce a lavorare ^ 
è buona per &r figure e altri ornamenti ^ 
che resistono a i venti ed alle pioggié e a 
ogni altta ingiuria del tempo; il che ancóra 
interviene della pietra fbrte^ che è del me^ 
desimo colore , e sì ritrova nelle medesime 
cave^ ed è molto a proposito per fare i 
inedesimi lavori j siccome fig^ure ^ arme é 
maschere da collocare sopra le porte j ina 
siccome di quelle si ritrovano saldezze gran- 
di y di questa il medesimo non i|^terviene , 
perciocché piccioli sono i pezzi ^ che si ri^- 
trovano di essa. lìa parlato di queste tre 
sorte di pietre , quantunque non sieno. tnar- 
noi , perchè di esse si uda di far figure : ed 
avvengachè ci sieno marmi misti, duri e 
tèneri) che particolarmente nello Stato del 
Duca di Fiorenza se ne sono ritrovati pei* 
mezzo della sua reale liberalità ; non però 
parleremo di essi , per non essere atti a far 
figure j il che è il nostro principale intento; 
Ma poiché a bastanza s^ è detto delle pietre^ 
verremo adesso adir brevemente del modo 
di lavorarle. Quantunque da pae sieno state 
fatte più statue di marmo ^ contuttociò per 
brevità non intendo di far menzione se 
non di una y per essere delle più difficili ^ 
che neir arte si facciano ^ il che sono i 
corpi mortii Questa fu V immagine del Sal-^ 
vator nostro Gesù Cristo , pendente in Cro^" 
ce y nella quale posi grandissimo studio | 
lavorando in detta opera con quella dili'^ 
genza ed affezione , che meritava tanto sU 
mulacro^ e taotopiù volentieri quanto j^ 



/ 



igS cELLUn 

sapeva d'essere il primo, cbe in marma 
avesse lavorato' Crocifissi. Questa fìi^dun^ 
que da me condotta a fioe eoa grandissima 
satisfazione di chiunqoe la vedde dov* ella 
è , appresso del Duca di Fiorenza , mio sin* 
golarìssimo Signore e benefattore. E posi 
il corpo del Crocifisso sopra una Croce di 
marmo nero Carrarese, pietra molto difficile 
da lavorare^ per essere durissima e fadJis» 
sima a schiantare. Venendo ora al modo 
dello scolpire , mi pare in prima di dovere 
avvertire il lettore, cbe io bo osservatocele 
tutti i più valenti artefici ebbero in costume 
nelle lóro opere di ritrarle dal vivo : ben 
è vero^ cbe ritrovando rare volte un sol 
Corpo, cbe abbia tutti i membri proporzio* 
nati e cbe sia di perfetta bellezza, perciò 
bisogna, cbe l'artefice sia in prima peritisi 
Simo delle misure e proporzioni del oorpo^ 
umano ^ e indi con esquisito giudicio vada 
nel vivo riconoscendo que' membri, cbe 
più paiono belli, e fatti colf proporzione 
dalla natura 9 e quelli poi cercbi d'adattare 
nella sua stalua si cbe unitamente corri- 
spondano al tutto: e ciò a me pare,, cbe 
sia il vero modo da condurre con perfezione 
le statue. Con questa scorta adunque e con 
questa guida governandosi il maestro, vo<p 
lendofar la sua statua, principalmente debbe 
fare un modello^ piccolo di due palmi in 
circa , ed in quello ponga la sua inven«* 
zinne ., e deliberisi delle attitudini della 
figura. Poscia faccia la detta figura di ter* 
ta, tanto grande quanto può uscire del 



SCtLTtTlA. ig^ 

ttafiiio, e desiderando di condilt la atatua 
* di marmo con più diligenza , cet'chi di 
finire il modello grande meglio del piccolo^ 
e non potendo per mancamento di tempo, 
come suole intervenire, conduca il detto 
modello grande d^una bozza conveniente^ 
che ciò brevemente gli verrà fatto; e per 
tal modo verrà ad acquistare assai tempo ^ 
mentrecbè lavorerà la statua di marmo; ed 
avyengachè molti valenti artefici abbiano 
usato con certa pratica e risoluzione d' entrar 
€0^ ferri nel marmo subitochè avranno con- 
dotto il piccolo modellino y non perciò è 
che^ in cotal guisa governandosi ^ non re-^ 
stessero delle loro opere molto più satisfat- 
ti ; perciocché noi sappiamo ( de^ migliori 
moderni parlando ) Donatello nelle sue 
opere essersi così governato , e nel Buonar- 
roti si vidde , che avendo egli esperimentato 
ttttt' e due i detti modi ^ cioè di fare le 
statue secondo i modelli piccioli y e grandi^ 
alla fide accorto della differenza ^ usò il se*^ 
condo modo; il che occorse a me divedere 
in Fiorenza , mentre egli lavorava nella 
sagrestia di Santo Lorenzo. Né solamente 
nelle statue ha tenuto il dett^ ordine , ma 
ancora nelF opere d' architettura , usando 
bene spesso d^ esaminare i membri degli or- 
namenti delle sue fabbriche per mez^o dei 
modelli , che egli aveva fatti della grandez- 
za, che propriamente avevano da essere. 
Poióhè r artefice si sarà soddisfatto del suo 
modello^ si debbe pigliare un carbone > e 
disegnare la veduta principale delk jiun 



JIOO CELLIiri 

statua, e ciò fare cod diligenza ^ perciocché 
quando V artefice non si risolvesse bene col 
disegno di detto carbone y potrd>be facil- 
mente ritrovarsi poi ingannato da' ferri. Ed 
il miglior modo , che fino a oggi si sia ve* 
duto usare . è stato ritrovato dal Buonarro- 
ti, il quale è questo^ che, poiché si sarà 
disegnata la veduta principale , ^ si debbe 
per quella banda cominciare a scoprire co' 
ferri, in quella guisa che uno artefice fa- 
rebbe dovendo scolpire una figura di mesczo 
rilievo ; cosi a poco a poco , nel detto mo- 
do j veniva quel meraviglioso artefice a 
scoprire le figure ne^suoi marmi. I miglior 
ferri da scoprire sono alcune subbiette sot- 
tilissime, intendendo per sottilissime le 
punte, ma non l'aste, perciocché le aste 
vogliono essere grosse quanto un dito della 
mano. Cosi colla detta subbia si va ap- 
pressando a un mezzo dito a quella , che 
si domanda la penultima pelle ; e poi si 
piglia uno scarpello con una tacca in meas- 
zo y e col detto scarpello si conduce la sta- 
tua sino alla lima , la quale si domanda 
lin»a raspa o scufiina 3 e di queste se ne 
fanno di più sorti, cioè a coltello, mezze 
tonde , e altre fatte in guisa del dito grosso 
della mano. Queste si fanno due dita, lar- 
ghe, e poi fino al numero di cinque o sei 
si viene diminuendo , finché l' ultima sia 
quanto una penna comune da scrivere. Pi- 
gliansi poi i trapaùi^ i quali si adoperano 
quando le lime, salvo se si avesse a cavare 
in qualche difficile sottosquadro di panni. 



SCULTURA. .^Òl 

o in qualche atiitodine straTagante della figu- 
ra y dove bisognasse usare i trapani grossi , 
i quali SODO di due sorte. Una, che gira 
per virtù di un coreggiuolo e di un^ asta a 
traverso bucata , e con questo si conduce 
ogni grandissima minuzia e sottigliezza di 
capelli e di panni ; V altra sorta di trapano 
più grosso, che si domanda trajpano a pet- 
to y M è fatto d' un^ asta di f<^rro , grossa 
un dito , e lunga mezzo braccio , e il mezzo 
deir asta torta , nella quale s^ accomoda un 
rocchetto di legno ^ che sta lente nella det- 
t' asta ; e pon quello si gira il detto trapa- 
no, tenendo al petto il detto legno ^ avendo 
messo le saettuzze nella sua ingorbiatura 
fatta a posta per tal effetto^ cosi si adopera 
in que^ luoghi^ dove il primo non puòòpe- 
rar«. Come le dette diligenze delle subbie, 
degli scarpelli , delle lime e' de^ trapani si 
saranno usate , che per mezzo di detti 
ferri si finisce la figura, si viepe al puli- 
mento della figura, il quale si fa con pie- 
tra pomice^ che sia bianca, unita e gen- 
tile. Avvertiremo coloro, che non son troppo 
pratichi del marmo , in detto luogo , cbe 
vadano colla subbia , quanto possono presso 
alla fine ddla statua , e questo perchè la 
subbia , essendo sottilissima , nop intruona 
il marmo ] perciocché non la ficcando per 
diritto nella pietra , si viene a spiccare del 
marmo quanto altri vuole, gentilissimamen* 
te, e dipoi con lo scarpello a una tacca si 
viene a unire , e con quella s' intraversa , 
come se proprio s^ avesse a disegnare } e 



:20Ì) CELUNI 

questo è il modo^ che tenne il Boonarroti 
lavorando le sue eccellentissime statue; per- 
ciocché vi sono alcuni ^ che altri modi 
tenendo 9 cominciano a levare ora in uà 
luogo ora in un altro , ritondando la figu^ 
ra^ e per cotal via si son (atti a creder^ 
di condurre più presto a fine le loro sta- 
tue, dove si SODO accorti, molto più tempo 
spendendo y . del loro errore^ e sono talora 
stati necessitati a rappezzarle. Né pure io 
questo disordine sono incorsi^ ma in altri ^ 
che sono inrimediabili 3 e perciò lodo, che 
seguitando i detti modi V artefice si governi 
con grandissima pazienza , cercando di ope* 
rar poco e con grandissima perfezione , non 
volendo essere tenuto artefi'ce di poca sti- 
ma. Non avrei lasciato in questo luogo di 
descrivere la forma di tutti i ferri e maz- 
zuoli y che in tal arte sono necessarj , se io 
non avessi giudicata superflua tal diligenza 
per la trita notìzia , che generalmente se 
n^ ha per ciascuno 3 e però trapassando più 
avanti verremo a dire de' colossi. 

CAPITOLO V. 

Del modo di condurre i colossi; e del ri- 
crescere i modelli da braccia' piccole a 
braccia grandi^ per mezzo di una nuova 
regola. 

JNoN volendo lasciare di trattare di 
tutte quell'opere, che da me sono state 
falle; perciò vengo a ragionare de' colossi ^ 



scuLTtmA. ao3 

] quali gli antichi d^ altezza incredibile si 
dilettarono di fare y benché oggi nessuno 
di questi si vegga ^ che ci possa far più 
certa testimonianza della loro grandezza in- 
credibile ^ di quello che in più pezzi si vede 
ancora in Roma y del quale la lesta senza 
il suo collo ^ essendo stata da me diligen- 
temente misurata, è alta più di due braccia 
e mezzo Fiorentine ; laonde per cotal misura 
veniva Finterò della detta statua e colosso 
a esser atto venti braccia in circa. Il con-^ 
durre simili opere, come ciascuno pud fa- 
cilmente considerare y è difficilissima impre* 
sa; onde io ritrovandomi in Francia a^servizj 
del Re ( come più volte ho detto ) e im- 
maginandomi sempre di far cose degne del 
suo eroico animo ^ mi deliberai di fare un 
colosso y d' altezza di quaranta braccia , il 
quale fosse accompagnato da altre figure ^ 
e questa fu P invenzione : prima feci uà 
modello d' una fonte , perciocché i detti or*' 
namenti avevano da essere posti a Fontana 
Belio ^ e il detto modello era di forma qua- 
dra , e in mezzo a detta forma vi era po- 
sto y pur della medesima forma quadra , 
un sodo y il quale appariva di sopra l' acqua 
per r altezza di quattro braccia, e il detto 
imbasamento era tutto ornato d^ imprese 
fatte dal detto Re; e sopra la base vi aveva 
adattato lo Dio Marte ^ che aveva da es- 
sere il colosso, e sopra ciascun angolo poi vi 
era una figura; le quali figure tutte insieme 
venivano a dimostrare le principali arti, di 
che il Re si era jgrandecuente dilettato^ 



^o4 CSPtLl3l 

siccome arme , lettere , scaltarm y pittnni é 
arcbitettara. Così aTendo latto il modello a 
braccia piccole j le quali tiraaJo a inraccia 
grandi, la principal figura veniva a essere 
braccia quaranta , come s' è detto y e questo 
mostrato al Re, e dettagli la mia inveozìo* 
ne y avendo S. M. benissimo esammalo e in- 
teso da me il modo, cb^ io terrei in coo^ 
darre co» gran macchina, restato di dò 
capace, dette commessiooe, che non mi 
si mancasse di casa alcuna, fiicendomi 
animo a tirare inoanxi la detta impresa. 
Avendo adunque £itto questo piccolo mo- 
dello con grandissima diligenza, e volendone 
£ire il modello grande quanto doveva es- 
sere il colosso , non mi parendo possibile 
di poter ricrescere con buona regola dalle 
braccia piccole aUe braccia grande, sicdiè 
egli fusse venuto con quella bella propor- 
zione , che nel piccolo si vedeva , per que- 
sta cagione adunque deliberai di £airlo grande 
primieramente tre braccia: cosi lo feci di 
gesso , acciocché meglio potesse resistere 
alla fatica, che aveva da sopportare per le 
contioae misure, che si avevano da fare 
sopra di esso. E questo secondo modello cer- 
cai di finir bellissimo , e con più diligenza 
e studio , che nel piccolo non aveva se- 
guito. Ciò fatto mi posi a ricrescer V opera 
all'altezza delle quaranta braccia, tenoido 
questo modo. In prima compartii il detto 
modello di tre braccia in quaranta braccia 
piccole, e il braccio partii in ventiquattro 
parti , e conosciuto , che alla grandezza^ che 



SCULTURA. aoS 

bisognava y eh' io lo riducessi j questa sola 
regola non m^ avrebbe servito y a questa 
n^ aggiunsi un' altra da me veramente ritro* 
vata. Io presi quattro legni quadri, della 
grossezza di tre dita per ogni verso y i quali 
erano dirittissimi e ben lavorati , ed erano 
deir altezza appunto della mia figura: que^ 
sti adunque ficcai dirittamente colF arcbi- 
penzolo in terra , tanto discosto dalla figura 
quanto un uomo poteva entrare dentro 
nella manica, la quale era soppannata e 
vestita d^asse dirittissime, lasciandovi di dtsn- 
tro un piccolo uscetto da entrare in essa. 
Ciò fatto, cominciai a misurare nel pavi* 
mento della stanza, dov'io era, un profilo 
di tutte le dette quaranta braccia, e vedu- 
to , che la regola mi riusciva giusta , mi 
posi a fare un^armadura di tre braccia, la 
quale io traeva dal detto otiodello; e la 
detta armadura era tessuta tutta di legni , 
che si raggiravano intorno a un dirittissimo 
stile, cbe serviva per la gamba manca, so-* 
pra la quale si posava la mia figura. Cosi 
andava tessendo la detta armadura , e pi« 
gliando le misure della manica al corpo 
della figura, dandole quel vantaggio^ ch^ io 
voleva, che servisse per la carne da vestire 
dett' armadura , cioè l'ossatura della figura^ 
Conseguito questo^ feci dirizzare uno stila 
grande in mezzo appunto a un cortile , 
dovalo era per far la de tt' opera, il quale stile 
usciva fuori della base quaranta braccia j e 
dipoi v' aggiunsi gli altri quattro stili , cio^ 
«PO per angolo I com'erano nel modello ^^ f» 



ao6 CELLlffl 

gli vestii d'asse, con la medesima diligenza, 
che aveva usato nel piccolo ; dipoi comiociai 
a tessere V ossatura colle medesime misure 
sopraddette , pigliando sempre dall' ossatura 
piccola , e ricrescendole da braccia piccole 
a braccia grandi , pigliando però sempre le 
misure per la parete intomo della manica 
al corpo della mia figura, e a tutto il di- 
nanzi e similmente a tutto il di dietro , sem* 
pre per la distanza delle dette pareti. Riscon- 
trava ancora per V intorno y e trovava , che 
8* io mifussi fidato di ricrescere da braccia^ 
piccole a braccia grandi^ misurando sola- 
mente la figura piccola e la grande ^ che 
mi sarebbono avvenuti di grandi inconve- 
nienti^ dove cos) governandomi, mi riusci 
alla proporzione della figura piccola. E per« 
che la detta figura posava , com^ ho detto , 
sopra il piede manco , il suo pie ritto era 
alquanto alzato, e aveva fatto , ohe posasse 
sopra un elmo , laddove , servendomi di 
quest'occasione, avevo accomodata Fossa- 
tura del detto colosso , che si potesse entrare 
pel detto elmo e facilmente salire insino 
dentro alla testa. Finito eh' io ebbi V ossa* 
tura j andai col gesso vestendolo di carne y 
e colla medesima' regola in breve tempo lo 
condussi alta penultima pelle 3 e come fjo. 
ridotto in tal termine, feci aprire la parte 
dinanzi della manica , in che io V aveva 
rinchiuso , e ciò fatto mi scostai per lo 
spazio di quaranta braccia, che tanto per 
quella parte mi concedeva il . cortile di 
poteiraii alluingare^t e veddi insieme con 



^ SCULTURA. 307 

dimoiti iotendenti dell' arie y che la mia re* 
gola non *im aveva ingannato ; percioccbèr 
insieme con essi esaminando il model pie** 
colo col grande , vedemmo ogni minuzia ^ 
che. appariva nel piccolo, ritrovarsi nel grandet 
^ suo luogo e con bella proporzione. Fui 
aiutato in 'dett^ opera per lo più da ma^ 
novali e altra sorte di gente imperitissima 
nell^arte, e questo niente importava; per- 
ciocché, essendo i muscoli di tanta smisurata 
grandezza in detto luogo , facevano quello , 
eh' avrebbe fatto ogn' intendente per mezzo 
dell» mia regola : e la ragione è ; come ho» 
detto, k grandezza de' muscoli; i quali men-» 
trechè si 'lavorano^ non potendo l'artefice ve-- 
derli da discosto , appena quanto è due volto 
lungo un uomo (perchè accostandosi colla lun* 
ghezza d^ un braccio, con che T uomo mette su 
la materia, e dìscostandosi poi, sebben si vede 
qualche cosa , non è pero tale , che possa 
servire ad avvedersi delle grandi imperfe- 
zioni , che potrebbono intervenire) ; perciòi 
in tali luoghi , per mezso delle dette regolo 
si può V arteéce servire a lavorare di mu- 
ratori e uomini non pratichi E sono d' opi- 
nione , che dalle sei braccia in su doven-^ 
dosi fare statue, non si possano condurre 
proporzionate senza il modo da me rdccon-< 
tato, o altro simile. Finito adunque il detto 
modello lo mostrai al Re, il quale dimo- 
strò grandissimo desiderio di ve lere , che 
quest' opera si tirasse a fine ; i^ercioccfhè 
egli mi prese a dimandare il modo più spe- 
4Uq e breve ^ ch^io terrei in finii^^lo^ ond'ia 



A08 CELLINI ^ 

risposi, che bbognava formarlo di più di 
cento pezzi ^ i quali avrei tutti commessi 
a coda di rondine , la qual cosa non mi 
sarebbe difficile , ogni volta eh' io facessi in 
prima un* ossatura di ferro ^ dov' io avrei ac- 
comodato sopra qviei pezzi , eh' io avessi get- 
tato, per fare il detto colosso^ cominciandomi 
dappiedi, e andando di mano in mano com- 
mettendo pezzo per pezzo sino alla testa. 
E sebbene io vedeva alcuna diffiicuità in 
mettere insieme la dett^ armadura di ferro ^ 
pur mi rincoravo di superare ogn^ impedi- 
mento, osservando la medesima regola, eh' io 
aveva tenuto quand' io feci la prima di le- 
gno. Così essendomi spedito dèi mio ragio- 
namento, e il Re datami commissione , ch^ io 
seguitassi 1' opera , avendo di gijà cominGÌatf> 
a Fontana Belio a tessere la dett'armadura 
(come poita l' incostanza dell* umane cose) 
per cagione dell' importantissime guerre e 
altri accidenti , che accascarono in detto Re- 
gno, fui costretto di lasciare cosi grand' opera 
imperfetta. Passeremo ora a ragionar bre- 
vemente sopra il modo, che tener si deb« 
be , del disegnare ; le quali cose quantunque 
paiano, comuqissime , pur non dovranno 
dispiacere agU amorevoli dell' arte , ed a 
coloro , che benignamente vanno esami-» 
nando 1' altrui fatiche ; i quali in guisa del- 
l' industriose api , da diversi fiori vanno 
raccogliendo oi^ateria, onde comporre ne pos:^ 
9anO|, coaai'es&e fanno, aohili^isimo layoMu 



SCULTURA. :iQg 

capìtolo vi. 

JBreve discorso intorno alt arte del disegno , 
doi^e si conclude, che la Scultura pre^ 
veglia alla Pittura , e che migliori y^r- 
ckiteUi dii^er ranno quelli ^ che più per- 
fetti Scultori saranno. 

v-iON varie materie e in diversi modi 
^i costuma di disegnare , cioè col carbone^ 
coUa biacca e colla peona. Colla penna si 
disegna intersegando una lìnea sopra V al- 
tra, e dove si vuol far pii!^ ombre, si so- 
prappone più linee, e dove manco, vi si 
fanno manco Une^, fintantoché si viene a 
lasciare la carta bianca per i lumi. Questo 
modo di disegnare è dif&cilissimo, e pochi 
sono quelli , che eccellentemente abbiano, 
disegnato bene di penna, e mediante tal 
maniera di disegni s^ è ritrovato IVintagliar 
le stampe col bulino in rame: fra' quali 
intagliatori il più eccellente, cosi per ca- 
gioiie della finezza dell'intaglio come per la 
vivacità e finezza del disegno^ è stato Al- . 
berte D^iro, uomo veramente mara^glioso« 
jDisegnasi ancora in altra guisa , cioè poi- 
ché si sarà, fatto i dintorni colla penna^ si 
pigHano i pennelli,, e, come i dipintori fan- 
no^ intignendoli nell' inchiostro mescolata 
con acqua, si va, secondo il bisogno , or più 
chiaro pr più scuro ombrando detti disegni^ 
e questo si chiama disegnare d' acquerelloi. 
CdUni Ben. Fol. IIL 4 



2 1 CEtLIKI 

Tingonsi io oltre i fogli di vai) colori, e 
indi sopra di quegli si disegna coUa matita 
nera per far 1 ombre , e i lumi si fanno 
colla biacca j la qual biacca si adoperà al* 
cune volte in pastelli grossi quanto una 
penna da scrivere, e sì fanno di biacca in- 
trisa con uu poco di gomma arabica. Dise- 
gnasi colla matita rossa e colla nera , e epa 
queste pietre certamente riesce il disegno 
vago soprammodo, e meglio che esercitando 
i sopraddetti modi. Queste pietre adoperano 
tutti i buoni disegnatori per ritrar dal vivo,, 
perciocché avendo essi, secondochè meglio 
giudicano , posto un braccio o una gamba, 
e risolvendosi di "^ muoverlo o più alto o più 
basso , o più innanzi, d più indietro , pos- 
sono ciò fare facilmente^ essendoché con 
itn poco di midólla di pane tosto si cancella 
il segno , che. fa detta matita , o rossa o 
nera che sia ; e questo modo di disegnare 
è per lo migliore approvato. 

Venendo adunque a parlare del disegno, 
dico, secondo la mia opinione, il vero di- 
segno non esser altro , che V ombra del rì^- 
lievo^ e perciò si può dire il rilievo essere 
il padre del disegno , e la pittura essere ve- 
raiìiente un disegno colorito con gì' istessi 
colori , che dimostra la natura. Dìpignesi io 
due modi : V uno é quello , che imita con 
tutti i colori quello , che Y istessa natura 
dimostra ^ V altro è il dipignere di chiarQ 
e di scuro ^ il qual modo ^ stato risuscitato 
a^ nostri tempi m Roma da Pulidoro e Ma- 
turino, grandissimi diaegnatori, i quali nel 






Pontificato di Leone ^ d^ Adriano e di Cle- 
mente^ feciono infinite opere in detta ma- 
niera di chiaro scuro, poco curando d'at- 
tendere a dipingere con colori. Ma tornando 
al modo di disegnere, e dimostrare quanto 
m' è occorso d^ osservare negli scorci ^ dico, 
che più artefici spesso ci ritrovammo a stu^^ 
diare insieme, e facevamo stare un uomo 
'di bella statura ed, età, in una camera im- 
biancata , a sedere o ritto , con diverse atti- 
tudini, mediante le quali potessimo vedere 
i più difficili scorci 3 di poi gli ponevamo 
tin lume dalla banda di dietro, non troppo 
alto, non basso, né troppo discosto da lui, 
ma lo fermavamo in guisa ,< che ci mostr^^sse 
il vero ; e subitòchè si vedeva I' ombra^ che 
esso mostrava nel muro , facendolo star fer- 
mo , prestamente si profilava la dett' om- , 
bra , dipoi facilmente si faceva passare al- 
cune linee , le quali non ci potevano essere 
mostrate dalP ombra , siccome nella gros- 
sezza del braccio sono alcune pieghe , che 
vengono nella piegatura del gomito, cosi 
nella spalla dentro e fuori, nella testa, in^ 
alcune parti del cQrpo, nelle gambe, nei 
piedi e nelle mani , le quali non si possono 
vedere. E questo è il vero modo di dise- 
gnare, col quale si conseguisce essere ec- 
cellente pittore, siccome è stato il postro 
maraviglioso Michelagnolo Buonarroti , il 
quale tengo per fermo , .che non per altra 
cagione cotanto abbia valuto nella Pittura, 
se noli perchè egli è stato il più perfetto' 
scultore; e di quella ha avuto più singoiar 



S I m CELLIlf I 

polizia y che nessun altro, cKe sia stato ne* 
tempi nostri. E qaal maggior lode si può 
dare a una bella pittura , se non dir , ch^ ella 
spicchi in tal modo , ch^ ella paia dì rilie* 
vo? Il che ne fa accorti, che il rilievo è 
il suo vero padre ^ e la pittura sua vaga e 
graziosa figliuola. La pittura è una parte 
deir otto principale vedute , alle quali è ob- 
bligata la scultura : e ciò interviene , che 
volendosi &re un ignudo di scultura , o 
qualsivoglia altra figqra vestita , parlando 
dell' ignudo , dico , che pigliando V artefice 
terra b cera , e cominciando a imporre la 
detta figura, facendosi alle vedute dinanzi , 
prima ch^ ei si risolva , molte volle alza ^ 
abbassa ,_ tira innan^ e indietro , e gli svolge 
e drizza ogni suo membro. E poiché egli si 
sia satisfatto di quella prima veduta dinan- 
zi, volgendo la detta figura per canto ( ch^ 
viene a essere una delle quattro wedute prin- 
cipali ) molte volte avverrà ch'egli la vegga 
comparire con manco grazia; laonde è ne- 
cessitalo a guastar di quella bella veduta ^ 
)a quale nelP animo suo avea di già statuita^ 
per accordarla colla nuova veduta ; e av-* 
viene, che ogni volta ^he egli volga tutte 
e quattro le dette vedute, se gli rappresen- 
tino le medesime diflScuUà. Le quali vedute 
non pur son otto , ma più di quaranta , es- 
sendoché ogni poco che egli volga la sua 
figura , un muscolo si mostra troppo o po- 
co , talché si veggono di grandissime varie^ 
tà: cosi per tali cagioni 1' artefice é neces- 
Sriti^to di levar dalla sua figura di quella belja 



SCULTURA i I à 

grafia della prima veduta, per accordarla coii 
tutte V altre vedute , prestandola d'ogtì^ in- 
torno a tutta la figura: la qual diffìcultà è 
tale, ohe non mai si vide figura ìQessuna^ 
ohe mostrasse bene per tutt' i versi; Per V e- 
sempio di Michelagnolo ci si rappresenta an- 
cora quanta fosse la diffìcultà della Scultu-^ 
ra ; essendoché egli conducevà un ignudo ^ 
grande quant^ il vivo , con tutti i débiti studj 
che egli usava nelle sue opere, in termine 
di sette giorni ( ed a me occorse di vedere 
talora, che dalla mattina alla sera egli aveva 
finito un ignudo colle diligenze, che Tarté 
permette; ma non restrigneiidoaìi a tempo 
così breve, perciocché molte volte égli era 
tirato da certi furóri mirabili, che nel la- 
vorare gli venivano , ci basterà il termine 
de^ sette giórni sopraddetti) dove che la- 
vorando assiduamente sopra una statua di 
marmo, della medesima grandezza, per ca- 
gione della diffìcultà di dette vedute ^ é 
della materia ancora, non la condUceva ix^ 
manco di sei mesi, siccome pia volte s^ è 
osservato: il che intervenne similmente a 
Donatello , scultore di sommo pregio ^ il 
quale dipinse bene per sola cagione della 
Scultura. Potrebbeisi ancora far argomento 
della diffìcultà di quest^ arte dalla quantità 
dell' opere , che fece il detto Michelagnoloj 
essendoché ( parlando però per proporssio- 
ne ) per ógni statua di marmo ile faceva 
Cento di pittura , e non per altro ^ se npd 
perché la pittura non era obbligata alk 
diffìcultà delle tante vedute , come s* è déùoì 



:a44 eELLiirì 

laonde si poò concludere , che la detta dif- 
ficoltà non naisca nella scultura per cagione 
della materia solamente, ma per rispetto 
de^ maggiori studj , che per conseguir tal 
arte bisogna fare, e per le molte regole , 
che intorno a essa si debbono osservare ; 
il che nella pittura non avviene; e perciò 
(sempre modestamente parlando) dico, la 
Scultura di gran lunga prevalere alla Pittu- 
ra. Ma perchè questa opinione mi £i con- 
descendere in un' altra attenente a tal ma- 
teria, perciò non giudico fuor di proposito 
il raccontarla ; ed è questa j ch^ io stimo ^ 
che tutti quegli artefici , che meglio per ra- 
gione di Scultura intenderanno il modo dì^ 
fare un corpo umano colle sue proporzioni 
e misure, quegli ancora migliori architetti 
saranno, avendo aggiunto però F altre pai^ 
ti , che intorno a questa necessaria e no-- 
bìKssima arte si ricercano : e non solo mi 
muove a dir questo il vedere la convenien- 
za, che hanno gli edificj con quello del 
corpo umano, ma perchè e la proporzione 
e misura delle . colonne , e altri ornamenti- 
ancora da quello si traggono, e da esso 
corpo umano hanno avuto origine e fonda- 
mento ; laonde , com' ho detto ,- tutti coloro^ 
che eccellentemente sapranno fare una sta- 
tua colle sue corrispondenze di misure e 
partii questi ancora tengo per fermò > che 
più eccellenti riusciranno nelF Architettura ^ 
perciocché io presuppongo , che con mag- 
gior difficultà ' e industria lavori lo sculto- 
re, che il pittore per le ragioni sopraddette. 



dalle quali diffitiultà e regole acquisterà un 
particolar giudicio intorno alle fabbriche 
chiunque sarà esercitatissimo nella Scultu- 
ra* Ma non per questo è , eh' io voglia af* 
fermare , che chi non è valente scultore 
non possa essere buono architetto y percioc- 
ché Bramante y Raffaello e roolt' altri ^ che 
pittori furono ^ si veggono aver operato con 
gran giudizio e vaghezza in dett' arte ; ma 
non per questo sono arrivati ( deir Archi- 
tettura parlando ) a quelF eccellenza ^ che si 
vede esser pervenuto il nostro Buonarroti: 
il che non da altro nasce,, se non perchè 
'egli meglio, che alcun altro ^ ha inteso il 
modo di fare una statua perfettamente, la 

Stai cosa è stata la vera cagione, che egli 
bia fatto le sue opere d'Architettura con 
tanta gentilezza e grazia , sicché gli occhi 
nostri non si possono saziare di riguardadi^» 
£ questo ho voluto ancor dire non tanto 
per cagione della Scultura e della Pittura, 
ma perché molti vi sono , che talora con 
picciol lume di disegno , e del tutto idioti 
ardiscono di operare senza i veri fonila* 
menti di quest^ arte , siccome intervenne di 
Mk Terzo , mereiaio Ferrarese ^ che cou 
certa sua inclinazione , che egU aveva nel- 
TArchitettura , e per lo mezzo d^ alcuni li* 
Jbri, che egli andava leggendo, che di tal 
professione trattavano , cominciando a {>er^ 
suadere uomini d' importanza a fabbricare^ 
fece di molti edificj , e in tanto ardire ven- 
ne, che lasciato il primo esercizio, e da-* 
tosi air Architettura ^ diceva ; che i pia 



•^l6 ' CELXINI 

inteDtlenti y che fussero mai stati in tal aiv 
te j erano Bi amante e Antonio da S. Gallo, 
e che dopo quelli non cedeva ad alcuno, 
laonde n' acquistò il nome di M. Terzo ^ non 
sapendo, che Filippo di Ser Brunellesco il 
primo fusse stato, che con maravigliosa in- 
dustria Y ayea resuscitata dopo tant' anni , 
ch^ ella era del tutto restata estinta da' bar* 
bari artefici. Ben è vero ^ che dopo, Filippo 
non poco acquistò ne^ teihpi di Bramante^ 
d'Antonio da S. Gallo , e di Baldassarre P&- 
ruzzi ; ma ultimamente s' è vista salire a su- 
premo grado d^ eccellenza per cagione di 
Michelagnolo^ il quale colla forza vivacis- 
sima del disegno^ acquistata per lo mezzo 
della Scultura, racconciò molte cose nel Tem<* 
pio di S. Pietro di Roma , dove i sbprad^ 
detti avevano operato, che per comune giu- 
dizio ora manifestamente si scorge quanto 
più alle buone regole d'Architettura s' acco- 
stino. Ma perchè io mi riserbo altra volta 
a parlare di ciò, e particolarmente della 
Prospettiva, dovMo farò palese, oltre a 
quello ch'io intendo di trattare, infinite os- 
servazioni di Lionardo da Vinci intorno a 
detta Prospettiva , le quali trassi da un suo 
bellissimo discorso, che poi mi fu tolto in« 
sieme con altri miei scritti 3 perciò non sarò 
più lungo , ma di quanto per ora ho detto 
rapportandomi sempre a coloro, che con 
maggiori e migliori fondamenti sapranno 
senza passione meglio parlare delle cose, che 
abbiamo ragionato, farò fine. Restami solo 
a dire, che e per ricreazione del lettore ^ 



SCUIUTUIU. * 2117 

-e per non mancare ancora a me stessa 
occultando quelle cose , che mi possano es- 
sere cagione di grandissima lode, m^ ho fatto 
lecito di por qui alcune poesie volgari e 
latine, (1) che io scelsi fra molte, colle 
quali si degnarono più ingegni lodatissimi 
di onorarmi per cagione della statua del 
Perseo di bronzo , e del Crocifisso di mar^ 
mo , eh' io feci in Fiorenza. 



FINE DEL SECONDO TRATTATO^ 



mammmtmmtm 



(t) Vedi alla fine del VoIoim. 



FRAMMENTO ^'^ 

DI UN DISC08S0 

DI 

BENVENUTO CELLINI 

SOPRA I PRINCIPI E 'l MODO d' IMPARARB 

l' arte del disegno. 



Infra T altre maravigliose professioni p 
che ha avute questa nostra Città di Firenze , 
dove certamente ella non solo ha aggiunto 
gli antichi , ma anco passati , questo è stato 
nella nobilissima Scultura, e Pittura, ed Àr«- 
chitettura ; e che questo sia il vero , per viva 
ragione si mostrerìi <il suo luogo. Ma per* 
che il mio primo intento si è ragionare del- 
l' arte ^ e del vero modo de' suoi prìpcipj p 



2^0 CEìXltXl 

siccome meglio ella si débbe appallare, del 
che fare sì è stata voglia grandissima in 
questi miei maggiori, né mai si sono re- 
soluti di dare principio a una tanta utile 
e piacevole impresa, sebbene io sono il mi* 
nore di tanti e sì sublimi ingegni, perchè 
tale utile a i vivi non si perda , in quel me^ 
glio modo , che natura mi porgerà , mi pi- 
glierò questo carico volentieri^ non senza 
grati fatica^ d mostrare e dare ad intendere^ 
ed esprimere con pia facilità, che io sap- 
pia e possa, Un tanto glorioso concetto. Egli 
è vero , che volendo cominciare una tanta 
impresa , molti sarieno , che in prima fa- 
rebbono un gran discorso, perchè volendo 
muovere una tanto smisurata macchina , è 
di necessità T adoperare moltissimi stromen- 
ti ; ma perchè molte volte più presto affa- 
stìdisce, che e^ porga piacere il vedere fare 
tante preparazioni , piglieremo questo mi- 
glior modo, cioè, che cominciando a ra- 
gionare di tali arti , quello che noi vedremo 
di mano in mano^ secondo le occasioni, che 
ci farà mestiero , lo porremo in atto in 
modo , che mettendolo nel proposito do- 
v'egli accaggia, molto meglio si terrà a 
memoria , che se e^ si fosse con altro ordine 
proposto in prima ; e cusi piacevolmente 
comincieremo a dar principio a tal ragiona-^ 
mento; Voi Prìncipi e Signori , che di tali 
arti vi dilettate , e voi artisti eccellenti ^ e 
voi giovani, vche apprendere le volete, per 
certo dovete sapere, cheU più bello anima-* 
le , che mai abbia fatto la umana natura f 



\ 
\ 



ARTE BEL DISEGNO 221 

81 è Stato r uomo , e la più bella parte , che 
abbia l'uomo, si è la testa, e la più bella 
e luaravigliosa cosà , che sia nella testa ^ 
si sono gli occhi ^ in modo che volendo 
Tuomo imitare gli occhi, per essere tali 
quali noi diciamo, è forza', che con assai 
maggior fatica vi si metta , che in altre 
parti d^ esso corpo non faria ; sicché a me 
pare, che e^sia stato un grande inconveniente 

})er infino a oggi^ per quanto io ho veduto^ 
i maestri mettere innanzi a, i poveretti te<- 
nerissimi giovani per li loro principj a 
imitare e ritrarre un occhio umano, e per- 
chè il simile intervenne a me nella mìa 
puerìzia, così penso, che agli altri avvenuto 
sia. Io tengo per certo, che questo modo 
non sia buono per le ragioni dette di so- 
pra^ e che il vero e miglior modo sarebbe 
di mettere innanzi cose più &cili, le quali 
non solo più facili , ma sarìeno ancora molto 
più utili , che non è il cominciare a ri- 
trarre uno occhio. Io so bene certissimo ^ 
che qualche dappoco pedante , e qualche- 
duno di questi imbrattamondi mi verranno 
arguendo contro col dire» che un buon 
maestro schermidore mette a i suoi discepoli 
ne' principj in mano le armi più gravi, per- 
chè poi le vere paiano più leggieri : a que- 
sto io ar^i.il campo larghissimo da poter 
fare un bellissimo ragion9mento in mia di- 
fesa } ma perchè non servirebbe ad altro j 
che al vento , ed io sono amico delle cour 
clusioni , solo mi basta di avere a quer 
^U tali tagliato la strada con questo ppcQ. 



;31^ CILLINI 

esempio , e cosi comincierò a mostrare il mio 
buon modo essere più facile, che ritrarre uno 
occhio^ e infinitamente più utile. Ora per- 
chè tutta la importanza di queste tali virtù 
consiste nel fare bene uno uomo e una 
donna ignudi > a questo bisogna pensare^ 
che volendogli poter far bene, e tidursegli 
sicuramente a memoria, è necessario di ve- 
nire al fondamento di tali ignudi, il qual 
fondamento si è le loro ossa; in modo che 
quando tu arai recatoti a memoria una os- 
satura , tu non potrai mai fare figura, o vuoi 
ignuda o vuoi vestita , con errori ; e questo 
si è un gran dire. Io non dico già, che tu 
sii sicuro per questo di fare le tue figure 
con meglio o peggio grazia , ma solo ti 
basti il farle senza errori, che di questo io 
te ne assicuro. Ora considera, se sia più fa- 
cile il ritrarre uno solo osso per cominciare , 
o sì veramente il ritrarre uno occhio uma- 
no. Voglio, che tu cominci a ritrarre il primo 
osso dello stinco della gamba, qual si chiama 
.il fucile maggiore, a t^chè mettendo innanzi 
questo tal principio a un tuo giovanetto di 
tenera età, è certissimo, che a quello gli 
parrà ritrarre un bastoncello; e perchè in 
tutte le nobilissime arti la maggiore impor- 
tanza , che è in esse , volendole vincere e 
dominare^ non in altro consiste, che nel 
pigliare animo sc^ra di loro , e^ • non sarà 
cosi pusillo animo di fanciullo, che comin- 
ciando a ritrarre un tal bastoncello d'osso, 
che non si prometta di farlo , se non alla 
prima , alle due benissimo ; ohe cosi non 



ARTE DEL DISEGNO ^^2% 

mteryerrebbe quando lo mettessi a ritrarre, 
uno occhio. Dipoi aggiugnerai a quello l'al-^ 
tro fucile mÌDore , il quale si è un osso , 
che è y più che la metà , più sottile , e lo 
metterai insieme col suo principale al luogo 
suo. Appresso a questo , cioè sopra^ pep> 
diritto j metterai fosso della coscia , il quale 
è un solo ed è più grosso assai ^ che cia-^ 
scuno di questi due; che si chiama ...» 
Dipòi metterai in mezzo la patella del gi« 
lìoccbio ; e co^i gli farai benissimo recare 
a memoria questi quattro pezzi d^osso in- 
sieme^ rìtraendogli per tutti i versi, cioè 
in faccia^ di dietro, e cosi per i dire suoi 
profili; e a poco a poco gli comincierai a 
dispiegare una certa parte degli ossi def 
piede, li quali il detto giovane, o di qual- 
sivoglia età uomo , gli verrà a annoverare ^ 
e se gli recherà benissimo a memoria; e ne 
nascerà questo , che quando uno si ara 
fatta familiare questa ossatura della gamba, 
innanzichè e^ sì venga alla testa , tutti quegli 
altri ossi gli parranno facili: e così a poco 
a poco verrai tessendo questo bellissimo 
ibtromento , il quale si è tutta la impor- 
tanza di questa nostra arte. Comincierai 
dipoi a fargli ritrarre uno di quegli bellis- 
simi ossi delle anche, li quali fanno in 
modo d^un catino, che altrimenti si doman- 
dano . # , . , li quali incastrano con bellissimo 
ordine in suU^osso della coscia, il quale 
si assomiglia a una palla appiccata in su 
uno bastone; e quell'osso detto anca ha la 
lua cassa ben fatta ed ordinata, dove il 



Ja4 CSLLIHI 

detto osso della coscia gira per tutti i vev^ 
ày benché la natura ha ordinato, che e* noa 
passi certi termini, che gli ritiene oo^ nervi, 
e altri snoi belli ordilii, li quali si diranno 
dipoi al luogo loro: da poi che tu arai ri* 
tratto, e fattoti memoria di detti ossi, ct>^ 
mincierai a ritrarre un osso bellissimo , il 
quale va in meczo alli due ossi dell'an- 
che; questo osso è molto bello, e lo do- 
mandano il codione, altrimenti si doman- 
da ... • Questo osso ha otto buchi, per i 
quali virtuosamente Ja maestra natura coi 
nervi ed altre belle cose lega tutta questa 
ossatura dell^ uomo insieme ^ e di bocca a 

2uesto osso, in verso la terra, esQe il fine 
ella stiena^.che pare, siccome veramente 
eir è , una piccola codina , la quale è com- 
posta di cinque ossicini. Cosi ritràlo assai 
volte, tanto che facilmente ti verrà fatto 
a memoria. Sappi , che questa codina in 
queste nostre parti calde volge allo inden-^ 
tro, ma nelle parti freddissime, più sètto 
la tramontana 9 il freddo la fa torcere in 
fuori, e io rho veduta, che ella appari- 
sce lunga quattro dita a quella sorte di uo* 
mini, che si dicono gli Iberni, e paiono 
cosa mostruosa , ma e^ non è altro , che 
quello, che ti dico , che dove da noi ella 
volge in dentro, a loro la natura del gran 
freddo la fa volgere in fuora. Dipoi nove* 
rerai la maravigliosa spina della stiena ,. che 
si chiama . ^ . ., la quale sopra Tosso del 
codione detto è composta di ventiquattro 
Qssa , che sedici n,e va insiao aU^ appicca tujra 



-ARTE DCL MSECIfO 335 

dalle spalle, e otto ìnsino che $ì congiu- 
gne colla testa, dove si chiama la nuca; 
che questo osso ultìraio è tondo, come 
^quello della coscia , dove la testa benissimo 
gira. Tu debbi alcnno di questi ossi pigliarti 
piacere di ritrarre , perchè è molto bello ; 
ed ha un gran buco , dove passa il filo 
delle rene , schiena che la diciamo^ Con 
questa ossatura della &tiena si sono appic- 
cate ventiquattro costole , dodici per banda y 
che pare il corpo d' una galea ; e questa 
detta costolatura ritràla assai, e fattela bene 
umiliare , cosi in profilo come in faccia , 
cioè dinanzi e di dietro : troverai , che le 
costole cominciano sopra 1 codione , passato 
cinque ossi della schiena ^ al sesto osso si 
comincia a appiccare le costole , tra le quali 
le prime quattro sono spiccate , e le prime 
due sono molto piccole e sono tutte di 
osso , e la prima è ^piccola , la seconda è 
assai maggiore, la terza ha appiccato un poco 
di tenerume in cima , la quarta ne ha ap- 
piccato un pezzo molto maggiore: queste 
prime quattro si chiamano .... Ancora la 
quinta non è appiccata all'osso dello sto- 
maco, siccome sono l'altre s^tte, che sono 
appiccate a un osso dello stomaco (questo 
intendi , che è solo una parte del costola-* 
me), il quale osso si è di tre pezzi ^ ed è 
lungo ... Questo osso si è , come una pomi- 
ce^ poroso, e si chiama.... Le dette sette 
costole hanno qual la terza e qual la quarta 
parie , di esse costole , di tenerume : che 
tenerume non è altro , che uno ossa tenero 
Cellini Ben. FoL ITI. i5 



J26 / CALIMI 

senza midollo, e meglio si pad aBSomigliare a 
uno 0S80, che al nervo; avvegnaché Fosso è 
frangibile e così è qaesto tenerume , ed il 
nervo non è frangibile. Ora intendi bene ; 
qoandotu ti arai recato bene a memoria questo 
costplame, avvengachè poi tu gli porrai la 
sua carne e pelle sopra, ^PP^? ^^^ quelle 
cinque costole sciolte^ nel torcersi il coirpo 
e nel piegarsi indietro ed iiuianzi, £iniio 
apparire nella pelle molti bei rilievi e cavi ^ 
che sono delle belle cose che sieno nel corpo 
umano , intorno al beUico ; e quelli , cha 
non hanno benissimo a memoria queste tali 
ossa , fanno le più diavole cose del mondo, 
le quali cose io ho veduto fare a certi 
pittori , anzi impiastratori presuntuosi y che 
fidandosi di un poco di lor buona memo- 
rinccia, senza altro studio se non quello 
ch'egli hanno fatto ne' lor cattivi principj» 
corrono a mettere in opera e non £ainoo 
nulla di buono, e di poi si fanno uno abito 
tale , che , quando e' volessero, non potreb* 
bono far bene , e con quella lor praticaccia 
accompagnata dalP avarizia fanno danno a 
quegli, che sono per la buona via degli 
stufij , e vergogna a i Principi , che , abba« 
gliati da quella prestezza , mostrano al mondo 
di non intendere nulla. I valeuti scultori e 
pittori fanno le loro opere per molte cen«- 
tina ja d* anni , è sono fatte per gloria de* 
Prìncipi e v9go ornamento alle loro città: 
adunque poiché elle hanno a avere così 
lunga vita , perchè , tu valoroso e degno 
Principe^ non aspetti^ ch'elle si facciano 



ABrTE DEL DISEGNO % S^jf 

bene , essendo la maggior parte della gloria 
la tua 7 che dal far bene e far male non 
importa due o tre anni, e considera, se lo 
merita una tal opera , avendo dipoi tanta 
vita. Sebbene io mi sono un poco scostato 
da i segni del mio bel ragionamento , ecco 
che io ritorno. Di sopra alla detta costola- 
tura SODO due ossa fuori deir ordine del 
costolame , che ciascuno de^ due si posa in 
jBull'osso del petto, e tortuosamente vanno 
a posarsi in sulFossa delle spalle. Questi 
tali ossi non accade ritrarli «eparati, come 
molti degli altri , qia insieme col costolame 
farai d' avergli bene "a memoria : . questi si 
domandano per nome jugidum. Appiccati 
à questo detto osso appariscono due altri 
ossi per di dietro , che paiono due palette : 
questi sono belli ossi, e perchè egli hanno 
certe costole, le quali si mostrano dipoi 
f opra la pelle , dandogli innanzi al tuo di- 
scepolo , in iscambio di uno occhio , se gli 
recherà bene a memoria, perchè egU importa 
assai ^ che quando un braccio fa qualche 
forza , questo tale osso fa diverse e bellis- 
sime azioni , - il che ( chi lo intende bene ) > 
fa molto bel vedere in sulla schiena, per** 
che si mostra molto sopra i muscoli di 
detta stiena , ed ha nome os scapidaris. A 
questo sono appiccate Fossa delle braccia | 
che hanno il medesimo ordine che quelle 
delle gambe , benché sieno assai minori j e 
cosi questa ossatura delle braccia si debbe 
mettere benissimo sicura alla memoria. Io 
non ti dico, che usi il modo medesimo 



appunto y che tu hai fatto nelle gambe , 
perchè quando tu sarai con gli ordini, che 
io ti ho mostro y arrivato alle braccia , si* 
curamente tu potrai ritrarre la ossatura di 
un braccio tutta insieme colla mano , che 
è cosa molto artifiziosa e bella ; bene è 
il vero j che e^ si debbe ritrarla assai volte 

}>er tutti i versi, e si Tuna manritta come 
a mancina: ed in parte che tu conduci 
queste braccia sicure a memoria , potrai 
qualche volta cominciare , come per pia* 
cere , a provarti alle maravigliose ossa del 
teschio ; alle quali , dipoi che tu arai fatto 
quel diligente ed assiduo studio in quella 
sottossatura , al detto teschio , ti metterai 
intorno^ e semprechè tu ne arai, per quel 
verso che ti verrà fatto , ritratto qualcuna 
che ti cominci a piacere , ti ingegnerai 
d^ appiccargli V altre sottossa : benché que« 
sto teschio vuole essere ritratto per moltiS'« 
simi versi, acciocché benissimo te lo metta 
nella memoria; perchè sappi per cosa cer- 
tissima , che chi non intende né abbia bene 
a memoria quest'ossa della testa, non pud 
mai fare testa , in qualsivoglia modo né di 
che sorte ella si sia , che abbia una grazia 
al mondo. Sarebbe il meglio, che in mentre 
che tu ritrai questa ossatura dell'uomo^ che 
tu non disegnassi altra cosa di sorta alcuna^ 
per non ti aggravare la memoria in altro. 
Innanzi che io mi scosti da questo impor- 
tantissimo fondamento per entrare inaltro, 
voglio, che tu sappi prima tutte le misure 
di questa umana ossatura, perchè meglio 



aute del disegno a2^ 

tu possa dipoi con più sicurtà comporci 
sopra la sua carne ^ cioè i nervi , co^ quali 
con tanta arte la divina natura lega que- 
sto bello strumento , e i suoi muscoli di 
carne, insieme colle dette ossa, da i nervi 
legati. In questo mezzo ^ che tu vedrai mi- 
surando queste ossa, tu ritrarrai questa os- 
satura nel modo proprio , come se e^ fosse 
UDO uomo vivo , cioè acconcerai la detta 
ossatura^ che posi, per vedere la. gamba y 
che posa, come e quanto eli' entra nella sua 
anca, e il modo, ch^ ella fa a torcersi: cosi 
la acconcerai ardita , che posi in su due 
gambe aperte , volgendo la testa , e dando 
attitudine ancora alle braccia : dipoi la ac- 
concerai a sedere alta , e bassa , facendola 
storcere per diversi modi ; e così facendo ti 
Terrà fatto un fondamento tanto maraviglio- 
so , il quale ti faciUterà tutte le gntn dif- 
ficultà , che sono in questa nostra divina 
arte. E per mostrartene uno esempio ed al- 
legarti uno autor grandissimo, vedi le opere 
di M. Michelagnolo Buonarruoti ; che la sua 
alta maniera è tanto diversa dagli altri e^ 
da quella, che per P addietro si vedeva^ ed 
è tanto piaciuta , non per altro , che per 
avere tenuto questo ordine delle ossa : e che 
^ia il vero , guarda tutte le opere sue tanto 
di Scultura quanto di Pittura, che non tanto 
i bellissimi muscoli ben posti a i luoghi loro 
gli abbian fatto onore y quanto il mostrare 
le ossa •.•....•«•..• 



y 



LETTERE, .DISCORSI 



POESIE. 



LETTERE 

DI 

BENVENUTO CELLINI 

Tratte dalla 

Raccolta di Lettere sulla Pittura^ Scultura 

ed architettura 

stampata in Roma nel 1754 



LETTERA L 

A. M. BENEÌDETTO TAACHI* 

XER la vostra gratissima intendo come 
areste piacere , che ci trovassimo in Vene-* 
zia^ rispetto all' esservi un poco più como- 
do } e io vi dico^ che tutti i vostri piaceri 
non sono manco piaceri a me> che a voi; 
e al tempo , che deputeremo , verrò in Ve- 
nezia^ e in tutti que' luoghi, che vi piace- 
rà : ma hene m' incresce assai , «he 1 nostro 



i34 eCLLlHl 

caro Loca (i) non possa venire, secondo 
che ei mi scrìve. Resta per il suo piato. Di 
grazia vedete se senza suo scomodo potesse 
venire alla fine di questo , che anche a me 
aarìi assai a proposito istare inaino al detto 
tempo; perchè allora viene Àlbertaccio del 
Bene a studio a Padova, mio carissimo ami- 
co : talché alla fine di questo monteremo a 
cavallo, e vogliamo andare a Loreto insie- 
me ; e se non ve lo troveremo , lasceremo, 
che , quando toma , gli sia fatto V ìmba- 
sciata. 

M. Benedetto mio caro^ voi mi dite, che 
il nostro M. Pietro Bembo si lascia crescere 
la barba , che per certo assai mi piace ; che 
faremo cosa con molto più bella forma. Ora 
per dirvi la cosa come ella sta , avendo que- 
sta «fantasia di lasciarsi crescere la barba, 
vi fo intendere, che in due mesi non sarà 
tanto grande, che stia bene, che non sarà 
più che due dita lunga • sarà imperfetta , 
a tale che facendo la sua testa, in meda- 
glia , in questo modo , quando la barba venga 
poi al suo dovere , la mia medaglia non so« 
miglierà, e radendosi, manco somiglierà la 
detta medaglia con la barba corta. Ora a 
me parrebbe, che volendo fare cosa , che 
stessè bene,' dovessimo lasciare venire la 



(i) Luca Martini, di cui si & menziona nelle Rime 
del Berni, nelle Notizie delVAccad. Fior., e ne^Fa* 
sti Consolari del Canonico Salvino Salvird. Vedi il 
▼oU f. a pag. 5 IO. 



barba al suo dovere (i)^ e qtiesto sarà ìn- 
fino a Quaresima^ e faremo cosa più lauda- 
bile. Questo non pensiate, che io dica per 
mettere tempo in metezo y che vi giuro , che 
a tutt^ ora ^ che con un minimo verso mi 
avvisiate, subito monterò a cavallo, così vo- 
lentieri, quanto cosa che io facessi mai, e 
così vi do mia fede. Se ei.vi pare, che que- 
lita cosa ìstia ben così, e a proposito fusse 
iscriverne a S. Signoria, e se ei vi pares- 
se , che io iscrivessi , così male , un verso 
di questo mio parere a S. Signoria, avvisa- 
temi, e tanto faròj e state senza sospetto 
del mio venire, che sono in tutto paratis- 
aimo a i comandi vostri. 

Il mio da bene vecchione Piloto (2) a 
quest' ora dee esser morto , secondo che mi 
scriye il mio Luca. Per certo, che m^ ha 
dato assai dispiacere: pazienza. Non dirò al- 
tro. Sono alli comandi vostri. Istate sano, 
che Dio vi guardi. 

Di Roma a d) 9. di Settembre i536. 

Vostro Benvenuto Gellini orefice. 



(i) Così fece il Bembo ^ e i suoi ritratti sono con 
luDgbissinui barba. Il Vasari ne fece uno , cbe è in, 
casa Valenti in Roma, ed è stato inciso da Gio. Gior- 
gio Seuter; Tiziano un altro « che è inciso da Bar- 
tolozzi; ed il Gellini, per quanto ci pare, lo ritrasse 
finch'esso in medaglia con lunga bafba, come si è 
detto nel voi. I. a pag. 545. 

{%} Il Piloto, orefice famoso, di cui parla il Va- 
sari nelle Vite di Ferino del Vaga, del Bandinello^ 
e del Buonarroti. Vedi il nostro voi. I. a paj[. i94« 
e i55. 



236 CKLLVn 

LETTERA IL 



iixo rrasso. 



Virtuosissimo e gentilissimo ^ 

Magnifico M. Benedetto f^arcM, 

molto mio Onorando (i) 

jyioLTO meglio saprei dir le ragioni di 
tanta valorosa arte a bocca, che a scrìver- 
le j si per essere io male (3) dittatore , e 



(1) Agitandosi aDora la questione intomo alla pre- 
minenza fra la Scaltara e la Pittura, il Varchi ne 
interrogò il Vasari, Agnolo Bronzino, il Puntormo, 
il Tasso legna] uolo , Francesco da S. Gallo , il Tri- 
bolo, il Cellini ed il Buonarroti, e pubblicò le let- 
tere avutene in risposta, in fine della sua Opera stam- 
pata in Fiorenza pel Torrentino nel i549> ^ tito*, 
lo; Due Lezioni di M, Benedetto parchi, nella prima; 
delle quali ji dichiara un Sonetto di M^ Mtchela» 
gnoh Buonarroti, nella seconda si disputa quale sia 
più nobile arie^ la Scultura o la Pittura ^ con una 
tetterà di esso Michelagnoh e più altri eccellentis'^ 
sinU Pittori e Scultori , soppa la questione soprad- 
detta. Noi abbiamo quindi tratta da questo libro la 
presente lettera, la quale, per essere ivi stampata 
alquanto scorrettamente fu, per nostro avViso, con 
eccessiva libertà aggiustata nella Raccolta di Lettere 
sulla Pittura ec. , essendovisi levati non solo gli er- 
rori di stampa e d' ortografia , ma ben anche gli idio- ' 
tismi più comuni al Cellini; la preminenza por della 
Scultura sulla Pittura fu dal nostro autore sostenuta 
anche in altre occasioni , come può vedersi nel Ca- 
pìtolo VI. del Trattato sulla Scultura, a nag. aio., 
e nei due Discorsi ^ che stanno ' dopo xe presentì 
Lettere. 

(2) Male per malo, vedi voi, a. p. 3o2. 



ItTTCRC 237 

peggio scrittore (i)- E pure , quale io so- 
no, eccomi. Dico^ che Tante delia Scultura 
infra tuttcri' arte (3), che s' interviene dir 
segno, è maggiore sette volte; perchè una 
statua di Scultura deve avere otto vedute ^ 
e conviene che le sieno tutte di cgual bon- 
tà ; il perchè avviene , che molte volte lo 
scultore manco amorevole a tale arte si con- 
tenta d'una bella veduta, insino in dua, e 
Eer non durare fatica di limare di quella 
ella parte ^ e porlo in su quelle sei non 
tanto belle, gli vien fatto molto scordata la 
sua statua ; e per ognuno dieci gli è bia- 
simato la sua figura, girandola intorno, di 
quello che alla prima veduta la s' era di- 
mostra (3) : dove qui si mostrò V eccellenza 
di Michelagnolo per aveie osservato quanto 
tale arte merita. E per mostrar maggior- 
mente la grandezza di tale arte , oggi si vede 
Michelagnolo essere il maggior pittore, che 
mai ci sia stato notìzia né in fra gli Àati' 
chi né in fra i Moderni , solo perchè tutto 
quello, che fa di Pittura, lo cava dagli stu<* 
diatissimi modelli fatti di Scultura ; né so 



(i) Si e per così come, vedi voi. ^. pag. 3 18. e 245. 

(2) Arte per ^rti\ e quindi in questa stessa lette- 
la , composizione per composizioni , simplice per sim* 
plici , tale per ra/ì, raccomandazione per raccomanm 
dazioni sono idiotismi « come quelli di notte per not" 
tij re/ir per reni ec,, già osservati nella Vita. Vedi 
voi, 2. p. 523. 

(3) Cioè gli è biasimata la statua , girandola, 
dieci volte più di (juello che meritava alla prima 
veduta^ 



y 



^38 cELLon 

conoscere chi più ^ appressi oi^gi « tale Te* 
rità d'arte, che il virtaoso Bromino (i): 
veggio gli albi immo^ersi ìnfira fioralisiy ^ 
di vederli (3) eoa molte composizione di 
▼arj colorì, qual sono uno ingamiacoatadi* 
ni (3). Dico, per tornare a tal grande arte 
della Scultora , che si vede per isperìenza^ 
se voi volete &re solo ona coloana o à 
veramente un vaso, qual son cose molto 
simpUce, ^cendole disegnate io carta con 
tutta quella misura e grazia, che in dise- 
gno si può mostrare , e poi vedendo da quel 
disegno colle medesime misure fare o la co- 
lonna o il vaso di Scultura, diviene opera 
non a gran pezzo graziata, come mos^va 
il disegno, anzi par falso e sciocco; ma ia- 
cenila il detto vaso, o colonna, di rilievo, 
e da quello, o con misure o senza, met- 
terlo in disegno, diviene soprammodo gra- 
ziatissimo. E per mostrarne uno grand' es- 
sempio, allegherò il gran Mìchelagnolo ( non 
avendo mai avuto in tale arti maggióre mae- 
stro), che volendo mostrare ai sua squa- 
dratori, con i scarpellini, certe finestre, si 
messe a farle di terra, piccole , innanzi che 
venisse ad altre misure col . disegno : non 
dico o di colouna o d^ archi e d'altre molte 
belle opere, che di suo si vede , qual son 



(1) Agnolo Allori, detto il Bronzino, 

(2) Qui sembra otnmessa qualche parola , per eseiQ: 
pio. -•=: e parmi di vederli ec. 

(5) Ingannaconiadini , parola composta come im' 
hfanamondi.%, pag. U2i, ingannamacti , e simili. 



tETTEAE 2^g 

tutte fatte prima in questo modo. Gli altri^ 
che hanno fatto e fanno professione di ar- 
chitetto y tirano (i) le òpere loro da un 
piccol disegno fatto in carta, e di quello 
fanno il modello ; e però sono manco suf- 
ficienti di questo Angiolo. Ancora dico, che 
questa maravigliosa arte dello statuare non 
si può fare y se lo statuario non ha buona 
cognizione di tutte le nobilissime arte; per- 
chè volendo figurare un. milito con quelle 
qualità e bravure , che se gli appartiene ^ 
convien , che il detto maestro sia bravissi- 
mo, con buona cognizione dell'armi; e vo- 
lendo figurare uno oratore y cpnvien , che 
sia eloquentissimo e abbia cognizione della 
buona scienza delle lettere ; volendo figurare 
un musico, conviene, che il detto abbia 
musica diversa, perchè sappia alla sua sta- 
tua ben collocare in mano uno sonoro instru- 
mento; che gii sia di necessità Tesser poe- 
ta^ di questo penso, che il valente Bronzino 
ve n^arà scritta a pieno. Ci saria molte ed 
infinite cose da dire sopra tale grande arte 
della Scultura ^ ma assai basta a un tanto 



(i) Nella Raccolta di Lettere sulla Piuura ec. que^ 
ito tirano viene spiegato per ricavano^ e viene detto 
franzesismo appreso dal Celimi nella dimora fatta 
in Francia. Potrebbesi però dire»' che tirano non 
istia qui nel significato di traggono o ritraggono^ o 
ricavano , ma ih quello di conducono a termine o 
a perfezione i giacché parlandosi di lavori, /«raro 
vale appunto condurre a fincn 



2^0 CELLINI 

gran ^nrtaoso, qaal voi siate (i), Tarei^ele 
attenuato una piccola parte ^ per onanto può 
il mio basso ingegno. Vi ricor<u> e dico, 
come di sopra ^ che la Scoltnra è madre 
di tutte l'arte, dove si interviene disegno; 
e quello y che sarà valente scultore e di buona 
maniera , gli sarìi fiicilissimo Y esser buon 
prospettivo e architetto e maggior pittor 

1>iù che quelli y che bene non posseggono 
a Scultura : la Pittura non è altro , che o 
albero o uomo o altra cosa , che si spec- 
chi in un fonte. 

La differenza y che è dalla iScuItura alla 
Pittura À tanta, quanta è dalla ombra e la 
cosa , che la V ombra. Subito che io ebbi 
la vostra lettera, con quel puro ardore, che 
io vi amo , corsi a scrivere questi parecchi 
scorretti versi, e cosi in fona fo fine e mi 
vi raccomando. Ftfò le raccomandazione 
vostre. State sano, e vogliatemi bene; 



Di Fiorenze il di a8. £ Gennaio i54& 



Sempre paratissimo ai comandi vostri 

Benvenuto Cellini. 



(i) Siate in laoga di siete è idietUmo fioreotiuo, 
cui Tedremo usato anche dal Lasca in uaa sua Ma« 
drifaleva al veno 6a« 



LETTERA III. 

A H. W. (l) t^ 



n 



rk poi che lo 111. ed Ecd. mio Signore 
e Padrone mi comanda, che io debba do- 
mandare e porre pregio alla mia opera del 
Perseo , la quale per insino del mese d^ A- 
»rile del 1 55 4.9 nella Loggia della Piazza di 
'^ua Ecc. lasciai scoperta e finita del tutto ^ 
Iddio laldato (2) , con intera soddisfazione 
dello Universale j di che mai T altra opera 
di qualsivoglia maestro per insino a questo 
di non v' è notizia , nò di tanta soddisfa- 
zione né da pressò : (3) y di gran lunga : dì« 
co^ che umilmente io priego Sua Ecc., che 
cui doni delle mie &tiche di nove anni totto 
quello, che di suo ^aqtissimo e di^oretissimo 
giudizio pare e jbidce ; e- quale e' sia , venendo 
coir intera sua boona grazia > sarò contentisi 
simó, con^ maggior mia soddis&zione, che, 
domandando (4), se bene io ne avessi molto 
più che la mia domanda. 



' • t 



iiii»! iiha 11— ^«.^«axt^^ii» k n mi 



(i) Nella Raccolta di Lettere sulla Pittura ec. aus* 
sta lettera è intitolè^ta a N. N. ; ma da quanto leg- 
gesi nella Vita dei Celimi pare diretta a Jacopo Guidi 
da Volterra, segretario del Duca Cosimo 1. 

(apDfiaafé^è *V5b% *^£intiquata in luogo di laudare. 

(3) iV^ da presso, cioè ne poco minore. 

(4) Cioè qualunque sia il premio j io ne sarò pia 
contento, che se, domandando, io ricadessi pia della 
mia domanda, 

calmi Benv, Foh III. 16 



s 



^À2 Cd^LlHI 

Ora per non mettere più tempo in mezzo 
(che troppo è stato per il passato), sic- 
come sforzato da quella, per ubUdire di- 
co y che avendo a fare una tanta opera a 
ogni altro Principe, io non la farci per fl 
valore di quindici mila ducati d' oto, e qual 
si voglia altro uomo non la saprebbe guar- 
dare , non che fare. Ma per essere divoto 
ed amorevole vassallo e servo di Sua lU; 
Ecc., sarò conlentissimo, quando a quella 
li piaccia di donarmi cinque mila ducati 
i^ oro in oro contanti e cin(|ue mila nel 
valsente di tanti beni immobili; perchè que- 
sto resto della mia vita io mi sono resoluto 
di vivete e morire al servizio di quella, e 
90 io gli ho fatto una prima e co^ bella 
opera , quest' altra spero di &rla maravi* 
guosa (i), e di lasciarnli e gli Àniicfai é 
i Moderni indietro, quanto, dal mondo io 
sarò giudicato: di che tutlo ne proviene 
immortale e laldabile gloria- a Sua 111. Ecc. 
Solo io la scongiuro per il valore e ppten*» 
zia di Dio, che prestissimo mi spedisca, 
che tenendomi cosà mi ammazza; e si tU 
cordi siccome io gli ho sempre detto di vo« 
largii dare in serbo quel resto del mio po« 
vero sussidio, che era rimasto del mio 
felicissimo stato, io che io mi trovavo, vo- 
lendo contento correre seco la sua felicissima 

I 

(i) L^ altra opem, che il Cellìni doveva allora fare 
al Duca, eran probabilmente i basa rilievi di bronzo, 
per Santa Maria del Fiwe, de' quali parlasi nella Vita^ 



LEXTSaE 2^^ 

fortuita. GoQSideri ' Sua Ecc. se. io inaino 
a questa di con le comodità grandi ^ che 
io avevo, con quei Bar}>ari , che gran quan- 
tità d^ oro- io vivrei messo insieofe. Non 
ostante questo, io mi. contento molto più 
d' uno 9cndo con Sua Ecc.j che di cento 
d^^ ogni altro Principe ^ sempre ppregando 
Iddio y che felicissima la conservi. 

I .■'!.., 

Firenze i554. . ; 

Benvenuto Gellini., 



LETTERA IV. 

1. 

M molto Magnifico e ^Virtuosissimo 

M, Ben/^Uo V'archi y 

mio . Osservandissimo. 



IViAGTfipico Iti. Beoedetto e molto mio 
Osservaudis^ioio ,' vói avete b sa|)ei'e come 
ìq ho perduto un mio unico figliuolo^ quasi 
allevato; né mi pareva 'mai avere avuto, in 
tfttta il tempo ddlla vita mia, cosa, che più 
del mondo mi piacesse. Ora me Io ha ru- 
bato la morte in quattro giorni ; e potette' 
taale in me il duolo ^ che io credetti sicu- 
ramente andarmene seco, perchè egli mi 
pam essere privo di non isperare mai più 
un tale tesoro per le cause evidenti. £ per*-' 
che egli mi. è piaciuto fargli per mio con- 
tento un poco di lume, ho avuto grazia da^ 



344 COAJMl 

Frati della NonÉiaU, che mi hanno con* 
ceduto , cV io faccia nn Deposito dì lai ìd« 
aioo a tanto 9 ch'egli piaccia a Dio^ che 
io me ne vada a dormire a^ canto a lui in 
un poco di sepoltura^ quale pot!à farsi 
dalla povertà mia a quel tempo. Intanto io 
voglio far dipignere questo Deportino con 
due Angeletti con le faci in mano , e in 
mezzo a essi uno epitaffio, quale io mostro 
con questo mio rozzo modo 'e inetto; che 
io so, che voi con quelle vostre mirahili 
virtudi molto meglio direte quello , che io 
vorrei direj e piacendovi farlo latino o to- 
scano, tutto rimetto al vostro infallibile ju« 
dicio : ^ se io vi affatico a questa volta per- 
donatemi , e comandate a me ^ che sono per 
servirvi sempre paratissimo* 

Di Firenze agli XXII. di Maggio i563. 

Il concetto mio, che io desidero, che 
sia espresso da voi si è tde: 

Giov9n Cellini , a^Benveuuto solo 
Figlio , qui jaqe. Morto al mondo il tolse 
Tenero dranni. Mai le Parche scipite 
Tal speme in fil dairuno all'altro Polo (f)« 

Sempre parati^mo alli aervfej di V. S. 

Benvenutp Cellini (a) 



mrmm 



(i) Intorno a ciuesto Giovanni^ 6glio di Benvenu* 
to, vedr i Bicorài 22. Magj^o i56o. , t. Dicem« 
bre i56i., e 19. Febbraio 1S62. 

( I ) Un' altra lettera del Cellini al Varcìhi fii da nai 
più opportunamente messa in fronte alla Vita di es- 
so, ed un frammento di un'altra a I^a Atartìm 
fu inserito a pag. 34'* del voi. f» 



34$ 

DISCORSO 



« • » 



j , 



DI 



BENVENUTO CELLINI 



DEIX' ARCHITETTURA, 



Tratto da un Codice MS. detta R. Biblio- 
teca di, P^enezia, e pubblicato per la prima 
volta dal chiariss. Sig. Cav. Jacopo Mo- 
relli nella sua opera F CODICI MANO- 
SCRITTI rOLG ARI DELL i LIBRE- 
RIA NANIANA. Fenezia 1776. 



L7 - 
AKdfiTBTTiimÀ A è arte airuomo di 
graDcliasiiSia necessità, siccome sua vesta e at- 
madara^e ancora per i bei suoi ornamenti 
la diviene cosa mirabile , e perchè ancora 
essa è figliuola seconda della grande Scul- 
tura : di modo che quelli che saranno grandi 
scultori , tanto con maggiore ragione fa- 
ranno utHe e bella T Architettura* Gli è 
bene il verO; che Tè tatito piùlacile della 



2 46 «ELLINI 

Pittara • aaaoto è differfUte la^ detta Pittura 
dalla sua gran madre Scultura. E che sia 
il vero di questa sua Cicilità , io nou voglio 
ascondere J mondo uè mi voglio ritenere 
di non dire^ che òi sono stati alcuni fuor 
delja pvof|ps9ioBQ^del, 4if^P0, € untandosi 
inclinati a questa degtia 'arte delV Archi- 
tettura ^ ci si sono messi a operare di essa « 
e con buona lor ioftupa, da ^r^ Signori 
sono stati messi in opera. 1B per mostrare^ 
che questo è il vero, attempo del Duca 
Ercole., Duca di Ferrara ^ nel mille cinque- 
cento trenta cinque , si risentì ih . Ferrara 
un. suo vassallo^, il q^àle era méròiajo, e 
r arte sua • propria si era il fare bottoni 
moreschi e co^i cose apparteneatì alla, mer* 
ceria, e siccome io dicct, sentendoci chiamare 
da questa arte^ e con il leggere e eoa 
l'operare qualche poco in disegno mostran- 
dosi air Eccellenza del Duca, sua Eccellen" 
za , amatore delle virtù, volentieri lo messe 
in opera , dandogli grandissimo animo ; per 
la qual cosa fu tale e tanto, che si vede 
dell opere sue assai. Il detto venne in 
tanto ardire , ch^ ei si accomodò di un aome^ 
con il quale lui oontimiamente si faceva 
chiamare: il nome, che lui sì faceva chia- 
mare , si era Macero Tierzo; Essendo do-^ 
miandato perchè si fiicéva domandare Mae* 
skro Terzo, disse non aver coooscsuto in fra 
i Moderni il maggiore architetto di Mae*- 
stro Bramante, e per il secondo, Maestro An- 
tonio da San Gallo; talché lui veniva a es- 
sere il teroo. Co:^ ho conosciuto moU4 altri 



ÀRCHlTEtTURA tà^J 

itomtni di bassa arte , i quali si sono dati al- 
l' Arciiìtettura , e di quella hanno dimostro 
quatclie cosa : e qMsto avviene perchè F arte 
à piacevolissima , siccome seconda figliuola 
della sopraddetta Scultura; di modo che la 
viene a essere la terza arte* Noi troviamo 
altrimenti , che non disse Maestro Terzo ; 
perchè da poi che h fu smarrita dagli An« 
tichi' quella vera e bellissima maniera fatta 
dà quei maggiori scultori virtuosi , eorse per 
li niondo una maniera di Tedeschi, siccome 
01 v«*de per tutta la Italia, non tanto la 
Francia e la Spagna e la Germania; e in 
Firenze, mia patria, si edificò per le mani 
di costoro il nostro gran tempio di Santa 
Reparata , principal Duomo della città ^ nei 
quale sì è speso presso a dua milioni d'oro; 
dà sorte che , avendo a coprire con la sua 
gran tribuna il detto Duomo, in questo 
tempo sì era cominciato a risentire nella 
detta città alcun bello ingegno, i quali ab* 
borrivano a quella secca maniera Tedesca: 
e il pri^lO , che si destasse con virtuosissimo 
ardire, si fu un nostro eccellente scultore, 
il quale, si domandava per nome Pippo di 
Ser* Brunellesco; e siccome egli aveva la 
bella maniera nello scolpire, cosi piacevol- 
mten te cominciò a mostrare a quegli uomini , 
che erano operaj in quel tempo di tal gran 
macchina , come quella maniera non era 
secondo il bel modo degli Antichi , anzi era 
cosa barbara e discosta da ogni buona re^ 
gola : di modo che questi uomini da bene 
gli deltono animo e lecionlo operare j e 



34^ CEtLINl 

con i belli sua . m<>deni invaghì tanto quei 
nobilissimi cittadini , che subito lo messero 
in opera ; qual fu causa di . fare quella bel- 
lissima tribuna al tempio, che oggi si vede; 
e appresso a questa con i sua^ modelli si 
edificò San Lorenzo e. Santo Spìrito e il 
tempio di f^ippo Spana , . il quale è cosa 
maravigliosisstma; ma fu lasciato imperfetto. 
Questo fu il primo architetto dagli Antichi 
in qua ^ e siccome io dico , era eccellente 
scultore. Da poi si destò Bramante, il quale 
era assai buon pittóre. Questo uomo fa 
messo in opera da I^apa Giulio Secondo nel 
mille cinquecento. Il detto Papa Giulio gli 
dette grandissima e bellissima occasione^ 
perchè gli fece , dar principio a una gran 
muraglia, la quale ancora oggi si vede in 
essere, a Belvedere di Roma. Ancora messe 
mano nella gran chiesa di San Pietro con 
tanta bella maniera degli Antichi , sì per es- 
ser lui pittore , e sì per vedere e conoscere 
le belle cose, che ancor si veggono, degli 
Antichi, benché gran parte rovinate. Questo 
uomo veramente fu il secondo, che aperse 
gli occhi al vero bello dell'Architettura. Venne 
a morte , e non avendo possuto finire la 
sua bella tribuna di. San Fietro (sebbene 
aveva gittato tutti gli archi) e per non si 
vedere resoluto modello di detta tribuna ^ e 
avendosi fatto un discepolo , il quale era 
divenuto valentissimo uomo , questo fu ado- 
perato; e questo si fu Maestro Antonio da 
San Gallo, nostro Fiorentino. Ma per non 
essere stato né scultore uè pittore^ anzi 



ARCHITETTURA ^49 

maestro di legoanie solamente \ però nion si 
^ide mai di lui nelle sne opere di Architettura 
una certa nobil virtù ^ come s' è vista nel 
nostro vero Terzo, .qual si può doman*^ 
dare primo di tutti, Michelagnolo Buonar«^ 
roti , al^ quale fn dato ordine di far la tri- 
buna di San Pietro^ e così messe mano con 
quella forza della sua mirabile Scultura , 
racconciò parecchie <^ù^e del gran Bramante, 
e assai di Maestro Antonio detto , con uà 
tanto virtuoso modo , die per essere V arte, 
deir Architettura , siccome io ho detto dH 
sopra, la terza arte> questo detto uomo F ha 
tanto maravigliosamente agitata e messa in 
opera, che non tanto ch'^egli abbia trapasr 
sato tutti quei grandi uomini nioderni , che' 
io ho detto , ancora le virtù sua mostrano^ 
ch'egli ha trapassato gli Antichi. Perchè T Arr 
chitettura richiede tre parti, le quali sono 
queste 4 la infinita bellezza^ che chiami gli 
occhi degli uomini a vedere , anzi gli sforzi ; 
la seconda , che la dimostri che cosa elF è , 
senza avenae a. domandare , con le sue co* 
modità, che si appartiene a un tempio, o 
a un palazzo , o anfiteatro , o fortezze , o 
città , e cotai e6se , che ce ne saria assai da 
dire y la terza si è , che sia fatta con arte e 
con quella vera regola, che si appartiene 
ai tre principali Ordini datici dagli Antichi , 
e' quaU Antichi ancora ne aggiunsono un 
altro, il quale si domandò Composito, cioè 
fatto un mescuglio ovvero una oompoi»zione 
virtuosamente deir Ordine Dorico , Ionico^ , 
e Corintio : questo nostro Michelagnolo quasi 



j5o CBLLiia 

in talte le sue opere si è semto di <|ttel 
quarto Ordine , cioè del Composito , il qiial 
Ordine si è veramente fatto da lai slesso 
differente da tutti gli altri degli Antichi ; e 
questo si è tanto bello, tanto- comodo e tanto 
utile 9 quanto immaginar si possa al mondo j 
di modo che questo è il maggiore architet* 
to j che f jsse m<'ii ^ solo perchè egli è stato 
il maggiore scultore e il madore pittore. 
6ià Lionbatista degli Alberti , nostro Fio«» 
rentioo, scrisse degli Ordini deir Architettura>* 
dati dal mirabile e studioso Vitrùvio , inge« 
gnùsissimameAte e discretamente, non Le- 
vando nulla dalli belli Ordiui dati dal detto. 
Vitrùvio, ma sì bene accrebbe di molte 
belle e utilissime cose di più, che non aveva 
detto Vitrùvio, le qiiali sono veramente 
mirabili ; e uno che vuol fare professione 
d'Architettura^ gli è di necessita il vederle, 
imperò vegga il libro del detto Lionbatistai^ 
che lo troverà utilissicnfo e bello. Dipoi si è 
scoperto il Magnifico Mes^r Dameiio Bar- 
baro, Patriarca d'Aquilea: questo ifobilissimo 
e virtuosissimo gentiluomo ha comentato 
Vitrùvio con tanta virtuosa ubbidienza , 
che tutte le cose difficiU , che a molti si tro- 
vavano oscure, questo ' col suo virtuoso in** 
gegno Pha mostre chiare e aperte, e non 
b^ atteso ad altro , se non a cementare pu- 
ramente Vrtruvio, e scoprirci le belle e mi- 
rabili sue fatiche in questo nostro idioma. 
Baldassare da Siena , eccellentissime pitto- 
re, cercò della bella maniera dell'Architet- 
tura; e per meglio chiarirsi qual fosse la 



ARCHITBTTURA 2^1 

migliore^ si sottomesse a ritrarre tutte le 
belle maniere, ch'egli vedeva , delle cose 
antiche in Roma , e non tanto in Roma , 
eh' ei cercò per tutto il mondo dove fusse 
delle cose antiche , con mezzo di quegli ucm 
mini . che si trovavano in diversi paesi : e 
afendo ragunato una bella quantità di que** 
ste diverse maniere , molte volte disse , che 
conosceva, che Yitruvio non aveva scelto 
di queste belle maniere b più bella, siccome 
quello, che non era né pittore né scultore, 
la qual cosa lo faceva incognito del più bello 
di questa mirabile arte. Il detto Paldassare 
aveva per strettissimo amico suo un Bolon 
gne^e , che si domandava Bastianino Serlio^ 
Questo detto Bastiano era maestro di legna* 
me, e per essere tanto intrinseco di BaldasK 
sare,' quasi più del tempo si trovava seco 
a ritrarre le sopraddette opere; e. avendo 
il detto Baldassare assai ragionamenti con 
il detto Bastiano, mostravagli per chiarissime 
ragioni, che Yitruvio non avea chito la re^ 
gola a quel pia bello delle cose degli An- 
tichi } di miodo che in su quelle fatidie co- 
piate dagli Antichi il detto Baldassare aveva 
fatto una scelta , secondo il suo buon giudi- 
zio , siccome eccellente pittore ; e avendo 
messo tutto in ordine , sopravvenne la morte 
al povero virtuoso; qual fu gran danno al 
mondo : e restando queste fatiche in mano 
al sopraddetto Bastiano , egli le fece stam*^ 
pare ; <;be sebbene le non sono cpn quel 
virtuoso ordine^ che voleva dar loro il detto 
Baldi^sare , a ogni modo se ne cava 



/ 



y 



V 



j5a CCLLUII 

grandissimo (rutto , massimamente da qaegU 
nomini, che jianno buon disegno e cogaizione 
dell' arte. Il detto Bastiano protHesse cinque 
libri al mondo sopra gii Ordini deirArchi- 
tettura , e ancora sopra le regole delia- Pro* 
spetti va: infra i cinque libri egli ne fece 
uno in fra gli altri al senrizio del Re Fran* 
Cesco nel mille cinquecento quarantadua, 
doVe io ero al servizio del detto Re. E per* 
che io m' affaUeavo volenlierì^ aiicora io 
avevo ritrovato alcune belle cose^ fra le 

3uali era un libro scritto in penna , copiato 
a uno del gran Lio nardo da Vinci* Il netto 
libro avendolo un povero gentiluomo, egli 
me lo dette per quindici scudi d^ oro. Que« 
sto libro era di tanta virtù e di tanto bel 
modo di fare^ secondo il mirabile ingegna 
del detto Lio nardo (^il quale io non credo 
mai , che maggior uomo nascesse al mondo 
di lui ) sopra le tre grandi arti Scultura \ 
Pittura e Àrchitettu]:a. £ perchè egli era 
abbondante di tanto, grandissimo ing^no, 
avenclo qualche cognizione di lettere latine 
e greche , il Re Francesco , emendo inna- 
morato gagliardissimaa>ente di quelle sue 
gran virtù ^ pigliava tanto piacere a mentirlo 
ragionare, che poche giornate deiranno si^ 
spiccava da lui; qual fumo causa di aoo 
gli dar facoltà di poter mettere in opera 
quei sua mirabili studj , fatti con tanta di- 
sciplina. Io non voglio mancare di ridire le 
parole , che io sentii dire al |%e di lui ^ le 

Jiali disse a me , presente il Cardinal di 
errara e il Cardinal di Loreno e il Be di 



ARCHITETTURA !25$ 

Navarra: disse, che nou credeva mai, che 
altro uomo fusse nato al mondo ^ che sa* 
pesse tanto quanto Lionardo^ non tanto cti 
Scultura, Pittura e Àrobitettura, quanto eh' e- 
gli era grandissimo Filosofo^ Or tornando al 
libro ^ che io ebbi, del detto Liouardo, in 
fra le altre mirabili cose , ch^ erano in su 
esso , trovai un Discorso della Prospettiva^ 
il più bello che mai fusse trorato da altro 
uomo al mondo: perchè le regole della 
Prospettiva mostrano solametite Io scortare 
della longitudine, e non quelle della lati« 
tudine e altitudine^ Il detto Liooardo aveva 
trovato le resole , e le dava ad intendere 
con tanta bella facilità e ordine, che ogni 
«omo, che le vedeva^ ne era capacissimo: 
e siccome io dico disopra, mentre che io 
servivo quel Re Francesco y essendovi il so* 

{)raddetto Bastiano Serlio , avendo lui vo- 
ontà di trar fuora questi libri di Prospet- 
tiva , mi richiese , che io gli mostrassi quel 
miral>ile piscorso del gran Lionardo da Vin« 
ci , il quale io fui contento ; e il detto ne 
messe in luce un poco, tanto quanto il suo 
ingegno potette capire j e • io , che taoto ero 
occupato nelle Opere , che io facevo al Re, 
non pensai mai, che mi avesse a venir vo* 

{;lia , o di aver comodità di potere scrivere: 
a quale , Iddio sia ringraziato , che di poi 
che io ebbi finita V opera in piazza di Sua . 
Eccellenza^ cioè Perseo, e fatto un mio Gru* 
cifisso di marmo, grande quanto il natura- 
le, sebbene ei mi fu più voile. dato inten- 
zione di mettermi in grandi opere^ noa 



^ 



jl54 CÉlJtlNI 

Tenendo poi a fine di cotal cosa , per don 
stare in ozio affatto , non avendo potato 
ayer licenza da Sua Eccellenza Illustrìssima , 
mi sono messo a scrivere questo poco del 
discorso di queste arti; in fra le quali io 
spero di questa Prospettiva mettere in lu« 
ce 9 secondo i capricci del gran Lionardo 
da Vinci , pittore eccellentissimo , cosa chd 
sarà utilisJsima al mondo; ma voglio che sia 
libro appartato da questo, perchè non vo- 
glio mescolare tante cose insieme^ e questo 
voglio che basti. Ancora non voglio man- 
care di dare grand^ animo a tutti quegli, che 
con grande studio si dilettano di operare; 
avvengachè nella fine del mio Perseo, quale 
io aveva fatto con tutte quelle maggiori di* 
scipline di studio , che per me si possette^ 
e il maggior desiderio, che io avessi al mon- 
do, e il più glorioso premio, che io ne de- 
sideravo , si era il piacere più che per me 
si poteva alia maravigliosa Scuola Fioren-j 
tina^ e trovando l' opera mia messa in mezzo 
di quel mirabile Donatello e di quel mara- 
viglioso >ficheIagnolo Buonarroti, conosciuto 
le grandissime loro virtù: non già che io 
aspettassi , che la detta Scuola mi sgraffiaisse 
il viso tanto quanto T aveva fatta airErcole 
e al Caco del Bandinello; ma sì bene aspet- 
tavo qualche punzecchiata , siccome s^ nsa 
nelle grandi Scuole, sebbene un'opera s'ac- 
costa al meglio , alla Scuola non manca mai 
che dire : imperò a me avvenne tutto il con- 
trario ; perchè non tanto i valorosi e dotti 
poeti m' empierono la basa di versi latini e 



AKCHITETTURA i55 

volgari , che ancora quei più eccellenti di 
mia professione^ scultori e pittori, scrissono 
tanto onoratamente in lode della detta ope* 
ra^ che io mi domandai satis&ttissimo lo 
averne' ri'lratto il magjgipr premio / che io 
desideravo, (i) 



t I » ^ 



> • > 
i"* ■ 



fi) Poco per altro fu Icxlato il Perseo dal BaDdl«> 
BeBo, amico acerriiao del Cellini, non meno cht 
dal poeta satin* p Alfonso de' Pazzi ^ di cui leggonsi 
n; i Terzo Libro delle Opere Burtesche del Bemi. cc; 
i seguenti versi: 

Corpo di vecchio e gamhe di fanciulla 
Sa. il nufivù Perseo^ e tutto insieme 
Ci può bello pfirer , ma non vai nulla. 



DISCORSO 



DI 



M. BENVENUTO CELLim, 

CITTADIKO FIO&EHTIHO; 
SCULTORE ECCELLENTE^ 

Sopra la differenza nata ù^a gli Scultori e 
Pittori j circa il luogo destro stato dato 
alla Pittura nelle Essequie dd gran Mi^ 
chelagnolo Bonarroti. 

Tratto dal libro intitolato : 

Orazione o s^ero Discorso di M* Giovan 
Maria Tarsia ^ fatto neU* Essequie del 
disino Michelagnolo Buonarroti, con al' 
cuni sonetti e prose latine e volgari di 
Dispersi y circa il disparere occorso tra 
gli Scultori e Pittori. In Fiorenza ap- 
presso Bartolomeo Sermartelli M DLXUU. 
in 4- (0- 

X UTTE le opere, che si veggono fatte 
dallo Iddio dt\\a Natura in cielo ed" in ter- 
ra, sono tolte di Scaltura^ e per jpoierae 



(i) Nel detto libro veramente si legge Discorso di 
M* Benvenuto Ce*\rdni\ ma questo è senza dubbio 
uno dei tanti errori di stampa, che nel medesimo sìr 
ritf ovano. Vedi le Notizie deU^ Accademia Fiorentina» 
il Negri Scrittori Fior., ed i KUratti ed E^i di 
Illustri Toscani. 



IN LODE DELLA. SCrjLTURA !^Sj 

pia presto venire alla dimostras^ione di que- 
sta arte della Scultura , lasseremo il raglo— 
nare dei cieli, e solo ragioneremo di que* 
hte cose terrestri, fatte dal medesimo Dio^ 
che fece i cieli. La più mirabìl cosa^ che 
ai vegga in questa bella macchina della Ter- 
ra^ si è r uomo; il quale fu fatto, nel moda 
che si Tede , di rilievo tutto tondo , che si 
chiama Scultura : cosi sono tutti gli animali^ 
tutte le piante e tutte T altre cose, infinite,, 
come sono i fiori, Y erbe e i frutti : ci di- 
mostra la Natura , d' aver fatto ija prima 
acerbe tutte queste co tali belle opere ^ e da 
poi per dimostrarle con più vaghezza e Ta<- 
riate V una dalF altra , ella dette loro i co^ 
lori ; e cosi si domandano sculture colorite. 
Non è da passare di non dire quei no* 
mi , che si ha preso la Scultura , che vuol 
dire scidpire veramente ; qual voce noo con- 
tiene altro che mostrare Tessere opere ton- 
de, palpabili e visibili. La Pittura non vuol 
dir altro che bugia , perchè il nome suo vera 
6Ì è il colorire , e colorire si aria a doman^ 
#]are; ma questo mirabile Uomo ha fatto una 
Jbugia si bella e sì dilettevole^ che certa- 
mente pare la verità, e sebbene questa è 
Jbugia, questa è cosa laudabilissima. Perchè 
l'è grandemente bella e grandemente dilet- 
ta ^ essendosi dilettata e compiaciuta troppa 
a sé stessa, di sòrte che (i) dagli occhi 



\ (i) Questa di sorte che è pleonastico ^ o vale a^ 
àfdi sorte, come nella Vita^ voi. a. pw 'in^. 

Celimi Bew. Voi. Ili. 17 



^58 CELI.I9I 

ignoranti ella ai è volata fare madre e pa- 
dre j solo per la ignoranza di qtiesti tali y che 
r hanno favorita. Egli è ben il vero^ che 
sono i veri pittori , come è stato Donatel- 
lo , Lionardo da Vinci ed il maraviglioso 
Michelagnolo Buonarroti , questi in voce « 
con gli loro scrìtti ancora , hanno chiarito^ 
che la Pittura non si^ altro che V ombra 
delia sua madre Scoltura : e per essere stati 
questi tre grandi uomini li maggiori scnlto- 
rì , di che ci sia notizia nei Moderni , da 
quella gran virtù della Scultura hanno tratto 
tanto bene quella bugia della Pittura, che 
mai altri uomini non si sono potuti appres- 
sare a loro y per non essersi prima fatti dot- 
tissimi nella Scultura. 

Ora si verrà a mostrare certe chiare ra- 
gioni , che una parte di esse potranno in- 
tendere quelli non professori di tali arti , e 
r altre parti intenderanno quelli pentitimi 
di tali arti 3 di sorte spero non dare loro 
campo di potere contraddire nulla. Io m^ in- 
gegnerò^ quanto sia possibile^ di essere bre- 
vissimo , avvenga che la venta dalla bugia 
troppo da se stessa, senza il mio ajuto y chia- 
ramente si difende. 

Tutte le pitture, che fanno questi vir- 
tuosissimi pittori, con grandissima sommes- 
sione le copiano clalla loro gran madre 
Scultura ; e per dar loro poi quelle mag- 
gior lode , vien detto a quelli , che le veg- 
gono; questa co tal pittura veramente pare 
di rilievo. Oh debbes^egli cercar di asao- 
xnigliarsi con tante e si grandi difficoltà a 



IN LODE DCLLA SCULTORA 250 

ttna cosa^ che sia da manco di quella^ che 
egli opera, yolendola far maggiore di ogni 
altra cosa tale ? Questa ragione sola dove- 
ria bastare; ma per non voler mancare di 
dar piacere a que* Virtuosi , che sono di di'* 
verse professioni^ ci stenderemo in più chiare 
ragioni , tal che , con questa insieme , ave- 
remo speranza di soddisfarli affatto , facen-^^ 
doli di un cotal dubbio chiarissimi e certi. 

Un pittore eccellentissimo^ siccome un 
Jbugiardo , s^ ingegna di somigliare la verità. 
Volendo , che la sua bugia sia più bella e 
più piacevole ; '-^cosi questo pittore con la 
sua mirabil virtù farà una figura con tutte 
c[aelle discipline e studj, che se le perven- 
gono, in otto giornate; e s' intende una fi- 
gura ignuda, o mavStio o femmina, che a 
fare egli si metta : a questo un eccellentis- 
fiimo scultore, simile nella sua professione 
al pittore, volendo egli fòre una figura , cioè 
nno ignudo, o mastio o femmina, volendo 
che sia ben fatto , ne porta ,. o di marmo 
o di bronzo, tino anno intero di tempo. 

Ancora si vede, che una pittura vive 
molti pochi anni^ e quella di Scultura è 
quasi eterna. 

La Pittura è solo obbligata a una sola 
veduta, e con un piccol profilo,* con gran- 
dissima facilità accresce la sua opera di 
bellezza infinita e la purga di ogni spiace- 
volezza , che potesse avvenire agli occhi de* 
riguardanti : la Scultura si comincia ancora 
ella per una sol veduta; di poi s* incomincia 
a volgere a poco a poco ^ e trovasi tanta 



a6o CELtìNI 

difEcuità in questo Tolgersi^ che quella prima 
Teduta^ che arebbe contento in gran parte 
il valente scultore^ vedutola per P altra par* 
te j sì difnostra tanto differente da quella y 

Spanto il bello dal brutto ; e cosi gU viea 
atto questa grandissima fatica con cento 
vedute o più, alle quali egli è necessitato 
a levare di quel bellissimo modo, in che 
ella si dimostrava per quella prima veduta^ 
ed accordarlo con quello altro modo brut- 
tissimo, per ingegnarsi, eh' ella faccia il manco 
male, che sia possibile, unitamente per tutti 
ì versi che la si dimostri, e dtieste sono cento 
vedute o più ; dove quelle della pittura sono 
solamente una e non più: e di questo ne 
possono essere tanto capaci i professori , 
quanto i non professori di tale arte, 

Concludiamo alla 6ne,che la Pittura sia 
veramente 1' ombra della Scultura con dili- 
genza pulita ed assettata. E se bene noi 
sapremo dire molte ed infinite cose bellis- 
sime , conosciuto che questa verità da per 
sé stessa tanto mirabilmente si difende e 
prova , per non imbrattarla lasceremo la 
fatica a quelli , che vogliono dire contro di 
lei; li quali dicono, che volendo fare un^o- 
pera di Scultura , agli scultori essere di ne^ 
cessila il farla prima in disegno* A questa 
cicalata rispondono gli scultori , che quando 
essi hanno scolpito , come valenti e sicuri 
nomini nell'arte, quello che e'voglion fare, 
pigliano per esprìmere il loro concetto terra 
o cera , e con quella più facilmente e eoa 
più brevità sì purgano delle difEcuità delle 
vedute sopraddette. 



\ • 

IN LODE DBLLA SCULTURA. ^6l 

Siccome io dico disopra, a mille loro 
false proposte io potrei rispondere, e chia- 
rirle ; ma perchè noi abbiamo tre voci di- 
verse Tuna dair altra; delle quali tre (i) io 
non mi voglio servire se non della prima, 
la quale si è il ragionare ^ cioè dar la 'ra- 
gione di quello^ che io ho voluto dire. 
L' altre due voci sono favelli/Lre e cicalare : 
r una si è dir favole *, e cicalare si è il ci-^ 
golare degli uccelli, il quale non ha tuono 
jiessuno né con nulla si accorda , sebbene 
e' non si discorda ; questo si è un mormo- 
rio, il quale sebbene non consuona^ ancora 
non dissuona: di modo che quelle sono fa* 
Tole, cioè favellare y e questo cicalare è 
una armonia di sogni. E con queste due 
armi io so, che questi difensori della Pit- 
tura , cioè della bugia , lungamente si dila- 
teranno. Prestisi fede alla verità, sotto la 
quale io mi ricopro , e con essa mi difendo* 



i/"-?-' - 1 II I I I • ìli I Hill \\ t \' I II t" ' ' I I ri ' III- •• ì II iiiini li""' ' ' 

(t) Cio^ ài queste f>*e, giusta k iklànibi^ ^itl 
tolU u|ata anch^ pieQa Yittit Y^di vqI i» pag. 2$3» 



u62 rosa» 



RISPOSTA 



DEI. LASCA. 



jL UTTE quelle ragion, ch^ accolte e sparte 
In lode avete voi della «Satura, 
Chi rettamente guarda e pon ben cura, 
Vengon dalla materia, e non dall'Arte : 

Al marmo il duro e '1 tondo , e d'ogni parte 
Le sue vedute, dona la Natura: 
Ma se cosi, come fa la Pittura, 
Va le cose imitando a parte a parte, 

Yeggìam chi meglio f più agevolmente 
L'imita tutte, e consegue il suo fine; 
£ quella ara Tonor meritamente: 

Queste son le scienze e le dottrine y 
Che la Filosofia dà finalmente 
All'anime leggiadre e pellegrine: 

Chi non vede alla fine; 

Che la Pittura è più ampia e maggiore, 

E più somiglia il ver, dando il colore? 

Ella fa lo splendore 

Del ciel , del sole , del fuoco ' e degli occhi, 

E discerne le botte dai ranocchi: 

Lasciate omai , capocchi, 

Lasciate omai questa vostra perfidia. 

E sia r onor d'Apelle , e non di Fidiiir 



POESIE. St6ì 



REPLICA 



DEI CELLINI (l). 



>••«••« 



O .oi, ch.,v.U,„„„., pendo. s..ne^ 
Parole al vento ^ a far che la Scultura 
Sie meo della sua ombra , abbiate cura^ 
Che chi non sa ^ nulla può dir delPA^rte. 

Quelli, che poco sanno, piglian parte j 
E quest ha l'Ignoranza per natura. 
Ha solo una veduta la Pittura; 
L^ altra è suggetta a più di cento parte. 

Queir opre , che si fanno agevolmente , 
Soa poco degne , perchè presto han fine^ 
L'altre han gran lode più meritamente. 

Chi pensa saper tutte le dottrine 
^È filosofo sciocco finalmente^ 
Fuor del seggio deir alme pellegrine. 

Non sa principio o fine 

Quel che non riverisce il suo maggiore 3 

Tal non discerne il cieco alcun colore , 
' E privo di splendore, 

Cosi d^ ogni giudizio ha spento gli occhi , 

Simile a talpe ^ a lombrichi, a ranocchi. 

Via, pedanti capocchi, 

Che r ignoranza ha in voi cotal perfidia : 

Poco è U saper d'Apeile a quel di Fidia, (d) 



^4 POE818 

(i) n sonetto precedente del Lasca , slampatd 
anch' esso colla Orazione del Tarsia , fa riprodotto 
fra le Rime di AntonfranceMCO Grazzini detto il 
Lasca y pubbKcate in Firenze nel 1747*9 ^^ ì^ ^^ 
annotazione al medesimo, fa inserito ancbe il se- 
l^iiente sonetto del Cellini , tratto da un esemplare 
della Orazione suddetta , appartenente al Doti. 
Anton Maria Biscioni , nel quale rìtroTasi manoscritto 
con altre poesie del Boschereccio sullo stesso argo- 
mento. -JNoi l' abbiam qui aggiunto, essendo cosa 
notissima , che il Cellini stesso chiamavasi talor per 
burla il Boschereccio , come può vedersi nella Pre- 
fazione deir Editore fiorentino dei due Trattati. 

(2) In questa lite di precedenza non sarà dis« 
caro al lettore di sentire quanto scriveva al Varchi 
il gran Buonarroti nel i546. Egli nella sua lettera 
inclinava alla prima a dar la maggioranza aOa Scul- 
tura , forse perchè in essa egli era più eccellente , 
dicendo : la Pittura mi par piti tenuta buona quanto 
pih va verso il rilievo , e il rilievo piìi tenuto cai' 
tivo guanto pih va verso la Pittura ; e però a me 
soleva parere ^ che la Scultura fosse la lanterna 
^lla Pittura y e che daW una all' altra fosse quella 
differenza , che e dal Sole alla Luna : poi si cor- 
resse, proscrivendo da grande ai^sta questa inutile 
gara eoi dire, che la Pittura e la Scultura e una 
medesitna cosa . . « e che venendo Vuna e P altra 
da una medesima intelligeniut , si pub far fare loro 
una buona pace insieme , e lasciar tante dispute , 
perchè vi va pih tempo che a far le figtare. Vedi 
Lettere Pittoriche voi. i* p. 7. 



MADRIGALESSA 

PI Antonfbangesco Grazzini y 
DETTO IL Lasca ^ 

Contro le dipinture fatte nella cupola di 
Santa Maria del Fiore da Giorno Va^ 
sari di Arezzo e da Federico Zuccheri 
di Castel S. Angiolo in Vado ^ tratta 
dalle Ilime del medesimo , ediz. del 17471 
V. i. p. :25i.; nella quale si fa onore-^ 
vale menzione del CellinL 

X\iNGRAziàTO siaU Ciel^ pur s^è yeduto 
La cupola scoperta 
Più e più giorni stare : 
£ quel tempo è venuto, 
Ch^ ognuno a suo piacere 
L^ ha potuta vedere , 
£ ben considerare^ 
£ dirne apertamente il suo parere« 
Io voglio il mio tacere 9 
Ma ben quel raccontare 
Del popoi tutto, che generalmente^ 
Torcendo il grifo , dice , che- gli pare, 
Che al mondo non si sia 
Mai fatto la maggior gagliofferia, 
£ i due pittor non resta dMngiurìare. 
Pure il secondo non si può imputare^ 
Né dee da nessun esser oiasmato , 
Sondo stato chiamato 
Queir opera a finire^* 
Che, scambio d' abbellire , 



266 90ESIB 

La cupola abbruttisce, abbassa e guasta. 

Io parlo per ver dire , 

Non per odio d'alcun , ne per disprezzo ; 

Ma ben Giorgi li d' Arezzo , 

Giorgin, Giorgin debb' essere incolpato: 

Giorgin fece il peccato, 

Che del guadagno troppo innamorato , 

O dall'invidia o dall' onor tirato, 

E come architettor poco intendente^ 

Prosontuosamente il primo è stato 

La cupola a dipingere, 

E mensole e comici ivi entro a fingere 

Senz^ ordine e misura j 

Acciocché Gialle mura 

Non cadessero in Coro 

Quelle sue figuracce d' oro in oro. 

E dopo ha per ristoro 

Quegli ottangoli guasti o rìturati 

O dipiilti o impiastrati, 

Che , sendo larghi abbasso , 

S' andavan ristringendo appoco appoco^ 

Tanto che passo passo 

Si conduceano al terminato loco , 

Che alla lanterna poi si congiugneva y 

Con tanta grazia e tal proporzione, 

Ch^ ognun 7 che. la vedeva, 

Gli occhi e '1 petto s'empieva 

Di meraviglia e di consolazione. 

Or pare alle persone., 

Sendo tanto abbassata^ 

Ch'ella sia diventata 

Un catinaccio da lavare i piedi, 

O una conca da bollir bucati. 

Dove son or quegli uomini lodati; 



FOESIB 26'J 

Che per bontà d^ ingegno 

Già primi fur nelF arte del Disegno ? 

Di quant' ira , ohimè ! di quanto sdegno 

S' accenderebber contro all'Aretino? 

O Michele immortale^ angel divino y 

Lionardo^Andrea^oPontormo^oBronzina 

O voi tutti altri degni d' ogni pregio, 

Perchè non siate or vivi? - 

Pur fra color, che son di vita privi | 

Vivo vorrei Benvenuto CeUini, 

Che senza alcun ritegno o barbazzale 

Delle cose malfatte dicea male, 

E la cupola al mondo singolare 

Non si potea di lodar mai saziare; 

E la solea chiamare^ 

Alzandola alle stelle, 

La maraviglia delle cose belle: 

Certo non capirebbe or nella pelle, 

In tal guisa dipintala veggendo; 

£ saltando e correndo e fulminando^ 

S'andrebbe querelando 

E , per tutto gridando ad alta voce , 

Giorgin d' Arezzo metterebbe in croce, 

Oggi universalmente 

Odiato dalla gente 

Quasi pubblico ladro o assassino: 

E 1 popol fiorentino 

Non sarà mai di lamentarsi stanco , 

Se forse un di non se le dà di bianco. 



/ 



a6d ' ME8IE 

SONETTO 

Dt H. Bbhvemuto CBLLim 

▲ n. Laura Battiferra 

Moglie di Bartolommeo Aramaimatì^ 

tratto dal 

Primo Libro delV Opere Toscane 

di M. Laura Battìferra de^ AmmannatL 

Firenze appresso i Giunti i56o. 

vJON quel soave canto e dolce legno 

Ne corse ardito Orfeo per la consorte ^ 
Gerber chetossi , e le tartaree porte 
S* aperser j che Platon ne lo fé' degno, 

Poi gli rendette il prezioso pegno j 

Ma d* accordo non fu seco la Morte. 
Voi , gentil Laura , quanto miglior sorte 
Aveste' al scendere al superno Regno! 

Lassù v'alzò il Petrarca, e dietro poi 
Ne venne a rivedervi in Paradiso j 
Sete scesi in un corpo ora ambidoi (i). 

Felice Orfeo, s'avea tale avviso 

Cangiar la spoglia , aria fatto qual voi, 
Gh^ amor , vita e virtù non v' è diviso. 



<i) Suppone ingegnosamente, che M. Laura 
Battiferra sia la celeberrima Laura del Petrarca re« 
diviva e resa una sola penona col Petrarca medesioia* 



\ 



POESIE ^69 



RISPOSTA 



belljl medesima^ 



tratta C0me sopra. 



V OLE88E pure il Ciel y eh' alF alto segno 
Ove giugneste voi per piane e corte 
Vie, che sono ad altrui si lunghe e torte , 
Giugnesser V ali del mio basso ingegno. 

Che^ come paurosa e debil vegno 

A dir di voi , sicura allora e forte 
Yerrei , né punto temeria di morte 
L' ultimo assalto^ cV or te^mer, ccpiyegno. 

E direi come in un. sceser fra noi 

Pirgotele e Lisippo , onde conquiso 
Fu '1 vanto ^ prisca Età , degli onor tuoi; 

E perchè 1 sacro Apollo mai diviso 

Da' più eari.non v^ebhe amici suoi; 
. Tal eh' io co^ più perfetti ip voi m^ affisa 



?7^ 



rOKSIE 



SONETTO 
Bjsi. Varchi al Gellihi 

tratto dai 
Sonetti Spirituali del Varchi ^ 
stampati in Fiorenza nel i573. 



JDentenuto il tempo è, che queste cose 
Basse lasciamo a chi dopo noi viene ^ 
E tutta ergiamo al Ciel la nostra spene: 
Restan le spine sol , colte le rose. 

II ver, che iofino a qui colui m^ ascose , 
Che i più dentro sua rete^ avvolti tiene, 
M' aperse Lui , che *n tanti strazii e pene 
Il viver nostro al suo morir prepose, 

A me , dotto Cellin , prose né carmi 

Per far del Regno Glorioso acquisto y 
A voi non gioveran bronzi né marmi. 

Pigliar la croce addosso e seguir Cristo 
Bisogna , se vorrete , od" io salvarmi : 
Pigliam dunque la croce e seguiam Cristo. 



POESIE ^7 1 



RISPOSTA 



DI M* Benvenuto Gelltki, 



Tratta come sopraé 



1 JENBDETTO ^el dì j che r alma varchi (i)^ 
Lasciando ornai la spoglia ^ di lei sazia 9 
E reverente a Dio renda ogn' or grazia 
D'essere scarca di si grevi incarchi. 

Se ben con doglia par di lei si scarchi , 
Quanto maggior, s'a Dio fusse in disgrazia. 
Saria la pena ! eh' or , del ben non sazia , 
È pur cagion, che manco uom sirammarchi. 

Vostre alte prose, vostre dolci rime^ 
Che voi fra tutti gli altri han fatto solo. 
Al Ciel per dritta via sen vanno prime; 

E voi ven gite a Dio col maggior volo^ 
Che fesse uom mai, e con più ricche stime^ 
Chiaro dalFuno infino a P altro polo. 



2^2 possn 

(f) n Vatdii fnA primo Terso àA suo toaetl» 
lia ttanipato Benvenuto in ima sola parola, e quan* 
tonqne dopo di està abbia ommessa la vìrgdb , non 
si può assicurare, che abbia voluto introdurre il 
doppio senso di Benverutio e ben venuio ;, ma il 
C Jnni in questa sua risposta si è manifestamente 
sta<fiato éi fin* entrare il nome e cognome di Se* 

significato 
parole 



- # — - -g - — — 

etimologico. Questi inopportuni giuochi 
annunàavano all'Italia la vecchiaja dell'aureo 
eolo XVL e la mÌBanta del mab^nrato XVIL 



POESIE 

TOSCME E LATINE 

SOPRA IL Perseo^ statua di bronzo^ 

E IL Crocifisso^ statua di marmo ^ 

FATTE 

I 

DA MESSER BENVENUTO CELLINI, 

Tratte dalla prima edizione dei due 

Trattati dello stesso Autore^ jatta 

in Fiorenza nel i56& 



Cellini Ben. Fol IIL i8 



5^74 POESIE. 



DI 



MESSER BENEDETTO VARCHI. 



X u, che vai, ferma 1 passo^ e ben pon mente 
Alla grand' opra , che '1 buon Mastro feo^ 
Ch^ oggi non sol Medusa , ma Perseo 
Fanno di marmo diventar la gente : 

Onde colui ^ che per ira ed ardente 
Invidia di Giunone e d^Euristeo 
In terra Caco uccise , in aria Anteo y 
Sospirar tristo e lamentar si sente } 

Ma U Pastorel , che fra si cruda e tanta 
Turba iiemica ^ in Dio sperando ^ solo 
Con pibciol sasso il gran Gigante uccise^ 

C quella casta , che tra V empio stuolo 
ÌJ orribil teschio al fier busto precise , 
D' aver degno vicin sì pregia e vanta (i). 



POESIE 2'jB 

(i) Qaesto sonetto, nel cjuale , come in molte 
altre delle poesie seguenti , si allude all' Ercole del 
Bandinello , al David del Buonarroti ed alla Giu- 
ditta di Donatello, presso cui trovasi il Per^o, fu 
stampato la prima volta tra i Sonetti del Varchi^ 
in Fiorenza presso il Torrentlno nel i555. , colle 
seguenti varietà : il primo verso dice : Sacrosanto 
Signor I chi ben pon nunte ; il terso : Oggi non 
sol ec. ; il settimo : In terra Caco vinse ec*; il 
decimo : Schiera nemica ec. ; e P ultimo: jy aver 
degnp vicin s'* allegra e v€Ma, 

Nel manoscritto Naniano poi, indicato a pag. 245. , 
trovandovisi fra molti altri &1 presente sonetto del 
Varchi col primo verso : Tu che vai , ferma il pas' 
so j ec. , il Gel lini stesso vi pose sopra una cartuc- 
cia , scrivendovi invece : Sacrosanto Signor ^ chi ben 
pon mente y ed aggiunse la seguente postilla, che 
fu copiata e a noi gentilmente comunicata dal dot- 
tissimo bibliografo Sig, Bartolommeo Gamba: Così 
dicieua il priopio sonetto di . ms. Benedetto uarchi 
pero se errato a chi mela scritto. Da questo auto- 
grafo del 041ini vedranno i lettori qual fosse vera- 
meiite l' originale dettatura ed ortogr^afia del mede- 
simo : egli , per altro conoscendosi ^ fece sempre rr-» 
vedere da qualche amico i suoi scrìtli« 



^mQ P0E3I£! 



DI 



PI MICHELAGNOLO VIVALDI 



V « 



VTiA la fera troncasti orrida testa 
Della superba Gorgonea sorella , 
E y per piet^ 4* Andromeda ^ la fella 

B^lva uccidesti ^ micidiale e infesta. 

« 

Or altra più spietata e più rubesta 

Torto ti mira /e questa parte è quella^ 
Livida, il core , assale , e con rubella 
Lingua d' aspe crudel y ti punge e infesta^ 

]3en è ragion, se le fort^armi, fide 
Di Mercurio tu porti^ e di Minerva 
Lo scudo cristallin per far tuo scbermo; 

E F un parente ^ Danae , t^ afide , 
£ Giove y V altro y ne minacci fermo 
y invida di punir gente proterva^ 



poBSit:) a^y 



DI 



M. PAOLO MINI. 



xNuovo Mìron^ che con la ciotta tnaao 
Le maraviglie antiche a^secol nostri 
Sculpìsci in bianco marmo ^ e in bronzo 

moistri 
Quanto il prisdo operar ti sia lontano 3 

Perseo e Medusa , Y un con volto umano ^ 
L' altra co' crin di venenosi mostri , 
Fan, come scrisser già più chiari inchiostri^ 
Oggi per te'l sudor di Pirra vano. 

i 

Onde T Greco non pur , non pur V Ébréd) 
Stupido r un ^ r altro sdegnoso re&ta 3 
Ma cosi bei vicin Judit ammira , 

È dice t poich^ in brons^ò ancor 1* un spità 
Valor 5 e. V altra a crudeltà pai» désta ^ 
Ben venuto è dal Ciel chi qU9stÌ fe§* 



a^S pOBSis 



DEL BRONZINO 



PITTORE ECCELLENTISSIMO (l). 



vjrioviN altier ^ che Giove in aurea pioggia 
Ti yeggia nato , alteramente ir puoi y 
£ più per gli altri e gloriosi tuoi 
Gesti , a cui faina altrui pari non pog^a; 

Ma ben pari o maggior fama s^ appoggia 
Alle tue glorie or che rinato' a noi 
Per così dotta man ti scorgi, e poi 
Sovra tal riva e 'n così ricca loggia 

Più che mai vivo ; e se tal fusti in Terra^ 
Uopo non t' era d^ altrui scudo o d' ali j 
Tal y con grazia e beltà^ valor dimostri : 

Ma deh ricuopri 1 vago a gli occhi nostri 
Volto di lei , che già n' impetra e serra^ 
Se non chi fuggirà si dolci mah? 



(i) Àguolo di Cosimo Allori* 



ro£ai& A*jQ 



DEL 



MEDESIMO. 



XiiRseA Venere bella , e lui ch^id pioggia 
D' oro cangiasti , Amor^ che tanto puoi ^ 
Chiedeva: ond' egli . aMolci preghi tuoi 
Le scese in grembo; ov' ogni grazia poggia» 

Ha com'avvìen s'a fuoco esca s' appoggia^ 
O qual di neve al sol, quaggiù fra noi 
S'accese e strusse al caldo seno, e poi 
Seco s' unio vìe pia che pietra in loggia : 

Starete , disse , ornai , Minerva , in Tèrra i 
£ fe^ d' entrambi un sol Giovin ^ ch^ all' ali 
£d al tronco Gorgon , Perseo dictiostHy 

£ quinci appar divina a gli Occhi nostri 
L'opra> ch'il bene e la bellezza setta ^ 
Suprema gloria de^ tuoi dolci miAu 



2S0 MCSIE 



DI 



M. LEUO BONSL 



»••♦••' 



JL òsciÀ che da vostr'opra, eh' ogn^ avara 
Vista 9 ogD^ alto giudizio appaga , e tanto 
Tutt^ altre vince d' eccellenza , quanto 
Degli altri avete ^oi virtù più rara. 

O di quanto '1 mar bagna e *1 sol rischiara; 
Glorioso Cellin, perpetuo vanto ^ 
Tal vien soggetto altrui^ cVio non mi vanto^ 

: Ne quei. che fama e ventate han cara. 

Pur una lode dir^.ch^al gran Perseo , 
Ond^ avran TArno e i bronzi eterna gloria^ 
Non vada^ e lungo spazio ^ al ver lontana; 

Baste che nuovo fiorentino Orfeo 
Chiara v^ abbia di lui tessuto istoria 
Più. di tutt' altre vera e più sovrana. 



POESIE. 281 



DI 

DOMENICO POGGINI 

OKEFICE E SCULTORE. 



>•#♦••< 



i^iccoHE U cìel di vaghe stelle adorno , 
Delle quai più V una delF altra splende;^ 
Con maggior forza sua virtù discende. 
A queir amico suo mortale intorno; 

E fa per lui la notte chiara e U giorno ^ 
E con r immortai alme al Ciel ascende^ 
E in sé pròpria il trasferisce ^ e rende 
Un altro spirto a far qui poi soggiorno: 

Così voi qui , Cellin , la propria stella ^ 
Che con bei rai di virtù mostrate 
Quant' abbia forza la Natura e F Arte , 

Nel grande statuar leggiadra e bella 
Opra, che Dio serbò a quest' etate; 
Ed 9^ voi serba il Ciel, la destra parte» 



^8^ POESIÈi 



DI 

MESSER PÀOLO DEL BOSSO , 
Cavalier di Rodi^ V 
Sopra la Statua del Crocifisso di marmo. 



iVliRANBO in croce affisso il Redentore 
Marmoreo vostro y e quasi al ver presente^ 
Nel primo aspetto, oon del tutto spente 
In lui pensando le virtù del cuore y . 

Subito mi fu marmo il mio di fuore, 
E '1 di dentro di lacrime un torrente y 
E gridar volli , e tacqui ; alzò la mente 
Il grido j e disse : ecco il sospiro , or muore* 

E potet' oggi sovra Apelle e Fidia , 

Cellin, dar senso a' color vostri e a^ marmi^ 
E nascete perchè non immortali ? 

Pors' avrest' anco un giorno illustre iavidia^ 
Com' a Natura , al Ciolo , e con altr' armi 
Vorresti farvi a chi T governa eguali- 



poesie; 2BÌ 



DEL VARCHI 

Sopra la medesima Statua, 

\ 

A 

MESSER BACCIO VALORI 



V ALOK , del gran C^Uin 1' alta opra vìsto^ 
Rimasi tutto d'ogDÌ senso privo; 
Ch^ io non credea , cV un marmo e morto 

e vivo 
Esser potesse ^ e si pietoso e tristo. 

Quant^ha^I saper con la natura misto, 
Tant^ ivi appare ; e meo del vero scrivo^ 
Ch'io tengo certo, e 1 mostrerò s'io vivo, 
Che tal languisse in su la croce Cristo. 

Quant' al gran Duce nostro onor s' acquista, 
Quanto s' accresce al nobil Arno gloria 
Per cosi raro arnese, anzi pur solo. 

La cui si dolce e mansueta vista 

Pregai , eh' al sacro Signor mio vittoria 
Contra l'empio donasse audace stuolo. 



^84 ^OESl£i 



DE 

STATUA AEREA PERSEI , 

IN LAUDEM ARTIFICIS. 



/ 



\fVoD ^tiipeant homines , nso occìsore 
Medusae ì 
Non est yipereum quodgerat ille caputa 
Sed manus artificìs , quae tot jam saecula 
nobis , 
Mortila quae fuerant corpora^ viva 
facit. 
Igne lutum potuit sublato animare Preme" 
theus j 
Sajoaque cum cara conjuge Deucalion : 
Persea Cellinus ; sed si qùis comparet ^ 
unus 
Hic vivit PerseuSy mortua sunt reli'- 
qua. 






FOESIE. 



285 



IN CELLINUM. 



JLjitis quicqmd erat peritiorum 
Inter artificum manum ^ MjrqniSy 
Scopae Praxitelisque Phidiaeque ^ 
Lysippi i quot et antea Juerunt 
Insignes paria yluculleoque 
^argento , osse , ebore , aere j gemma et auro 
( Quis esset meliorque , doctiorque , 
Forum ut sfatuae loquantur , hahent) 
Cellinus modo sustulisset unus , 
Uno in Inachide, yingelus nisij allo 
E caelo s^nìensy locum occupasset (i); 
Sed primo ut sit ab angelo secundus 
Plus esty quam s^eterum fuisse primum. 



{t) Midbelagnolo Buonarroti^ 



jé8 POfiUB 



IN EUNDEM. 



±BiBiACA , CelUne , mona spirare metalla 
Dum facis et vìtam das tibi perpetuami 

Persea deduois caélo y tibi Jbrsìtan inter 
Ursam et Ericfdhonium quaeris habere 
locum. 



DE EODEM. 



>••♦♦< 



Iyatura Artis erat ; sed postquam Persea 
Judit 
Cdlinus, Nat{trae Ars erit archetjrpus^ 



POESIE. 287 



IN E UN DEM. 



>«#»#•' 



l\uNc Natura parens spectahat Persea^ 
et una 

Contemplabatur Gorgona et Andromeden: 
Et summe adndrans^ et laudans singula: vieit 

'Me manus artificis^ dixit; et eruhuit. 



IN EUNDEM 



>«•♦«♦< 



JlIoc y quodcumque sndesy Persei memora^ 
bile signum 

Ereptum nostro credimus esse Polo. 
Vel sic aetemo magni sub nundne Cosmi 
. Cellini mira finxerat arte manus j 
Ut y seu materìamseu tu mirabere formarne 

Signa equidem coeli deteriora putes^ 



288 POESIE. 

IN EUNDErM. 



>••♦•*• 



Uescendens olim siiperis Cellinus ah astris 

Vidity et hoc sfisum Persea mente tiiUt; 

Quem mox cwn^ jussu Cosmi Ducis incljti, 

in arte 

Finxisset , quot sint quot fuerint superata 

Aspice ut Uh , ferum complexus , porticu 

in alta 

Fulgeat ;. et modo non se movet oc loqmtur. 

^IN EUNDEM. 



XJ-SPicis ut tor^o miratur tumine Perseum 
Alcides y truncamque comam^ sfictamque 
Medusam? 
Non sua , quod magno superarit gesta 
labore 
PerseuSy sed magno quod sint discrimim 
et arte 
Disparili caelata tuisy Fior enfia , alwnnis. 
Herculea hae^ (vereor ) post hac si ere- 
s^erit ira, 
Clava cadet , lentaque manu laxatus abibit 
Cacus, et inde malo rapiet male parta 
magistro. (i) 



(i) Si allude alle molte ricchezze stccumulate 
Aal BandiueUi autore dell' Ercole. 



289 



SOMMARIO 



DELLE COSE CONTENUTE 



IN QUESTO FOLUMÈ. 



JT.WÌSO delV Editor Milanese. pag. v 
Prefazione al due Trattati del Celtini^ 

ristampati in Firenze nel 1731. . ix 
Dedica e Proemio dei due Trattati 

suddetti , . . . , xm: 

Celliìii Benv. VoL II L 19 



«9© 



TRATfATO PRIMO. 



BELLA OREPICCRU. 



Caf. I. DelV arte del gioiellare ; della 
natura delle gioie fini , e delle pie* 
tre finte ; delle loro legature , e Jb^ 
glie; della tinta de'* diamanti: del 
modo di far lo specchietto; e di 
molte altre particolari avsfertenze 
intorno a dette gioie i 

Cap. II. DelV arte • del niellare ^ e del 

modo di fare il niello 3i 

Gap. ih DelV arte del lavorare di filo) 
del modo di fare la granaglia , e 
del saldare 3n 

Gap. IV. DelV arte dello smaltare in 
oro e in argento , e della natura 
d'alcuni smalti 44 

Gap V. DelV arte del cesellare j del ram- 
marginare j saldare j arrenare ^ ca- 
mosciare , brunire , sgraffiare , e cO' 
lorire i lavori di piastra d* oro e 
d\ argento, ........ 5S 

Gap. vi. DelV arte dtl lavorare in ra- 
vo.^. d'oro, d'argento e di rame; 
nella quale si contiene il modo di 
fare 4 suggelli de- Cardinali e rf* aU 
tri Principi. * . ^ • • . • 8i 



^ 



Gap; vii. DelVarte di lavorar di ca^^Oy 
in acciaio , le stampe delle monàe : 
doi^e si tratta del far le pile e tor- 
selli y e le madri . o punzoni per 
incavar dette stampe; e della dif. 
ficultà , che in ciò ebbero gli Jn- 
- tichi, non avendo trovato V invew- 
zione, che i Moderni hanno intor* 
no a detta arte. ...... 03 

Gap. vili. Del modo, che tennero gli 

antichi artefici nel far le stampe 

.delle medaglie ; di quello , che 

. ^frat moderni s*usa; e come si fhc^ 

ciano i trasselli di dette medaglie. loi 

Gap. IX. Del modo di stampare le me^ 
daglie a conio ; e delle misure delle 
staffe e de* conj. . . • . • . 106 

Gap. X. Dello stampare le meda^ie a 
vite; de* masti, delle chiocciole ^ 
e de^ pani di esse vite. . . . • ioa 

Gap. XI. DelV arte di lavorare di gros- 

seria, d'oro e d argento y figure 

e vasi; e del modo di fondere a 

• vento y a mortaio, e a tazza; e del 

far le staffe da gettar le piastre 

d^ detti metalli .111 

Gap. XII. Del modo di tirar vasellami, 
d'oro e et argento ; e de^ varj modi 
di formare e gettare i manichi e 
piedi loro. Del rasoio da rader 
le piastre; del raderle e batterle; 
e della forma de' ceselli di ferro y 
ancudine y e caccianfuorL . . • 116 



7g2 

Caf. XIII. Delle figure j che si fcàmo 
^ argento j maggiori del nafyiraiey 
delle loro far me ^ saldature y e bian- 
chimenti I3Q 

Gap. XIV. Seguitano alcune cose atte- 
nenti (die dette arti dell' Orefice- 
ria; e prima del modo d accon- 
ciar V oro da dorare ^ e del modo 

. che si tiene nel dorare i38 

Gap. XV. Per far colori per colorire 

do\'e sarà dorato i/^\ 

Gap. XVI. Per fare un altra sorte di 

colore per colorire V opere dorate. i\Z 

Gap* XVII. ler fare un colore per le 
dorature y che sieno abbondante^ 
mente cariche d'oro] e per far cera 
per dorare i44 

Gap. xviii. Modo di fare un altro co^ 

lore per colorire il dorato. . . i45 

Gap. XIX. Modo di fare un colore alle 

dorature diverso dai sopraddetti. . i^Q 

Gap. XX. // modo^ che si dcbbe tenere ^ 
volendo lasciar bianco Inargento in 
alcuni luòghi 147 

Gap. XXI. Modo fiwilissimo e bellissi^- 
mo per fare acqua da intagUaj*e 
le piastre di rame^ invece di far 
col bulino. '. . ... . . . .148 

Gap. XXII. Per far acqua da partire. 149 

Gap. xxiii. Per fare il cimento reale. i5o 



2qZ 



TRATTATO SECONDO. 



DELLA SCULTURA. 



Gap. Ir Z)e^ \>arj modi di far le statue • 
di terra per gettarle di bronzo ^ 
delle loro camice di cera^ toniche 
€ coperture distagniM>lo ; del prepa^ 
rare la terra , di che prima si fanno 
dette statue j e qual sia più a prò- 
posilo; rfd' caw di gesso $ dell' ar*- 
madure di ferro ; degli sfiatatoi; e 
del modo di cuocere le forme. . 1 53 

Gap. m. Del modo di metter le forme 
nella fossa ^ e delle misure di essa 
fossa; del porre gli sfiatatoi ^ e del 
riempiere la detta fòssa ; del por 
le spine; del murare il canale; 
delle diligerne da usarsi in prepa- 
rare il bronzo) e del riparare a 
diversi decidenti, che in simili casi 
possono intervenire 17:2 

Gap. hl Delle fornaci da gettar bron^ 
ziy e loro parti e misure; delle 
- qualità delle terre da murarle e 
intonacarle) e del modo di strug- 
gere il bronzo i83 

Gap, IV. Della qualità di diversi mar- 
mi atti a fare statue; del fare i 
modelli di terra; e del rnodo^ die 



si aebbe tenere per entrare a la- 
trare co' /erri né detti marmi. 192 

Cip. V. /?rf modo di condurre i oolos-- 
si; e del ricrescere i modelli da 
braccia piccole a braccia grandi y 
per mezzo di una nuova regola. . 202 

Gap. vi. Breve discorso intorno all'ir- 
te del Disegno y dove si conclude y 
che la scultura prevaglia alla Pìt" 
tura; e che migliori Architetd di* 
verranno quelli y che più perfetti 
Siultori saranne. .*..... 209 



Frammento di un Discorso di Benvenur- 
to CelUni sopra iprincipj e 7 modo 
d'imparare VArte del Ùisegno • ^19 



LetterCy Discorsi, e poesie di Benvenu- 
to CelUni. '. 33i 



Poesie Toscane e Latine sopra U Per- 
seo e il Crocifisso di Benvenutù 
Cellim. . • . \ . • i . 27J 



09^ 

OPERE 



DI 

BENVENUTO CELLINI 

CHE SI TROYilNO RACCOLTE 
m QUESTI TUE VOLUMI. 



La lettera A. B. C. indicano il primo ^ 

secondo e terzo volume^ 

ed i numeri le facce delle carte. 



PROSE, 

propria Vita . . • A. B, 

Bicòrdo intorno al tnodoy con 
cuiju scritta la suddetta ope- 
ra ....... A. xxviu 

Bicordo^ intomo ai due Irai- 
tati C. XVII 

Altri Bicordi B, 489 C xu »xi 



ogd 



Dedica e Proemio ai due Tratr 
tati sopra VOr^ceria e la 
Scultura C. 

Trattato sopra F Oreficeria C i 

Trattato sopra la Scultura C. i53 

Frammento di un discorso sopra 
i principi e il modo d impa- 
rare Urte del Disegno. C 319 

Luterà a Benedetto P'arcfd inr 
tomo alla meda^Ua da farsi 
al Bembo (i536) . . C. a33 

Frcmmento di lettera a Luca 
Martini sull'argomento sud- 
detto (i536) .... >f. 341 

Lettera a Benedetto Varchi so- 
pra la preminenza della Scul- 
tura sulla Pittura ( 1 546) C. :iZ6 

Lettera a N. N. intomo al prez- 
zo da farsi alla statua del 
Perseo (1S46; . . . . C. 2^1: 

Lettera a Benedetto Marchi in-* 
tomo alla propria Vita da 
lui medesimo scritta {i5Sq) A. xxy 

Lettera allo stesso^ perone gli 
faccia uno epitaffio pel suo 
figlio Giovanni (i563) . C a43 

Lettera al Principe D. France- 
SCO de Mediciy offerendoci i 
suoi due Trattati (i565) . C. xxv 

Discorso sopra t Architettura C. 34^ 

Discorso sopra la preminenza 
della Incultura sulla Pittu- 
ra C. 256 



297 



POESIE 



Sonetto^ che serve di Proemio 

alla Vita A. xxtii 

Sonetto al Castellano di Ca- 

stel S. Angelo . . . . J. 439 
Sonetto al Lasca sulla premi- 

nenza della Scultura sopra la 

Pittura C. 263 

Sonetto in lode di Laura Bat- 

ti/erra ...... C. 26S 

Sonetto Spirituale al Marchi. C. 37 1 
Capitolo a Luca Martini in lode 

della Prigione . A. i^2Ò 43 2 44? 

45ii . ...... B. I 

Epitaffio a suo figlio Gios^an^ 

ni C. 344 



Scritti del Céllini tuttora inedi-- 
ti . . . C. XVII. XXXVI. a xLn 



MANOSCRITTI 



DELLA VITA 



91 



BENVENUTO CELLINI 



MS. autografò y siato in mano 
al f^archi. d. xxv. xxvia. C xv 

MS, di Lorenzo Maria Capala 
canti e poi di Francesco Re- 
di^ citato nel f^ocabolario deh 
la Crusca. . 4. XiX. xjl C. xit 

MS. di Andrea e poi di Ales^ 
Sandro Cavalcanti , diverso 
dal precedente , stato in ma- 
no al Baldinucd . B. 85 C. xr 

MS. della Libreria Medicea Pa* 
latina j cioè del Palazzo Grafu 
ducale di Firenze, il quale 
ora sta nella Biblioteca Leo- 
poldina Laurenziana . . C. xf 

MS. della Maglia bechiana di 
Firenze . . A. xx. xxvui. 5u3 



Edizioni sHirie della d'tta Vi-' 
ta A. XIX. XX. XXI 



^99 

MANOSCRITTI 

t>EI DUE TRATTATI 

DI 

BENVENUTO CELLINI. 



MS. originale ^à posseduto da 
Antonio Magliaoechi. C. xx. xxi 

MS. della Biblioteca Naniana 
ed ora della Marciana di p^e- 
nezia C. xzii 



n 



Edizioni varie dei detti Trat^ 
tati ....... C. V 



36o 



OPERE 



D'OREFICERIA b SCULTURA 

DI 

BENVENUTO CELLINI 

Delle quali si parla in questi tre volumi ^ 

colla indicazione del tempo e del luogo 

in cui Jurono fotte. 






iSiQ. loerrame di una cintura da uo 
mo, d* argento j con puttini, 
maschere e fogliami di basso 
rilievo. In Firenze . . y/. 34 
Saliera cf argento ^ ritratta dal 
Cassonetto di porfido , che sta 
dinanzi alla porta della Ro- 
tonda di Roma , con ma*- 
schere ec. In Roma . . -^. 3 7 

l5aa. Chiavacuore, j cioè cintura da 
donna d* argento y largo tre 
diia^ di mezzo rilievo con 



3oi 
qualche figura tónda. In Fi-- 

renze À» J^o 

1624. Candellieri pel P^escow di Sala- 
manca. In Roma . . . ^. 5i 

GiojeUo di diamoììti , in forma 
di giglio^ con mascherine^ put- 
tiniy animali e smalto , fatto 
per Madonna Porzia Chigi. In 
Roma ... . . . À. 54 

Acquereccia , o Vaso grande da 
acqua ^ in. forma d^uovo, di 
argento ^ fatto sul disegno di 
/ Glo. Francesco Penni al Ve- 

scovo di Salamanca. In Ro- 
ma , . . ... -^. 61 C. 118 

Altro s^aso maggiore ^ della sud- 
detta forma ^ pél Card* Inno- 
cenzo Cibò. In Roma. A *^Z C. 1 id 

Medaglia d^ oro^ da portarsi ntl 
cappello y rappresentante Le- 
da col Cigno , fatta per Ga- 
briello CesarinL In Roma. A. «^4 

Suggelli Cardinalizii fatti a ga- 
ra con Lautizio Perugino, In 
Roma ...... A, ^S 

Due vasetti bizzarri , diversi Tu- 
• no daW altro, et argento ^ fatti 
per Giacopo Berengario da 
Carpi. In Roma . A. 86 B. 36 

Anelletti df^acdajo, intagliati e 
commessi d*oro . . . A. 101 

Medagliette d^orOy scolpite ^ da 
portarsi nella berretta . A. 122 



302 

1537. R^^^iàrio pel Sangue di Cristo, 

fatto in Mantova . . . A. i^i 
Sudilo pontificale pel Cardi- . 
naie Ercole Gonzaga. In Man^ 
tosHt . . . . A. \^^ ,C. 83 91 
i5a8. Medaglia d^oro, da portare nel 
cappello, rappresentante Er- 
cole che sbarra la bocca al 
Lione y fatta per Girolamo 
Mazzetti,, o Mar retta, Sanese. - 
In Firenze . ..A,. i^S C. 62 
Medaglia cesellata di piastra, 
t con cristallo , ìàpislazzuli e ^ 
ìnoito, rappresentante Atlante 
cól mondo addosso, fiuta per 
.Federica Ginori in Firenze, 
£ quindi^portata da Ltdgi Ala- 
manni ah' Re Francesco I. 
,' in Francia k A. i^g i58 C. 64 
a 67. 
i53o. Battone del Pisciale del Papa, 
itorp, con gioie, e sculture 
cesellate. In Monta. A. i53 a i63' 
173 183.184 ^^ 3^6 3^^ G. xtvi 
. 67 A 75 
Monete di Papa Clemente VII, 
V una col motto £cce Homo , 
r altra coi ritratti del Papa 
e dell] Imperatore , che alzano 
la Croce. In Roma, A. i63. B. i63 
Cxxvii. 93 100 io4- 
Ferro chirurgico per Giacomo 

BasteUi.. In Roma . • A. iQ^ 
Moneta di Papa Clemente VIL 



3o3 
eoi motto Quare Dubitasti? 
In Roma . . . . . /^. i^i 
Disegno y modello y e parte d^un 
calice per Papa Clemente VII, 
In Roma. . . A. 196 a aaa 320 

i533. Disegno di ornamenti per un cor- 
no di Liocorno j da donarsi 
da Clemente VII al Re Fran- 
cesco I. In Roma . • y/. aio 

i534. Medaglia rappresentante la testa 
di Clemente f\JL , con un n> 
svescio rappresentante la pace. 
In Roma . . A. aaS a3i a47 
, Medc^lia colla testa suddetta e 
col rovescio rappresentante 
Mosè quando percuote la pie- 
tra. In Roma . . .■ . A. 2S1 

l535. Monete per Papa Paolo III. col- 
la testa di S. Paolo ^ e col , 
i770^/o Yas Electionis. In Ro- 
ma ....... A. a6i 

^- Conj per le monete del Duca 

Alessandro de* Medici ^ cioè 
la testa d'I Duca ricciuta , S. 
Cosimo e S. Damiano ^ una 
Croce contornata da piccioli 
Cherubini y Varme de* Medici 
per lo Scudo doro e il Bari- 
le y la stessa pia piccola e la 
testa di S. Giovanni j in fac- 
cia ^^ pel Mezzo Giulio y e S. 
Giovanni intero pel Barile. In 
Firenze. A. d@o ^^.44^ ^* ^^vn 94 



3o4 

i536. Bitratto del Duca Alessandro 
« suddetto^ in cera ed in accia- 
iOy per farne una medaglia. 
In Firenze, . A, 282 285 3ia 

Croce d oro , con figure alte un 
palmo j rappresentanti la FedCy 
la Speranza e la Carità, ed 
altri ornamenti^ modellata in 
-cera^ ma non eseguita. In So- 
ma. A. 320 B. 44' ^' XXVI. ij 

Coperta d' oro per un uffiziolo 
della Madonna regalato da 
Paolo III. a Carlo V. in Ho- 
ma. Ivi .' . A. 322 333 C. 18 

Anello per Papa Paolo III. , 
e tinta data al diamante di 
esso , stato regalato da Car- 
lo V. in Roma. Ivi. A. 323 326 
a 33i C. 18 24. 
1537. Ritratto del Bembo in imo sca- 
tolino di stucchi bianchi ^ per 
fiirne una medaglia. In Pa- 
dova . . A. 3^1 C. XXI. xzxiv 

Rovescio della suddetta meda- 
glia rappresentante il Cavai 
Pegaso in mezzo ad una ghir- 
landa di mirto . . . A. Z^it 

Bacino, e boccale o vaso ova* 
to, d^ argento, dorati, pel Card. 
Ippolito da Este, dati poi al 
Re Francesco I. A. 387 363 38 1 
B. IO 27 37 40 58 64. 
1539. Disegno fiato con un carbone so- 
vra un marmo della prigione 



3o5 
di. Castel S. angelo , rappre- 
sentante Dio Padre adorno 
di jàngeli, ed un Cristo resu^ 
scitante . . . . A. ^2q /^'ii 

Disegno e scultura d'una visiO'- 
ne y pure in prigione - • A, J^^o 
i54o\ Suggello pontijicale del Cardina- 
le d^Este, Arcis^escovo di Mi- 
lano ^ con due storieite inta-» 
gliate. In Roma . B. ii C. 82 

Saliera Jtoro^ ricchissima, con 

bellissime intenzioni, ordinata 

dal Cardinale suddetto ^ e poi 

fatta pel Re Francesco I. 

^. Il 65 71 80 i3o ec. C. 78 79 

Medaglia , in un tondo di pietra 
nera , col ritratto della testa 
del Duca di Ferrara^, Erco- 
le II. , e col rovescio rcmpre- 
sentante la Pace. In Ferra- 
ra B. 3o 

Benvenuto y avendo avuto l'or- 
dine dal Re Francesco L di /ti- 
re d^ argento le statue di sei 
Dei e di sei Dee, dell' altezza 
di tre braccia ciascuna, fece 
in cera i modelli, di due terzi 
di braccio, delle statue di Gio- 
ve. Giunone, Apollo e Vul- 
cano. In Parigi . B. ^g C. i5j[ 

Modelli di terra, in grande y 
delle statue suddette di Giove, 
P^ulcano e Marte. Ivi* . B. 58 
Benv. Cellini Foh HI. 30 



3o6 



Statua suddetta di Giove , d' ar^ 
gerito. In Parigi B. 5o 58 Sq 8o 
i3o i32 i38 143 lifia i54 C. i35 

Vaso d' argento , alto un brac- 
cio e mezzo j con due mani- 
chi j con motti piacevolissimi 
e assai figure. Ivi. -B. 7 1 80 1 33 
i38 iSg. 

Busto di Giulio Cesare^ grande 
più del naturale, gettato in 
bronzo. Ivi. . . . B. rjZ 80 

Busto di una bellissima fanciul-- 
la, gettato in bronzo. Ivi. B. ^S 80 

Base della detta statua di Giosuè 
(f argento, gettatadi bronzo, do^ 
rata, con bassi rilievi rappre- 
sentanti il Ratto di Ganimede 
e Leda, col Cigno. Ivi. B. 80 i48 

Base per la statua di Giunone , 
gettata di bronzo. Ivi. . B. 80 

Figurette d'oro, di mezzo brac- 
cio. Ivi. ...... C. i5i 

Vasetto d'argento, dorato , fat- 
to per donarsi a Madama 
itEstampes, e poi dal Cellini 
donato al Card. Giovanni di 
Lorena. Ivi. . . . B. 80 a q^ 

Modelli di ornamenti di bronzo 
per la porta del Palazzo di 
Fontainebleau. Ivi. B. 84 « 90 

Modello di un Marte colossa- 
le , per una Fontana di Fon'* 
tainebleau. Ivi. . . j?. 84 85 



3o7 

90^93102131^29130 143 i54 

166 &. 2o3^ 208. 
1 544 Ornamenti di bronzo^ per la por- 
ta suddetta^ giusta i suddetti 
modelli. In Parigi. B. i3o i36 i38 
i56 169 161 C. i56 a iGi. 
i545 Due F'asi d argento. In Pari- 

giB. i59 170 172 173 176 C 117 

Modello dMa statua di Perseo ^ 
alto un braccio in circa, di 
cera gialla. In Firenze . ^191 
a 193. 

Modello della statua suddetta, 
in grande , di terra coli' ul- 
tima pelle di cera, perfarn^ la 
formfl. In Firenze . B. 199 2o5 
268 274* 

Modello j di terra j della Medu- 
sa, per la statua suddetta. In 
Firenze \ B. 206 220 

J^asetto d'oro, per bes^er acqua, 
tutto las^rato di basso riliè- 
vo, per la Duchessa Eleonora 
. moglie di Cosimo /. d3^ Medi- 
ci. In Firenze. . . 5. 209 236 

Cintura d'oro, con gioje, ma- 
scherette ec, per la Duchessa 
suddetta. In Firenze. B. 209 236 

Ritratto del Duca Cosimo I, in 
un busto di terra. In Firen- 
ze ........ B. 209 

1 546. Ritratto suddetto, in bronzo^ man- t 
dato all'Elba. In Firenze. B. 2Ìi 
232 269 49^* 



3o8 



«) 



Figura di Medusa y gettata in 
bronzo col modello di terra 
suddetto. In Firenze. B. aSa ^33 
24S a68 370. 

Pendente , o giojello da porsi al 
petto , con un gran diamante^ 
per la Duchessa suddetta, 
stato poi rijutto da altro ore* 
fice. In Firenze. . . B. ^36 340 

Vasetti Jt oro , cesellati , con 
istorie di figurine di basso ri- 
lies^o. In Firenze. . . . B. ni^i 

Disegni di s^asi pel Duca Cosi- 
mo I. In Firenze. . . B. ^43 

Vasetti et argento , piccoli come 
pentolini di due quattrini di 
valore, con mascherine, al- 
V antica , per la Duchessa 
Eleonora. In Firenze . . B. ^44 

anello con un diamantino, con 
quattro puttini tondi y quattro 
mascherine j e frutte e legatu* 
rine smaltate y per la Duches- 
sa Eleonora y e poi \ da essa 
mandato al Re Filippo II. 
In Firenze . . . B. 249 aSo 

Ganimede antico, di marmo y 
restaurato pel Duca Cosimo I. 
In Firenze . B. aSa 265 369 497 

/[pollo e Giacinto , gruppo di 
marmo. In Firenze . . B. 265 

Narciso, di marmo • In Firen- 
ze Zf. a65 

Forma della statua del Perseo^ 



3og 
sul modello di terra e cera 
sovra nominato. In Firenze. B. 274 
a 277 280 285 286. 

Statua di bronzò , rappresentan- 
te Perseo colla testa di Me- 
dusa. In Firenze . B. 288 a 291 
3oi 3o3 321 323 33o 332 a 33g 
345 363 391 4^7 49^- ^' XXVII* 

^ a XXXII. i55 161 173 179 180 ec. 

Ritratto di Bindo d* Antonio 
Altovitiy in un busto di bron- 
zo. In Firenze, B. 292 293 agS 
296 3oo 3o2 3o7 309. 
1554 Fortificazioni della Porta al Pra- 
to^ in Firenze, B. 'il ^ 3i6 a 320 

Fortificazioni della Porticciuola 
d Arno, in Firenze. B. 3i4 3 16 

319 320. 

Statuette di bronzo^ antiche, tra- 
vate nel Contado di Arezzo, 
restaurate. In Firenze. B^Z:iii 32$ 
326. 

Figurette, in bronzo, di Giove, 
Mercurio, Minerva, e Danae 
col bambino Perseo in brac- 
cio, commesse nella base del 
Perseo. In Firenze j8. 327 a 329 

Modelli dei Pergami di S. Ma- 
ria del Fiore. In Firenze. B. 369 
370 
iSSc). Modellettì di una statua colossa- 
le di Nettuno, da farsi in 
marmo per una fontana neU 



3i0 

la Piazza Ducale. In Firen- 
ze B. 377 a 280 396 4i2 426 5oa 
C. xxti. 
Crocifisso di marmo bianco so- 
s^ra una Croce di mmrmo ne- 
ro. In Firenze. B. 378 879 384 367 

423 4^4 4?^ 47*' ^- xxviii. 
a xxxiii. 1^7 282 283. 
\ 56o. Modello di terrà in grande y deU 
la statua di NtUuno suddet- 
ta. In Firenze. B. 38 1 390 391 3g4 

a 399 4o5 408 409 4^< 4^^ 4^^ 

471. 



Opera d* oro con tre figurine 
rappresentanti la Fede, Spe- 
ranza e Carità y con tre pat- 
tini ^ un cane, un festone e 
tre medaglini d*oro, probabil- 
mente la stessa, della quale 
parlasi nel sfolume primo a 
carie 196 e 32o. . . . B. 44^ 

Adamo ed Eva in hassorilies^o 

di cera . . . B. 49^ ^' *^^"' 
Modellino di un Ercole, che 

soffoca Anteo . . . . B. Sai 
Altro modello di Ercole , in ce- 
ra, ma^iore del predetto. B. 5oi 
Opere e modelli, che trovaronsi 
nella bottega e casa del Cel- 
lini alla sua morte. . * C. Xhui 



3ii 



^ VIAGGI 

DI 

BENVENUTO CELLINI, 

De' (juaU egli parla nella sua Fita. 



i5i6. JDcL Firenze a Siena , Jii^endo 
dal padre; e di nuovo essen- 
do statù confinato per sei me* 
si a motisfo (Tirna rissa. A. 19 
Da Siena a- Firenze, avendo ot" 
tenuta la grazia per mezzo del 
Card. Giulio de Medici .A. 2 a 
Da Firenze a Bologna , per im- 

pararvi la Musica . . A. ao 
Da Bologna y dopo sei mesi a 
Firenze A. 21 

i5x7» Da Firenze, facendo dal padre 
per andare a Roma, va a 
Lucca e a Pisa . . . A. 26 

2S18. Da Pisaj dopo un anno ^ a Fi" 

rénze A. ' :k5 

i5ig. DfL Firenze, fuggendo dal padre. 



3l2 

va a piedi a Siena ^ e quindi 

a cavallo a Roma , . A. 34 

1622. Da Romaydppq due onni^aFi* 

renze A. J^o 

1 533 . /?<! Firenze , fu^ndo per una 
ferita data, va a Siena e 
quindi a R<ma. . . . A. So 

1S27. Da Roma a Firenze^ ove ricom- 
pera il bando . . . A. iJ^o 
Da Firenze a Mantova A. i\i 

iS^S. Da Mantova a Governo e a Fi- 
renze ^.144 

i53o. Da Firenze a Roma, chiamato- 
vi da Clemente VII. . A. i5a^ 

i533. Da Roma, per paura di avere 
commesso un omicidio , a Pa^ 
lombara , a Monte Casini e 

a Napoli ^.328 

Da Napoli alla Selciata^ ad Ada- 
nanni e a Roma . . . A. 244 

i535. Da Roma, per paura di essere 

castigato della uccisione di 

Pompeo orefice y a Firenze A. 266 

Da Firenze a Bologna e Fer- 

raruy e quindi per acqua a 

Venezia A. 269 

Da Venezia a Firenze ^276 

Da Firenze con un salvocon- 

dotto di Paolo III. a Roma A. 287 
Da Roma a Firenze , per rista- 
bilirsi in salute . . . A. 3o6 

i536. Da Firenze a Roma^per ischiva^ 
re le calunnie del Vasari e di 
Ottaviano de' Medici . *^. 3i2 



3i3 
1537. Da Bonuty per essere malconten" 
io di Paolo III., a Firenze, 
Bologna, Venezia e Padova 
in casa del Bembo . . A. SSq 

Da Padova ai Grigionij a Wal- 
lentstadty a Lachen , a Zuri- 
go, a Soletta, a Losanna , a 
Ginevra^ a Lione , alla Pa- 
lice^ a Parigi, a Fontaine- 
Ibleau . . . . A. 344 a 356 

Da Fontainehleau a Lione^ col 
traino del Re Francesco I. A. 356 

Da Lione^per essere il Re oc- 
cupato nella guerra^ e per es- 
sere Benvenuto alquanto antr- 
malato^ viene pel Sempione 
e la Faldivedro a Ferrara^ 
a S. Maria di Loreto e a 
Roma . . . .A. 667 a 362 
iSSg. Da Roma, essendo stato libera- 
to dalla prigione, va a Ta^- 
gliacozzo a prendervi il lavo- 
rante .A Scanio .... 5. g 
i64o. Da Roma, recandosi a servir 
Francesco I. va a Monterò- 
si, Viterbo^ Comollia^ Stag- 
gia , Firenze , Ferrara . B. 17 

Da Ferrara pel Monte Cenisio 
a Lione, a Parigi e a Fon- 
tainebleau . . . . . B. 3g 

Da Fontainebleau , dietro alla 
Corte , nel Delfinato ec. , e 
poi a Parigi . . . B. 4^ ^9 



3i4 

Da Parigi a S. Germain-^n- 

Laye ^. 94 a g6 

Da Parigi a Fontainebleau. B. lai 

a 126. 

Da Parigi a Fontainebleau. B. 148 

a i54- 

1 545. Da Parigi ad argentari. B.' 1 70 a 1^3 
Da Parigi a Lione, a Piacen- 
za, a Firenze e al Poggio a 
Cajano . . . . B. 178 a 186 

1 546. Da Firenze a Ferrara e f^ene- 

zia B. 224 a 23o 

Da Firenze a Fiesole . . B. 246 
i5S2* Da Firenze a Pisa . . B. ago 
Da Firenze a Boma. B. 294 a 3oo 
1554. Da Firenze, in pellegrinaggio^ a 
f^allombrosa y a Camaldoli^ 
all'Eremo, a S, Maria delle 
Grazie, a Bagno, a S. Fran- 
cesco d^Alverma . . . B. 345 
1S60. Da Firenze a Vicchio . B. 399 
Da Firenze a Trespiano e di 
nuovo a Vicchio^ . . . B. 399 
1562. Da Firei^ze a Li\>omo* fi. 4^4 ^. 4 * 7 
i56a Da Firenze a Pisa . . B. 4^2 



3i5 



QUESTIONI, ZUFFE 



E FATTI d'arme 



DI 

BENVENUTO GELLINI. 



i5i6. jLtissa in di/èsa del fratello. In 

Firenze ^ ^/. 19 

1 5 32. Fiere minacce contro il Firenzuo- 
la , ore/ice , perchè lo pagas- 
se. In Boma . . . . j4. 3q 

iS 23. Hisse coi Guasconti ^ orefici. In 

Firenze J. /^i a 4? 

1524. Grande contesa col Vescovo di 
Salamanca j e rissa coi ser^ 
mtori del medesimo. In Ro- 
ma .... - y^. 68 £« 74 
Bissa e duello con un soldato di 
Benzo da Ceri. In fioma. A. 76 
a 78, 



3i6 

Zuffi terribile con Luigi Pulci 

ed altru In Roma. 4. 108 a 114 
1627. Uccisore del Contestabile di Bor^ 
bone e di altri Imperiali, dal- 
le mura di Campo Santo, in 
Roma ^. 118 

Minacce ardite contro varj Car- 
dinali , e particolarmente con- 
tro i servi del Cardinal Far- 
nese , ed il Sig. Orazio Baio- 
ni. In Castel S. Jngelo. A. ia6 
a 128. 

Uccisione di molti Imperiali, e 

. specialmente diun Colonnello, 
tagliato in due pezzi, dal Ca- 
stel S. Angelo. A. 129 a 182 i38 

Archibusata data al Principe 
dOranges^ dal Castel S. An^ 
gelo A. i36 374 

Archibusata data Gio. Barto- 
lommeo di Gattinara, Mini-- 
stro Imperiale, dal Castel S. 

Angelo A. 474 

1 53o. Fiife questioni con Michele , in- 
tagliatore di corniole, e con 
Pompeo, gioielliere milanese. 
In Roma A. i5g 

Rissa colla Corte del Bargello, ed 
uccisione di un Caporale di 
essa. In Roma . . -^ 176 182 
i532. Contesa col Card. Saziati per 
un ealice di Clemente VIL 
In Roma . . . A. ;aoa a qo5 



3i7 

Contesa ccn Clemente VII. pél 
calice suddetto. In Roma. A. 2o3 
a 232. 
i534 Questióne con Ser Benedetto , 
Notajo fiorentino y malamen- 
te ferito dal Cellini. In Ro- 
wa ...... -^. 233 246 

Zuffa con molti assassini di stra* 
da, alla Selciata presso Na- 
poli • . A. 244 

]^issa con Pompeo ^ gioielliere ^ 
ed uccisione di esso. In Ro- 
ma A. 25i 255 

1435. Contesa con un sicario di Pier 

Luigi Farnese. In Roma. A. 263 

Contese e zuffe co* Fuorusciti 
fiorentini in Ferrara ed al 
Po ...... A. 270 273 

Vile vendetta contro un oste in 
vicinanza: di Chioggia . A. 2']6 

Resistenza alla Corte del Bar- 
gello, in Roma ... A. 290 
\^Z^. Busse ad A Scanio y suo lasforan- 
te, e fiere minacce contro il 
medesimo y perchè ritornasse 
a servirlo. In Roma. A. 335 338 

Minacce ai compagni di i^iaggio 
ed a* bàrcaruoli sul lago di 
fVessen .A. 348 

Zuffa con una banda di ventu- 
rieri y alla Palice, fra Lione 
e Parigi . \ . . . A. 353 

Minacce ad una Guida indiscre-^ 



\ 



3iS 

ta di yàUUvedrOj presso il 

monte Sempione . . . A. 36o 

i538. Contese ardite con quelli che lo 

esaminarono in Castel S. ^/i- 

gelOyOverapri^one. A.Z60 a ZqS 

Viva disputa con Frate Pallavi- 
cini, compagno di pri^onia 
in Castel S. Angelo . .A. 879 

Aspre parole con Giovanni da 
Prato y che lo serviva in Ca- 
stel S. Angelo •, . . .A. 44? 
i54o. Zu^ col Maestro delle Poste 
di Comollia, presso Siena ^ 
rimasto ucciso da Benvenu- 
to . . • . . . B. ig a ^3 

Contesa con Alberto Bendidio^ 
in Ferrara . . B. 3i a 34 

Contesa col Card. d'EstCy per la 
scarsa provvisione per lui pro- 
posta al Re Francesco I. In 
un castello del Velfinato. B. 4^ 

Fiere minacce al Sig. di Mar- 
magne. Jn Parigi . . A 56 $7 

Zt^^ y di notte , contro quattro 
ossassinL In Parigi. B. 68 a 71 

Violenta espulsione dal palazzo 
del Pieciol Nello di un Mae- 
stro di Salnitri , e di un altro 
in alloggiato. In Parigi. B. 100 
a 103. 

Idte col secondo dei suddetti, ter^ 
minata da Benvenuto col fe- 
rire di nòtte gli avversar/ In 
Parigi^» • . . iP. 104 (t 108 



Minacce ebassealsuo lai^oran^ 

te Paolo Miccerij alla concu- 

4 bimi, Caterina , ed alla madre 

di essa. In Parigi, B. ii3 a ii5 

Ardita comparinone e difesa da- 
vanti al luogotenente CrimU 
naie del Re. Ivi. . B. ii6 a lao 

Aspre lagnanze e minacce con- 
tro del Primaticcio , perchè 
gli ai^esse usurpate alcune ope- 

. re a lui prima commesse. In 
Fontaineoleau, B. ÌH2 a 126 139 

Vendette e violenze orribili con- 
tro Paolo Micceriy e la Ca- 
terina sunnominata. In Pari- 
gi . B. 126 a i3o 

Violenze contro uno stillatore di 
acque odorifere, per iscacciar^ 
lo dal Picciol JVellOy ove di- 

i morava . per favore di Mada- 
ma dUEstampes. ' In Parigi B. 1 47 

Viva questione con Pier Fran- 
cesco de^ Ricci, Majordomo 
del Duca Cosimo I. In Firen- 
ze . é . . . B. aoQ a 204 

Disputa col Duca Cosimo /• in- 
torno al valore di un certo 
diamante* In Firenze, i?. 2 1 7 a aao 
1 546- Parole ed atti terribili contro la 
Gambetta j meretrice, e Cen- 
<^i^ > fis^o di essa. In Piren^ 
ze . . • B. 222 

Parlata ardita al Duca Cosi'- 
mo L^ onde averne i soccorsi 



3ao 

necessari pé suoi labori j e 

perchè non credesse cC suoi 
nemici. In Firenze. B. :t34 a 340 

Imprecazioni dette a Lattanzio 
Gorini^ Pagatore dd Vaca 

*'■ Cosimo /., perchk gli avesse 
sospesi i pagamenti , non ere-- 
dendo che fisse per finire il 
Perseo. In Firenze . . B. 2^5 

Ingiurie dette alBandinéllo in-- 
contrato per viaggio , presso 
Firenze B. 2^6 

Nuove ingiurie contro del Ban- 
dindio e Francesco di Mat- 
teo Fabbro^ allievo di esso. 
In Firenze ..... -B. 2^S 

Disparer ey e ifuindi lite acerrima 
col BandindlOy in presenza 
dd Duca Cosimo L In Fi- 
renze . . . . B. 253 a 263 

Disputa col Duca Cosimo I.^ in- 
torno al gettare in bronzar la 
figura del Perseo. In Firen- 
ze B. q68 a 273 

Sospetti ed ingiurie contro quel- 
li che V assistevano nella fu- 
sione del Perseo. In Firen- 
ze . . ..«••* i?. 282 
i^^J^. Disputa col Duca Cosimo /., in- 
tomo al modo d' affortificare 
. le porte di Firenze. Ivi . -B. 3 1 6 

Lite con un Capitano lombardo 
per lefortificaùoni della Por- 
ta al Prato. In Firenze, i?. 3 1 7 3 2 



\ 



\ 



321 

Parole e punacce contro Bemar- 
done Baldini, in una pubblica 
strada di Firenze . . ^ B. 33q 
Contese con Jacopo Guidi, «Se- 
gretario del Duca Cosimo I. , 
e poi col Duca stesso y circa 
il prezzo da farsi al Perseo. 
In Firenze ... -6. 348 a 353 
. Contese col Tesauriere Ducale 
Antonio de' Nobili, pel ritar- 
dato pagamento del prezzo 
del Perseo. In Firenze . B. 355 

i556* Questioni j prigionia, e tregua per 
un an^o fatta da Benvenuto 
con un suo nemico. In FJi^ 
renze B. J^5i 

i56i. Cause contro Piermaria d^ Ante- 
rigoliper rompere un contrat- 
to. In Firenze. B. 4i3 4i8 a ^22^ 
472. 

(Syo. Causa contro Antonio Sputasene 
niy perchè non fosse pia con- 
siderato figlio adotti^ di Ben- 
venuto. In Firenze* B, 487 a 49^ 



Cellini Bemf. f^oU IIL 21 



332 



MALATTIE 



DI 



BENVENUTO C E L L I N I. 



i5i8 Jr ebbre in Pisa^ per la catUv^'a^ 

ria A. %% 

i5:i7. P^^cossa nel petto y e svenimenlo p 
per un colpo d'artiglieria. In 
Castel S. Angelo . . . A. 122 

rS^S. Febbre quartana. In Mantova. ^ i44 

i535. Scesa agli occhi e mal venereo. 

In Roma . . .A. 2o3 a 309 

i535. Spavento e febbre con frenesia 

provenutane. In Roma. A. 290 394 

1537. Cattivo stato di salute y ejebbret" 

ta. In Lione ... • • A. ZSj 

1 538. Rottura di una gamba nélfu^r 

re dal Castel S. Angelo. A. 397 
i54o* Indisposizione di salute per la 

cattiv^ aria. In Ferrara 4 B. 38 



3a3 

l^45* F^hbre istantanea y per eccesso 

di rabbia. In Parigi. B. 127 139 

1545. Male alle reni, per eccessivo la- 

voro. In Firenze . . . B. 20S 
Occhio ferito da una ss^erza d ac- 
ciaio. In Firenze . . • B. 567 

i552. Febbre efimera, per P eccessiva 
fatica nel gettare di bronzo 
il Perseo. In Firenze. B. 279 281 

i56o. Sospetto di veleno , dissenteria e 
. malattia di un anno e più. In 
Firenze . , . . B. 4^5 a 410 

1571. Morte di Benvenuto atti i3 o i5 

Febbrajo. In Firenze . B. Boi 



AlklORl^ DISSOLUTEZZE^ MATR^AfONIO 

E FIGLI 



J)I J8ENVENVT0 CELLIM. ^ 



ji. 54 55 58 59 — 91 97 io3 io5 a ii4 

— 167 170 171 — 186 207 — 223 224 

226 201 a4^ ^4^ ^43 ^44 •- ^44 ^ ^4^ 

-ÌB. 73 — HI a ii5 126 i3o — i37 — 246 

- 442 457 467 472 484 485 499. 

c. 243. 



3a4 



INDI CE 



DELLE PERSONE NOMQD^ÀTE 



NEL TESTO 



O NELLE ANNOTAZIONI. 



A 



ocolti Card. Benedetto A, is5, B. 38. 
Adriani Gio. Battista B* ifiS 436. 
Adriano Imperatore A. 92. 
Adriano VI. Papa (Adnano Fiorente di Utredit) 

^. 89 98 ii4 124 294* O. 35 aii. 
Affò Ireneo B. c|8. . 
Agnebò id^). Vedi Annd>aat. 
Agnolo da Cesi A, 354* 
Agostino, satto- ddi Duca Alessandro de* Medid 

A. òli. ^ 



3a5 

Alamaiwi Lui^^i A. i5o i58 iSg 169 45i. B, 10 

a 14 44 ^4 97 9^ 117 <3i7 180. C. 67. 
» • • Maddalena^ Lena od Eiena» moglie di 

Xaiigi. Vedi Buonajati. 
• • . Battista f di Luigi B. 180. 
Alba (d') Duchi A. a4i. ^.189. V. Toledo. 
All)erìiii Francesco B. 4^9* 
Alberti (d*) Francesco , di Yillanuova A. 44 6< 

i3o i55 167 179 276 307 349. iff. 5 8 35 70 

ii4 197 aoo 217 a53 a58 %6\ 277 a8o 4o3. 
Alberti (d^li) Lionbattìsta C, aSo. 
Albertini Fraocesco B. aoo. 
Alberto Masno C a. 
Albizzi (degli; Girolamo, di Luca B, 35 1 55a 353 

357 445. 
Albizzi (degli) Eleonora B. 249. 
Albonesi Atranio B, 3q. 
Albret (d') Gio. , Re lì JVavarra ^.61. 
Albret (A*\ Enrico IL, figlio di Gio., ^. 60 a 65 

i5i 170. C a53. 
Albret (d') Giovanna, figlia di Enrico II., moglie 

di Antonio di Bourbon, e madre di Enrico IV. , 

Be di Francia j9. 61 62 4a7. . 
Aldi B, 146. 

Aldobrandi Bettino A. i^5 i^3 174 17S 179. 
Alencon (d*) Duca Carlo ^. òi 170. ^ 

Alessandri (deg^i) B, 4'^* 
Alessandro VI. Papa (Roderico Boriga) A. Sa 4^ 

117 40S. B. 29. 
Alfieri Vittorio B. 4S7. 
Alicorno Trajano A, 160 i6a 212 a57 afiS. 
Alighieri. V. Dante. 

Allegretti Antonio A. 169 291 297. C. XLVI. 
AUemant (l*) Francesco B. 56 Sn i63. 
Alliotti Pier Gio., Guardaroba Pontificio j^. 211 o 

216 258. 
Allori Angelo di Cosimo, detto il Bronzino A. %i. 

B. 335 536 357 359 498. C. a36 258 239 267 

278 279. 
Allori Alessandro, detto il Bronzino , nipote del sud- 

detto B. 535 356. C. xi.vt. 



336 

Abneni Sforza & ^49 5ot 359 344 '4^ S^» 44». 
Altoviti Biodo di Antonio À. 4^1. B. 202 a 207 

Soo 3o2 44^ 44' 44^ 449 4^^ 4S< 4^3 494- 

Altoviti Antonio di Bindo^ Arcivescovo di. Firenze 

B. 297 45o. 
Altoviti Cassandra, maritata Salviati ^. 568. 
Amalfi /d') Duca. V. Piecolomini. 
Ambra (d'^ Francesco B, 296. 
Ambrogio (Santo) B. w. 

Ambrogio (B.) Generale de* Camaldolesi. Vedi Tra- 
versano. 
Ambrogio (mesier) V. Recalcati. 
Amerìgni Amerigo A. 80. C. Lvn< 
Ammannati Bartolomeo, d'Antonio B, 191*372 585 

386 389 390 394 396 409 4t<> 4< ^ 49^- C- TsxsBL 

368. 
Ammannati Laura. V. Battiferri. ^ 
Ammirato Scipione A. ino 3i3 556* B* a 14 352 

414 455 436. 
Amoretti Cav Carlo A. 3o. 

Ancona (d") Pasqualino , Arcbitetto. V. Pasqualinow 
Ancre (d') Maresciallo di Francia B. 4<7* 
Andrea pisano A. 5n^, 
Andrea del Sarto. V. Vannucchi, 
Angelica siciliana A. 225 227 23 1 :^3. 
Angelico ^'ietro da Barga G: xlvi. 
Angiò (d*) Duca Enrico. V. Enrico III. 
Angouleme (d*) Carlo. V. Carlo d' Orleans. 
Anguillara (Conti dell'). V. Cibo, ed Orsini. 
Anguillara da Stabbia Flaminio » detto anche Orsini 

e Conte dell' Anguillara B. 81, - 
Anguillara da Stabbia Maddalena^ moglie del pre« 

detto. V. Strozzi. • 
Anguillotto da Lucca, giovane soldato A. 173 174. 
Angutssofa Giovanni Francesco ^ di Piacenza B. i85. 
Angulo Andrea C. xlvi. 
Annebaut (d') Claudio , Ammiraglio di Francia 

B. iSo 143 144 157 169. . 
Anniballe V. Annebaut. 
Anselmo (Padre) i?. 5o 55 67 77 I2r 157. 
Antea^ cortigiana A. k85. 



32^7 
AnterigoH ((T) Filippo di Vespasiano A 697 % a 

4o4 4Ò6 407 4^0 4>i 4^^ 474* 

Anterìgoli (d') Piermaria di Vespasiano detto Lo 
Sbietta B> 5q6 a l^oo 4o5 204 4o6 4on 408 4i2 
4i5 4i5 4i6 4"8 a 4^5 fyj% a 475 490. 

Antinoo A. oa. 

Antonio di i^ndro, detto Marcone^ orefice in Fi- 
renze A. 16 39 40. 

Antonio da Goretta B. 4^4 

Antonio di Bourbon Duca di Vendome e Re di 
Navarra B. 4^7- 

Antonio da Bologna C. lix. 

Antonio da S. Marino A. 3q. 

Antonio 3 celebre suonatore ai Bologna A, 20. 

Antonio, uno degli Otto in Firenze A. 5i 62 lio. 

Apa (dell') B 164. 

Aragona (d') Ferdinando V., Re B. 61. 

Aragona (d') Maria, maritata d*Avalos A. 32^ 

Archinti Monsig. Filippo A. 44^* 

Aretino Guido. V. Guido. 

Aretino Leone V. Leoni. 

Aretino Leonardo. V. Bnlni. 

Aretino Pietro. V. Pietro^ 

Argelati Filippo A. 260. 

Ariadeno. V. .Barbarossa. 

Ariosto Lodovico A. 87 12S 224 ^^^- ^* 4^ ^^^ 

275. 
Aristotile C 2. 
Arrigo. V. Enrico* 

Arsago Paolo^ orafo milanese A. 38 a ^o. 
Ascanio di Giovanni da TagliacozKO , fattore del 

Gellini A. 533 a 359 347 » 55o 55n 578 485 

386 387. j9. 9 a 57 ICQ ii5 i5i i55 174 178 

176 i8r 204 2q5 211 460. 
Ascoli (d*) Aurelio o Eurialo , Poeta A* 96. 
Asti (d) Rinaldo B. 114. 
Atanagi IMonigi ^.169. 
Avalos (d') Ferdinando Marchese di Pescara A. i33 

329. 
Avalos *(d') Alfonso Marchese del Guasto ^.529 

53o. B. 87 i4o. 



3^8 

Amlot (d') Maria d'Aragaaa^ moglie dd %uài 

V. Aragona. 
Apatia Niccolò B. ni. 
Avilcr (d*). V. DavUer. 
Aurelio d'Ascoli ji. g6. 
Austria (d*) Carlo V. Imperatore. 

• . . Margherita bastarda del suddetto. 

• . • Fermnando I. fratello del suddetto* 
. . . Eleonora sorella del suddetto. 

. . . Maria sorella del suddetto. 
, . . Giovanna figlia di Ferdinando I., 
di Francesco I. de' Medici. . 
. « Giuseppe I. Imperatore. 

Massimiliano II. Imperatore. 
V . . Vedi Carlo 9 Margherita ec. 



B 



Baccio d'Agnolo B. 364 365 596. 

Baccio di Dernardone. V. Baldini. 

Baccio di Montelupo, scultore A. 5*j^. 

Bachiacca. V. Libertini. 

Baglìone Gio* Paolo A, 119. 

Baglione Orazio A. 119 126 a 139 i35 iSg a i4i* 

Bagno (da) Cesare. V. Cesare. 

Bagnocavallo (da) Gio. Battista, B» io5. 

Balbo Girolamo, Vescovo di Gorizia A* loS i^6^* 

Baldassare da Siena. V. Peruzzi. 

Baldini Baccio ^ intagliatore in rame B, 33 1 53a. 

Baldini Bernardone» orafo A. 283. B» 114 ii3 220 

a36 a 241 3o9 a 3i2 33o 338 389. 
Baldini Baccio di Éernardone^ medico ^. 33i 3132. 
Baldinucci Filippo i^. 85 88 90 107 121 149^ <S2 

192 332 382 383 585 3»5 590 396. 
Baldovino , figlio naturale di Filippo « il Buono y di 

Borgogna B> 57. 
Balducci Jacopo A^ loo loi. 
Bandinella Micìielagnota. V. Michelagnolo. 



3:20 
Bandioelli Baccio di Micbelagiioloj che si chiamo 

prima Di Brandini A^ i5 16 iq4 i^5/ B 191 

197 1^8 3o4 a ao8 235 a34 235 a44 ^4^ ^47 

%Ìj^ 2$4 a 257 a59 a 265 5i4 353 336 557 538 

548 558 559 36o 362 563 364 566 367 571 
. 572 375 576 377 382 a Sgoi 409. C. xxT. xxx.. 

zxxviii. i55 235 254 255 275. 
BandinelU Clemente di Baccio j9. 387^ 
Baodini Giovanni A, i84* 
Bandini Gio. Battista B* 358. 
Baadini Angelo Maria B. S^ l^. 
Barea (da) o Bargeo. Y. AneeS^o Pietro. 
Barbarella Giorgio da Castelfranco, detto il Gioì;- 

gione A, 170 B, 226. 
Barbaro Daniello , Patriarca. d'Aquika C. 25o. 
Barbarossa IL, detto anche Cheredino o Ariadeno; 

Be d'Algeri ed Ammiraglio di Solimano II. 

B, 81 228 25i. 
Barberino (da) Francesco A^ 328. 
Barbieri Francesco ^ detto il Guercino da GenU 

^.247. 
Barbieri (del) Domenico B. io3. 
Barca (della). V. Sciorina. 
Baretti Giuseppe A, vii. ui. 
Barozzi Jacopo da Vignola. ^.^ i55 i56 395. 
Barthe (de la) Paolo, Signore di Termes B. 3iS.. 
Bartoli Daniello A. 224. 
Bartolini (de") Onofrio B. 36 1 562 365. 
Bartolommeo (Maestro) B. 487* 
Bartolommeo scultore , . marito di Liperata Cellini 

A, i4i 146 B. 188. 
Bartolozzi Francesco C, 235. 
Bartsch Adamo A. i5o. 
Bastiano del Piombo, veneziano A. 170 195 197 

199 200. 
Battiferri Laura , di Gio. Antonio, maritata a Bar- 
tolommeo Ammannati B, 589 390 C xxxviir 

XEXtL. 268 269. 

Bayle Pietro ^.81. 

Beatrice pistoiese, serva A, 3o2 3o3 3o4- > 

Beatrice Siciliana A, 240 ^43 244* 



J3o 

Bellaci (de') Mona ^ di Andrea A* 14$. 
BeHarmato Girolani0 ^. i5] i58. ' 

Belli (de*) Valerio A^u 
Bellini Giovanni B, 236. 

Bembo Cardinale Pietro A. 88 laS 254 ^^ >^ 
181 307 539 • 344. H. alò 266. C. xa. xtti?«^ 

234* 
Bendidìo Alberto ^. 88. i9. 3t a 38. 
Bene (del) Pietro A. 116 
Bene (del) Albertaccio di Pietro A. 253 254 255 

35q 340. C. 234. 
Bene (del) Attmo di Pietro A, «53. B. 460. 
Bene (del) Alessandro di Pietro A. 116 a~~fi9 235 
\ 255. 

Bene (del) Riccardo A. 355. B, i38. 
Bene (del) Baccio B. 4^7 4^^ 43<> 4^' 4'^- 
Benedetto (Ser) Notajo A. 233 234 a35 246 2^7. 
Benedetto da Cagli o da Galli , Giudice de'Malefizj 

A. 369 418 

Benedetto da Ravazauo B. 296. 

Benedetto (Fra) da Fojano A. 4^ 4^^- 

Benintendi Niccolò A, 269 a 272. 

Benintendi Pietro, fratello del saddetto A. 269» 

Benivieri Andrea di Lorenzo B. 4^7 499 ^^^* 

Benvenuto da Imola B. 107^1. 

Benvenuto parigino, cameriere di Papa Clemente VII. 

^. 110 a ii3. 
Berengario Jacopo da Carpi, cerusico A. 85* a 89» 

B. 36 37, 

Berlinghieri Berlìngbiero A. 177. 
Bernardaccio , .orafo. V. Baldini Bernardone. 
Bernardi Giovanni da Castel Bolognese , intanatole 

A. 232. 

Bernardino, medico. V. Lilj 

Bernardone. V. Baldini. 

Berni Francesco A. 161 296 3io. J?. 178 264 3i7 

418. C. 234 255. 
Bertoldo, scultore A. 3o 149- ' 

Bertoldi Pier Francesco B. 397 598 446 447 45Ì 

455 476* 
Bettini Baccio, fuoruscito fiorentino A* 3 18 3 19] 



33 1 

Beuch Jacopo B» 5gi. 

Beverini Bartolommeo jff. 38t. 

Bevilacqua ^•77. 

Bìard Pietro B. 4^0. 

Btbietia (da). V Pagolo di Gio. Battista. 

Biliotti (de') Zanna jt. 188. 

Biècioni Antonio Maria C. 264* 

Bizseri <de') Suor Mattea B, 447 44a 

Bobadilla (de) Francesco , Vescovo di Salamanca 
ji, 5i 61 65 67 a 74. C. 118. 

Boccaccio Giovanni •^•^g 72 ^4 99 '<^ 198* B. 5 
46 g2 106 107 ii4 3iaai5 916 aio aia a57 
^74 a86 5q5 3i4 5ao 53o 35? 369 406 407 

419 C. XL. 

Boccarino Bernardino A. a6o. 

Bocchi Francesco C, xwiiu 

Boiardo Matteo j?. 172. 

Bologna 9 pittore. V. Primaticcfo. 

Bologna Giovanni, fiammingo B. igi 3gi Sga. 

Bologna (da^ Antonio* V. Antonio. 

Bona (di) Biagio, mercante Raugeo C. 3o» 

Bonanni Filippo A- a32 147 a5i. 

Bondone (di) Ambrogiotto o Giotto A, 37. B. 106 
107 108 341. 

Bonfadio Jacopo A. 2^. 

Bonsi Lelio C. xlti. a8o. 

Borbone. Vedi Bourbon. 

Borghini Raffaello B. 387. 

Borghini Vincenzo A, 3. B» 197 atS a45 3g4 4^^* 

Borgia Roderico. V. Alessandro vi. Papa. 

Borgia Cesare di Roderico , Duca di Valentino 
A. 55. 

Borgo (dal) Raffaello A. 53. 

Borgo (dal) a Buggiano. V. Vanni. 

Borgogna (di) Principi. V« Filippo 7/' buono , Duca 
di Borgogna; Baldovino^ figlio naturale del'det^ 
to ; Giovanni Baldovino , figlio naturale di Bai,* 
dovino ; e Giovanna di Borgogna , Regina di 
Francia. 

Borromeo S. Carlo B. 4^1. 

Bossi Cav. Giuseppe A. 196. B^ 69 377 56 1. 



33a 

Bottani Giovanni A. \fyi* 

Bottari Giovanni B. i56 a6o 4^5 4S0. C. xsua.. 

Botticello Sandro B. 3>3. 

Bourbon Carlo , Contestabile di Francia e ribelle. 

. . • Antonio , Re dt Navarra e padre di Euri* 
co IV- Re di Francia. 

. • . Luigi, fratello del precedente e primo Prin* 
cipe di Condé. 

... Francesco, Conte d' Enghien e fratello dai 
suddetti. 

. . . Francesco, Conte di S, Paul. 

• . • Vedi Carlo» Antonio ec. 
BoiirdeiUes Pietro, abate di BranUmie ec. ^« 5i 78 

81. 
Bozza, servitore A. 892 SgS 4^4^ 
Bracciano (Signori di). V. Orsini. 
Bramante. V. Lazzari. 
Br^ndini. V. Bandioelli. 
Brantorae. V. Bou^di^iUes. 
Briart o Biìard , scultore B. 4^^ 4^1* ^ 
Bronzino. V. Allori. 
Brosse (de) Giovanni B. 6or. 
Brucioli Antonio A* 169. 
Brunelleschi. V. Lapi. 
Bruni Leonardo, aretino A* ^* 
Bugatto Gasparo A» i3a. 
Bu^giano. V. Vanni. 
Buegiardini Giuliano y^. 149 iSo 
Builait Isacco B* i36. 

Buonaccorsi Giuliano A. 355 556. iS. 2ta aa^^ 
Buonagrazia Zanobi di Silvestro ^ 4^'- 
Buonajuti Maddalena, o Lena od Elena, maritata col* 

l'Alamanni i?. iS^. 
Buoncompagni Ugo. V. Gregorio XIH. 
Buonaparte Jacopo ^. 1221 1 35. 
Buonarroti Micbelagnolo , seniore y^. 16 29 3 1 Ss 

S'S 45 5^ 55 85 ga io5 io4 *47 * '^ '7^ 
258 266 2^5 5o8 3i8 574 443. A. i65 192 
197 iq8 209 235 2*^5 255 285 292 a 209 3o2 
555 3*^7 341 352 559 365 37Ò 38o 387 38g 

390 391 4'^9 49^* ^* 3ULKVIII. aX. XLI. XMI. 



333 

65 i54 i55 195 199 211 3i5 ai5 216 229 a35 

a 258 249 2 'io 254 25b i5d 264 267 275 285. 
Buonarroti Miche lagnolo , funioi'e A. 5o. B. lifi 

216. 
Buondelmonti Andrea B. 4^^* 
Buòninsegni Domenico di Lionardo, storico A, 3, 
Buoninsegni Domenjco^ tesoriere di Clemente VII. 

B. l'jG, 
Buontalenti Crìstofano B. 4oo 4^4* 
Burbacca o Busbacca^ corriere A^ 345 546 549 * 

552. B. 458 459. 
Burlamacchi Francesco B. 227 298, 
Burmanno Gaspare A. 8g. 
Busbacca, V. Burbacca. 
Busini Miniato C xlti» ^ 
Butì Cecchino B. 4<>3 4^4- 
Buti (da) Francesco C. zl. 



Cacciaguida^ trisavolo di Dante B. S60. 

Caccianimici Francesco B. io5. 

Cafferelli Jacopo C xa. 

Cagli {daìjf Benedetto. V. Benedetto. 

Calcagnini Celio B. òg. 

Campana Francesco B. 364. 

Cancellièri, famiglia piste» jese B, 188. 

Cappello Bartolommeo B. 44^ 44^* 

Capponi Niccolò, Gonfaloniere A. i47* 

Capretta , beccajo , e sua moglie Ginevera B, 285 

284 

Capua (di) T Arcivescovo. V. Scbomberg. 

Caracciolo Murino o Martino, Card. A, 260. 

Caradosso. V. Foppa Ambrogio. 

Cario V. imperatore A. 16 18 98 ii4 a 117 121 
125 147 202 257 259 260 282 520 a 526 S29 
555 575 400 445 448. B. i5 24 25 29 60 61 
65 77 85 86 87 ii6 159 140 142 i56 i58 169 



334 

i84 t85 189 iia6 aaS zt^ »5o ^St 29^ 5 12 
5i5 5i4 559 562 58o 417. C. 17 x8 iSo, 

Carlo Vili., Re di Francia jÌ. 44* 

Carlo IX. ^ Re dì Francia B 4^7* 

Carlo d'Orleans, Conte d'Angouleme e Duca dì 
Valois , padre di Francesco I. Re di Francia 
i5. 90. 

Carlo Duca d'Orleans, figlio di Francesco!. B. i4o. 

Carlo di Bourbon, Contestabile di Francia e ribebe 
A» mi, 116 a 119 157. 

Camesecchi Pietro A, ^4^ ^49* 

Camesec'^hi Giovanni di Giovanni , detto il Lena 
B. 495. 

Caro Annibale A. 52 169 256 291 297 Sto 399 449 
450. B. 275 3oi ^9. C xncni. 

Carpi (da) Jacopo. V. Berengario. 

Carocci Bartolommeo B. 555. 

Carocci Jacopo xia Pontormo B. 555 5S6« C, sui* 
256 267. 

Casa (della) Cecchino A» lìn "^* 

Casa (della) Giovanni A. 24Ó C xzi zxii. 

Castel Bolognese (da) Giovanni. V. Bernardi. 

Castel del Rio (da) Mona Fiore , serva di Benve- 
nuto. Forse quella stessa che fu poi sua mo- 
glie e fu detta Mona Piera B, 281 287. V,, 
Cellini Piera. 

Castiglione Baldassare A. 55 98 259. 

Castoro Francesco ^ orafo in Sena A. 19* 
<■ Catani Francesca da Montevarchi , medico A. Sog. 

B, 4^9 4'^* 
Catena Gìo. Battista 2^^ 58i. 
\ Caterina da Siena (Santa) B. 4Si« 

Caterina, amasia di Benvenuto B. ili a i36. 
Cavalca Fra Domenico B. 594. 
Cavalcanti Alessandro B. 85. C xv. 
Cavalcanti Andrea B. 61. 
Cavalcanti Lorenzo Maria A. xn. B. 85. G. xa.^ 
Cavalierino di Qemente VJI. V. Vespucct Niccolò. 
Cavalletti Scipione > miniatore A. 20. 
Cecchi Giammaria 2?. 257 276 5i8 53o. 



335 

Gellini di Ravenna e Pisa ^. 3 i8it 
Cellini Luca ^. 4- 

Gellini Cristofano, bisavo di .Benvenuto ^.256 
i8i. C, XLvn. 
. . Andrea di Cristofano» ,avo di Benvenuto 

^. 2 6 9 1.5 i4 i8i. B. 484 48^ 
. • Girolamo di Andrea^ ùo paterno ^i Benve* 

nuto ji, 6. \ 

.« . • Bartolommeo dì Andrea , sio patWno di 
Benvenuto A, 6. 

• • Francesco di Andrea ^ zio paterno di Ben- 

venuto j4, 6. 
^ . Giovanni di Andrea/ padre di Benvenu^ 
^. a 6 IO i6 19 ec. 4^ 62 65 66 i4o 

i4i 14^ 1S7. 

« M Rosa di Giovanni, sorella madore di Ben- 
venuto, probabilmente la stessa, cbe è in 
seguito ehiamata Cosa jì. 8. 

, . Cosa di Giovanni , forse deve dirsi Rosa , 
cioè la stessa che , la . precedente A* t^S %6 

141 «46« , . 

• • Liperata di Giovanni 9 sorella minore di Ben- 

venuto, maritata a Bartolommeo scultore^ e 
quindi a Raffaello Tassi A, a5 28 i4i i4^ 
146 3oo 5oi 307. £. Il'] 186 187 188 

203 207 223 224 23 1 2TO. 

• » Francesco di Giovanni, fratello di Benve- 

nuto A. 17 24 i4o '4^ 14^ 172 ^ >S4* 
« . • Piera Fiore , serva , q>osata da Benvenuto 
verso il i56o , la quale probabilmente cbia* 
mavasi prima di Castel del. Rio £, J^ 
485 490 Ago. 
~. . Gostanza, ^glia naturale di Benvenuto e di 
Gianna detta iScozzoiui, nata in Parigi nel 
i544. B. 157. ' 

• . . . • figlio naturale di Benvenuto, nato 

e morto in Italia tra il j548. e il iSSa» 
B.. 246 266. 
. • Iacopo Giovanni, figlio naturale di Benve* 
nuto , nato alli 27* Novembre del i554" 
i^. 442 445. 



536 

GeOim GmvanBÌ, figlio naturale di Benvenato» nato 
alli 32. Maggio del i56a. , legiltimato nel ^ 
i56i., morto nel i563. B. 4^7 4^3 4^7 

c. 244. 

^ . Maddalena » figlia legittima di Benvenuto , 
quella medesima per quanto pare, che di* 
cesi nata alli 5. Settembre del i566. B» 472 
4B4 485 490 a 495 499 5oo. 

. • Lìperata o Reparata ^ figlia legittima di Ben- 
venuto, nata tra il i56i. e il ;i568. B, 4^4 

495 490 ^ 49^ 497 S<^- 

. . . Andrea Simone, figlio legittimo di Ben* 
venuto, nato nel Marzo del 1569. B. 4^4 
490 a 493 499. 
« • Nutino o Benvenutino, ^lio adottivo di 
Benvenuto. V. Sputasenni Tonino» 
Cellino (da) Fiorino A. 5, 
Cencio^ servo di Benvenuto A, 2216 288 289 292 

5o2 SoS. 
Cencio, fattorino, figlio della Gambetta B. 206 220 

a 224. 
Genuini Bastiano A. 284. C. Lvm. 
Cennini Benvenuto C 256. 
Contano Andrea, Vescovo. A. 4^i ^12. 
Ceri (da) o Ceres Renzo o Rentio» V. Lorenzo. 
Cesano Gabriello A. io a 14. 
Cesare (messer) Guardaroba di Coiimo h de' Me* 

dici B. 570. 
Cesare da Bagno , lavoratore di Benvenn to GdEni 

B. 345 C. stvi. 
Cesari Antonio B, 114 197. 
Cesarini Gabriello A. 74* 
Cesena (da) Gio. Jacopo. V. Giovanni Jacopo. 
Cesi (da) Agnolo A. 354* 
Chalons (di) Filiberto, Prìncipe d'Oranges A. i55 

i36 137 147 i5i 199 374. 
Cbaste (de) Giacomo, Signore de la Faye B. 121 

i65. 
Cbaste (de) Francesco, di Giacomo B, 122. 
Chateaubriand (de Foix) Francesca B, Sg. 
Cberedino. V« Barbarossa. 



337 

Cherubino 9 maestro d* oriupli B. i*] 2± ti 26. 

Chiaveiuzzi Pietro uè. 4^5. 

Chigi Agostino^ Gismondo e Porzia A. Si a 61 

7 4 ^ip. 

Chioccia Bartolomtneo .ff • no ii3 127 ia8. 
Chiostra (della) Ulivieri A. 26 28. 
Qacchi Bernardo A, 44* 
CiacoDio Alfonso A. 89 256. B: 3^8 4^* 
Ciho Gio. Battista. V. Innocenzo Vili. , Papa nel 
t484. 
« .> Francesco y Conte d' Angnillara e figlio del 

suddetto B. 80. 
. , Innocenzo di Francesco, Cardinale ed Ar- 
civescovo di Genova A, ']S 268. C 118. 
« . Gio. Battista, Arcivescovo di Marsiglia e 

fratello del suddetto A. 268. 
. . Lorenzo, Marchese di Massa e fratello dei 

suddetti A. 268. 
. . Ricciarda, moglie di Lorenzo. V. Malaspina. 
Cibo Alberico , Signore di Carrara ^. 385. 
Cicerone M. T. A. 54© 
Cimabue A. 27. B, 108. 
Cinelli Giovanni A, 543. B, xviii. xx.. 
Cinonio. V. Mambelli Marc' Antonio. 
Cipriaao.de Bore. V. Bore. 
Cisti, capitano ^.173. 

Claudio, fiammingo, giovane di BenvenOto C. 117. 
Clemente V. Papa nel i3o5.' \Bertrando de Goutb) 

B., 107. 
Clemente VII. Papa. ( Giulio de' Medici ) A, t6 
18 20 45 5i 52 57 65 66 22 73 8c 86 87 90 
98 no it4 a 119 122 a 109 147 i5i à 172 
182 a 223 23 1 a 239 247 a -252 256 2DÌB 
285 286 294 3o8 3i3 320 324 325 33o 33 e 

370 373 374 4^9* ^' 39 ^^ 1^ 77 ^'^ ^4^ 3^^ 
255 256 294 341 359 362 370. C. XII. xxvi; 
jBvn. i5 3o 55 67 a 70 75 93 100 104 no 

194 211. 

Cocchi Antonio A. vn. xiv. xvu. xix. B. 4^7 4^^* 
Cola Jacopo C. 3o. 
Coligny (di) Gasparo B. 427. 

B€nv. CellirU FoL III. m 



338 

Colonna Pompeo , Cacdtnale A* 88. 

Colonna Prospero A. i35. B, a5i. 

Colonna Sie&no , dei Signori di Palestrina B. aSx 

266. 
Comesio Lodovico A. 194* 
Comodo 5 Imperatore B. iS4« 

Concion Bartolommeo C. 417 4^^ 4^^ 4?^* ^« JXa^ 
Conegrano, Cavaliere £. 58i. 
Contialonierì Gio. Luigi, di Piacenza B, i85. 
Contocci Andrea da Mont^ a S. Savino, scultore 

A. 238 267. B. 197. 
Conversini Benedetto, Vescovo A. 369 a 372. 
Corbinelli Jacopo ^. i38. 
Coretta (da) Antonio. V. Antonio^ 
Corìda, serva A, 109. 
Cornaro Caterina, Regina di Cipro A, ^S* 

• . Giorgio , fratello della suddetta A> 73. 

. . Cardinale Marco, figlio di Giorgio A^ 'fl 256. 

. . Cardinale Francesco, fratello del suddetto 

A. 256 258 259 274 5o5 584 401 4oai 

4o3 ^\i a 4^1 4^1* 

• . Cardinale Andrea, fratello dei suddetti A. 256* 
Cornaro Pietro , Mazziere pontificio' A. 196. 
Cortez Tommaso da Prato, Datario ponti^cio A* 164 

166 169. 
Cortona \da) Giorgio. V. Giorgio. 
Costantino, Imperatore ^. iSf* 
Cresren?! Pietro j5. 170^. 
Crespino, bargello ^."567 368. 
Cristo Luteriano. V. Luteriano. 
Croce (della) Baccino A, 172 173 223« 
Croce (Santa). V. Santacroce. 
Crocini Maddalena Margherita , figlia di Aplonio 

-^* 47* 499 
Custodi Cavali^e Pietro A. 345, B. 338 497 49^ 

5oo 5oz. 



339 



« 

Daniel Gabriete B, 157 17O: 

Daniello da Lucea Br 36 1. 

Daniello da Volterra. V. Ricciarelli. 

Dante Alighieri . ji. 224 296. B. 92 106 108 23o 
282 297 36o 36i 392 4o5 4^7 4'^* ^' ^ 

Danterigali. V. Aoterigoli (d*). 

Danti Ignazio B 895. 

Danti Vincenzo B, 892 395. 

Dafdinghelli Lorenzo. B» q86 487» 

Dardingbelli Giuliano di Lorento B^ ^96 487» 

Davaloa. V. Avalos. 

Davanzàti Bernardo^ Cassiere dei Capponi B. 4^7* 

Davanzati Bernardo, Storico B. 324 ^3* 

Daviler Agostino Carlo B. i55. . 

Delfino di Francia, di cui parla il CellinL V. En- 
rico IL 

Delfina di Francia, moglie del predetto. V. Medici 
Caterina. 

.Dempstero Tommaso ^. 32i* 

Diego (Don), spagnuolo A. 335 a 338. 

Diego , ragazzo spagnuolo A. 92 a 97 io3. 

Divo Raffaello B. 454. 

Domenichi Lodovico C. xlvi. 

Domiziano (messere), Simigliare di (Cosimo L de' Me- 
dici B. 468 469. 

Donatello,, scultore A. 3i B. 192 198 23i t^n 
2S5 337. C xsxn. Lvi. i54 i55 199 2i3 254 
258 275. 

Doni Ant. Francesco B^ 2i4 ai 5. 

Donnino da Parma, orafo A. 102 193. 

Dorbino Giovanni. V. Urbino (d ). 

Doria Andrea A. i36 443. B. 25 i85 228. 

Doria Filippino A, i33. 

Duprat Antonio B. 53. 

Duranti Durante A. 524 ^26 44 1 a 44^. B. 8. 

Duro Alberto fi. 535« C lix. 209. 



Sii 



EoMBO Battista B. i4S- 

Sonora d'Austria, sordla di Cario V. B. 86 tS8L 

EmaDaek Filiberto » Duca di Savofa B. i5f. 

Engbien (d^ Conte. V. Francesco. 

Enrico Vili. ^ Be d* Inghìltenra ji. ag. B. i^o i^ 

25o. 
Enrico II. , Delfino e poi Be di Francia B. i5 6x 

loi i4o i5i i57 i58 aa8 ag6 5i3 3fo 4^7 

428 429. 
Enrico III., prima Dnca d'Angii, poi Be di Po* 

Ionia , poi di Francia ji, 57& B. 68 4^ 
Enrico IV., Be di Francia B. 61 63 4^- 
Ercole del PifTero , orafo bolognese A. 20. 
Esse (d*). V. Montalembert. 
Fstampes (Madama (d*). V. Pìsselen. 
Este (d'; Alfonso I., Dnca di Ferrara ^.8687 124 
a5a 356. B. a8 29 35. 
. . • Ercole 11. » Dnca di Ferrara e figlio del 
snddetto ^. ;269 272 36i 363. B, 28 a 54 
3o8. a 82 2J6. 

• • • Ippolito II. detto il Cardinale di Ferrara , 

figlio di Alfonso I. ji, 556 Ò5n 365 a 566 
Sdì 449 "^ 4^'- ^. 9 a 18 27 27 5o a 5o 
57 58 59 64 a 66 80 87 159 a i44 
169 167 171 a 176 181 214 5i5 4ii* 

a 82 255. 

• 7 • Don Francesco , figlio di AlfooM I. B, 29. 

• . , Alfonso II. , Duca di Ferrara , figlio di 

Ercole II. i?. 58i. 
. . . Anna e Lucrezia, figlie di Ercole O. B. 3^. 
Estooteville (di) Giovanni B. 55 55. 
Enrialo d'Ascoli ji, 96. 
Ezcbaipiet di Lucerna A. 266^ 



34i 



Ta ide la) Guglielmo J. laf. 

Fabbro Francesco di Matteo B. ^^8 2^Q 26^ 

Fabbrucci Stefano M. ^•97- 

Fagiolo Girolamo J. ai 3. 

PalgaDo (da). V. Gio. di Matteo 

Falloppio Gabriele y#. 86. 

Fano (da) V. Lodovico, 

Fantini Alamanno. B. 44^* 

Farnese Alessandro, Cardinale e poi Papa. V. Pao- 
lo HI. 
. . Costanza, figlia naturale dì Paolo III., mari- 
tata con Bósio Sforza, conte di S. Fiora 
jÌ. 333 408. 

• • Pier Luigi, figlio naturale di Paolo IH., e Du* 

ca di Panna ec. A. 169. 170 262 a 266 
289 367 368 375 407 408 409 419 440 
45o 4^3- S' 7 182 a 186. C xxvni. 

• • leronima, mogue di Pier Luigi, nata Orsini. 

V. Orsini. 
^ « Alessandro juniore, figlio di Pier Luigi e 

Cardinale A, 170 44^* 
,,. • Ottavio di Pier Luigi ^ Duca di Parma 

A, 400 ^01. B. i85. ^ 

• • Margherita, figlia naturale di Carlo V. Tm- 

Seratore , . maritata col Duca Alessandro 
e' Medici, poi con Ottavio Farnese. V« 
Margherita a'Austria. 
^ • Cardinale Rannuccio di Pier Luigi A, 170. 
Fasciiel Onorato A, 34 1> 
Fattore (il). V. Penni. 
Favilla Angiolo. C. xi.vi. 
Faustina , moglie di Marco Aurelio Imperatore 

A. 64. 
Faustina, ftagazsa, sorella di Paulino A. 64* 
Fay e. Faye (du , de e de la). B. I2t. 
Faye (Signore de la). V« CUaste. 



U2 

TtXhieù AndrM B. i55. 

Fdibicii Dom Bfidide di Andrea. B. Sa 55 lai 

^. 
Fdke. V. Guadagni 
Fdtro (da Monte) Goidobaldo, Doca d'Urbino 

jÌ. 134- 
Ferdinando V.^ Be d'Aragona B- 6i. 
Ferrari Gaudenzio , pittore A. 55. 
Ferrucci Girolamo B. 45o. 
Ferdinando 1. d'Austria^ fratello di Carlo V. B. 77 

339. 
Ferrara (Cardinale di). V. Esle Ippolito IL 
Fiamma Gabriello A. i52. 
Fianmiiogo Giovanni. V. Bologna» 
Fiammingo Lionardo. V. Leonardo. 
Fiammingo Martino. V. Martino. 
Fiaschi Cavaliere Aleanndfo B. 58o 38i. 
Fieschi Gian Luigi B. i85. 
Figi, sanesi A. 353. 
Filelfo Gio. Mario B, 106 107 io8. 
Filippo IV. detto il Belio, Re di Francia i?. 5r. 
Filippo V. detto il Longo, Be di Francia ^. 5t. 
Fflippo IL d'Austria , figlio di Carlo V. e Re -di 

Spagna ^.87 i85 ao8 229 aSo 5 14 '4^ ^^ 

4^5 4^8 4^^- ^* 3axn. 
Filippo il Buono ^ Duca di Boif^ogna B, 5^. 
Filippo di ser Brunellesco. V« Lapi. 
Finiguerra Maso C, lvii. 5r. .> 

Flòra' o Fiore (Conti di Santa). V. Sforza. 
Fiore (mona) V. Castel del Rio e Celliai Piera. 
Firenzuola Agnolo A. 106. 202. B, Si 598. 
Firenzuola di Lombardia, orafo A. 36 a 4<>- 
Flaminio Marcantonio A. 248 44^- 
Flimanto C a. 

Floravantes Benedetto A. i65 171.^ 
Florent Adriano di Utrecht. V. Adriano VL Papa. 
Fogliano Giacopò B. 5g. 
Fogliani Lodovico B. ^. 

Fojano (da) Fra Benedetto. V. Benedetto (Fra), 
Foix (de) Odeto» Signore di LaujUrec B, a5i. 



343 

Foix (de) Chateaubriand Francesca^ sorella del sud* 

detto. V. Cbateaubrìand. 
Fontana Domenico » giujeliiere ^.241» 
Fontani Francesco B. ^j^, 
Foppa Ambrogio , detto il Caradosso A. 79 80 

ioa i58 i()a. C 54 a 67 % 61 62 68 €(9 76. 
Pracastoro Girolamo A. 44^* 
Francesco (S.) B. I^oq, 
Francesco I. (di Valois), Re di Francia A. xin. 18 

75 76 114 a 116 i56 if>i i58 210 260 520 

338 355 355 356 562 564 565 566 576 578 58| 

587 44^ 449 ^- ^^ '^ ?7 ^^ 5* ^7 40 a 67 74 
a 112 116 119 121 a 2o5 210 a 214 228 229 
242 245 265 270 54 e 342 562 38o. <7, XII. 

soLVii. 4o 4^ 44 67 7^ ^i 11^ '^4 ^^o l32 

i5i i55 i56 182.205 208 252 253. 
Francesco 9 Delfine « primogenito di Francesco I. 

J5 62. 
Francesco di Bourbon ^ conte d'Eng^ìen B, \Sfì, 
Francesco di Bourbon, conte di S. Paul. B, 167 i63. 
Francesco da Barberino A> 328. 
Francesco, orafo spagnuolo A. 333 a 357. 
Francesco di Piero , lanciajo B, 44^* 
Francesco da Buti C. xl. 
Francesco da Norcia. V. Fusconi. 
Francesco d'Orleans,, dipintore i9. io5 
Francesco da Vicorati , soldato valentissimo A» 4* 
Francione, di Carrara B. 384- 
Frangini Filippo B. 4^2 xxxt^ 
Franzesi Mattio A, 2o5 a 3oi« 
Franzini. V. Frangini. 
Frascbtflo, cameriere del Duca di Ferrara Ercole If« 

B. 32 55 54 59. 
Fredis (de) Felice B. i55. 
Fregoso, ambasciatore di Francesco I. A 87. 
Frodirii Antonio B. 44^* 
Fronspergh Giorgio, capitano A. 116, 
Fulvio Andrea B, 43o. 
Fusconi Francesco di Norcia, medico A. 294 2Ct5 

299 a 5o5. 



m 



Caddi nkeolò» Cardinale A. i25 365 366. 

Caddi Lmgi jÌ. ì6q. 

Caddi Ciovanni, Monsignore jt. 169 a ini igS 

336 ^ 238 383 a 3oi. 

[i AgDOiino ^. 336 a 339. 



Caio, gioielliere milanfae jì. 326 a 33o. C 18 35» 

Caleno B. 100. 

Caleotti Eartolommeo B. io3. 

Calile! Caliko B. 253. 

Calletti Pietro Luigi jé. 357. 

Calli (da) Benedetto. V. Benedetto da Cagli. 

Gallo (da S. Gallo) Antonio. V. Picconi e Giamber- 
ti Antonio. 

Gallo (da S. Callo) Giuliano « e Francesco di Giù- 
liano. V. Giamberti. 

Gallnzd Bernardo A. 4^1 4^2, 

Calluzzi Riguccio B» 192 524 338 4ii 4'^ 4^7 4^^- 
427 428 436. 

Calterìo Pietro, tipografo in Parigi B. loo. 

Gamba Bartolommeo C 275. 

Gambetta, meretrice B, 206 221 222 a23. 

Garbo (del) Raffaellino S. 356. 

Catta (il). V. Miccerì. 

Gattinara Mercurio , Cancelliere di Carlo V. e Car- 
dinale A. 5*73. 



2 
io. D 



Gattinara Gio. Bartolommeo, fratello del suddetto 

e reggente di Napoli A, 673 574. 
Gattula Erasmo A, 239. 
Gaudenzio, scolaro di BafFaelIo. V. FerrarL 
Celli Gio. Battista B. 36. 
Genga Bartolommeo B. 252. 
Geromino. V. Girolamo. 
Gbiberti Lorenzo, scultore A» Si. B. 16S 574 

C IVI. i54» 
GLirelIi Matteo C. xxvi. 
Giamberti Antonio da S. Gallo A. 354. £• ^i^- 



\ 



345 

ÌGdamberti Giuliano « da S. Gallo « fratello del pre- 
cedente A. 554* B. 3i5. 

Giamberti Francesco di Giuliano da S. Gallo» detto 
il MargoUa A, 258. B. 3i4 3r5. C xlii. a56. 

Gianna, francese, amata dal Gellini B. iS^ i38. 

Giannone Pietro A, 242. 

Giannotti Giannotto A, 56. 

Giberti Giammatteo » Cardinale A- 173. 

Gigliolo Girolamo B, 29 3 a 55 34. 

Ginevera Maria, moglie del Capretta beccaio B, 285. 

Ginorì Federico A. 148 a i5c i58. C. 64. ' 

Ginori Cario A* 239. 

Giordano (di) Ser Gio. Battista. V. Giovanni Battista. 

Giordano (Fra) ^.119. 

Giorgio da Cortona B. 237. 

Giorgione da Castelfranco» V. Barbarella. 

Giotto. V. Bondone. 

Giovanangelo (Fra) , da Mòntorsoli» Servita B, i^ 
340 341 383. 

Giovanna di Borgogna, Regina di Francia B, 5i. 

Giovanna d'Austria, figlia di Ferdinando I. Impe- 
ratore , e moglie del Duca Francesco I. de' Me-^ 
dici A.. 209. B, 229. C, UHI. 

Giovanni Baldovino, bastardo di Baldovino di Bor* 
gogna B, 57. 

Giovanni (S.) Battista B» 11. 

Giovanni (S.) Evangelista B. 6. 

Giovanni Battista (ser) di Giordano B. 487, 

Giovanni Battista da Bagnocavallo B. io 3. 

Giovanni da Prato, soldato A. 447- B, 2. 

Giovanni di Matteo da Falgano B, 4^0 4^2 4?^ 474 
477 5oo. 

Giovanni , fiammingo. V. Bologna. 

Giovanni da Castel Bolognese. V. Bernardi. 

Giovanni, gentiluomo veneziano A. io5 106 107. 

Giovanni Francesco, piffero A. i33. 

GioVanfrancesco pittore. V. Penni. 

Giovanni Jacopo da Cesena, piflero al servigio del 
Papa A. 64 63. 

Gio. Stefano (mwer), famigliare del Duca Cosimo I. 
V. Lalli Stefano. 



•V.'- 



346 

Giovio Paolo A. 77 i32 no ^52 967 a6o a6f. 

/?. 35 81. 
GiValdi Cinzio G. B. J9. 58 Sg 54^ 
Girolamo (S.) jB. 2^7 3o2 4o5. 
Girolamo da Perugia, garzone del Gelltni A. 358, 

359 547 a 55o 365 366 567 570 386. B. éfio. 
Girolamo, piffero A. 21. 
Giuliano (S.) B> ii4 ''^* 
Giuliano, bombardiere fiorentino Ai, f2<» 
Giuliano di Baccio d'Agnolo j9. 3i4 364 ^ ^ 49^* 
Giulio Cesare , Imperatore A., 3. B. 73 78. 
Giulio II. Papa (Giuliano della Rovere di Savona) 

A, i3 i5 5i 75 79 117 124 166 198, B. a8 
39 61 82 i33 134. C i54 248. 

Giulio III. Papa (Gio. Maria del Monte) A. 446. 

B. 291 292 297 354 389 392. 
Giulto , romano V. Pippi. 

Giuseppe I. , d' Austria , Imperatore B. 83. 

Glorier V. Grolier. 

Gobbi Agosti tio A, 169. 

Golpata (della). V. Voìpaja. 

Gondi (de*) Gio. Battista B. 1S8. 

Gonzaga Federico^ Marchese e poi Duca di Man- 
tova ^. 90 98 ii5 142 a i44- ^^ 'o3. 

Gonzaga Ercole, Cardinale, fratello del suddetto 
A, 125 143 144* ^* ^3* 9(* 

Gonzaga Ippolito , al servizio di Francesco I. e. 
Ministro di Galeotto Pico della Mirandola- i^. inS 
182. ' ' 

Gonzaga Ippolita, figlia di Luigi , Signore di Bozzo* 
lo, e moglie di Galeotto Pico B, 173. 

Gonzaga Fermante, Governatore di Milano B. i85. 

Gori Antonfran Cesco B 269. 

Gorindelli Antonio di Domenico di Simone B. Ai5 

r, .446. 

Gonni Lattanzio B. ic6 197 200 246 3i5 46S. 
' Goro (di) Michele. V.'Vestri A. xxvin. 
Granacci Maria Lisabetta .^.26. 
Granaccì Stefano A. 6. 
Grassuccio da Monte Varchi. V. Varchi. 
.Órawa-Dio, giudeo A* ao»^ 



\ 



347 

Graizini Anton Francest:* , detto H Lasca B* a 1 2. 

C. XXXIII. xLi. XLii. xLTi. 259 262 a 263. 
Greco Giovanni A* i6q 291. 
Gregorio XIII. Papa (Ugo Buoncompagni) B. 393. 
Gregorf Antonio e Guido B, 5oo. 
Grolier Giovanni B, i45 i4^ i47* 

• • Cesare di Giovanni B. léfi. 
Guadagni Felice A. 223 233 284 286 288 296 a 384. 
Guadagni Tommaso ^1 no. 

Guardanelli (de*) Spinello di Gio. di Pagolo B. ^55. 
Guasconti Salvatore e Michele A* ^i. 
Guascontì Gherardo, cugino dei predetti A. 4^ 4^ 47- 
Guasparri, orefice romanesco C. 19 aS. 
Guasto (del) Marchese. V. Avalos. 
Guercino da Cento. V. Barbieri Francesco. 
Guicciardini Francesco A. 122 ia5 i32 375. i?. 35i. 
Guidi Guido» seniore B, 96 97 99 100 137 i58 i^S 

176 3o4 396 425 463 464. 
Guidi Guido , juniore B, 97. 
Guidi Tommaso ^. 3i 33. . 
Guidi Francesco di Vincensio di Tommaso B» 477» 
Guidi Jacopo da Volterra B. ISfi 349 ^^^ ^ ' ^^ 

384. à. 241. 
Guidi Guidozzo di Guidozzo B. 4S5. . 
Guidiccioni Giovanni A. j6q. 
Guido, aretino, monaco detta Pomposa B, 38, 
Guisa (Duca di). V. Lorena, 
Guiftone (Fra) B. 233: 



I 



lacone A, 104* 

Jacopo da Pontormo. V. Carucck 
Jacopo, perugino. V. Restelli. 
Jacopo da Carpi. V. Berengario. 
Jesi (da) Lucagnolo, orafo. V. Lucagnolo. 
ImhofT Giacomo Guglielmo B, 81 44^- 
Imola (da) Benvenuto. V. Benvenuto. 
Innocenzo VHI. Papa (Gio. Battista Cibo) À* 4pS* 
B. 81. 



-w- 



34S 

Invidia (da) ter Adama o Adam» B. 44^~ 

JcHqoino de Pr^ V. Prcs. 

Ipporrate B. loo. 

Ifcatinaro Cesare. V. Gattinara Già. Bartoloamtot. 

Isidoro C. a. 

Jitveiude Latino. V. Manetti. 



Lalli Gio. Battista B. Spf* 
LaDi Stefano B. 894 SpS. 

. . Lelio di Stefano B. 594 SgS. 
Lamberti Cav. Luigi B. i34. 
Lambino Dionigi B. i5. 
Lamentone, Procaccio A, a6g a 374* 
Lami Dottor Giovaonj B. 377. 
Lanci Baldassare B, ^\5. 
Lanciajo Francesco di Piero B. 4^* 
Landi, famiglia di Firenze A. ^i. 
Landi Piero di Giovanni A 49 ^ '4? '^' ^7* 
Landi Antonio di Vittorio B 2143168219 256 

259 240. 
Landi, di Piacenza B, 182 184. 
Landi Agostino di Piacenza B. i85. 
Landini Cristoforo C xl. 

Landini Gio. Battista , di Matteo d' Antonio B. 4^1. 
Landon C. P. B. ^"So. 
Lanfranchi Mattio di Luca B, ifyj. 
Langosco Conte Alessandro A^ 440. 
Lappi Filippo di ser Brunellesco A, Si 32 B^ 256. 

264 565 566 574. C. Lvx. 1 54 216 247. 
Lasca. V. Grazzini. 
Lastri Marco ^. 3i4. 
Lastricati Alessandro B. 282 285. 
Lastricati Zanobi B, 282. C slvi. 
Lavacchio (del) Salvestro, orefice fiorentino C to 

II. 
Lavacchio (del) Zanobi, orefice C. Lvnx. 
Laura (madonna; C. 26S. 



Lautizio» perugino jì. 78 79. B, it. C. 8i 8a 86. 

Lautrec. V. ioìx (del) Odeto. 

Lazzari Bramante j4. 54 79 197 198 354 C. i54 

2i5 ar6 ^47 248 249*. ' 

Legrand J9. ^5o. 
Lenzi. V. Caroesecchi Luigi. 
Leonardo , aretino. V. Bruni. 
Leonardo da Vinci B, a55 555 537. C xxxvi. ai6 

252 255 258 267. 
Leonardo , fiammingo /i, i o5. 
Leone X. Papa (Giovanni de' Medici) y^. i5 j4 ^5 

18 55 73 79 ii4 "7 124 '^6 '^SS 559: B, 29 

60 62 197 255 256 56i C, 55 i55 211. 
Leani Leone ^ aretino A, 44^ ^ 44^* 
Leoni Pompeo di Leone A, 44^* ^- ^^^* 
Leonori Francesco di Antonio Lorenzo B* 44^* ' 
Leva (de) Antonio B. 167. 
Lenti (di) Pellegrino. V. Pellegrino. 
Librodori (de) Annibale A. ^o. 
Librodori (de') Librodoro d'Annibale B, 499* 
Ligne (Principe di) A. i5o.* 
Lili Bernardino, medico A* 290 291 5o4 5o5k 
Lippi Fra Filippo A. 33. 
Lippi Filippo di Fra Filippo,^. 53. 
Lippi Francesco di Filippo A. 53 ^o> 
Lisci Lorenzo di Girolamo B. ^55. 
Lodovico da Fano A, 169 291 297, 
Longino 16 ) A, li^. 
Lontbiere de la). V. Roque. 
Lombardi F. B B. 108 56o. 
Lorena (di) Repato II. , Duca B, 60. 

• • • Cardinal Giovanni, figlio di Renato II. 
B, 60 04 65 95 96. C. 255. 

• • • Claudio , figliò di Renato IL , e primo 
Duca di Guiisa B. So 

... . , Francesco, figlio di Claudio, e secon- 
do Duca di Guisa B. ^2'j. 
. • , Cardinal Carlo , figlio di Claudio B. 60. 

• « • Cardinal Lodovico, figlio di Claudio 

B. 378. 
Lorenzo da Ceri A, 76 119 iSg, 



35o 

Lorenzo da Lutea «^ Trombone ^.64* 

Lorenzo 9 picàrdo j?. io5. 

Lottin A. M. , lìbrajo B. £3. 

Lotto (di) Pier Maria ^. iSg. 

Lucagnolo da Jesi, orafo milanese jÌ» 5i 56 a 76. 

Lucca (da) Anguillotto^ 

• . • Lorenzo. 

« . . Daniello. 

Vedi Anguillotto^ Lorenzo ec« 
Lucca (da) Pietri. V. Pietro. 
Lucchesini Giovanni. B. 38 1 382. 
Luigi (S.)^ Re di Francia B. 52. 
Luigi XI. ^ Re di Francia ^.57. 
Luigi XII. » Re di Francia B. 29 49* 
Luigi XIIL, Re di Francia B. l^^ J^St. 
Luigi dì Bourbon, [Principe di Condè B, ^l'j. 
Luigi, padovano^ cancelliere fn Castel S. Angiolo 

^. 58a 385. 
Luigi di Savoja, madre di Francesco L Re di 

Francia A. 116. B. Sg 60* 
Luna (<}e) Don Giovanni. B, 5i2. 
Luteriano Cristo B. 458. 
Lutero Martino A. 4^9- 



M 



Maccheranì Paolo B, 109 no 117. 

Maccheroni Cesare A. 192 i<94* 

JMacchiavelU Niccolò ^. 3 i3. 

Ma^on Antonio B, 78 79 98. 

Macrobio ^,107. 

Maffei Paolo Alessandro i9. i54* .... 

Maffio, barsello in Roma A^ 176 177. 

Magalotti, fuoruscito fiorentino A, 273 a 276.. 

Magalotto Gregorio, Vescovo A. 2i5 a 221 255 

4^4 * 4^*- ' 

Magliabechi Antonio A, 5i5, C. xx. ui. xxu^ 

XXXVIII. 

Majo Cesare B. 32o. 



35i 

Halaspina Ricciarda di Alberico Marchese di Maf- 
sa , moglie di Lorenzo Cibo \^. 268« 

Malfi (Duca di;. V. Piccolomini. 

Mallioy antico pittor romano B, 107, 

Malvasia Carlo Cesare B. i35. 

Mambelli March' Antonio B. 216 25a 5i7v4o7* 

Manellini Bernardino ^ di Mugello B. 208 279 280^ 

Manetti Latino Juvenale A. 269 261 52 1 5^2 35i. 

Manni Domenico Maria B, 200 277. 

Manno, orafo A, Sog. 

Mannozzi Domenico di Niccolò di Cristofiino B* 5oo« 

Manzani Domenico C. xxix. 

Marco Aurelio Antonino B. 429. 

Marco da Ravenna, intagliatore in raoie C iax. 

Marcoiie. V. Antonio di Sandro* 

Marescetti, Cavaliere A, i65. 

Margherita d'Austria., figlia naturale di Carlo V. , 
Medici , indi Farnese^. 1-47 282 4^^ 4^' 4 '9* 
B. i85. 

Margherita di Valois, Regina di Navarra^ sorella 
di Francesco L A, 376. :&, 60 6c 62 98 lot 
170 171. 
Margherita di Valois, figlia di Francesco h B, i5i. 
Margolla. V. Giamberti Francesco. 
Maria d'Austria, sorella di Cm^lo V. B. 86. 
Maria I. di Enrico VIIL ^ Regida d' Inghilterra 

B. 25o. 
Maria Ginevera, moglie del Capretta beccajo di Fi- 
renze B. 283. 
Mariette Pietro A, 196 ^. 69 88 
Marini Gaetadò A, i55 196 269 260 294 5o4 52 1. 
Marino (da S.). V. Antonio. 
Marmagna (di) V. L'AUemant. 
Marretta Girolamo , sanese A* i4^* ^* ^^* 
Martelli Andrea C. xLvi, 
Martelli Niccolò B, 98 no i38. C. nxiu. 
MartelU Ugolino A. 34 1 543. 
Martini Luca A. 298 5 10 34 1 449* ^' < 9^ ^^3 

584 ^8S- C. xxxTit. 234 255« 
Martini (de*) Piero B. ^'x. 



353 

Martino , fiammingo C lix. 

Masaccio. V. Guidi Tommaso. 

Masolino da Paoicale A, 3f. 

Massimiliano 11.^ d'Austria , Imperatore B. aag 33o. 

Massone. V. Ma9on. 

Maturino, pittore fiorentino C 210 211. 

Maurizio (Fra) , organista nel convento della Nun- 
ziata m Firenze B. tfio. 

Maurizio, cancelliere in Firenze A. 268. 

Mazzarelli Àgnolo B, 494 49^* 

Mazzetti Girolamo. V. Marretta. 

Mazzucheili Gio. Mario A, 34 1 343 4^'* ^.58 
i55 i58 296 35a 536. 

Mecatti Giuseppe Maria B. 227 354 4^ 4^^* 

Medici (de') Cosimo il Vecchio^ Padre della patria 

A. 17 283. B, 192. B. xu. f54 i55. 
. . . Giuliano di Pietro di Cosimo il VeC' 

chio A. ^o. 

; . . Giulio di Giuliano di Pietro. V. Cle- 
mente VII. 

• . . Lorenzo' il iiagnifico , figlio di Pietro 
di Cosimo il Vecchio A. 11 i5 3o 
44 1^8. B. 5' 62 188 190 200 417* 

c. 154. 

. . .Giovanni di Lorenzo il Magnifico. V.. 

Leone X. 
. . ., Lucrezia di Lorenzo il Magnifico, ma* 

ritata con Jacopoi Salvtati A- i5. 

B. 417. 
. . . Giuliano, Duca di Nemours, figlio di 

Lorenzo il Magnifico A» i3 236. 

B. 256. 
. . • Ippolito , Cardinale , figlio di Giuliano 

ài Lorenzo il Magnifico A, og i47 

23a 236 237 239 243 246 247 357 

a58 269 268 3o8 509 322» B, io. 
. . ^ Asdrubafe, figlio del Cardinale Ippolito 

A, 357. 
. « • Pietro di Lorenzo il Magnifico A, il 

i3 33 44 i54 258, 



353 

Medici (de*) Clarice di Pietra di Lorenzo il Magni- 
fico, maritata a Filippo Strozzi A. i34» 

. . • . Lorenzo, Duca di Urbino, e figlio, di 
Pietro di Lorenzo il Magnifico A, 20. 
B, 62 256 354. 

. . . . Alessandro primo Duca di Firenze, figlio 
di Lorenzo Duca d' Urbino A, i25 

i34 147 ^7^ '77 '78 i85 184 i85 
aoi 237 266 a 271 279 a 287 293 
307 a 019 4oo 40 1. B. 227 24^ ^35 
294 35i 354 362 364 414. C. XII. 
XXVI f. 94. 

. • . . Margherita 3 moglie di Alessandro L 
V. Margherita d'Austria. 

• . • . Gatterina di Lorenzo Duca d' Urbino , 
Regina di Francia A, i5i. B, i5 6% 
63 76 137 i38 i5i 180 362 427 a 

45»' 
Medici (de') Lorenzo, fratello di Cosimo il VeccTuo 

A, 17 283, 
• Gidipinni di Pier Francesco di Loren- 
zo fratello di Cosimo il P^ecchi^ 
A. 17. 
. . » . Giovannino di Gio. di Pier Francesco , 
detto dalle Bande Nere A, 17 24 

ii5 116 144 17^ 17^' 

. « • . Madonna Maria, moglie del predetto* 
V. Salviati Maria di Jacopo. 

. • . . Cosimo 1. di Giovannino , primo Gran* 
duca A. 17 38 45 i34 184 238 248 
368 298 3io 319 356 364 4^^* ^' 77, 
97 180 a 211 2i4 a 222 224 227 a 
245 249 a 256 259 a 265 268 a 275 
288 a 292 2q4 2q5 297 a 3 16 3 18 
321 a 339 3iU a ^54 3^ a 386 389 



a 396 4<o 4'' 4'4 ^ 4'8 4^' 4^^ 
a 428 432 a 437 441 444 445 44q 

45o 4^5 462 a 471 487 a 49^49^ 
397 498 5oo« C. XX., XXVI. xxyiii. 
a XXXV. xxxTiii. a xt. xAi?» xlv* 
Lvi i54 i55 197 283. 

Beny. Cellini Fol III. 23 



/ 



354 

Medici (de*) Dpcbena 'Eleonora, moglie del Gran- 
duca Cosinio I. V. Toledo. 
. . • Don Giovanni, Cardinale, figlio delGran* 
dtica Cosimo I. B. $26 3^7 878 58 1 

390 5q4 ^9^ 4^^ 4'^ 4^^ ^ 4^7* 
. . . Don tìarsia de) G. D. Cosimo I. 

£ 5a4 3^6 3^7 4i<> 4^^ ^ 4^7* 
, « . Lucrezia di Cosimo i. j maritata con 

Alfonso di Ercole li. da Este ^. 58i. 

. . • Isabella di Cosimo I. , maritata con 
Paolo Giordano. Orsini, Duca di Brac- 
ciano j4. 564. 

. . . Francesco I. di Cosimo t, secondo 
Granduca B. 209 229 524 526 32 

364 5^3 5^5 4'^ 4" 4'^ 4^' 4^ 
432 a 4^^ Soo C xxui. xxxji. XI.V. 
i55. 
^. ... Amando o Ferdinando I.^ figlio di Co- 
simo I. , Cardinale e poi terzo Gran- 
duca B. 527 392 452 455 435 457. 
C. xxni. Lix. i55. -% 
. . . . Cosimo III. di Ferdinando IL, sesto 
Granduca B* 387. 
Uedieì (de*) Loreazino detto il Traditore 9 e di- 
scendente da Lorenzo Fratello di Cosimo il 
J^ecchio A, 285 a 285 3o9 5i2. B. 226 a 25o. 
Medici (de') Ottaviano A. 28S a 285 209 5ia» 

B 5c)5 
Medici (de') Alessandro di Ottaviano B, SgS. 
Medici {àe) Pallone A, iig 
Medici (de') Bernardo^ Vescovo di Forlì jÌ, 258. 
Medici (de') Alamanno di Bernardo B, 4')6, 
Medici (de*) Cardinale Gio. Aneelo, di Milano. V. 

Pio IV. 
. . • . Gio. Giacomo, .Marchese di Meregi^ano^ 
fratello di , Pio IV. A. 445, B. 297 
3i5 352 4»7- 
Mebus Lorebzo C. xxi. 
Melantone Filippo A, 248. B^, i6. 
Mendozza (de) Don Diego B» 5i2 5i3» 
Miccerì, detto il Gatta B. ito» 



/ 



355 

Miccerì Paolo B, fio a ii5 12G a i3o i56. I 
Micbeìagnolo da Pinzidimonte o^ giusta il Vasari, 
Michelagnolo' di Viviano da Gajuole, orefice» 
padre del Cavaliere Bandinelli A. i5. B. 588. 

Michelagnolo , scultore >df. 89 a 707. 

Michele^ orafo J. 586 387. 

Micbelotto o Michelino , intagliatore di comidb 
A, 159 160 x&f. 

Michelozzi, ascritto da Leon X. alla famiglia de* Me- 
dici A. 258. 

li(fili/.ìa Francesco B> i55. 

Mini PhoIo a. 257. B' 525. C san. xxxi. a aoxiii* 
X1.V1 277. 

Mini Lorenzo» speziale in Tìt&m» B* 4^1. 

Miniati Bartolommeo B^ (o5. 

Mirandola (Conti della). V. Pico» 

Mochì Niccolò C 7:1^-91. 

Molinet Claudio A. 247 ^6». 

Molza Francesco Maria A. i25 44^* 

Monaldi Sandrino, capitano A. 4^4 4^9 4^\ 

Mondella Galeazzo i9. 112. 

Monluc Biagio^ Maresciallo A. S76. B» 5i3* 

. • . Giovanni , Vescovo di Valence^ e fratello 
del precedente A. 676 588 448« 
Montalambert Andrea, Signore di Esse B. 228. 
Monte (del) Gio. Maria. V. Giulio IIL 
Monte (del) Cardinale Innocenzo B* 291 29:4; 
Monte Acuto (da) Niccolò ec« 
Montecucolo Sebastiano B. 62. 
Montelupo (da) Baccio e Raffaello , scultori V. 

Baccio e Raffaello. 
Monteritondo (da) Pietro Paolo. V. Pietro Paolo. 
Montevarchi (da). V. Varchi e Gatani. , 
Montmorency Anna, Maresciallo é poi Contestabile 

di Francia B, 65 14^ 228 sSi 4^7* 
MontorsoTi (da) Fra Gio. Angelo. V. Giovanaagelo. 
Morandiere (de la.) V* Tertre. 
Morelli Cavaliere Jlicopo B. 78 555. C x?ai. 
Morigia Paolo A, 44^- 
Moro (del) Giovanili A. i74|'75. 



3S6 

Moro (del) Raflfaeno A. i54 167 a 17 1 iSjT SnS 

C. 19 a5. 
Morosina , amica del Bembo A. 34o* 
Morosini Andrea A. a 56. 
Mosca Simone B, SgS. 
Moica Francesco cU Simone, detto il Moschino* 

B. 395. 
Muratori Lodovico A. 4o6. B, 39 4^6. 
Murato Marc' Antonio A. 248. ^. i5. 



N 



Maldini LfOrenzo ^. io5. 

Nardi Jacopo B* 4^ >^^ ^7^ ^7'* 
Nasaro (del) Mattio B, 112 129. 
Nassau Enrico (Conte di) ^. i^n. 
Navarra (Re di). V. Albret. V. Bourbon. 

. . . (Regina di). V. Valois 
Negri. Giulio B, 532 4^^- ^* xtiu. xxxvi. 256. 
Nero (del) Francesco ^.188 189 190. 
Nesle (di) Amauri B, 5( 52. 
Nesle fdi) Conte Giovanni B, 52. 
Reufville (di» V. Villerois. 
Niccolaio da Volterra A. a4* 
Ni( colò , orafo milanese A \^i f44' 
Niccolò da Monte Acuto A, 268 507 5i2 5i5. 
Nicola (Prete) , vii'entino B, 39. 
Nino (di) Piero C. iviii. 
Nobili (de') Antonio B 354 355 556 445 464, 
Nobili (de*) Vincenzo B. 554* 
Norcia (da) Francesco. V. Fusconi» 
Nugent Tomaso B. 277 288 295. 



357 



Omero B. Su. 

Oraoges (d'). V. Ghalons. 

Orbech (d*) il Viscpnte B. 5'] 67. 

Orgenis (d*). Vescovo. V. Balbo Girolamo, Fé' 

SCOILO Ourgense , cioè di Gurk. 
Orleans (d*) Garlo , padre ' di Francesco I. Re dì 

Francia. V. Garlo. 
Orleans (Duca d*) Garlo, figlio di Francesco I. V. 

Garlo. 
Orleans (d') Francesco dipintore. V. Francesco. 
Oribasio B» 100. 

Orsini Virginio di Napoleone^ Signore di Braccia- 
no , e Gonte dell' Ànguillara B, So. 
. . Gio. Giordano di Virginio^ Signore di Brac- 
ciano B. 80. 
-. . Girolamo di. Giovanni Giordano, Signore di 

Bracciano A. 364* 
. • Paolo Giordano di Girolamo, , primo Duca 
di Bracciano, e Gonte dell' Ànguillara A, 364. 
B. 8i. 
Orsini Garlo di Virginio, bastardo^ Gonte deirAn- 
guillara B, 80. 
• . Virginio di Garlo , Gonte dell' Ànguillara 
B, 80 81. 
Orsini Luigi , Gonte di Pitigliano, Nola e Sorana 

A. 420. B. 81. *• 
. Jeronima di Luigi , moglie di Pier Luigi 

Farnese A. ^ig 4^^* 
• Gio. Francesco di Luigi, Gonte di Pitigliano, 

Nola e Sovanà B. 01 82. 
. Nicola di Gio. Francesco, Gonte di Pitiglìa* 

no B, 82. 
. Orso di Gio. Francesco , Gonte di Pitigliano 

B. 82. 
. Alessandro 4i Nicola, Conte di Pitigliano 

. B. 82. 



/ 



358 

Orsini Gio» Aiitonio di Alessandro, Conte di Piti- 
glìanOy e Marchese di Monte S. Savino B. 82. 

Orsini Paolo, Giovanni e Latino^ 6gli di Camillo, 
Marchese di Lamentana B. 44^* 

Orsini da Stabbia Flaminio. V. Anguillara da Stabbia. 

Orsini Franciotto^ Signore di Monterotondo j ? Car- 
dinale A. i58. 

Orsini Ignazio A. 980. 



Pacalli Giuliano B. agS. 

Pagani Pagano C. sxvi. 

Pagno (di) Zanobi , campanajo B. 252. 

Pagolo di Gio. Battista da Bibiena B. 4^1. 

Palestrina (di) Stefano V. Colonna* 

Pallavicini Girolamo » di Piacenza B. i85. 

Pallavicino (Frate) A. 579 a 383. 

Palombo, otte A. /^ii. 

Palomino. V. Velasco. 

Panciaticfai (famiglia de'). B, 280. 

Pandolfini Agnolo B. 186, 

Panicale (da). V. Masolino. 

Pantasika, cortigiana A. 91 97 io3 a ii4 

Paolo f romano, allievo di Benvenuto, persona naia 
molto umile, e non si conosceva suo padre 
B. ^ IO 16 a 27 3i 38 /^o 43 a 5^ 109 ii3 

174 iS> 20^ ^11* 
Paolo IL Papa (Pietro Barbo). B. 81. 

Paolo III. Papa (Alessandro Farnese) A, So 124 
125 127 i55 201 2i5 259 a 263 285 292 2q3 
294 320 a 326 329 a 335 338 3$o 3Ò7 568 
375 a 379 384 ^^ 387 389 4<)c» a 4>^5 4^0 
421 43i 438 440 448 a 45i. B. 27 38 29 38 
81 86 i83 x84 25i 298 393 429. C. xii. 17 
18 24. 

Paolo IV. Papa (Gio. Pietro Caraffa) B. i85 54 1 
428. 

Parigi (da) Simone. V. Simona. 



/ 



Parini Giuseppe A. xv«» 

Parma (da) Donnino. 

Particino Antonio H, Sr4 49^* 

Pasqualino d'Ancóna, architetto B. 3ki4* 

Passerini Silvio, Cardinale A* i47* 

Patrizi Francesco ^. So. 

Paul (Conte di Saint. V. Bourbon Francesco. 

Paulino , fattorino di Benvenuto , e figlio di un cU' 
ladino Romano, il quale vìveva delle sue en- 
trate A. 65 64 67 7 1 82. 

Pazzi (de*) Alfonso C. 255. 
. Pecci Gio. Antonio A, 246. 

Pecci Pier Antonio A, 246. 

Pedignone Giovanni ^ soldato A, Z^i S^S. 

Pellegrino di Lenti , giojelliere ^.44^* 

Penni Gio. Francesco, detto il Fattore A, S2 55 
62 71 72 75 90 94. 

Penni Luca B^ io5. 

Pericoli (de*) Niccolò , detto il Tribolo , scultore 
^. ^ 89 266 a 279. B. 98, C. xLii. 236. 

Perini Bartolommeo , orafo E. f\b^. 

Perugia (da). V. Girolamo e Vincenzo. 

Perugino Pietro. V. Pietro. 

Perugino Lautizio. V. Lautizio» 

Perugino Jacopo. V. Rastelli. 

Perugino (messer Benvenuto) V. Benvenuto. 

Peruzzi Baldassarre , da Siena A. 89. B. 4^^* 
C' 2i5 25i. 

Pescara (di) Marchese. V. Avatos. 

Petrarca Francesco A. 224 34o. B, fyA 407 4^'* 
C. 268. 

Petnicci; Signori ò\ Siena B, 3i3. 

PfifTer , Generale ^ di Lucerna A. 266. 

Picardo Lorenzo. V. Lorenzo. 

Piccolomini Alfonso ^ t>uca di Amalfi; B> 24 25 

3 12. 

Picconi Antonio, detto da S. Gallo A, 90 23S aSi 

354 355. B, 3i5. C. 2i5 ai6 24? ^^9* ' 
Piceoino Niccolò A. 3o. 
Pico Giovanni, /Conte della Mirandola B» 82. 
Pico Gio. Francesca 1 nipote dell prededente B. 8a« 



S6o 

Pico Luigf, fratello di Gio. Francesco A 92 83. * 
Pico Galeotto di Luigi» Conte della Mirandola 

B. 8i 83 83 173 180 181. 
Pico Lodovico di Galeotto « Conte della Mirandob 

B, 83 181. 
Pico Frane. Maria, Duca della Mirandola B. 83. 
Pierino, piffero A. ao 2.1 a3. 
Pietra Conte Clemente B. 357« 
Pietro (S.) B. 7. 

Pietro, aretino A* 3o 98 169 443> B, 3 14» 
Pietro^ perugino A, 53. 
Pietro da Lucca, Guardaroba del Duca Alessandro 

de' Medici A. 282. 
Pietro Paolo da Monterìtondo A. 283 286 287 3 12. 
Piffero (del) Ercole. V. Ercole. 
Pigna Giambattista B. 58. 
Pilli (de*) Raffaello B, 267 409 4 io. 
Pilli Salvadore, orefice C. Lvni. 
Piloto, orafo '^. io4 255. C, 235. 
Pingone Emanuel Filiberto B. 3 20 
Pinzi di Monte (da). V. Babdinello Michelagnolo. 
Pio IT. Papa (Enea Silvio Piccolòmini) B. 24. 
Pio IV. Papa (Gio. Angelo de' Medici in Milano) 

B, 229 291 4>< 4*^9 4^3* V 

Pio V. Papa (Michele Gbislieri) A. 248. B. 229 

291 378. 
Piombo (del). V. Bastiano. 
Pippi Giulio A, 5a 53 90 94 a 98 1 54 lii'i i45. 

B, ro5. C, 91. 
Pisano, y. Andrea. 
Pisseleu Anna, Duchessa d'Estampes A, sui. B, 59 

60 65 80 84 85 qS a io4 122 i23 i45 i49 a 

i53 157 a 162 167 168 175. 
Pistoiese V. Beatrice. 
Pitialiano (Conti di). V. Orsini. 
Pitti Jacopo B. 49^* 
Plessìs. V. Ridieueu. 

Plinio Cajo Secondo , il Vecchio B. i33. C. 2. 
Plutarco C, lui. 
Poggini Domenico e Giampaolo B* - apS 209 ai^ 

^^Q 239 a4i* C sUiTi. 281. 



36r 
Poggio » fiorentino A. 4* 
Poitters (di) Diana B. 62 1S8. 
Pollaiuolo (del) Antonio . orefice C. Lvir. 
Polisiano Angelo A, i58. B, aoo. 
Pollini (famiglia) B. 49^. 
Polo (Monsignor dì S.). V, BourSon- Francesco. 
Polverino Jacopo. B. 357 ^^^ 4^'* 
Pompeo, orafo milanese A. 160 161 212 3i3 214 
220 221 222 235 239 249 261 a 255 259 a 

266 4<>9* 
Pontormo (da) Jacopo. V. Garucci, 
Porta (della) Guglielmo A. 197. 
Portai Antonio B. 97. 
Pozzetti Pompilio B, 83 181. 
Prassitele B. i34* 
Prato (da) GioTanni. V. Giovanni. 
Prato (da) Tomaso. V. Gortez. 
Près (de) Josquino B. 39. 
Prete siciliano, negromante A, 224 a 234« 
Primaticcio Francesco, detto il Bologna B, 85 102 

]o3 io4 122 a 126 I2Q i33 i36 i48 149 171- 
Prudhomme Guglielmo B. ^. 
Prudhomme L, B* 4^^* 
Pucci Roberto^ Cardinale A. 201 384 4^'* 
Pucci Pandolfo, figlio di Roberto A^ 4^^* 
Pucci Antonio, Cardinale^, nipote di Roberto A. 384* 
Pulci Luigi, autore del Morgante jS. 320. 
Pulci Luigi, improvvisatore A, io3 a ii4- 
Pulidoro, dipiìitore C 210. ^ 



Quaranta (da') Matteo^ scultore y/. 258. 
Quistello Alfonso B, 357 4^^* 
Quistella Lucrezia di Alfonso, maritata pietra 
B. 357. 



\ 
/ 



362 



R 



Raffaello d* Urbino. V. Sanzio. 

Raffaello da Mootelupo A, 374- 

Ra^i (di Roma) , Marchese A. i65. . 

Raimondi Marc'Àntonio , intagliatore A, 3*i g8. 

Rainaldi Vinténzo B. Sga. 

Rangoni Conte Guido B, ']']> 

Rapacrini Raffaello A, ^o. 

Rastelli Jacopo, chirurgo A. 167 168 4o2* 

Ratti Tomaso A. 332. 

Ravazzano (da). V. Benedetto. 

Ravenna (il Cardinale di) V. Accòlti. 

Ravenna (da) Marco. V. Marco. 

Razzi Gio. Antonio , detto il Soddoma B. 428. 

Re (del) 5 speziale in Firenze B, 4^7- 

Recalcati Ambrogio^ milanese A, 260 agS. 

Recuperati Andrea B. 47 ^* 

Redi Francesco A> xix. e segg. B. 190. C xcv. 



Rentio o Renzo da Ceri o Cerez. V. Lorenzo. 

Ria rio Girolamo , Signore d* Imola e Forlì A. 18. 

Riario Raffaello Sansone 3 Cardinale A* 44^* 

Ribier Guglielmo. B, 5g» 
^Riccardi Pietro B. ^66. 
Tlicc! Bartolommeo B. Sg. 

Ricci (de*) Federico di Ruberto B, ^lì 4'4 4^9» 

Ricci Pier Francesco , da Prato B 196 199 a ao4« 
220 a 2^4 '2^^ '^9^^ ^^^ ^02 367 

Ricdarelli Daniello^ da Volterra B. 428 429 4^^- 

Ricoobaldi Falconieri e Benedetto di Alberto B. ^55i 

Ricbelieu, Cardinale Armando B. 43o. C xxli. 

Ridolfi Niccolò, Cardinale A. 73. 

Ridolfì Lucantonio B. iBc 

Rigogli Giovanni A, i45. 

Rinaldo d'Asti B, iiJ^, • - 

Binoone .... Ministro di Francesco I. A 87< 

Rodigino Celio B, i/^Q, 



363 

Bomoli Vincenzo A. uaS a 228. 

Romolo, oste in Roma A* 109. 

Roque (de la ) de la Lonthiere Gilles Andrea 

^. 57. ^ . 

Bore (de) Cipriano B. Sp. 
Rosasco Girolamo B. 894 • ' 

Rosaspina Francesco, intagliatore A. a47- 
Rosselli Mariano B. fyyi» 

Bossi (de') Gio. Girolamo, Vescovo di Pavia A. 44^* 
447» ^» 97 98 173 175 176. 
. . . Ettore , Conte di Snnsecondo , fratello 

del precedente A, 44^« 
. • . Pier Maria, Conte di Sansecondo, fra- 
tello dei precedenti B, 97 98. • 
Bossi (de*) Costanza maritata Albizzi B, 352. 
Rosso, dipintore fiorentino A. 75353 a 356. B. ioa 

io3 i35 i36 149. 
Rosso (del) messer Paolo C 282. 
Rovelli Giuseppe A, 44^* 
Rovere (della) Giuliano. V. Giulio II. Papa. 
Rovere (della) Francesco Maria, Duca d'Urbino 

A. \i\, B. »5i 25i. 
• , « . . Gnidubaldo II., figlio del preceden* 

Ite B. 347. 
Roux (maitre). V. Rosso , dipintore fiorentino. 
Ruberti Micbele B, 444* 
Bu celiai Luigi A. 256. B. 464* 
Rucellai Orazio B. 43o. 



Sacchetti Franco A. 329. B. 276 283. 
Saidoleto Cardinale Jacopo A. 269 44^* 
Salamanca (di) Vescovo. V. Bobadilla. 
Salamoni Francesco B. fy)5. 
Salimbi^ni Francesco A. 34 56 fyo. 
Saliti Bernardo B. 33. 
Salteregli Stefano , orefice C lviii. 
Salvi (di) Antonio, orefice C lviu. 



1' 



364 

Salvi Agnese B. ^. 

Salviatì Jacopo ^. i$ i8 7} 116 127 i55 iS^ 284. 

B, 147. 
• . Lucresia, Moglie di Jacopo. V. Medici Lu* 

crezia, di Lorenzo il Magnifico* 
. . Cardinale Giovanni di Jacopo A. 73 74 

3oa a 309 233. B^ 38. 
. . Piero di Jacopo B 368. 
. . Alamanno di Jacopo B. 354* 
. . Costanza, moglie di Alamanno. V. Serri- 

«torì. 
» . Maria di Jacopo, maritata Medici. B, 35 r. 
Salviati Pietro di Alamanno di Averardo B* 368. 

369. 
Salviati Pietro di Leonardo B. 368. 
Salviati (de*) Francesco^ dipintore B. ag6. 
Salvini Anton Maria B. 114 264 274. 
Salvini Salvino, Canonico B, xrii. 334. 
Sandrino. Y. Allori Alessandro. " 

Sanga Gio. Battista >^. 173. / 
Sangallo (di) V. Gallo <S.). 
Sansavino (da Monte a) Andrea, acaltore. V. Con- 

tucci. . 
Sansecondo (Conti di). V. Rossi. 
Sansovìno (del) Jacopo, Bglio di Antonio Tatti, ed 
allievo di Andrea Con tucci da Monte a Sansa» 
vino ji. 267 274 275. B 225 226 389. 
Sansovino Francesco di Jacopo A. 267. B. 81. 
Santacroce Antonio A, 121 122 i23 157 i38. 
Santa Fiora o Fiore (di). V. Sforza. 
Santi (maestro), orafo A. 5i. • 

Santini Gio. Battista B, ^o3 4o4- 
Sanzio da Urbino Raffaello A, 32 52 53 56 75 88 

90 170 354. B. 296 335. C 21 5. 
Saracini Giuliano B, 3 14. 
Sardella Giovanni. B, 4^2 ^oS. 
Sarto (del) Andrea , dipintore. V. Vannucchi. 
Savelli Gio. Battista A. 238. 

Savoja (di) Duca Emanuele Filiberto. V. Ema- 
nuele. 
Savoja (di) Luigia. V. Luigia. 



365 

Savonarola F. Girolamo A. 44 49 ^47 38o. 

Sauval Enrico. B, 52 65 167. 

Sbietta. V. Anterigoli (da) Pier Maria. 

Scatinaro Cesare V. Gatti nara Gio Bartolommeo. 

Scbieggia RafTaellone B, 4iB 4^9 l^^^ 4^^ 

Schio o Schiedo Girolamo, Vescovo ^.189 199. 

Schomberg Fra Nicola A, i55 iSj. 

Sciarra , fiorentino B, 78* 

Scilla Saverio A* i65 261. 

Sciorina (dello) Jacopo A. i5i i54 157. 

Scozzona. V. Gianna. 

Sebastiano. V. Bastiano. 

Spgni Bernardo A, i3a 268 3i8. B* 81 358. 

Serguidf Antonio (7. imi. 

Serlio Bastianiho C. ^Si a53 oS>Z» 

Sermartelli Bartolommeo C. xu. 256* 

Serristorì , famiglia B. 274. 

Serri^tori Averardo B, agi 293 297 ^5 4' 3* 

Serristori Costanza di Giovanni, maritata con Ala* 

manno di Jacopo Salviati B, 3>4- 
Serristori (de*) Monsig. Vescovo B, 4^^* ^« xxxix. 
Scuter Gio. Giorgio 9 incisore C 255. 
Sforza Cardinale Ascanio Maria ^ figUo del Duca di 

Milano Francesco I. A. 198. 
. . Galeazzo Maria, fialio dì Francesco I. Duca 

di Milano ^.17 8o. 
. . Caterina, figlia naturale del Duca Galeazzo 

Maria, maritata con Girolamo Riarìo, e 

poi con Giovanni di Pier Francesco de'Me- 

dici A. in* 
; . Giovanni Galeazzo Maria , figlio di Galeazzo 

Maria, Duca di Milano A, 80 198. 

• . Lodovico, il Moro, figlio di Francesco I. 

Duca di Milano A. 80 198. 
. . Francesco li. , figlio di Lodovico il Moro , e 
Duca di Milano B. 18 ii4« 
Sforza Bosio, Conte di Santa Fiora A. 333 364 4<>^« 
B. 578. 

• • Sforza di Bosio, Conte di Santa Fiora A, 333. 

• . Cardinale Guido Ascanio , figlio di Bosio di 

Santa Fiora A. 408 » 4ii* ^* ^78 l^v\. 



.^66 

Sforza FniDCesca , %lia di Boùo di SanU Fiora 

A. 364 ^^* 
Sgnazzella^ dipiotore A, 355. 
Siena (da) BaldaMure. V. Peruzzi. 
SiKestri GiovaDDi» tipografo A. su. 
Silfcstro (S.) Papa A. i34. 
Simone da Parigi B. io3. 

Soarez Baldassarre di Pietro B. Sq%, 

Soddoma. V, Razzi Gio. Antonio. 

Soderini Pietro A. i3 i4 4^ 49* 

Soderìni Francesco» tuoriucito fiorentino A, ZA 

317. 
Sogltani GIo. Battista A. 4'- 
Solimano II. B. 87 228. 
Solino Ù. a. 
Sòlosmeo Antonio, scultore A. 238 339 240 a44> 

B, 197. 

Spadone y Procaccio H. 4^3. 
iSpana Pippo C 248. 
•^pini Gherardo C xyii. l. li. 
Spiriti Giulio j9. 3oi. 

Sputasenni Domenico di Antonio B. 4^5 4^ 4^ 

461 477 479 ^ 4^3 488 a 493. 

• . . Dorotea, moglie del precedente B- 4^5 

456 4^ 4^1 479 ^ 4^3 48S 489 49'* 

• .' • Tonino di Domenico , figlio adottivo del 

Cellini e perciò detto BenvenuÈO, e poi 
Fra Laitanzio B. Ì^5S ^56 ^60 4^i 
' 465 477 478 479 a 483 488 a 493. 
.... Margherita o Bita di J)omenico B^ ^^5 
456 460 461 489. 
. • . Tina di Antonio B. 4^^* 
Stabbia (da) V. Anguillara. 
Stradino B, 98. 
Strozzi, famiglia B» 188. 
Strozzi F. Alessio A. ^8 5o. 
Strozzi Cattìvanza A. 173 174* 
Strom Filippo A. i54 184 199 283 298 345 346. 
B. 76 77. 
• Pietro di Filippo, Maresciallo di Francia 



367 

jB. ^6 a 8x 169 170 3^7 22^229 297 3i3 

3f9 34^ 
Strozzi Leooe dì Filippo^ Priore di Capua B. 81 

227 a 23o. 
. • . Roberto di Filippo B, 229 429. 

. . Maddalena di Filippo^ Maritata con Fiumi- 

Ilio Anguillara da Stabbia B. 81. 
Strozzi Giovanni^ Amb ascia toi'e di Cosimo l, B, 434* 
Strozzi Filippo o Picchio di Federigo B. 4^7 4^^ 

4^9 4^^- 
Strozzi Lorenzo di Federigo B. 4^7 4^^ 4% 4^^* 
Strozzi Leone di Lodovico » Marchese dì Forano « 

Duca di Bagnolo 4 Prelato domestico del Papa 

j4» i65. / 

Strozzi Tomaso C xztxi. xxxvn. xxxi. 
Stufa (della) Prinzivalle^//. 4^ a 45* 
Stufa (della) Pandolfo B. 362 363. 
Stufa (della) Piero B. 499 ^cro* 
Stufa ideila) Giulio C. xlti. 
Sugarello / profumiere A, 362. 



Tacca .(della) Gio. Piero ^ orafo milanese A. 62. 
Tacca, (della) Gio. Francesco, orafo milanese A. 4'o* 
Tacito Cornelio B. 324 5o2. 

Tadda (del) Francesco , scultare fiorentino C. igd, 
Tagliacozzo (da). V. Ascanio. 
Tampes cioè Estampes (Madama di) V« Pisseleu. 
, Tantecòse (messer), cioè Pier Giovanni Aliiotti 

A. 258. 

Targhetta Miliano, giofelliere di Venezia w^. 526 

527 328 C. iS 24 25. 
Targioni Tozzetti Giovanni B. 489 277^ 
Tarsia Gio. Maria C xxxvzix. xli. 256. 
Tassi Raffaello, secondo marito di Liberata Cellini 

B. 177. i86 187 188 207. 

Tassi Maddalena di Raffaello B. 188 447 44& 



368 

Tassì Liperata di Raffaello, monaca io S. Orsola 

i88 485 486. 
Ijurì Matteo, d'Antonio dì Bastiano B, 476. 
Tasso Gio. Battista^, intagliatore in legno , e archi- 
tetto A, 34 a 38. S. gjS 198 199 3i5 C u.11. 

236; 
Tatti Jacopo di Antonio, detto del San Savino o 

Sansovìno. V. Sansovino Jacopo. 
Tavolaccino (del) Romolo, orefice C. Lvin. 
Tavolaccino (del) Piero C. ltu. lvzii. 
Tavolaccino (del) Giovanni Cy, Lvm. 
Tedaldi Lionardo B. 174 17^ >79- 
Tedescbini Nanni , da Sarteano B. ^4' 
Termes V. (de). Barthe. 

Tertre (du) de la Morandiere Giacomo B. 57. 
Teno (messere), merciajo ferrarese C. ai5 246 

247 ft49. 
Thoa (de) Giacomo Angusto B, 78. 
Tiraboscbi Girolamo A. xtw, 96 216. i?. 82 i35 

175 182 364. C XXVI. 
Tito, Imperatore B^ i33« 
Tiziano. V. Vecelii. 

Tobbia, orefice milanese A. 209 a 239. 
Toledo (di) Pietro Alvarez, Viceré di Napoli 

A, 241 a 243 B. 189. 
Toledo (di) Leonora di Pietro Alvarez, moglie del 

Duca Cosimo I. B, 189 191 194 209 210 21 f 

236 241 243 244 ^49 ^^o ^^4 ^9^ ^9^ ^^ ^ 
3i2v324 a 329 33 1 !^5o a 353 357 3è3 372 a 
375 377 a 38o 383 a 386 388 589 391 4o8 
4io 41 1 424 a 428 433 435 436 470 471* 
C, nix. XXX. XXXI. 

Tolomei Claudio A. 169. B, 97 i58. 

Tomaso da Prato. V. Cortez. 

Torelli Lelio B, 363 364 417 46^. 

Torelli Francesco di Lelio ^.564. - 

Torrentino , stampatore i^^-364. 

Torrigiano Pietro . scultore A, 29 a 35. 

Tour (de la) Maddalena B, 62. 

Tournon Francesco, Gardmale B. (5 65». 

Tozzetti. V. Targioni. 



369 

Trajano (messer). V. Alicorni. 

Traversano P. Ambrogio ^ Geaei*att de' Camaldolesi 

C XXI. 
Trìbolo. V. de' Pericoli. 

Trivalzio Gio. GÙM^omo , il Magno ^ Maresiiiallo di 
Francia A, 80. B. 02. 
. . . Agostino di Giovanni^ Cardinale A* 260» 
. . Coiste Gio. Giacomo^. iiS. 
Trotti (de'; Alfonso B. 55 ^ 5& 



Vaga (del) Perino A\ Si 104. B, 428. C. 235. 
Valdes Giovanni A, 122 i25 iSi 248 574. 
Valenti Benedetto A. 216 217 218 36g. 
Valle (della) Guglielmo B. 42S. C. xxxiii* 
Valois (di) Carlo. V. Carlo. 

• • . Francesco di Carlo. V. Francesco I. Re 

di Francia. 

• . . Francesco di Francesco L V. Francesco ^ 

Delfino. > 

• . . Margherita ^ sorella di Francesco \. e 

Regina di Navarra. V. Margherita di 
Valois ec. 
, • • Margherita , figlia di- Francesco I. V. 
Margherita ec. 
Valori Bartolommeo A. 199 a 201. i^. 2i4- C 283» 
Valori Filippo B, 532. 
Van gest Margherita A, 282. 
Vanni C xxxviii. 
Vanni dal Borgo a Buggiano , di Gian Filippo 

B. 494. 
Vannucci Andrea , detto del Sarto A. 7$ 3o8 Ì55. 

B. 535. C. 267. 
Varchi Benedetto A, xvni. xxv. 5 58 4^ 44 ^ 9^ 
i32 i33 179 189 iq5 259 267 258 281 298 
299 5oi 3o7 5i5 5i» 539 54 1 597 4^4 4^9 
4^0 i^^\. h, IO 98 i38 201 2i4 219 237 2^9 
554 356 4 IO 4^7* C. XVI. XXXII». xlu. xIiTI, 
Bem. Ccllini Voh ili. a4 



370 

a35 236 245 144 ^^4 ^1^ ^7< ^1^ ^li ^iS 
285. 

Varchi Grassuccio , fratello del precedente A. 5o. 

Varillas Antonio ^.82. 

Vasari Gioreio ^. xv. 3i 38 ng 88 91 io4 i34 
i5ò 3o8 309 320 524 4^^- ^' 'o^ i'^ '^5 
i36 i65 180 192 200 246 249 252 255 256 
259 263 282 296 298 5oo 3 14 321 33 A 340 
552 354 òS^ 565 a 568 371 a 374 3;6 382 
a 387 389 390 391 395 594 396 425 429 
430 498. C. xxviii, zxix. szxni; 235 236 265 
a 267. 

Vasellaj. V. Vasari. 

Vasona (Vescovo di). V. Schio. 

Vasto (del). V. Àvalos. 

Uberti Fazio B, 21 5. 

libertini Antonio e Francesco, detti Bachiacca A. 91 
107 109 II u B. 219. C. xnixi. 

Vecchietti ^rnardo B. 391. C. XLvt, 

Veccelli Tiziano B 225 256. C. 255. 

Veca (de) Don Giovanni B i3g. 

Velasco Don Antonio Palomino B. 4^5* C* txm: 

Vallutello Alessandro C xl. 

Veneziano Sebastiano. V. Bastiano. 

Verocchio (del, Andrea B. 557. C tvni. 

Vespucci Niccolò, Cavaliere j4. i54 iSg i56. 

Vestrì Michele di Noro o di Goeo. A. zxvin. 

B. 446. 

Vettori Pietro. J, 448. 
Ughelli Ferdinando A. 2i5 256. B. 58. 
Ugolini (degli) Giorgio, Castellano di Castel S. An* 

giolo ^.577 a 595 400 a 4^4 4^' 

422 425 4^8 43 1 43a 453 458 a 44 f. 

Antonio , fratello di Giorgio A. 44 < 

44? ^ 4^^* 
. « . . . Pietro, nipote di Giorgio A. 44^* 
Vicario dell'Arcivescovo di Firenze C. 
Vicentino Nicola , Prete B. 5g. 
Vicentino Valerio. V Belli. 
Vicorati (da) Francesco A. 4* 
Vidius Vidus. V. Guidi Guido. 



37» 

Vedrìant Lodovico B. t35. 

Vignola. V. Barozzi. 

Villa y paggio del Cardinale Alfonso U. da Este 

Villani Giovanni A. S 44^* '^* ^ ^9 '^ ^4^ ^^^ 

274. 
Villani Filippo B. 106. 

Villerois di NeufviUe Nicola B. 5a 55 56 i65. 
Vincenzo da Perugia C. xlvi. 
Vinci (da) Leonardo. V. Leonardo. 
Vieta Francesco B. ^65 ^66 ^6n. 
Vinta Michele di Francesco B, ^55, 
Virgilio B. 106. 
Visconti Matteo^ Signore di Milano B. 184. 

. • . Azone^ Signore di Milano B, 11. 

. . • Lodrisio B 11. 

. . . Filippo Maria, Duca di Milana A, S(k 
Visconti Ennio Quirino B. iS3 i54* 
Vitelli Paolo A, 33. 
Vitelli Vitellozzo, Cardinale B. ^ti. 
Vitruvio B. 35- C. 25o aSi. 
Vittorio^ bargello in Roma ^. 289» 
Vivaldi Micbelagnolo C. xlvi. 276. 
Ulivieri della Chiostra A. 26 28. 
Ulloa Alfonso A. |32. 
Volpaja (della) Lorenzo B^ 200. C, lvuu 
Volterra (da) Daniello. V. Ricciarelli. 
Volterra (da) Niccolajo. V. Niccola^p. 
Urbino (d*) Duchi. V. della Rovere , e Feltro.. 
Urbino (d*; Giovanni^ ^ capitano A, i32 i53. 
Urbino (d'y Raffaello. V. Sanzio. 
Ui'bino (d')« garzone del Buonarroti B. 2^8 29^ 

5oo 3o3. 

^ . • . Micbelagnolo^ figlio del prece^nte 

B, 3oo. 
Urgenis (d'). V. Balbo Girolamo. 
Willaert Adriano B, 5g. 
Winckelmann Giovanni B, i54 ^57. 



^l^2 



ZaAo 6io. Ulderico S. 129. 
Zati Averardo B. 584- 
Zeglfer Giovanni B, a4a. 
Zuccheri Federigo C. a65. 



zi 



3,3 



INDICE 



X>«ne cose piti importanti ^ che non sono accennate 

negl Indici precedenti. 



A 

J\ccotj)o cogP Imperiali, fatto da Clemente Vili 
assediato in Castel S. Angelo A. SyS» 

Acqua ^ da intagliare in rame invece, del bulino ^ 
come si faccia C i48 

Acqua da partire, come si faccia C. i^g^ 

Acqua grumata , che sia C i44* 

Acqua di semi di pere; a che serva C 55. 

Acque odorifere, e mirabili per far tirar la pelle 
B. 145. 

Acquerello , che sia C* aio. 

Adamo ed Eva, gruppo del Bandinello B. 386. 

Adanannì o Anagoi nella Campagna di Roma ^* a44* 

Alba o Albttia ^ montagtia A, £^« 



Alfabeto pei lavori èi cavo , come sì faccia C. 90. 

Alfieri, sao Don Garzia B. 4^. 

Alpe, pret» il poc«e £ Viochio B. fyii. 

Amatiste , i acconciaDO cello specchietto C* 27. 

AmmattoDato , che ri fa dai getUtori sopra la fosn, 
ove ri pone la forma B, 1^^. C lyS. 

Ambasciata solenne spedita dal Duca G>simo a Giu- 
lio ni. B. 292. 

Ambasciadori del Viceré di Napoli, in Firenze 
B. 359 540. 

Ambasciatori di Locca e di Ferrara , in Firenze 

B. 58o 58i. 
Ambrogio (S.) , come sia stato rappresentato A. ir. 
Ancudini diversi da orefici, come siano C. 121. 
Anellino mandato dalla Duchessa Eleonora al Re 

Filippo li. B. 249* 
Anelli antichi, di ferro, commesri d'oro, con un 

nìcchiolino A, loi. 
Apfiuite coi Tritoni introdotta nel disegno d'una 

saliera da messer Gabriello Cesano B, i5. 
Angelo Gabriele dipinto con un giglio in mano 

B.6. 
Anticaglie di Roma A. 34 8a. 
Anticaglie romane in Firenze A. %, 
Anticaglie raccolte da Lorenzo de' Medici A, 3o. 
Anticaglie raccolte da Benedetto Valenti A* 216. 
Anticaglie in Pisa A. 26. 

Anticaglie trovate nel contado d'Arezzo B, 32 1. 
Anticaglie in Napoli e presso Napoli A, ^fyi* 
Appennino, statua di Giovanni Bologna B, 392. 
Apollo Pizio, statua antica eccellentissima B, i33. 
Archibuso donato al Cellini dal Duca Alessandi-e 

de' Medici A. 282 288 3 14. 
Archi trionfali per Carlo V< in Roma A^ 322. 
Archi trionfali fatti in Siena dall'Ammannato , per 

l'entrata del Gran Duca di Firenze in Siena 

ìB. 4ii. 
Architettura molto perfezionata dallo studio della 

Scultura C 238 245 a 255. 
Architettura tedesca C 24?* 



375 

Argano, di che uso lia pei gettatori di bronzo 
C. 175. 

Argentana^ città nel dipartimento dell' Orne B. 170. 

Argento e modi di fonderlo Cui e segg. 

Argento vivo usato per dorare , e suoi effetti in chi 
l'adopera C 157. 

Argento , come .si lasci bianco ne' luoghi ove si dora 
C 147. 

Armatura di ferro per le statue da gettare in bron- 
zo B, 275. C. i65. 

Arme gentilizia ^del Cellini A. 180 181 • C, x£Vi. 

Arme de' Medici e del Comune di Firenze A, i4» 

Armi y proibite a portarsi in. Firenze A. 268. 

Arrenare i lavori d* oro , che sia C. 62. 

Arrovellati , Adirati o Arrabbiati , faziosi di Firenze 

A. 49 6^ *55. 

Artiglierie , e differenza di gettar quelle e le statue 

B. 284. C, 178. 

Arti Maggiori, o classi del popolo fiorentino jÌ, 12. 
Assassinila comuni sul Napoletano A. 244* 
Assassinio di due Ambasciatori di Francesco L 

A, 329. 
Assedio di Castel S. Angiolo A. itn. 
Atlante in una medaglia A. i^g i58. C 6^ a 67. 
Avorio lavorato dal padre di Benveduto A. 11. 
AvvivatojOy che sia A. 4^9* C i4i- 



B 



Baccanello , fuori della Porta Castello di 'fiirma 

A. Ile. 
Baiaselo I simile al rubino di Ponente C 4* 
Bande Nere di Giovanni de' Medici A, 18 ii5 119. 
Barba corta all'uso- veneziano A. 54^* 
Barile , moneta di Firenze C. 94* . 
Bartolommeo (giornata di S.) B^ 65. 
Bar uccio , cane da caccia del Cellini A. Si 5. 
ì^ava del gesso C 85« ' 

Bella Francescbina } cosa sia B* 3 io. 



376 

Belfiore , viDa del Duca di Ferrara A. a6^ 
Bembo: saa barba lunga e suoi ritratti A. 34i- 

C. 254 a55. 
Benedizione tingolara data da demente VII. ai 

Celtini A, i3i. 
Berillo oetrino, pietra di poco valmre A, 44^- 
Bernina, montagna A. 344* 
Bianchire come à possano le staine grandi d' ar<- 

gento C, i36. 
Bianchimento, di che composto C. 1S7. 
Borace, necessaria per saldare C, i54« 
Boschereccia filosofia dd Cellini C xxxvni. 264. 
Bottega del CelUni in Roma , «confitta da un ladro 

A. i85 186 187. 

Bottega del Cellini in Firenze B. 486. 

Bottone del piviale di Clemente VII. >^. i58 igS 

325. C. 67 68 71 74 95. 
Bottoni moreschi C. 246. 
Bovo, spirito creduto dai Parigini nel Piccol Ideilo 

B. i56. 

Braciaiuola j che sìa C, 180. 

Bronzo, come si fonde nella fornace B, 274 a 281. 

C. 189. 

Burla fatta dal Cellini ad una compagnia d' artisti 

in Roma A, gì. 
Burrasca sul lago di Vessen A» 347* 



Caccia collo scoppietto praticata dal Cellini A. 8t 
208 244 3i4 3i5 4'o 4iS- B. 28. 

Caccia de' Principi Toscani nelle maremme di Siena 
B. 435. 

Caccianfìiori , che siano C 77 122. 

Calcidonio C, 29, 

Calcine di varj paesi, e loro differenti qualità C 171 

Calunnie fatte al Cellini dal Vasari e da Ottaviana 
de' Medici A^ 309. 



•^ M Mf 

ì. « aat 



Càlnmiie fatte al Cellini . presso Paolo III. 

Latino Manetti A. 53 1. 
Calannia fatta al Cellini dal suo lavorante Girolamo 

da Perugia, presso Paolo III. e Pier Luigi Far- 

nese j e conseguenze terribili di essa A* 3^7 . 
Calunnie di Pier Luigi Farnese contro il Cellini 

A, 4o8. 
Calunnie fatte al ' Gellini , in Parigi , da una sua 

concubina B, ii5 ii8 
Calunnie contro il Cellini della meretrice Gambetta^ 

in Firenze B. 222. 
Calunnie contro il Cellini di Bernardo Baldini , ap- 
presso al Duca Cosimo B* aS^. 
Calunnie contro il Cellini di Baccio Bandinelli p in 

faccia al Duca Cosimo B. 260. 
Carnato, cosa signi6cbi B, 348. 
Cammei antichi di Francesco I. Re di Francia , 

mostrati all' autore C, ^i. 
Cammeo antico coli' incisione d' Ercole e Cerbero 

A. 84. 
Camice di terra, come sì facciano C i57« 
Camice di cera C 161. 
Camosciare, cLe sia C. 72 75; 
Canale pel metallo da gettar nella forma « come si 

faccia C 174 175. 
Candele di sego, a cne uso pei gettatori C. 177. 
Cane barbone del Cellini , eccellente per caccia e 

per guardia A. 186 192 igS 5i5 ^iS» 
Cannoni da acqua jo, di che uso pei gettatori B, 27 6L 

C. 175. 
Cappella di Papa Julio del Buonarroti yf. 3i. 
Cappella di Masaccio, nel Carmine di Firenze A. Zx 

32. 

Cappella Sistina di Michelagnolo Buonarroti « in 

Roma A, 52. 
Capitolo in lode della Prigione B. i. 
Cappello di paglia , finissimo ^ donato dal Cellini 

^ B, 4oo- 
Carbonchi colorati C 3o. 
Carbonchi risplendono allo scuro C, 1^. 



378 

Girbondiio trovato da Jacopo Cola, vendato poi 

centomila scodi C. 5o. 
Carbonchio di Biagio di Bona, tpleodentiiiiino C. So. 
Carbone di salcio o Docciaolo, di qua! oso per gli 

ore6ci C, ^6, 
Carni , dal Cellini mangiale col sale e con poche 

salse B, ^oS. 
Carrara : suoi marmi B. 3B4. C. 194. 
Cartoni fatti a gara dal Buonarroti e da Leonardo 

da Vinci A. 3o. 
Casa (della) Giovanni : burla fattagli dal Cellini 

C xsi. 
Casa in Firenze donata al Cellini dal Daca B. S/S% 

466. 
Casa dei Cellini in Via Chiara in Firense A. 6. 
Castello d' Arezzo , qoando edificato : anticaglie tro- 
vate neUo scavarvi le fosse B, Sai. 
Castel S. Angiolo assediato yi. 120 lai 12%. 
Castone , che cosa sia : avvertenza , che si debbe 

avere nel formare i castoni C 5 6. 
Cava di marmi nelle montagne di Carrara , di cui 

si servi Michelagnolo Buonarroti C. 194. 
Cavallo di bronzo di Daniello di Volterra B, 4^^ 

a 4^0. 
Cavalcate del Cellini col Duca Cosimo I. B. ^i5. 
Cavalli turchi bellissimi» donati da Paolo lllj a 

Carlo V. in Roma /ié 524- 
Cave d'argento coltivate dal Duca Cosimo B^ 242. 
Cavo, e modi di lavorar di cavo C. 81 a 92. 
Cellino « castello presso a Monte Fiascone A. 3. 
Cena piacevole d artisti in Roma ^. 90 a 98. ■ 
Cenerata, che sia C. 55 34 'i4* 
Cera da dorare , come si faccia C 1 45. 
Cera per le statue di bronzo , come si debba gettare 

C^ 167. Come si cavi B. 275. C, 168. 
Cera per le mt^daglie , come si facesse C, 102 io5. 
Cercatori di cose antiche in Rouia A, 85. 
Ceselli , Qome siano fatti C. 60. 
Cesello e modo di cesellai'e C, 67 a 64* - 
Chiaroscuro C 211. 



379 

Chimera ed altre statue anticbe dj bronzo trovate 

nel contado d'Arezzo B. 32 1. 
Chiocciola , che sia C. i oq. 
Cielo del fuoco, che sia B. a8a. 
Cimento reale, come si faccia C, i5o i5r. 
Cittadi Danza francese, data a Pietro Strozzi ed al 

Cellini ^ 79* 
Citrini , s' acconciano collo specchietto C. 27. 
Cleopatra , statua antica in Roma B, i53. 
Codione osso ^ e sua descrizione C. 224* 
Colla ccrvona C 147- 

Colonnesi , potenti in Roma A. ii5 i\6 1x7. 
Colorire l'indorature, come si faccia C, i!\i 9l 147. 
Colossi e modo di condurli B. i54. C 202 e segg. 
Comodo, statua antica in Roma B. i35. 
Comodo (il) , Commedia di Antonio Laudi B. 11^. 
Compagnia piacevole d' artisti in Roma >^. 89 a 99. 
Concorsi di artisti , utilissimi B. 375. 
Confessione del Cellini a Papa Clemente VII. 

A. i55. 

Confusione e disordini in Roma alla morte de' Papi 

Consoli della naziòn fiorentina, in Roma B. 44^* 
Corniola C. 29. 

Como di liocorno, donato da Clemente VII. a Fran- 
cesco I. A, 210, 
Corografia della Toscana, stampata dal Bellarmati 

B. i58 

Correggruoli , come si focdano C ir 5. 

Core di S. Maria del Fiore in Firenze B, 364 366 

367 371. 
Cosimo I. , statua equestre di Giovanni Bologna 

B. 392. 

Costole^ costolatura e costolame £. 225 226. 

Crapula di Paolo YH. A. 45o. 

Crocifissi d' oro che usavano far fare i Cardinali 

C, 76 77. 
Cuccuma C* i4i- 

Cupola o tribuna di S. Pietro E. 249. 
Cupola di S. Maria del Fiore o Duomo di Firenze 
B. 564 373 374, C. 247 265 a 267. 



38o 



Daga y arme A. 189. 

Dar la prima pelle, che sia C, So 5i. 

David, statua del Buonarroti B, 192. C. 275 277. 

Denti cascanti al CelliDÌ in prigione A- 4^7. 

Deposizione di G.G. di Daniello da Volterra B. 4^8. 

Diamante rarissimo, donato in Roma da Carlo V. 

al Papa Paolo III. A. SsS. C 18 e 24. 
Diamante del bottone del piviale di Clemente VII. ^ 

comprato trentaseimila scudi A, i58. C. 67. 
Diamante di Papa Clemente VII. . impegnato ad 

alcuni banchieri genovesi A. io5. 
Diamante di 35 carati di peso B. ^\^ 
Diamante verde, venduto dal Cellini in Mantova 

a i5. 

Diamante incarnato del triregno di Papa Glemen- 
. te VII. C. 18. 

Diamanti, meno rari de' rubini C i4- 

Diamanti , come si riducano a tavole , a faccette e a 
punta B, 21 5. C. i5. 

Diamanti, come si tingano A, 327. C, 19 20. 

Diligenze da usarsi nel gettar le statue di bronzo 
B. 276. C 173 a 178. 

Dio Padre ^ statua del Bandinelli B, 384- 

Discorso di Lionardo da Vinci sopra la Prospettiva 
C. 216. 

Disegnare, con quali materie si faccia C, 209. Modo 
d'imparare a farlo 211 212. ^uovo modo pro- 
posto dal Cellini più facile pei principianti 220 
221. Seguitato anche da Micbelagnolo 229. 

Disegno, fiorì principalmente in Firenze ne' tempi di 

Cosimo de' Medici C. 170 171. Che sia 210 211. 

\ Doni di Paolo 111. a Cario V. in Roma A. 5ao 

521 322. 

Doppie, che sieno e come si leghino C, io. 
Dorare; come si faccia C 137 a ^4>* 



v 



38i 

Doverìa^ 6ume A. 557 ^^^* 

Duomo di Firenze -C. 247. , 



Enrico IV., stattia equestre B, 4^0* 
Entrata in Siena del Granduca Cosimo B, 4 io* 
Eparcne « ossìa tesoro reale di Francia B, 5p. 
Ercole d' argento^ regalato dal Re di Francia ali' Im- 

{)eratore Carlo V. in Parigi B. il^i^ 
e, in cera B. 5oi. 

Ercole col lione , in una medaglia A. i48 C 62. 

Ercole ed Anteo i9. 5oi. 

Ercole e Caco , gruppo del Bandinelli B, 254 ^^^ 
260 337 575 57O. C. 277 288. 

Esame fatto al Cellini arrestato in Castel S. Àngio- 
lo A 36q. 

Escuriale B, SpS fyl^. 

Esequie di Micnelagnolo Buonarr. B. 498. C xkxtiii. 



Faènza^ città celebre pei lavori di terra cotta B. 35. 
Falsario òìx monete salvato dalla forca per la sua 

eccellenza nelK Ore&ceria A. 209 260. 
Fare una cenerata, presso gli orefici che sia C SS 

36. 
Far& (àix) montagne ^. 25i. 
Farnesina, palazzo in Roma, dipinto da Raffaello 

A. 5a. 
Febbri violenti e pestilenziali in Italia B» 434* 
Ferragosto del Papa A. 64* 
Feste di S. Agostino e ^i S. Giovanni decollato aV-, 

tre volte solenni B, 399. 
Feste in Roma al primo di agosto A* 4^8. 
Fiesole fi. 3. C 196, . / 

Filo, arte di lavorare di filo C. 38 Sg 4<> 4^ 



384 

Grenoble A. 55*], 

Grosserìe d' oro e d' argento , come si lavorÌDo 

C. ii6 e segg. 
Grossone , moneta di Firenze. C 94* 
Grotteschi disegni, che siano ^ e come chiamavansi 

dagfi antichi A. 100. 
Gru, nel loro yentrìgtio si trovano pietre C. 29 So. 
Goerra tra Carlo V. e Francesco f. A* 1^4 ^^9 

344- ^«86 140 167 169. 
Guerra di Papa Clemente VII. contro la repubUica 

fiorentina A. i36 i^n iSi i58. ^. 2i4* 
Guerra tra la Francia e r Inghilterra 3, lÓg. 
Guerra di Siena B. 5 12 3i5. 



I 



Imbracciatoje , sorta di tenaglie C, 112 12& 

Improvvisatori A, ^ io5. 

Indaco, che sia C 2S. 

Influssi delle stelle sulla sorte umana A. 4^7' 

Inganni dagli orefici praticati nelle gioje C, 8. e segg. 

Ingorbiatura C. 201. 

Ingratitudine e malignità del Rosso dipintore A, 354«> 

Inondazioni del Tevere ia Roma A, 104. 

Inondazioni dell'Arno in Firenze B. 266 389. 

Insalate date al prìncipio della cena B, 4^3 4^4* 

Intagliare e intaglio C. 45 4^* 

Intagliare in rame con acqua fatta a ciò C. i/^» 

A bulino 209. 
Intagliare nell'acciajo, come si faccia C 96. 
Ipocrate : traduzione de' suoi libri phirurgici fatta 

da Guido Guidi in Parigi B, 100. 
Ischiericare un diamante , cosa significhi B. 21 5. 
Isdevero» fiume A. SSy. 



383 



Lacca o Lachen A, 353. 

Laocoonte , gruppo antico eccellentissimo B. i55. 

Lasagna, che sia C. 12^. Comesi faccia, ed a che 

serva 166. 
Lavorare in tondo , che sia C 65. ' 

'Lavorai'e in minuteria C 55 56. 
Leda rappresentata dal Gelltni A. 74 ^* ^ '4^* 
Lega, che sia B, 285. C 60. 
Legittimazione di Giovanni Celli ni B, 4^5 4^7' 
Legne atte a fondere, quali siano B, v]\ a 284. 

C. 181 182. 
Legno santo A, 207 e seg. 
Lettera del Cardinale Ippolito da Este al Cellini 

A. 364. 
Lettera di Niccolò Martelli sulla generosa maniera^ 

con cui erano accolte dal Cellini in Parigi le 

persone di merito ^.98. 
Lettera di Ballista Alamanni al Varchi, in cui gli 

dà nuova del Cellini B» 180. 
Lettera del Buonarroti al Cellini B. 295. 
Lettera del Buonarroti al Vasari B, 5oo. 
Lettera del Cellini al Ré di Francia B. 214. 
Liberazione del Cellini dalla prigione A* 45o 
Libri del Cellini in prigione A. 4^2- 
Lima raspa, che sia C. 200 20 r. 
Lingua di vacca « che sia C 121. 
Lione, città A, 353 356 357. 
Liti, comperate in Francia B. 104* 
Lorenzo (S.) , chiesa di Firenze B. 256 589. C i j4 

199 248. 
Losanna, città A, 355. 
Loto per le pile e pei torselh' C 98. 
Loto per le statue da gettarsi, come si faccia S, i65 

i66. 
Luigi XIII. , statua equestre B^ 4^^* 
Umv. Celimi Fol IIL aS 



386 

Lume sempre acceso di notte nella taa camera dal 
Cellini A. ab^. 



M 



Madri , che »ano C. 96 ^7 98. 

Magistrato dei Giudici civili in Firenze B^ 4^^ 4'9« 

MaeliabecLiana , opera dell'Abate Mebus C ui« 

MaUrancese acquistato dal Cellini A. 207. 

Mandriano o mandriale^ cosa sia B. 280. C 177. 

Manica , cosa sia B. 276. 

Marano^ città neir Istria, sorpresa da Pietro Strozzi 

a danno d^I Re de' Romani Ferdinando L 

B. 77. 
Marco Aurelio Antonino, statua equestre B. 429* 
Mdremme di Siena, sterili e malsane B. 4^^- 
Marmi : loro varie qualità , e modo di scolpirli 

C 192 a, 200. 
Marmi di straordinaria grandezza B. 3ni 872 576 

376 384. 
Martello per le monete^ come debba essere C 97^ 

98. 
Mastico, che sia C 20. 

Mattoni pel fondo delia fornace da fondere il bron- 
zo, come debbano essere C, i83 e segg. 
Mazzapicchio, che sia C 174* 
Mazzetta, che sia C, 108. 
Mazzieri pontificj A. igS. 
Medaglie di bronzo anticbe colla testa di Giove 

A. 85. 
Medaglie antiche A. 65. 
Medaglie, come si facessero dagli antichi C* loi a 

io5. 
Medaglie , come si stampino e in quanti modi. C. 106 

a 109. 
-Medaglie , e diversità che è tra esse e le monete . 

C 92 93 loi 102 io3. 
Medaglie cesellate > di piastra A*. 80. 



'387 

Medaglie intagliate in acciaro A, 80. 
Medaglie fatte al Cardinale Bembo ^. 34 1* C, si 54* 
Medicina (scienza) quanto sia incerta A, 3o5. 
Medici (de') cacciati di Firenze ; e loro ritorno 

A, i3 14 i47* 
Mercanti fiorentini sparsi per tutta l' Europa B. 374* 
Mercurio usato pel mal venereo dal Berengario 

A, 85. 
Meridiana di S. Petronio , in Bologna B» SgS. 
Metallo 3 come e con che avvertenze si getti C 176 

e segg. 
Metallo per fondere, come debba essere posto nella 

fornace (7. 189 e segg. 
Migliaccio del metallo ^ cbe %\9l B. 283. C. 18 r. 
Ninuteria^ che sia C, 55i 
Mirandola governata da Ippolito Gonzaga a nome 

di Galeotto Conte delia Mirandola È, 173. 
Moisè in una medaglia A. 25 f. C. io4* 
Monete 4 e modo di farle C. 92 a log. 
Monete^ perchè dagli antichi non erano lavorate 

colla stessa felicità de' moderni C 99 a io5. ' 
Monete di Clemente VII., di Giulio U. e di Leon X. 

A. i63 a i66.r 
Monete false in Roma colle stampe del Cellini 

A, 190. 
Monte Casino A, 238 244» 
Monte Rosi 4 paese tra Roma e ViteH>o B, 17. 
Moresca , danza militare B. 4* 
Morte del Cellini falsamente divulgata da Matti»^^ 

Franzesi A. 298 a 3oi. 
Morte di Carlo di JBorbone sotto le mura di Roma 

A, 118. 

Morte di Giovanni Cellini, frate^o di Benvenuto^ ed 

iscrisiione fattagli A, 180. 
Morte di Clemente VII, A. 253. 
Morte del Duca Alessandro de' Medici ^.5(8 
Morte di Lorenzino de^ Medici A. 3 19. 
Morte del Cardinale Giovanni di Cosimo de^ Medica 

B, 453 a 437. 

Morte della Duchessa Eleonora di Toledo 1 mtoglte 
di Cosimo I. B» 4^3 a 4^:7* 



' 1 



388 

Morte di DoA Gania di Gmìoio de* Medici B. 4^$ 

a 4^7. 
Morte del Baodineìlo B. S8a 38& 
Morte di Fra Benedetto da Fojano ji. 4^9- 
Muraglia di Belvedere in Roma , fatta da Bramante 

C. a48. 



N 



Naturalità (lettere di), cosa siano B. 79. 

Negromanzia j4. 224 a aSi. 

Nello , palazzo in Parigi. C. ^i. 

Nettuno , statua deirAmmannato B, Sga 

Niello e niellare C. 3i a 37. 

Nobiltà Fiorentina data al Gellini B. ^Z3. 

Nocciolo della 6gura» pressa i gettatori in bronao 

che sia C. 166. 
Norcia (di) montagne A. 23o. 
Normundi, falsi testimonj B. io5. 
Nuca C, 224. ì 



Occhi , più diJEficili di ogni' altro membro a disegnani 

C, 221. 
Occhio di gatta ^ pietra C 8. 
Olio di ^rano per la tinta de' diamanti , come si 

faccia C 21. 
Omenoni, in Milano A, 44^* 
Opera in Firenze, magistrato ed ufficio degli Ope« 

raj B. 207. 
Ordini dell'Architettura C. 249 355. 
Oreficeria e sue parti C. Proemio. 
Organi con canne di legno A. io. 
Ornati de' vasi, come si facciano C 128 e sfgg. 
Oro da dorare, come debba essere C. tSj. 



38$ 

" Oro di Papa Clemente fuso dal Cellini ii^ Castel 
S. Angiolo A. i55 iSg. C. ii5. 

Ortografia strana del Cellini C. 275. 

Ossa^ si debbono disegnare prima d* altro dai prin- 
cipianti C 22)2. 

Ossa della gamba, del ginoccbio, della coscia e 
del piede C 922. ' Dell' ancbe 225. Dello sto- 
maco 225. Che differenza sia dall' ossa ai nervi 
225. Ossi del petto 227. Delle braccia 227. Delle 
mani 227. Del teschio 228. 

Ostentazione e dappocaggine del Cardinale Niccolò 
Caddi A. 365. 



. • / 

Pace tra il Papa e il Duca di Ferrara B, 29. 
Pace tra Carlo V, e il Re Francesco I. B, 169. 
Pace tra il Duca di Ferrara, il Duca di Firenze e 

il Re di Spagna B, 38o 
Pace (la) effigiata dal Cellini A, 247. B, So. 
Paci di mezzo rilievo A. 80. 
Palazzo vecchio e sua piazza, in Firenze B, 191. 
Palazzo Pitti B. 583 590. 
Palettiere , che sia (7. 49* 
Palissa o Palice, borgo A. 553. 
Palorabara, villaggio nella Sabina A. 258, 
Pandette B. 564. 

Paolo HI. detto dal Cellini senza religione A, t^%* 
Pape Satan di Dante, spiegato dal Cellini B, io5. 

C, \u 
Parabiago (celebre battaglia di) B. 11. 
Parigi malamente fortificato da Girolamo Bellarmato 

B. 157. 
Partigianone , arma A, 245 256. 
Partire C 96 e segg. 
Pasta, di che si faccia C i6i« 
Pazzie del Castellano Giorgio degli Ugolini A. 587 

5^4 /{Oik. 



Zgo 

Penna de' martelli da orefici « come drfiba essere 

C. 119 120. 
Pergami di S. Maria del Fiore ^ in Firenze B, Xg 

370 571. C xi.iv. 
Perseo del Cellini valutato sedici mila scudi dal 

Bandinelli B, 363. Sno prezzo C, ^^t, Censu« 

rato i55. 
Peste in Roma nel i5a2 iSaS i5a4 ^^ 81 82. 
Peste in Sfilano nel 1624 ^. 82. 
Peste in Firenze nel lioo B. 3n3. Nel 1527 A. i4o 

145. 
Piacenza data da Paolo III. a suo figlio Pier Luigi 

Farnese, e conseguenze da ciò derivate B, 184 

i85. 
Piagnoni , faziosi di Firenze jé, 49- 
Piccol Nello, palazzo aoticliìssimo in Parigi, abitato 

dal Cellini B. Si 52. Notizie di esso ivi, N' è 

fatto Signore il Cellini 97 r 
Piene. V. Inondazioni. 
Pietà, gruppo del Buonarroti B, 386. 
Pietà, gruppo del Bandinelli B, 386. 
Pietre da scolpire, e loro spezie C, 194 a 199* 
Pietro (S.), basilica di Roma C, 216 248. 
Piflerì della Signoria di Firenze A. 11. 
Pila^ che sia C, 94. 
Pinciana, villa di Roma B. i34* 
Pioggia fatta cessare dal Cellini A. ^00. 
Piombo (del) Frati A. 197. 
Pippo Spana, chiesa di Firenze C. 248. 
Pisa, suo Duomo B. 598. Suo Cainpo Santo o an- 
ticaglie A. 27. 
Pisa (entrata solenne in) del Cardinale Giovanni ài 

Cosimo de' Medici B. 4'S- 
Pittura molto perfezionata dallo studio della Seul* 

tura C. 258. 
Plasme C. 29. 
Poderi acquistati dal Cellini B, 5qn 4oo i^o Ì2S 

445 454 473 475 476- 

Poesie fatte d^l Cdiini in prigione A. 4^6 438 43a 

459. . 
Poesie in lode del Cellini C. 216 317. 



Polìtica prudenza del Cellini A, 5i8 5 19. 

Polvere dà trarre collo scoppietto fabbricata dal 

Cellini A. 82. 
Polvere da trarre senza 'far rumore B. 28. 
Ponte di S. Trinità in Firenze B. 590. 
Ponte a Rifredi A, 6. 
Popolani y faziosi di Firenze A, 49* 
Porfido , da chi meglio d' ognuno intagliato C. i^ 

196. 
Porta di S. Maria del Fiore proposta dal Cellini , 

da farsi in bronzo B. 568. 
Porte di S. Giovanni in Firenze B. i65 S68 36g 

575 574. 
Prestiti di danaro del Duca di Firenze alla Francia 

B. 4^7 4^8. 
Prevosto di Parigi B. 5*. 
Prigionia del Cellini in Castel S. Angiolo A, 567 a 

397 e 4^1 a 45o. 
Prigionia e fuga dal Castel S. Àngiolo, di Paolo Illi 

^in minoribus A. 4o5. 
Prigionia di Monsignore de' Rossi , Vescovo di Pavia 

A. 446. 
Prigioni orribili di Castel S. Angiolo A, fyii fyi^ 

428 4^0 • 

Primaticcio fatto Commissario generale di tutti i 
palazzi del Re di Francia B. io5. 

Principi fautori dell' eresia Calviniana B. 6a. 

Prospettiva C. .216 252 255. 

Protezione de' Principi aumenta e fa fiorire gV inge- 
gni e le arti C i55. * 

Provvisione di Leonardo da Vinci e del Cellini in 

Francia ^.49* .^ . 

Pugn aletti turchescLi ^ con fogliami intagliati e com- 
messi d'oro A. 99. 

Pulire a mano ^ che sia E. 52. 

Punzoni y che sieno C. 96 97 98. 



3ga 



Quartana dal CeDini presa in Mantova ^. i44* 



R 



Kammarginare V oro , come si faccia C 60. 
Rasojo di rader le piastre d'oro e d'argento, come 

debba essere e usarsi C. 116 117. 
Rastrello per la fornace da fondere, cbe cosa sia 



uo per 
\ 189. 



Rastiatoj per la fornace del bronzo C, 177. 
Ratto delle Sabine di Giovanni Bologna B. 392. 
Raspe. V. ScuflBna. 

Regni ossia triregni Pontificj ji. i53 i34 i58 169. 
Regola del Cellini per ricrescer dalle braccia piccole 

alle grandi C 204 a 208. 
Religione del Cellini imprigionato ^.417 4^^ 4^^ 

427 4^8 4^9 4^^ 4^1 4^^ ® ^gg* 
Rena della Senna, a che sia buona C 84* 
Renella di vetro, a che serva C. 62. 
Ricci furono detti i testoni del Duca Alessandro latti 

dal CeUini^ e perchè C. 94. 
Riforma di Firenze del i552 B. 294. 
Rimedj contro gli spaventi A. 291. 
Rimedio pel male d' occhi insegnato al Cellini 

ji. 207. 
Rimedio per far rinvenire gli svenuti A. 299. 
Rimedio per una forte percossa al petto A. i23. 
Ritratto ai Bindo Altoviti fatto da Raffieiello B. 296. 
Roma, entrata solenne fattavi da Cosimo L B* 4ii* 
Roma occupata e saccheggiata dagli Imperiali A. 1 iS 

122. 
Rosignano, paese B, 435* 
Rubini, loro vnrìe specie, e differenze C. 2 5 8. 

Stimati più di tutte le altre gioje S 4* Propor- 



393 

zione del loro prezzo con quello dell' altre gio- 

je 5 6. Modo di legarli 6 7. 
Rubini bianchi naturali C. 29. 
Rubino di tremila scudi C 7. 



\ 



Sacco di Roma A. 117. C 95 11 5. 
Saettuzze C 201. 

Sagrestia Nuova ossia cappella de^depositi Medicei 
in S. Lorenzo in Firenze B* 256 589. C, 194 

'99- 
Salamandra A. io. 

Saldare j e come si faccia C 39 4o 1^2 i35. 

Saldare a calore^ e come si faccia 6. 69. 

Saldatura di terzo, che sìa C 58 39. Saldatura d' ot« 
tavo i33. Saldature di quinto i35. 

Saldatura detta lega , come si faccia C 60. . ' 

Salmi recitati dal Cellini in prigione A. ^^i /\52, 

Salvocondotto dato al Cellini da Paolo III. per 
V omicidio di Pompeo milanese A. 260. 

Sammalo , trabocchetto A. 4'o. 

Sampione .0 Sempione , montagne A. 5Sj. 

Sangue di * drago , che sia C. 9. 

Sansone modellato dal Buonarroti J?. 3^6. 

Scarpelli C 201. 

Scesa affli occhi sofferta dal Callini nel i532 A. 20S 
204 e segg. 

Scolpire, come si faccia C. 198 199. 

Scoppietto da caccia del Cellini A. 82. 

ScufBna C 200. 

Scultura « se prevalga e gi«vi alla Pittura e alPAr« 
chitettura C. aii a 217. 

Scultura: sua preminenza fra le altre Arti del dise- 
gno C 210 236 a 240 245 a 264. 

Scuola Fiorentina B. 190 376 376. C, 2$4' 

Selciata^ presso Napoli B, 244« 

Senna , fiume B, 65. 

Sepoltura del Cellini B» 5oi, 



^94 

Se^td immobili C. io5. 

SettignaDo A. io6. - » e 

SfiaUtob dove e come si facciano nelle forme B. n'jb 
a agi. C. 124 166 168. Nella fornace da fon* 
dere B. 377. C 187. 
Siccità di sette mesi continui in Italia B, 454; 
Siena (entrata solenne in) fattavi dal Duca Cosimo I. 

B. ^lo 4ii* 
Siena (guerra di) B. 417. 
Sgraffiare, che sia C 73. 
Smaltare (arte dello) A 80. 
Smaltare , che sia C. ^8 49- 
Smalti di diversi colori C. 29 5o 5i. 
Smalto e arte di smalure assai bene fiori in Firen- 
ze C. 44- Modo di Smaltare 4^ & ^i* 
Smalto^ come si macini C* 47- 
Smalto, come si pulisca C. 52. 
Smalto rosso o roggio ignoto agli antichi C, 46 4?- 

Come trovato wL Sua proprietà 52 53. * 
Smalto sottile e niello grosso, proverbio degli ore- 
fici C. 41. 

Smeraldi^ e modo di legarli C 8 9 10. 
Smeraldo, scolpito con una testa di delfino A^ 84- 
Smeraldo contraffatto da un giojeiliere milanese , e 

venduto nove mila scudi C. io. 
Sogno prodigioso del Celli ni e di suo padre A. 66. 
Solimato, veleno B. 4^8 a 410 4j^' 
Solthurn o Soletta A» 553. 
Sonetto di Monsignore de' Rossi, sulla famosa statua 

del Perseo del Cellini B, 98. 
Sonetto del Marchi ^ nella creduta morte del Cellini 

A. 3oi. 
Sonetti d' altri , in lode del Cellini C. 278. 
Specchietto, che sia, come si faccia, e a che gioje 

serva 6\ 24 ^7» 
Specchio ingegnoso lavorato dal padre del Cellini 

A. H 12. / 

Spese della prigioni^ pagate dal Cellini A» 4^'; 
Spiccare le figure col cesello , come si facciano 

C. 65. 
Spina delia schiena^ e sua descriaiioné. C. 224 ^ ^H^' 



Spirito (Santo) , chiesa di Firenze C, ^48. 
Splendore rimasto alla testa del GelUni dopo le sue 

visioni j4, 4^5. 
Sportelli per la fornace da fondere (7. 19 r. 
Staggia^ luogo vicino a Siena B. 24* 
Stagno^ e modo di prepararlo \C. 161. 
StagnuolOj di che uso pei gettatori C. 161. 
Stampar le medaglie a vite, e come si faccia C 109 

no. 
Stampar le medaglie a conio ^ e come si faccia 

C. 106 e segg. 
Stampe delle monete, come si temperino C. io5. 
Statua eccèllente del Torrìgiani , in Ispagna A. 35. 
Statua d'Ercole fatta fare in Parigi dal Re Fran- 
cesco per fonare a Carlo V. B, 1^2. C, i5o. 
Statue 21 antiche raccolte in Trevi da Benedetto 

Valenti A. 216. 
Statue d'argento dell'altare di S. Pietro in Roma 

C. 129 e segg. 
Statue d'argento grandi^ come si facciano C i3i 

e segg. 
Stecco da oreBcì, come si faccia C 59 6o. 
, Subbie C 200 IDI. 
Suggelli de' Cardinali A, 78. Perchè e come fatti 

C. 81 82. 
Suicidio ideato dal Cellini in prigione A, 4^4* 
Surich o Zurigo A, 552 553. 



(Tagliacozzo , luogo nel Regno di Napoli B* 9 109. 
Tassello 3 che sia C. io5. 
Tavole geografiche del Danti ^.595. 
Tazza di filo del Re Francesco I. mostrata al Cel- 
lini c. 4'i 4^* 

Tenerume ^ che sìa C 225, 

Te, palazzo presso Mantova A. i^i, 

Terme di Tito M. i35. 



3^ 

Terra da gettar nelle staffe^ come sìa C, 83 84. 

Terra per far l'incamiciature e l'artiglierie, come 
sia e dove si trovi C. 167 e segg. Per hre L 
mattoni da ammattonar le fornaci per fondere; 
come debba essere i84- 

Testamento e codicilli del Celli ni B, 499 5oo. 

Testimonj falsi comperati in Francia É. 104. 

Tingere non si deU>e veruna gioja, eccetto il dia- 
mante C. 7. 

Tinta de' diamanti, come si faccia A. 3a6 327 3a8« 
C 16 e segg. 

Tonaca di terra , che ^ia B, 274. C 168 e segg. 

Tonsura presa dal Cellini B. 4^^* ^* xxax. 

Topazio e sue qualità C, ^ 5 6, 

Topazj e loro differenza dai diamanti C. a8 39. 

Topazio scolpito con una testa di Minerva A. 84. 

Topografia di Firenze, in rilievo A. 266. 

Torino nel i543 in mano de' Francesi B. 33o. y 

Tornon, cavallo donato al Cellini dal Cardinale di 
Ferrara B. i6« 

Torre Sanguigna, in Roma A. i83. 

Torre de' fieni, in Rema A. 126. 

Torre di Nona, dov'è trattenuto per alcun tempo 
il Cellini A. ^i6 421. 

Torsello, che sia C. 94 95. 

Trabocchetto in Castel S. Angiolo A. 43o. 

Trapani C. 200. 

Trespiano, paese B. 4oo 4^3 4^^' 

Tribuna. V. Cupola. 

Tripolo C. 52. ' 

Turchine C. 29. 



• » 

U ! 



\ 



397 



Val d'Ambra A. 5. 

Val di Vedrò A. 557, 

Val di State o Wallenstadt A, 544* 

Valenti^ famiglia in Roma C 235. 

Vasellami d'oro. e d' argento , come si tirino C. ii6 

e segg. 
Vaso d' argento bellissimo fatto da Lucagnolo da Jesi 

milanese, per papa Clemente VII. A^ Sj 67. 
Veduta d' una statua C. 255 259 260. 
Vedute delle figure ^ e loro quantità C 211 216. 
Vedute nella legatura delle gioje , quante e come si 

considerino C. 7 8. 
Velluto nero a buon mercs^to in Napoli A. 2^5, , 
Veleno dato al Cellini in Vicchio B. 4^ a 4 io 

416. 
Veleno preparato al Cellini, in prigione A. 44^* 
Venere, statua antica in Roma B, i55. 
Venturieri' y^. 355. B. ^S, 
Verderame^ e mestura di esso C. j5 74* 
Vessa o Wescn A, 346. 
Viaggio di Clemente VII. a Bologna nel i532 A, 202 

203. 

Viccbio , paese , e suo mercato 3. /{oe ^o i 4^^ 

4o3. 
Vigna di Papa Giulio III. B. 389. 
Visioni chieste ed ottenute dal Cellini in prigione 

A. ^55 a 439 4^^* ^' 7- 
Vite femmina e mastio, che sia C. 1Ò9. 
Uffiziolo della Madonna ricchissimo , regalato da 

Paolo III. a Carlo V. in Roma A. 522 B, 18. 
Ugne lunghe di gran fastidio al Cellini in prigione 

A. 4^7» 
Uomini unici nella loro professione detti da Paolo Ilf* 

non soggetti alle leggi A. 260 209. 
Voto del Cellini di andare a Gerusalemme A, 4^4* 
Usanna o Losanna A. 353. 



3g8 



Zaffiri, come si l^hioo C: 89 io. 
Zaffiri bianchi artifiziati C. 37. 
ZÌDgana^ statua antica in Roma B, i35. 
Zodiaco dis^nato a penna dal Gellini A» i5o. 
Zurìgo A» 552 355. 



399 



PAROLE 



DI 

BENVENUTO CELLINI 

♦ 

Degne dì particolare osservazione per la loro ir-* 
regolarità graniaticale , o perchè non sono 
slate fin ora ammesse nel Vocabolario della 
Crusca^ o vi sono accennate senza esempio , 

"^ o in altri significati^ o con costruzione di" 
versa* 



JiVcGREscEt per Accrebbi A, gS. 

Acquarolo , nel significato sostantivo di Portatore o 

Venditore di Acqua A, 899. 
Acquomo B. 179. Error di lezione , in luogo di 
^ Accorr' uomo , avverbio, 
Affastidire per Afl^stidiare o Infastidire A. a^6« 
A&ttabilissimo per Affettuosissimo o Amabilissimo 

B, 35. 
AiBssare , nel significato di Fisare ^ latinamente Fi» 

gere B. t^02% 



4oo 

Agio (per) , avyerhio , nel signifitoio di A beli' agìo^ 
o sùnile A. i88. 

Andaoti ^ Stanza kinga molto pih di cento passi 
andanti =9 ^. li^ 

Andare al fatto suo , in luogo di Andare pe* fatti 
suoi B, 3t8. 

Andare in frodo , nel significato di Schivar la ga« 
bella ; \nentre la Crusca gli dà quello di Es- 
sere confiscato , a cagione di fraude nel paga- 
mento di gabelle ec. B, 4* 

Anelkite per AneUetti A, idi %X5, Vedi anche 
Ceselline, Granelline , Legnette, LegnuzzCj Os- 
sidna, per Cesellini, Granellini ec. 

AnelluzEo , diminutivo di Anello A. 4<9* 

Anima. V. Darsi. 

Anticaccia (all') , as^erbio A, 284* 

Apposta , avverbio y per A posta B. 575. 

Arcata es Questo pezzo (d' artiglieria) io lo voltai , 
dipoi lo caricai . . . . , dipoi lo dirizzai benis- 
simo a questo uomo rosso , dandogli un' arcata 
maravigliosa A. i5o. 

Arronzinato , probabilmente error di lezione , in 
luogo di ArroncigUato A. 44 49* ^' ^^^* 

Arie per Arti. C 257. V, anche Carcere ^ Comare, 
Composizione , Gente , Franzese , Minore, Not- 
te , Parte , Pelle , Raccomandaaione , Rene , 
Semplice , Tale y per Carceri , Comari ec. 

Assieme per Insieme A. 49- 

Au, Ou, interiezione A. 5a. 

Auguria per Augurio , probabilmente error di Ze- 
zione , in luogo di Agura , Aguria , o Agurì« 
B. 67. 

Austini per Agostini o Agostiniani fi. 69. 



B 



Baiata per Abbacata, da Bajare A* a34- 
Balzello , nel significato del Magistrato sopra le gra- 
vezze straordmarie B* 4^4* 



■\ 



4oi 

Barbe delle radici dei denti ^ cioè le punte delle ra^ 

dici stesse ^* 4^7»' 
Basta e Basta che , nel significalo di In somma 

J$. 55S 565 565. La Crusca non indica Basta che. 
Bastonello, diminutivo di Bastone A. ^i6. Forse 

error di lezione per Bastoncello, usato altroi^e 

dal Cellini. 
Battezzare per Tenere al Battesimo A. 267. Sta nel» 

la Crusca senza esempio. 
Berretto per Berretta A, 553. Forse error di lezione^ 
Bigonce (colle) y nel significato di Smisuratamente 

o simile SS3 Misencordia ad alta voce colle hi- 

gonce chiamavano A, 47*^ 
BizzarrettOj diminutivo di Bizzarro A. 7. 
Bocca di una forma , cioè 11 buco ^ pel quale pas* 

sa in essa il metallo fuso B. 289. 
Bordelleria per Inezia, Bagattella A. 60. Però sta in 

bocca ad un Milanese, 
JBattegaccia , error di lezione in luogo di Botteguc- 

cia &. 1Ò6. 
Bozzare per Abbozzare A. 54 1. *5Va nel Vocabolario 

del Baldinucci. ' 

Bozzato per Abbozzato A. i65, JB, 594. 
Braveria ^ sostantivo , da Bravare o Minacciare 

B. 418. 
Bravosissimo , superlativo di Bravo A. 179. 
Budella^ Aver le budella in un catino, ì^. Catino^ 



»■ 

Camarlinga , Monaca che tiene V amministrazione 
o i danari del Monastero B, 16. 

Cambiare f=3 Dette negli occhi di S. E. il soprad- 
detto diamante; e fattomiselo mo&tmre disse ^ 
se io n'avessi ^ privarmene^ non cambiassi lui ' 
di grazia A. 242. 

Cameinipcia per Cameruzza A, 1^8. 

Campanajo, nel significato di Fà|>l>ricatore di cao»* 
pane È. 252. 
i5ew. Cellini Voi III iaS 



4« 



4o^ 

Cantante , nel significato di Vìgente o Aperta^ ^r- 
landosi di una lite B. ^Sg. 

Capaccio ^. 3i8. Error di lezione, in luogo di 
Cappaccio ; poiché Capaccio è peggiorativo di 
Capo. 

Capo. V. Testa. 

Carcere per Carceri B. 172. ^. À.rte. 

Cartilagini , in genere maschile A 44^* 

Cassoncino^ diminutivo di Cassone B. 387. 

Catino. Aver le budella in un catino, per Avere ec- 
cessiva paura, ciò che dicesi anche Aver le 
budella in un paniere A. 279. Sta nella Crusca 
alla voce Paniere, senza > esempio e non se 
ne fa menzione alle voci Catino e Budella. 

Ceneracciolo , nel significato di Vaso da riporre la 
cenere A. i35. 

Cento (r un) più , per Cento volte più i=? In breve 
spazio si riempiè tutto il Culiseo l'un cento più 
di quello , che avevano fatto la prima volta 
A^ 227- Così usa il Cellini Più P un dieci. 
Più r un mille, e simili. La Crusca di Verona 
nella Sopraggiunta ha Un cento più. 

Ceselline per Cesellini B. 322. F^l AncUettc. 

Cesta , nel significato di Carrozza per una sola per^ 
sona 4 e tirata da un cavallo solo A, 307. 

Chiaro , nel significato di Benevolo B. 296. s=i Mai 
si mostrò chiaro, anzi stava ingrognato. StA 
nella Ousca senza esempio. 

Chiusino y diminutivo di C hi uso , sostantivo B, 196» 
zrr: Un ihiusino da colombe. 

Ciecolino, diminutivo di Cieco B. 198. 

Ciorbottana per Cerbottana j5. 177. Error di le* 
zione. 

Cirusia per, Cirurgìa , Cirugìa o Chirurgia B. 4^9'- 

Comare per Comari B, 157. P^. Arte. 

Come se a dire per Come a dire o Come A. 392. 

Composizione per Con) posizioni C 237. V, Arte. 

Convennamo per Convenimmo B. 296. ^. Ven- 
namo. 

Cernacchra , metaforicamente per Donna di par» 
tito ^. 90 e segg. 



, 4o^ 

^ornaéchiuzza 4 diminutivo di Cornacchia, come 

sapra A. 92. 
Così colla corrispondenza di E, nel significato di 

Così ec. Come ec. B. 2^3. V. Sì e. 
Crociata di strade A. 254* Sta nella Crusca senza 

esempio. 
Custode per Custodia B» 167 168. Probabilmente 

error di lezione. 



D 



pare per CagiObare =3 Sebbene ie avevo la febtu^e 
cokitintia, per esser lo strumento di poca fatica» 
non mi dava alterazione. A, 28: 

Dare un' arcata, f^. Arcata. 

Dar di pie a' cavalK per Ispronarli B, 22 24» 

Darsi all' anima , cioè allo spirito , ossia Applicarsi 
alla vita spirituale A. ^58, Sta nella Crusca 
senza esempio alla voce Dare neutr, pass, 

Dasse per Desse B. 349. ProbabUmente error di &* 
zione, /^. anche Domandarci.' 

Dereto per Dreto o Dietro B, i^5. 

Difensitrice per Difenditrice A. i^i5. Error di le* 
zione. 

Di modo che , nel significato di Pure , o in quello 
assoluto di Così, Per tal modo B. 290 3o6. 

Di modo per Di modo che, nel significato di Cosi 
che B, 317. 

Dieci {V un) più. F, Cento. 

Dire s=s E per dire» anche questo Lattanzio si di- 
lettava alquanto di questa professione B, 3i5. 

= Io non vo' dire ; ma voi vedrete , 

eh* ella non vi riuscirà B* 558 — Coiùe &e a 
dire. J^, Come. 

Dirimpetto (al), nel significato di Rincontro o Di- 
nncontro o Dirimpetto B. 283. Sta nella Cru» 
sca col significato di Per contraiMo^ A ritroso. 

Di sorte per Di sorte che , Silfattamente che B, Ok^S* 
y* Di modo per Dì modo che. 



4o4 

Di sorte che per Di sorte, SiflTattameDte, o asso^ 

latamente Per tal maniera B, a^g 366. C. 257* 

F", Di modo che. 
Distendino per DìstendaDO C ify^. V, Facci j Fac? 

cine y Piaccino ^ Possino « 'S^egghino ^ Veadino « 

Sappi p^r Faccia ec. 
Doga , nel significato di Stola Sacerdotale ji, 4^4* 

sa Vidi i Preti colle doghe indosso , i quali 

dissono : Oh , voi dicesti , eh' egU era morto. 
Dolto per Doluto A, ^l'j. cr* lo m'ero dolto. 
Domaudarei per Domanderei B. 4^^* Probabilmente 

error di lezione. V, Dasse. 
Dorufe per Dorerie B, 187. Error di lezione. 
Do?e per Ciò che =4 In capo di sei mesi me ne 

tornai a Firense; dove quel Pierino^ Piffero, 

già stato allievo di mio padre , ebbe molto per 

male; ed io ec. ^.21. 
Dove e Dove che pleonastici ^ o nel significato di 

Per ciò , Per lo che B. i56 194 324* 
poviamo per Dobbiamo A. 32B. 



E, particella congiuntiva, talora prodigata A. i^ 

B, 4®6 4^7- C. IO. 
Echizia sorta d'erba, detta dai Botamci Echio 



Facci per Faccia, verbo A. 3o8. J^. Distendino. 
' Faccino per Facciano B. 293. P^. Distendino. 

Faccia (in) , qual^ità d* un ritratto , che rappresenti 
tutto il viso, e non la metà di esso , come in 
profililo A. 279. Sta nel Vocabolario del Bal- 
dinucci , e neua Crusca alla voce ProfBlo. 

Fagli per Fargli B. 5^4* 



4o5 

f<*are altro , che con parole , cioè Fare con le mani« 

ossia Lavorar dì mani yi, S^i. 
fare per Fare un effetto qualunque c=r 11 diamante 

.... non era ben legato ^ e quello che egli 

faceva 3 lo faceva per sua propria bontà A. 2^2, 
Pede (alzar la) per Promettere altamente o solenne* 

mente B. Òo*]. 
Femmijiina , sosìantivo , diminutivo di Femmina 

B. 232. 

'Fermare alcuno, nel significato di Fissare alcuno, 

mediante contratto, a qualche ufficio B* S5 i8q 

204. ' 

Femo per Fecero A. 25 1. 

Filetti , cioè Le coste angolari di una gioja B, 217. 
Fluente =: Roma è fluente al Tevere A. 4* 
Francioseria per Modo francese B. 449* 
Francioso per Francese B 88 174- 
Franzese per Franzesi nel genere femminile B, 187. 

V. Arte. 
Frulli per Furlì o Forlì , città A, 257. 
Fusoliera per Barchetta A, 274. =3 Questi giovani 

erano montati in su una fusoliera^ e ci raggiuosono. 



Gelifalco, arma da fuoco , quasi come una mezza 
colubrina A, i3o. 

.Generare per Nascere A, 34- ss Nel praticare in- 
sieme generò in noi un tanto ampre^ che ec. 

Gente per Genti B, 5g. V, Arte. 

Ghignacelo, peggiorativo di Ghigno B, 253. 

Giudizio £=s Diventai come un aspide , e feci dispe- 
rato giudizio A. 4^* 

Gli per Le, A lei A. 1^6 iS'j. 

Gli per Loro A. c^^, 

Granellette per Granelletti Granelletta A. i56. 

Granelline per GranelUni o Grajpellina A. 44^* ^* 
Anellette. 

Granelluzzo , diminutU^o di Granello A, 44^* 



4o6 

GroMiere , nel significalo di Orefice dì grosseria f 
cioè di labori grossolani A. 5i 6o. 

Guardar cogli occhi , doè Esaminare cogli occbù 
^ Aggravando forte senti* disfare la detta pie- 
tra , e guardato bene cogli occhi ^ vidi che così 
era il vero A. 44^* ^* Affisuur gli occhi. 
B, 53 [. ^02, 



1 



Iddio ci mandi mal, che ben ci metta. Proverbio 

B. 416. 
Imperciocché , nel significato di Perciò o Fmperciò 

B. 307. 

Imperò, nel significato di Con tutto ciò B. a47 ^^^' 

C. ux. 29 88 I IO 193 a55. 
Incomportante per Incomportabile B, a58. Forse 

error di lezione. 
Inffipnalità per Unione di circoflanze quasi iniernali 

A, i3i. 
Inferrucdare per Vestire di ferruzzi , con giachi , e 

simili A. III. 
Infetto per Ammalaticcio B, 324. = E per essere 

infetta , io non arrivavo mai volta , eh' io non 

la scomodassi. 
Ingannacontadini C. 238. 
Ingannamatti C. 253. 
Innotabile per Notabile ^ Immutabile, o Indelebile 

A, 3 13. Forse error di lezione. 
Insapiente'/Ter Ignorante B, 5n6. 

Insino a 4 posto in luogo di Ed anche A. 225. ss 
Ch' io ritrovassi un compagno 3 insino a due. 

Intaccare alcuno a danari , per Intaccare alcuno 
nei danari B. 195. 

Intrasegare per Intersegare o Intersecare j9. 91. 

Ischiericare per Mozzare la sommità di che che sia 

B. 21 5. Nella Crusca &è Schericato , senza 
esempi. 

Isconte o Isconto per Visconte , titolo B, 57. 



4o7. 

Isopico viso per Viso deforme ^ da Esopo C. 56. 
Isvìatoio, ne/ significato di Stromento da ripulire un 

anello d^ oro A. 4o9« Forse error di lezione , 

per Avvivatolo. 
Isvivare';w?r Ripulire un anello d^oro A, 409. Forse 

error di lezione ^ in vece di Isviare o Avviare | 

o più probabilmente Avvivare. 



La per Ella A. 99. 

La qua] cosa in vede di Per la qual cosa o perciè 
A. 34* La Crusca alla voce Quale reca un 
esempio della Vita di S. Eufrag , dove trovasi 
la qual cosa , al dir della Crusca , in modo 
pleonastico ; ma che a me pare avere il signi* 
ficaio suddetto di Perciò. 

Lanciotto , probabilmente nel significato di Guar* 
dia armata di lanciotto cioè dì piccola lancia 

A, 49 ^^ i4^* 
Lega , nel significato di Metallo inferiore , che si 

fonde con un metallo più nobile ^ per meglio 

unirlo e legarlo B, 286. 
Legnette per LegnetU (7. 55. /^. Anellette« 
Legnuzze per Legnuzzi C fyì. V. Anellette* 
Lei per Ella o Colei j9, 118 i55. 
Libéralissimo, sostantivo , nel significato di Remu* 

neratore B. 343. >= O glorioso mio Signore , 

vero libéralissimo delle virtù e di quegli uomini 

che in esse s'affaticano. 
Libruccio , diminutivo di Libro A, i55. 
Licenza per Commiato o Congedo dal servizio di al« 

cuno B, 255 4i4* -^* ■^^^ 
Lion bue , forse error di lezione B. 257. 
Loro ^er Eglino A. ^ ^i. 
I^ogoro^ cioè Quasi finito ss) Essendo di già il giorno 

logoro^ sonava ventidue ore A^ 194* 
Lumacuzza^ diminutivo di Lumaca B. 1.96. 



4o8 



M 



Ma pleonastico =i Perchè io avevo mosso ^erti 

ragionamenti ec. , ma il detto Ambasciatore > io 

m aweddi, eh* eg|i aveva operato in contrario 

M. 297. 
Maestraccio , pe^iorativo di Maestro B. 258. 
Male sfortunato B, 245. Forse error di lezione^ per 

Male o Malfortunato.. 
Malfi per Amalfi , città B. %S. 
Mandrìale o Mandriano , nel significato di un Ferro 

con un manico lungo , che serve ai gettatori 

per aprire la spina della fornace, e fame uscire 

il metallo fuso B. 280. C. 177. 
Manica per Fornello ad uso dei gettatori B. 275. 

Sia nella Crusca, senza esempio. 
Maniche, nel significato di Maglie di ferro per le 

braccia A, 263. sa Benissimo armato, con giaco 

e maniche ; che tanto avevo avuto licenza. 
Marmerucola per Marruca , sorta di pruno A* 109. 
Massello, cioè Pezzo di metallo informe B. 377. 
Maturare , nel significato metaforico di Ammollire , 

Raddolcire 3 Domare B. 280. 
Medicacelo, peggiorativo di Medico A, 167. 
Merrebbe , Merrebbono , per Menerebbe e Mene- 

rebbono A, 112. B. ifi. 
Mettere per Accrescer^ , o Mettere ad alcuno per 

Dargli ad intendere B. 328. 
Mettere in opera alcuna persona , nel significato di 

Adoperarla A. 19. B» 522. 
Mi si era recato a noja , per Si era recato a noja 

la mia persona B, 525. 
Mia per Miei A. 5 54. B. 235. 
Migliaccio 3 nel significato di Metallo fuso , che si 

rappigb'a nella fornace B. 285* 
Micliara per Migliajd B. 37. F. Paro. 
Mille j^ t'un miUe pii^ per Mille volte più A. 227. 



/ 



4^9 

Minor;, per Minori^ in genere femminile B, 172. V, 
Arte. 

Misse per Mise B. 5. 

Modo f^. Di modo. 

Mostacci per Mostacchi o Mustacchi B, 517. iSV^ 
nella Crusca , ma f esempio ne è equivoco. 

Mostrare , neutro , per Far intendere o Far Ve- 
dere B, 255 319. C. xviu. =3 E' desiderava 
d' intendere , ed io piacevelmente gli mostrava. 

Motore per Promotore^ Lodatore ec. B. i35. s=s 
Cercando di svilire l* opere mie, facendosi mo» 
tore d'antichi. 

Mulettaccia , peggiorativo di MnTa A, 317. 

Mulucdo , diminutivo di Mulo j9. 24C. 



N 



Non tanto . . ; che, nel significato di Óltre B* Zìi 
546 36o. ss A queste percosse forti in quelle 
sue gotacce, non tanto V esser diventate troppo 
rosse, che ei ne venne giù le lacrime. 

Notte per Notti B. 27$ V. Arte. 



O 



Oblungo per Più lungo che largo B, go; 

Occhio del porco A. i85. = Giunto al Papa; 
guardatomi così coli' occhio del porco, co' soli 
sguardi mi fece una spaventosa bravata. Nella, 
Crusca alla voce Porco e' è Fare P occhio del 
porco , senza esempio. 

Occhio della stizza A. 557. ss Io che li guardavo 
tutti coir occhio della stizza. 

Ogni =s Se io sono per ogpi infirmità divenuto cie- 
co, son io tenuto a lavorare ? A, 2o5. O^e 
pare^ che Ogni stia in luogo di Qualche. 



4io 

Opera , nel significato del Magistrato AegVi Operai , 
ossia di qucMi che soprantendono alla fabbrica 
e al governo di Chiese , Monasteri e sioiili 
B. 307 4^ 4^- *^ nella Crusca senza esem^ 
pio. 

Opera, nel significato della Sostanza governata da- 
gli Operai, come sopra B. 365. 

Opera , nel significato del LuogQ , in cui si rada* 
nano gli Operai , come sopra B. 262. 

Orafaccio, peggiorativo di Orafo B. 55o. 

Oreficeria per Bottega od Officina d' Orefice A, 25. 
B, 217 

Oreficerie , nel significato di Lavori d' orefice B. 24^* 

Origine per Causa o Che dà occasione o principio 
yi. 5. = L' altro giovane, orìgine della quistione. 

Ossìcina per Ossicini A. 167. 

Ovolatore , sorta d' operajo nella zecca A. 192. For» 
se error di lezione. 



Paro per Paio B. 19. V, Miglfara. 

Parte per Parti B. 525 ^. Arte. 

Passare , nel significato di Passare senza esame o 
non badando^ latinamente Praeterire B, 220* 
= Non credendo mai, che tal cosà fussi vera 
com' ella era , ridendoci passammo quella sem« 
plice credenza del buon Duca^ cioè non ci sia- 
mo trattenuti a disingannarlo della sua credenza. 

Passatoiaccio , peggiorativo di Passatoio , arma , 
come pia sotto A. i35 i56. 

Passatoio , arma da gettar colle artiglierie A. i56L 

Pater noster di S. Giuliano B. 1 14« ì=s Se tu dices- 
'si mai il Pater noster , sappi , eh' e^li è quello» 
di S. Giuliano. 

Pazzericcio, diminutivo di Pazzo A. 287. Sta nella 
Crusca senza esempio» 

Pelle per Pelli B. i54. F. Arte. 



4'i: 

Pervenire, nel significato di Appartenere o Spet- 
tare B, 295. CSI E me ne dava quel!' utile della 
parte mia y che mi perveniva , quale fu cau- 
sa ec. 

Piaccino per Piacciano B. 190 P^, Distendino. 

Pietà, nel significato di Immagine di N. S. Gesù 
Cristo, deposto dalla Croce B, 586. 

Pietruccia per Pietruzza A. 445- 

Pifferata , cioè Arte di suonare il piffero , cosi 
detta per disprezzo A. it. 

Pintaculo per Pentacolo A* 226. 

Poco (ud) as^erhio ^ declinato B. 92 i5x 202. 
C. 36 85 90 io5. F". Tanto e Troppo, e la 
Crusca di Verona ove sono molti esempj dei 
vari usi di quesi avvethio. 

Possette per Potè o Potette //. no. 

Possino per Possano B, 2<56. V, Distendino. 

Prender luogo, nel significato di Fermarsi o Ces^ 
sare B. 53i. =: Avendo preso luogo quel poco 
della stizza , considerato , cLe i colpi non si 
danno a patti 4 . , io mi risolsi ec. 

Pressi, nel significato di Strette o Pressure B, 71. 

Pretesco , cioè Da Prete A, 72. 

Prima (alla) , alla seconda , nel significato di Alla 
prima volta, alla seconda C, 88. 

Prima (alla), alle due, nel significato di Alla pri- 
ma volta , alla seconda C, 222. ss E' non sarà 
cosi pusillo animo di fanciullo, che cominciando 
a ritrarre un bastoncello d' osso , che non 
si prometta di farlo , se non alla prima , alle 
due, benissimo. 

Primo (al) per Alla prima A. 36o 424- B. ii4 2o5 
2q6. 

Primo (per il di^, in luogo di Per lo primo B, 5o. 

Puole per Può A. 62. 

Punto A. 229. S5 La luce degli occhi aveva fuora 
del punto. 



4u 



Qaale , pronome relativo , usato pel dimostrativo 
Questo o Quello A. l'jS 229 255 ec. C. 261. 
S Giratosi per dare a un archibusiere, il quale 
(cioè questi) per propria necessità sparato V ar- 
chibuso, colse il valoroso sventurato giovane ec. 

Quarto s La dico per difesa mia , e non ne voglio 
il quarto , cioè il premio dell' accasa , secondo 
Puso di que* tempi B. q5q. 

Quasi pih del tempo ^ nel significato di Per lo più 
8= E per essere tanto intrinseco di Baldassare » 
quasi più del tempo si trovava seco a ritrarre 
le sopraddette opere C. 25 1. 



R 



Raccomandazione per Raccomandazioni C, 257. ^. 

Arte. 
Ramo di getto « cioè Canale, pel quale passa nella 

forma il metallo fuso B, 275. 
Raspo per Cespuglio A. 34g. s Sdrucciolò inverso 

il laeo , e s' attenne a un raspo , il quale era 

sottilissimo. 
Rene per Reni B. 208. F". Arte. 
Rifare s Posero nome Reparata ^ per rifare la ma- 
dre di mia madre A. 8. 
Rigaglia D«r Avanzo, Soprappiù o Regalo A. 362. 

s u Duca m'aveva mandato a presentare le 

rigaglie del suo piatto, con molto buon vino. 
Riguadaffnare la bella città di Roma, nel significato 

di Ritornare alla medesima A. 285. 
Rimettere, nel significato di Porve in arbìtrio altrui,. 

colla cosirution neutra B. 4^^* ^ ^ ^^^^ ^^ 

rimessi, in tutto e per tutto. 



4i3 

Ringraziare , costruito col datifH) , come Render gra« 

2Ìe B. 36o C3 Ne ringrazio a V. E. lUiutriss* 

con tutto il cuore. 
Risegnare per Sottoscrivere A, 2g4. Sia nella Crusca 

senza esempio. 
Ritta per Andata via ?=: La Duchessa si era ritta 

B. 3o6. 
Rizzar la punta per Mettersi in collera B» 3i8. 



Sacro per Sagoo , sorla d'artiglieria A> i5o i36. 
Saltacchioni (a), avverbio A, Si']. — Veniva a sal- 

tacchionì in sur una sua mulettaccia quel Mes«^ 

ser Francesco. 
Salvatichella per Salvaticlietta i9. 157. = E per 

essere salvatichella e di pochissime parole. 
Sappi per Sappia B. 162 25o. F'. Di»tendino. 
Scalerà , nel significato di Scalea A. 599. 
Scalpellare, e Scalpello, in luogo di Scarpellare e 

Scarpello B. 264 267. 
Scannapagnotte per Parassito B. 44' 
Scannapane per Parassito B» 128. 
Scendente (lo), sostantivo^ per Lo scendere » Il di^ 

discendere A» 4* =3 Mi glorio d' aver lo mio 

scendente da uomini valorosi. 
Scesa per Infiammazione d* occhi A' ao3. 
Schericare o Schiericare. V. Ischiei^icare. 
Schermi gliare , nel significato di Fare scarmaglia o 

Giucare di scherma B, 224. 
Scorreria (dare una) ^er Fare una scorreria ^. Sip. 
Sducare = Mi dava la baia di questi Duchi , dicen- 
domi : noi gli aviamo sducati , e non avremo 

pih Duchi ^. 3i8. 
Segnar sette, e tagliar uno, proverbio A, 249» 
Senso per Ano B. 4o5. 
Sepolcro , o;;^ure Santo Sepolcro, per Gerusalemme 

^..434. B, 47. 
Setoso per Assetato B. 8. 



4<4 

Si per G f pronome B, 34 26. 

A bene o Sibbene , per Coà o Tanto od Fgnalmeiìte 

A. 349 34a B. 258 359 444. 

IS beoe per Sebbene A. 417* Forse error di lezione. 

Si e 9 colla corrispondenza di K, nel significato 
di Coà, colla corrispondenza ili Cotae =: Sì 
e de' nostri Fiorentini, e altri B. 5 18. C 236. 
f^. Così. 

Siate per Siete C. 259 269. 

Siemo per Siamo B. it^. 

Simplice per Simplici C 237. f^. Arte. 

Sobillato da Sobillare ^. 38 4f 44^* 

Soddomitaccio d. 260. 

Sonare -co/ ^so genita^ , come Sonar di cornetto o 
di flauto 9 per Sonare i defti strumenti A. 21. 

Sorsata aceresciiivo di Sorso A. 3o3. =; Me ne la- 
sciava bere una sorsata a mio modo. 

Soite (di) y. Di sorte. 

Sovvenire , nel significato di Venir in mente =: De- 
gli altri non mi sovviene il nome A, 175. 

B. 3i5. 

Spagnolescamente, cioè Alla moda spagnuola A. 68. 
Spesso mai ss Dicendo s[>esso mai; deb ec. B, 5 17. 
Spicciare , nel significato di Staccare ^. 3. s £ 

co' denti un pezzuol di legno spiccio. 
Sporcizio; nfil significato di Sporchezza B, 48^* = 

Tu ci troveresti infinita povertà ed alquanto 

sporcizio. 
Statuare per Fare statue =: Allora era veramente 

da militare 3 e non da statuare B. 171. 
Stieggia, in luogo di Scheggia ^.444- 
Stretto per Intrinseco o Goofidepte , detto di per^ 

sorte B, 3oi. = E certi altri di quegli stretti 

al Duca. 
Stuzzicare , neutro , nel significato di Tentare o Sol- 
lecitare B. 432. z: lo stuzzicai parecchi volte 

di andarmi con Dio. 
Sua per Suoi A. 61 ec. 



4i5 



Ta\ per Tali J. 224 234. 

Tale per Tali C. 237. F". Arte. 

Tale (a) per A tal segno > ^e/iza 1 t/^rò/. Gì ugnere, 
Condursi , o simile B. 290. 

Talvolta per Forse A, fj'j 188 256 265. n Non 
risolvendo a spiccargli la gamba affatto , che 
talvolta sarebbe campato. 

Tanto , aggettivo , nel significato di Molto grande , 
^enza alcuna corrispondenza espressa o sotUn" 
tesa A* 93. n Con tanta baldanza disse B. 225. 
Io ero venuto in tanto furore^ col quale ec. 

Tanti 3 aggettivo ^ nel significato assoluto di Mol« 
ti , senza alcuna corrispondenza , come sopra 
B. 256. ^ Il Ducei con tante belle piacevo- 
lezze mi faceva lavorare ogni sera . . , e mi strin- 
geva ... a fare ec. ^ 

Tanto , avverbio , nel significato relativo di Così 
Molto ^ o declinato come aggettivo B.5^o :z 
£i furono tanti arditi , che ec, £ nel significato 
assoluto di Assai o Molto, senza alcuna cor^- 
rispondenza B, 294. ZZ Scrissi una lettera tanto 
amorevole, ed in essa ec, B. 339. La quale mi 
confortò tanto ; e quel giorno ec. A, 67. Con 
tanta bella grazia disse ec, C. 248. Con tanta 
bella maniera degli antichi , sì per esser lui 
pittore , e sì ec, V, Poco , e la Crusca alla 
voce Tanto 4 ove sono molti esempj di varie 
licenze consimili alle qui recate. 

Tenere, neutro per Impedire B, 4 «3. ^ Federigo 
de' Ricci teneva 4 che loro non me la spedivano. 

Terraiuolo per Terragnolo , Che s' alza poco da terra 

A, 4o8. Tirò a un colombo terraiuolov 
Testa per Modo di pensare, Opiniohe A, 112. S 

Trovatomi anch' io nella propria testa mia. f^» 

B, i6j« ^ Essere di suo capo.- 



4i6 

Tiota per Sorta di stacco da porsi nel castone dei 
diamanti A, 526. C. 16 e segg. 

Tirare da un disegno per Ritrarre o Ricavare da 
esso. C. aSg. z:; Tirano le opere loro da un 
piocol disegno. 

Tirar il male, cioè Rimanerne tutto compreso A. 4^. 
M' accrebbe tanta collera , cbe tirato tutto il 
male , e alquanto per natura anche collerico ^ 
• . . saltai in casa delli mia avversar) ec. 

Toccare :r Quelli erano atti e costumi della Corte , 
i quali punto non toccavano T obbedienza del 
Re B: 147. 

Toccare, net significato attivo di Ricevere a sorte 
che che sia A. 118 174*^ Insegnai loro il 
modOf acciocché non toccassino uà archibusata 
da quei di fuora. 

Toccar umore per Toccar il ticchio o Venir capric- 
cio B, 1 13. In verso la sera ... mi toccò umo- 
re,, e cominciai a pensare a quelle parole ec. 

Tonaca di terra , cioè Qudlà terra , che si sovrap- 
pone alla cera dei modelli » per farne la forma 
j9« ^74» C. 168 e seg. Sta nella Crusca, ma 
senza una giusta spiegazione* 

Tonfo per Tonfano A. 358. :::: Dettono in un tpnfo 
grandissimo» dov'egli andarono sotto ^ egli e 'l 
cavaUo. 

Tornamene per Tornaimene B. 186. 

Troppo t avverbio , declinalo come aggettivo B. 4^ 

^sP^ ■ 9a. F'. Poco. 

Tua per Tuoi A. 29 60. 



Vadia per Vada B. 146. 
Veddimo per Vidimo o Vedemmo A, 117. 
Vegghino per Veggano B. 2q5. /^. DistendiBO, 
Vendino per Vendano C. i^o. /^. Distendino. 
Vengano T^er Vengono C. i56. Forse errore di &• 



zione. 



4i7 

VetiDamó e Voìiiimo per VeiMmino B. i^ V. Con- 
veODamo. 

Ventuno, Trentuno e dmili €ome si costruiscano 
B. Ìo5. 

Vero ( di ) , avverbi» per In ¥^lro o D» vero 
C li. a E di Tero, che egli ciò {ece con 
gran ragione. 

Viano , diminuivo di Viso B. 4o3. ss Facendo 
un cèrto cattivo suo visino, disse ec. 

Vite per Viti B. i^. ss Sbarbando alberi e vite. 
f^. Arte. 

Vivo per Fruttifero B. agS. ss Qucà mia danari voi 
me li tengbiate vivi^ e che mi guadagnino qual- 
che cosa B. 295. 

Umani, sostantivo per Uomini A, 365. s Qnan* 
to possono le maligne stelle , . in noi umani. 

Uno (F) e 1' altro , per V un motivo e Y altro, V una 
«fausa e 1' altra B. 1 4o aS^. ^ Non ho fatto 
dare i danari a Benvenuto; V una si è, perchè ec. 
r altra causa si è , perchè ec. ss Quest' uomo 
non potette stare alle mosse di aver pazienza^ 
eh' io dicessi ancora i gran difetti di Caco ,* 
¥ uno si era , eh' io dicevo il vero , V altro si 
era , eh' io Io faceva conoscer chiaramente al 
Duca e agli altri /^. ia Crusca di Ferona 
f iella Sopra^tunta. 

Vociolina, diminutivo di Voce B. 106. Próbahil'* 
mente error di lezione , in luogo di Vocina. 

Volsuto per Volilrto A. 7. B, 2/^ù. 



blocco per Zoccolo^ Base B. 8g. 



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